Fin
dai primi anni della sua vita, Johnny era sempre stato paziente con
suo fratello. Non che non gli volesse bene, anzi era presente ogni
qualvolta avesse bisogno del suo conforto. Si può dire che amasse
Billy con tutto il cuore. L'aveva visto il giorno della sua nascita,
quando lui ormai aveva compiuto il terzo anno di età. Rammentava
perfettamente papà che prendeva in braccio il nuovo membro della
famiglia. Era avvolto da un piccolo lenzuolo bianco da cui spuntavano
solo una testolina calva e due occhioni grandi e azzurri. Era persino
riuscito ad accarezzarlo dolcemente lasciandolo nel suo sonno
tranquillo.
Billy
era cresciuto velocemente, assumendo dei lineamenti perfetti. I suoi
capelli castani erano morbidi e lisci e aveva occhi del colore
dell'oceano. Era di media statura, ma si era capito sin da subito che
avrebbe raggiunto il metro e ottanta. Inoltre non si era mai visto
fisico così sviluppato per quell'età.
Purtroppo
era predisposto all'ammalarsi di continuo. Un giorno Johnny tornò a
casa dopo essere andato a fare la spesa per la mamma, che non stava
molto bene. Quando era entrato nella cameretta dove dormiva suo
fratello, gli si era avvicinato e aveva appoggiato il palmo della
mano sulla sua fronte. Scottava. Si era precipitato in sala da
pranzo, dove stava per essere servito l'arrosto. Era spaventato,
perché lui, al contrario, non si ammalava mai. I genitori andarono a
controllare e dissero che non era niente. Probabilmente era solo
influenza e sarebbe passata presto. Così fu.
Non
bisogna però fidarsi troppo delle apparenze, perché solo una
settimana dopo Billy aveva di nuovo la febbre a trentotto gradi.
Johnny andava continuamente a trovarlo in camera sua, con il timore
che potesse sentirsi male all'improvviso, oppure cadere dal letto nel
sonno. Così gli portava una tazza di tè caldo, che quasi sempre
rimaneva mezza piena. Fu in quel periodo dell'estate del '76 che
crearono un legame speciale tra di loro. Billy aveva solo cinque
anni, ma ne dimostrava di meno, in quei momenti in cui si trovava a
letto. Johnny invece era molto forte per la sua età, sia fisicamente
che mentalmente. Riusciva sempre a trovare il modo di passare quelle
ore interminabili. Certe volte stavano ore e ore, lui seduto sulla
scrivania e Billy sotto le coperte, a fissarsi negli occhi, cercando
di scambiare i propri pensieri. Col tempo iniziarono a capirsi più
velocemente. Dopo pochi giorni riuscivano persino a scambiarsi intere
frasi senza mai aprire la bocca. Johnny chiamò questa capacità
“Interferenza”. Il fratellino guarì solo dopo un mese di
antibiotici.
Fino
ai sette anni di Johnny, la famiglia aveva abitato a Chicago, poi si
era trasferita in una piccola cittadina del New Jersey. Vivevano in
una casetta vecchia, a cui però subito si affezionarono. Era
abbastanza isolata dalle altre da poter trascorrere periodi di
tranquillità. Si pensava che il difetto di Billy fosse anche dovuto
allo stress.
Quando
ci fu l'incendio nella primavera del 1980, Johnny aveva ormai dodici
anni e Billy aveva raggiunto i nove. Si alzarono a giorno inoltrato
quella mattina, perché il venerdì sera avevano fatto tardi.
Erano
andati al ristorante tutti e quattro, cosa che accadeva molto di
rado, per festeggiare il nuovo lavoro di papà. Ora si sarebbero
potuti forse permettere una vita leggermente migliore. Quando furono
di nuovo a casa erano giunte le undici.
I
loro genitori li aspettavano in cucina. Avevano uno sguardo strambo.
I due pensarono subito di aver fatto qualcosa di sbagliato. Si
avvicinarono con cautela, come fingendo di non accorgersi di loro.
Quando si furono messi a sedere, ognuno davanti alla propria tazza,
ci fu un silenzio assordante che durò per un paio di minuti.
Finalmente la mamma iniziò a versare del latte caldo a Billy, e
cominciò a parlare.
“Io
e papà abbiamo deciso di farvi un regalo per esservi comportati bene
durante questo periodo difficile...”, disse.
Sospiro
di sollievo da parte di tutti e due, che stavano “interferendo”
su cosa potesse essere successo. Sapevano però entrambi che era vero
quello che diceva. Sentivano spesso il papà che si lamentava perché
gli mancavano i soldi. Ma ora non era più così, da quando aveva
trovato lavoro.
Continuò
“Siamo disposti a lasciarvi uscire un po' insieme questo
pomeriggio”
Billy
guardò il fratello per un momento, poi gridò “Sììììììì!”
Finirono
la colazione. Corsero in camera, che condividevano da dopo il
trasloco, e si chiusero dentro. Nessuno dei due osò proferire
parola. Pensavano che anche un solo suono avrebbe potuto porre fine a
quel sogno. Ma non era un sogno. Era tutto reale. In qualunque modo,
non vedevano l'ora di sfruttare l'occasione.
Arrivato
il momento, si diressero uno dietro l'altro verso il cortile. Si
voltarono per salutare papà e mamma che erano sulla soglia. La mamma
li richiamò indietro e diede loro degli spiccioli. “Tenete. Vi
potrebbero servire”, disse.
Johnny
si commosse a tal punto che strinse forte la mano del fratello. Billy
non se ne accorse e mise in tasca le monetine.
“Grazie,
mamma!”, urlarono all'unisono.
La
mamma ritornò dal marito e gli appoggiò il braccio destro sulla
spalla.
“Johnny...”,
iniziò papà. Dopo un momento di indecisione, riprese “...abbi
cura di tuo fratello”
“Sì,
papà.” E partirono.
Appena
si trovarono in strada si guardarono intorno. Ebbero un attimo di
esitazione, poi si diressero al parco giochi. Johnny era troppo
grande per quel posto, perciò si limitò a guardare suo fratello che
dondolava sull'altalena. Non c'era anima viva. Quando Billy si stufò,
Johnny lo prese per mano. Andarono verso un chiosco lì vicino e
comprarono un gelato. Si sedettero nell'erba e lo gustarono in
silenzio. Una leggera brezza soffiava da nord. Il cielo era limpido e
il sole picchiava sulle loro teste. Si misero un cappellino e
seguirono il sentiero che fiancheggiava la strada principale.
Passeggiarono per un po' senza alcuna meta, poi si avviarono verso
casa. Il sole stava calando e non volevano tenere in pensiero i loro
genitori.
Iniziarono
a sentire odore di fumo quando imboccarono la strada che li avrebbe
riportati al vialetto d'ingresso. Non capirono subito cosa stesse
succedendo, ma si fissarono negli occhi per qualche secondo, questa
volta senza “interferire”. Sentivano solo di doversi
affrettare.
Arrivati
abbastanza vicino, videro fiammate che divampavano dalle finestre
dell'edificio. Era casa loro. Si fermarono all'istante, subito dietro
la folla che osservava terrorizzata. I pompieri non erano ancora
arrivati. Questo significava che l'incendio poteva non aver avuto
inizio da molto. Forse papà e mamma erano rimasti intrappolati e
nessuno poteva aiutarli. Sentivano urla provenire dalla bocca della
gente che li precedeva. Si unirono a loro, gridando e cercando di
farsi spazio per avvicinarsi ulteriormente.
Un
uomo li fermò. “Attenzione, ragazzi! Più avanti di così non
potete andare!”, esclamò ad alta voce per farsi sentire.
Johnny
cercò di protestare, ma si arrese presto vedendo l'espressione sul
suo volto. Era spaventato a morte, come se avesse visto qualcosa che
lui non aveva notato. Rivolse lo sguardo verso l'alto molto
lentamente, puntando alla camera di mamma e papà. Li vide. Erano
schiacciati contro il muro e cercavano una via per raggiungere la
finestra. Delle macerie caddero dal soffitto e coprirono la visuale.
Tese
una mano a Billy e lui l'afferrò. Scapparono senza farsi vedere, con
le lacrime agli occhi e tutti tremanti.
Johnny
aveva subito pensato che se fossero rimasti, sarebbero stati mandati
in un orfanotrofio o affidati a famiglie sconosciute. Non poteva
succedere. Per nessun motivo. Si sarebbe occupato lui di suo
fratello. Nessuno li avrebbe più separati.
Corsero
fino a una mulattiera non più utilizzata da tempo e la seguirono per
un pezzo. Ad un certo punto Billy si fermò stanco morto. Johnny
ormai non stava più pensando alla fatica ma solo a mamma e papà.
Cos'era successo? Cosa sarebbe accaduto se non fossero usciti di
casa? Ora sarebbero sepolti come i loro genitori mentre le fiamme
consumavano i loro volti?
Quando
il fratello lo strattonò, si accorse di avere il fiatone. Si
sedettero uno accanto all'altro, abbracciati e pieni di sensi di
colpa. Johnny lo accarezzò sulla testa e lui pianse ancora più
forte.
“Adesso
basta. Dobbiamo andare, se no ci troveranno e vivremo con persone che
non ci vorranno bene. Tu non vuoi questo, vero?”, disse a bassa
voce.
“No”
“Allora
alzati”
“Ok”
Abbandonarono
il sentiero e si addentrarono nel bosco, come cercando la protezione
della natura. Il sole era scomparso dietro l'orizzonte e il vento si
era fatto più forte. Proseguirono a passo regolare, senza mai
fermarsi. Non sapevano dov'erano diretti, ma andavano avanti lo
stesso. Superarono tronchi caduti e cespugli cresciuti qua e là,
finché non caddero a terra sfiniti. Si rannicchiarono sotto un
enorme quercia che li ospitò per la notte.
Trascorsero
ore senza dormire, ascoltando i versi striduli di animali selvatici
di cui non sapevano neanche l'esistenza. Rimasero stretti per
scaldarsi un poco. In alcuni momenti, quando stavano per
addormentarsi, rivedevano le fiamme e udivano le grida delle persone
ferme davanti alla loro dimora. Era gente giunta solo per curiosità.
Nemmeno sapevano dire chi vi abitasse.
Johnny
aveva lo sguardo fisso a est, con la speranza di vedere il sole
sorgere. Billy, invece, si guardava intorno pensando che potesse, da
un momento all'altro, spuntare un enorme lupo nero che avrebbe posto
fine alle loro sofferenze.
Finalmente
arrivò l'alba, che tinse ogni cosa con vivaci colori. Johnny e Billy
avevano socchiuso gli occhi nell'ultima ora, ma il nuovo giorno li
aveva strappati dolcemente dal loro sonno. Billy fu il primo a
svegliarsi e scosse il fratello più volte. Non voleva che si
perdesse lo spettacolo. Il sole era un cerchio rosso nel cielo e
mandava una chiazza di luce che si estendeva velocemente sul suolo.
Gli uccellini cinguettavano, componendo melodie fantasiose.
Ripresero
il cammino e sbucarono in un piccolo sprazzo di verde, completamente
nascosto dalle piante. Al centro si trovava una baracca di legno,
probabilmente il rifugio di qualche boscaiolo.
Spinsero
la porta ed entrarono. Era tutto ricoperto di polvere e ragnatele.
Solo poca luce entrava da qualche fessura. Erano in un ampia stanza,
apparentemente vuota, a parte qualche mobiletto ai lati ed un
minuscolo televisore di fronte a un divano trasandato.
Passarono
alla stanza attigua, che ospitava delle brandine disposte
disordinatamente. Aprirono un armadio e videro delle lenzuola, delle
coperte e dei cuscini.
C'era
poi un'ultima stanzetta, in cui si trovavano dei fornelli e un
tavolino. Qualcuno aveva dimenticato una bombola a gas quasi piena,
ma loro non sapevano che cosa farne.
Era
senza dubbio un luogo disabitato, date le condizioni pessime in cui
era stato lasciato, perciò decisero di stabilirvisi per qualche
giorno.
Passarono
tutta la mattina e parte del pomeriggio a pulire quanto possibile con
stracci trovati in uno dei mobiletti. Tolsero poi le assi di legno
che ricoprivano delle finestrelle e prepararono due brandine per la
notte. Quando ebbero finito si recarono nei dintorni per cercare
qualche albero da frutto. Non avevano trovato scorte di cibo nel
rifugio, a parte delle scatolette di verdura sottaceto. Riuscirono ad
arrampicarsi e a raccogliere delle albicocche.
Cenarono
verso le sette limitandosi a mangiare frutta. Non si fidavano di
aprire quelle scatolette, perché non avevano idea di quanto tempo
fossero state su quelle mensole. Uscirono e si sedettero sotto il
cielo stellato. Johnny indicò a Billy l'Orsa Minore e gli spiegò
come individuare la stella polare partendo da quella.
“Tu
pensi che papà e mamma sappiano che noi siamo qua?”, chiese
all'improvviso Billy.
Aspettò
un attimo a rispondere. “Io penso che loro sappiano sempre dove
siamo...” Fece una pausa. “Secondo me sono lassù a guardarci”,
continuò.
“Papà
e mamma sono sulla luna!”, urlò Billy.
“Sì,
proprio così”
Stettero
lì sdraiati per un po', poi si addormentarono.
Quando
Johnny si svegliò il giorno dopo, vide che era solo. Entrò per
vedere dove fosse suo fratello e lo osservò dormire nella sua
brandina. Si era tirato su il lenzuolo fino a coprirsi la testa. Lo
raggiunse e gli si sedette accanto. Aspettò che si accorgesse di
lui. Dopo un'ora era ancora lì ad aspettare. Gli appoggiò una mano
sulla fronte. Scottava. Johnny si alzò di scatto e fece cadere la
sedia. Billy aprì gli occhi. “Cosa c'è?”, chiese.
“Hai
la febbre!”, rispose.
“Non
sto molto bene, ma mi passerà”
“Comunque,
io faccio due passi fuori, tu… resta a letto ancora un po'”,
disse indeciso.
“Ok”
Uscì,
pensando che se fosse peggiorato avrebbe avuto bisogno di medicine.
Lui però non sapeva come procurarsele. Trovò un sentiero e lo
seguì. Vide un cespuglio di lamponi. Sarebbe tornato nella baracca a
prendere un contenitore per raccoglierli.
Così
fece, e quando venne ora di pranzo, ne portò in tavola due piattini
pieni. Chiamò Billy. Impiegò un po' troppo tempo per arrivare, ma
appena fu seduto, Johnny vide che sorrideva. “Grazie”, disse
iniziando a mangiare. Aveva gli occhi lucidi e il volto pallido.
Assaporarono
lentamente e, finito, Billy tornò a letto. Johnny iniziava a
preoccuparsi, perché lo vide camminare trascinando i piedi. Nel
pomeriggio riposarono entrambi. Johnny si alzò che era ormai tardi e
si rese conto di non avere più niente da preparare per cena, a parte
quelle scatolette.
“Non
importa, non ho fame”, disse Billy leggendoglielo negli occhi.
Anche
lui rinunciò a mangiare.
Verso
le undici, si sdraiò sul prato come la sera precedente. Guardava in
alto, pensando se veramente i loro genitori potessero essere là. Si
immaginava anche un altro bambino lassù, nelle sue stesse
condizioni. Anche lui che aveva perso mamma e papà e pensava
potessero essere sulla Terra. Scacciò quel pensiero dalla mente.
“Calmati...”,
sibilò una voce. Quella di papà.
“Va
bene”
“Noi
qui stiamo bene. Cura tuo fratello...”, continuò mamma.
“Certo”,
disse. Si chiese se le voci uscissero dalla sua testa.
“Sta
male...”, continuarono entrambi. “Sta molto male...”.
Non veniva dalla sua testa, ma dalla luna.
Mentre
lui parlava, suo fratello aveva mal di pancia e si rigirava nel
letto. Per la prima volta pensò di non poter più guarire, che il
suo destino fosse di morire lì dopo mesi e mesi di sofferenze.
Entrò
Johnny all'improvviso. “Billy...”
“Mi
fa male, non lo sopporto più!”, gridò.
“Tranquillo,
non è niente”, disse per calmarlo.
“Ma...”
“Sssst...”,
lo interruppe.
Johnny
lo tenette stretto, mettendogli una mano sulla guancia, e stette così
finché si fu addormentato. Gli ripose dolcemente la testa sul
cuscino e gli rimboccò la coperta. Lo lasciò solo, socchiudendo la
porta. Tornò fuori. Questa volta la luna non gli parlò.
Passò
la notte. La mattina seguente si decise ad aprire una delle
scatolette. Assaggiò il contenuto e ne rimase soddisfatto. Così
fece colazione. Provò ad offrirne un po' a Billy, ma lui non ce la
fece.
Johnny
trascorse tutta la giornata nella stanza del fratello. Non riusciva a
dormire, non mangiava e non andava in bagno. Sudava nel suo letto e
ogni tanto vomitava. Per gli antibiotici aveva bisogno di soldi, ma
non ne aveva. Inoltre non si sentiva di lasciarlo da solo per andare
in città. Nemmeno era sicuro di riuscire a trovare la strada.
Di
sera uscì di nuovo. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare.
“Mamma.
Papà. Ho paura di non poter continuare così ancora per molto...”
Nessuna
risposta.
“Billy
è sempre più debole e non so cosa fare”, continuò.
Pensò
di essere stato stupido a credere di trovare davvero i suoi genitori.
Ma proprio in quel momento li sentì.
“Devi
avere pazienza...”
“Lo
so”
“Billy
è sempre stato debole...”
Cadde
un silenzio improvviso.
“Come
ci si sente?”, chiese Johnny.
“Che
cosa?”
“Quando
si muore”
“La
morte...”, ci fu una pausa come di riflessione. “Un attimo prima
ci sei, poi ti senti scomparire. E ad un tratto vivi solo nel cuore
delle persone. Fino a quando si dimenticano di te”
“E
dopo?”
“Poi
te ne vai altrove, senza lasciare traccia”
Johnny
pensò alle loro parole, poi si mise in piedi e li salutò.
“Ciao,
figliolo”
Se
ne andò. Entrò in camera mentre Billy si agitava nel sonno. Gli si
avvicinò e lo svegliò.
“Ho
fatto un brutto sogno”, disse. “Tu eri via. Non eri con me. Io ti
chiamavo, ma tu non c'eri”
“Io
non andrò mai via. Non ti lascerò mai. Come ti senti?”
Non
rispose. Si era già riaddormentato.
Durante
i giorni seguenti, le condizioni di Billy peggiorarono ulteriormente.
Poi, il 25 maggio, alle dieci di sera, smise di respirare. Johnny era
seduto sul divano e stava pregando per lui. Per il fagottino bianco
che aveva visto in braccio a suo padre. Per quel bambino che sembrava
destinato a non morire mai. Sentì dei rumori strani e corse verso la
stanza. Era caduto dalla brandina e aveva le convulsioni. Lo rigirò
e cercò di calmarlo invano. Restò tra le sue braccia per pochi
minuti e poi “interferì” per l'ultima volta “Grazie”
Uscì
piangendo con lui in braccio. Lo posò a terra e urlò.
“Ecco,
adesso è morto!”, esclamò rivolto verso l'alto “Cosa avrei
dovuto fare? Sono stato calmo e ho avuto pazienza, come avete detto
voi!”
Si
buttò in ginocchio accanto al fratello, come per proteggerlo. Si
sentì girare la testa. Batté i pugni al suolo più volte, finché
si accorse che Billy non c'era più. Non era più lì. Si voltò
verso la luna. Eccolo, insieme a papà e mamma. Salutava. Non come se
fosse un addio, ma un arrivederci. Poi scomparve.
Passarono
gli anni e Johnny crebbe solo, in quel rifugio. Inizialmente usciva
ogni notte, poi solo alcune volte, infine non più. E i fantasmi di
mamma, papà e Billy fecero lo stesso. Intanto imparò a cacciare e a
praticare la pesca, in un laghetto lì vicino.
Tornò
in città a diciotto anni. Nessuno si interessò a lui. Fece visita
al luogo dove un tempo sorgeva la sua casa, ma vi trovò solamente
uno spazio vuoto, magari oggetto di qualche leggenda metropolitana.
Così partì per cercare lavoro, e da allora a poco a poco riuscì a
dimenticare.
FINE
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