Maternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
1
- Minako (al settimo giorno)
Era una sensazione strana.
Dopo sette giorni a volte le sembrava ancora di prendersi cura
di un
giocattolo prezioso, rarissimo, inquietante nella sua meraviglia.
Aveva visto il suo volto nella pancia, lo aveva sentito
muoversi dentro
di lei. Lo aveva visto uscire dal proprio corpo. Al primo contatto con
lui si era sentita immensa, completa. Aveva dato un nome al suo
bambino, ma ogni tanto lo guardava e aveva voglia di chiedergli, 'Sono
io la tua mamma?'
Sei davvero
mio,
è di me che hai bisogno?
Si sentiva troppo piccola per tutto ciò che
meritava
l'essere magnifico che teneva tra le braccia. Lui prendeva da lei senza
preoccupazioni, come in quel momento, con le sue minuscole labbra che
si chiudevano
forte attorno al suo capezzolo, succhiando per nutrirsi.
Lei gli teneva la mano chiusa nel pugno, con
delicatezza, e
quando sentiva le sue dita muoversi si allarmava e gioiva.
Hai bisogno di
qualcos'altro? Saprò dartelo?
Non posso
credere che tu
sia qui.
Sentì che lui smetteva di succhiare e lo
staccò
dal seno, spostandolo con entrambe le mani. Aveva imparato a
maneggiarlo e a rivestirsi; in qualcosa stava diventando brava.
Mentre si ricomponeva e puliva il latte dal seno, lui non fece
quasi
nulla. Nella penombra la guardò, si guardò
attorno. Inerme, aspettava che la vita gli capitasse, o che lei
decidesse cosa ne sarebbe stato di tutte le sue giornate.
«Che responsabilità...»
Sorrise. Quando gli parlava si sentiva meglio, le sembrava di
comunicare con lui. Il suo piccolo la guardava quando sentiva il suono
della sua voce.
«Facciamo una cosa?»
Allungò un braccio di lato e accese una piccola
lampada. La
luce tenue illuminò la parete accanto a loro.
«Non ti dà fastidio?»
mormorò. Hermes la guardò ancora e lei
studiò di nuovo il suo viso. Cambiava ogni giorno. Quella
mattina c'era qualcosa di nuovo: le labbra sembravano meno paffute.
In aria disegnò la loro forma con un dito, per
fissarla
meglio nella mente.
Oh. Ora le vedeva meglio, le riconosceva. Quella bocca non era
sua.
«Hai capito?» Avvicinò
la
fronte a quella di lui, ammirando i suoi occhi grigi. «Non
è vero che somigli in tutto a mamma.»
Le pupille del suo bambino erano larghe. La stava ascoltando.
«A me non sembra nemmeno che queste siano le mie
sopracciglia.» Quelle di lui erano chiare, ma lei non le
aveva così grandi. «Sono bellissime. Quando
sarai grande ti staranno molto bene.»
Tutti dicevano che Hermes aveva i suoi occhi. Il colore era
ancora
indefinito, ma il taglio - sembrava - era il suo. Lei non lo
riconosceva: era difficile vedersi in un'altra persona. Ma da Usagi a
Makoto, tutti i suoi amici dicevano che suo figlio aveva la sua faccia.
Il legame era straordinario, perché quando lei
guardava il
suo bambino vedeva solo... un'altra persona. Una persona nuova,
diversa, unica, capace di reazioni che la sorprendevano,
benché avesse imparato a rispondervi nella maniera giusta.
Il modo in cui lui piangeva era tenero e angustiante. Non era
un pianto
disperato e acuto - 'completamente diverso da Arimi', aveva detto Shun
- ma una specie di miagolio sofferente che chiedeva attenzione.
Hermes la stava ancora guardando, sereno nelle sue certezze.
Minako lo portò al petto. «Io so solo che
tu hai
un odore buonissimo. E che ti voglio bene da morire.»
Proverò
a non
sbagliare, lo prometto.
Anche se, con ogni giorno che passava, le sembrava che
comparisse una
nuova cosa che non sapeva fare, un nuovo problema da affrontare.
«Ehi.»
Sollevò gli occhi. Shun era entrato nella stanza,
camminando
piano.
«Un'altra poppata?»
Minako annuì. Cominciò a massaggiare la
schiena
del loro bambino, per spingerlo a buttare fuori l'aria.
Shun si sedette nella poltrona davanti a lei.
Sbadigliò, una
mano davanti alla bocca.
«Va' a dormire» gli disse lei. Non era
necessario
che stessero alzati in due.
Lui meditò sul proprio sonno per qualche secondo,
le
palpebre gonfie. Le agitò. «No. Quante volte si
è svegliato questa notte?»
«Due.»
«Questa è la terza.»
Non fu proprio una domanda, e il tono fu gentile, ma
suonò
come un'accusa, a lei o ad Hermes. Minako lo strinse più
forte a sé, solo un pochino.
«Sei stanca.»
Oh, sì. Una parte di lei voleva gettarsi tra le
braccia di
Shun per dormire in eterno e chiedergli di sistemare tutto. Ma un'altra
parte di lei - quella che era diventata madre - sapeva che non poteva
farlo. Aveva delle responsabilità ora.
«Oggi possiamo provare con quel tiralatte»
suggerì Shun. «O col latte in
polvere.»
«Non preoccuparti.»
«Hermes-chan si preoccupa. Vede che la sua mamma
è
stanca.»
Minako immaginò quelle parole in bocca al loro
bambino e suo
malgrado sorrise.
Shun allungò le braccia, chiedendole di
passarglielo.
La invase un senso di inquietudine così sciocco e
strano che
seppe di doverlo combattere subito, perché non mettesse
radici in lei. Diede suo figlio al padre. Guardandoli insieme si
sentì subito più calma, priva di forze, come se
avesse appena smesso di sostenere da sola un'enorme peso.
Hermes non lo era, ma... «Non mi sentivo
così.»
«Hm?»
«Durante la gravidanza.» L'aveva vissuta
come se
fosse una divertente gita, una fase della sua esistenza completamente
priva di preoccupazioni.
Shun stava massaggiando la schiena al loro bambino, un po'
più forte di lei, con maestria. Nelle sue braccia Hermes le
sembrò al sicuro, quasi più che con lei. Shun
sapeva come crescere un neonato.
«Così come?» le chiese lui.
«In ansia.» Finché non era nato
suo figlio aveva creduto di saper fare la
mamma, solo perché da
qualche mese faceva da madre a una bambina già grande, che
camminava, mangiava da sola e si sceglieva persino i vestitini da
indossare per l'asilo.
«Be', io non ero incinta.»
La frase di Shun la fece ridere.
«Ma sono stato in ansia anche io, qualche settimana
dopo aver
preso Arimi. È successo quando mi sono reso conto che
sarebbe rimasta per sempre
con me.»
Che cosa lo aveva fatto preoccupare?
«È solo...» Shun
spostò
Hermes, per guardarlo in faccia. «È la sensazione
di avere potere assoluto su un'altra persona. Così che se
sbagli, la colpa sarà solo tua e sai che non potresti mai
perdonarti un errore.»
Shun appoggiò il loro bambino sulle ginocchia.
«Ma lui ha due persone, no? Non sbaglieremo in due,
Minako.» Le prese la mano. «Comunque, tu te la
caveresti da sola e io me la sono cavata da solo. Fai questi pensieri
cupi solo perché sei stanca.»
Non abbastanza da sentire che era il momento per lei di
dormire.
«Prova a mettere la testa sul materasso.
Crollerai.»
«È mattina. Ormai posso restare
sveglia.»
«Da che mondo è mondo, se uno
può,
dorme almeno fino alle otto.»
Già. Quella mattina erano appena le sei e un quarto.
Guardò di nuovo Hermes, che Shun aveva riappoggiato
contro
una spalla.
Lui si avvicinò, fino a permetterle di posare la
guancia
contro la nuca del loro bambino.
«Ti sembra che te lo stia rubando?»
sorrise Shun.
Minako strofinò il viso contro la massa di sottili
capelli
biondi. «No. Mi sembra di rubare me stessa a lui.»
«È così
pretenzioso?» Shun
cercò gli occhi di Hermes. «Sei così
pretenzioso? No, non è vero? Mamma è anche di
papà, e di Arimi-chan...»
Oh. È vero, aveva promesso alla piccola che
l'avrebbe portata lei a
scuola quel
giorno. Stavano cercando di farle capire che la sua vita non era
cambiata, che lei era ancora importante.
Si sentiva uno straccio. E non sapeva se voleva uscire di casa
senza
Hermes. Naturalmente poteva portarlo con sé, ma se lo faceva
doveva prepararlo, magari fargli un bagnetto, vestirlo bene...
Emise un lamento e nascose la faccia contro la spalla libera
di Shun.
Lui le baciò la testa. «Dormi. Dopo
sarà tutto come nuovo.»
«Veramente?» Non ci credeva.
«Veramente. Tutte le volte che mi hai dato fiducia,
non ho
sempre avuto ragione?»
... in effetti...
«Quindi, anche questa volta, lascia fare a me. Ho
poteri
sovrannaturali, non ricordi?»
Sì, lo avevano scoperto.
Lui scosse la testa. «Non quelli. Sono un
super-papà. Se ti addormenti per ventiquattro ore di fila al
tuo risveglio trovi lui splendente e sfamato e Arimi che ti fa un
balletto nuovo di felicità. Poi sarò
distrutto e te li mollerò entrambi, ma nel
frattempo...»
Minako rise e tentò un passo verso la porta.
Shun diede un bacio alla guancia di Hermes. «Qui va
tutto
bene. Vedi? Si sta addormentando.»
Li smentì l'emissione di un suono importante dal
corpo del
loro piccolo.
Il ruttino era andato.
«Ora
si addormenta» sorrise Shun. «Notte.»
Lei si allontanò di un paio di metri. «Se
piange
troppo svegliami.»
«Va bene.»
«Porto io Arimi all'asilo.»
«Lo so. Ma ora mettiti a letto e sogna cuscini di
piuma d'oca
e morbidi materassi.»
Il sorriso che le suscitò lui fu come una carezza
verso
il
sonno. Camminò, allontanandosi.
Si fermò fuori dalla stanza.
Shun prese una manina di Hermes e la agitò piano.
Ciao ciao.
Minako si decise ad andare.
Perché non era rimasta capace di giocare come Shun?
Perché non era più serena e meno stanca?
Sbadigliò, prendendo così tanta aria che
dovette
piegarsi in due per immagazzinarne abbastanza.
Tornata nella loro camera, si abbandonò sul letto a
due
piazze scompostamente, in orizzontale.
Del cuscino non le importò.
Di bello in quel letto c'era... l'odore, la sicurezza.
La calma.
Hermes sta
bene, Arimi
anche.
Dormi dormi,
come se
fossi tu una bambina.
Non lo era, ma... non era l'unica mamma in quella casa.
Sorrise, pensando a come riferire la battuta a Shun e...
si addormentò.
FINE
NdA: questa cosa ho dovuto scriverla perché dovevo
scriverla
:D Come ho sentito dire a una mia lettrice su Facebook, ero piena di
'feels' materni che dovevo mettere su file e quindi eccovi questa
storia.
Ho deciso di farne una raccolta perché potrei
tornare di
umore simile in futuro e magari scrivo qualcosa sull'argomento anche
per qualcun altro. Quindi, ecco la raccolta sfogo per questi casi :D
Ehm, spero che vi sia piaciuta.
Elle
P.S. Ho aperto un gruppo Facebook dedicato alle mie storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...