Pioveva senza sosta
ormai
da più di due ore e le previsioni meteorologiche annunciavano che
sarebbe stato così anche per tutto il giorno seguente. Per le strade
si vedevano genitori tornare a casa con i propri figli, riparati da
impermeabili colorati.
Jack Williams osservava
dalla finestra del suo appartamento al sesto piano gli ombrelli della
gente, cercando di trarre conclusioni sullo stato d'animo di chi li
portava. Ce n'erano alcuni grandi ed eleganti, altri piccoli e
variopinti, qualcuno era inclinato in avanti come protezione dal
vento, altri dritti in alto. Riusciva a leggervi solo felicità.
Distolse lo sguardo
triste dalla pioggia e lo rivolse alla sua destra. Lì giaceva,
appeso al muro, il quadro che rimpiangeva di aver comprato, il quadro
che gli aveva rovinato la vita.
Tutto ebbe inizio la
sera
del 15 luglio, quando Jack vide per strada un negozio di
antiquariato. Si concesse qualche minuto per soffermarsi davanti alla
vetrina. Adorava gli oggetti dei tempi passati, soprattutto quelli
riguardanti le arti della scrittura e della pittura. Gli piaceva
toccare pagine ingiallite dal tempo e sentire il profumo di quadri
antichi.
Quando si avvicinò, non
resistette alla tentazione di entrare. Varcò la soglia e capì fin
da subito che sarebbe stato il suo giorno fortunato. Non c'era
nessuno a parte lui. Si guardò intorno, incuriosito da quel luogo
che non aveva mai visto. Alti scaffali pieni di libri e documenti
sorgevano lungo le pareti, mensole colme di oggettini introvabili
erano sparse per tutto il negozio.
Si diresse verso il
reparto pittura, certo di trovarvi un nuovo pezzo per la sua
collezione. Andò avanti sfiorando con i polpastrelli le superfici
ruvide dei quadri, ma non si fermò. Procedeva sicuro in direzione di
un'opera nascosta da un telo bianco. Non riusciva a vederla, però
sapeva che era lì per lui, che lo stava aspettando.
Levò il telo e
contemporaneamente chiuse gli occhi. Assaporò l'aria presso
l'oggetto e lo passò con il palmo di una mano. Sapeva che non doveva
fidarsi del senso della vista, almeno per il momento; preferiva prima
avvalersi dell'olfatto e del tatto. Aveva imparato che gli occhi si
abituano presto a ciò che hanno davanti. Al contrario la pelle e il
naso percepiscono la stessa cosa in mille modi diversi.
Quando finalmente lo
vide, capì che i suoi occhi non vi si sarebbero mai abituati.
Lo sollevò con entrambe
le mani e lo portò alla cassa per pagarlo. Da quell'attimo diventò
suo.
Uscì
dal negozio senza ricordarsi degli affari che doveva portare a
termine e dirigendosi verso casa.
Stava
camminando con il quadro sotto braccio, quando si accorse di non
sapere che cosa rappresentasse. Era un paesaggio? Una natura morta?
Non lo sapeva. Non vi aveva fatto caso alla prima occhiata; comunque
voleva aspettare che fosse appeso alla parete per darvene una
seconda.
Giunto
nel suo appartamento, lo mise al suo posto e lo guardò veramente,
come non aveva ancora fatto. Era un ritratto. Rappresentava una donna
seduta su uno sgabello rosso di legno. Aveva capelli biondi che le
arrivavano all'altezza delle spalle e occhi verdi che lo fissavano.
Lo
guardò per qualche minuto e quando fu sul punto di andarsene, ebbe
l'impressione che mancasse qualcosa, che non fosse completo. Si
sedette sul divano ad aspettare l'arrivo di sua moglie. Intanto
pensava a quale potesse essere il dettaglio mancante, quel piccolo
particolare che non riusciva a identificare.
Alle
sei tornò a casa Jane. Solitamente Jack si faceva trovare
all'ingresso per accoglierla, ma adesso non c'era. Era seduto in
sala, apparentemente disinteressato al suo arrivo. Gli si avvicinò
preoccupata.
“Tutto
bene, caro?”, gli chiese.
Sembrò
non sentire la domanda. “Noti niente di strano? Nel quadro,
intendo”, disse.
Lei
lo guardò per qualche istante, senza porvi particolare attenzione.
“No, non mi sembra... L'hai comprato oggi?”
“Eppure
qualcosa c'è... ma non riesco a capire che cosa”, continuò, senza
degnarla di uno sguardo.
Jane
si recò in cucina per preparare la cena, certa che non sarebbe mai
riuscita a distoglierlo da quel dipinto. Aveva uno strano effetto su
di lui. Era come se lo prelevasse dalla realtà, trascinandolo in un
mondo immaginario, dove esistevano solo loro due, Jack e il quadro.
Lui
intanto rifletteva, con lo sguardo fisso in quello della donna sullo
sgabello. Quegli occhi... C'era una nota familiare in loro che prima
non aveva visto. Voleva capire di cosa si trattasse e sapeva che
presto ce l'avrebbe fatta. Sarebbe bastata un po' di concentrazione
in più.
Mangiarono
in silenzio un piatto di pasta, Jack assorto nei propri pensieri e
Jane a scrutarlo, cercando di comprendere quali fossero. Quando
ebbero finito, lei andò a dormire, sfinita per la giornata di
lavoro, mentre lui preferì rimanere ad osservare il suo nuovo
acquisto.
Appena
vi fu di fronte, rimase come paralizzato per l'aver riconosciuto a
chi appartenesse quel volto: era sua moglie.
Lei
continuava a fissarlo immobile, seduta su quello sgabello rosso, ma
qualcosa era cambiato, infatti adesso non provava più la sensazione
di poco prima. Ora il quadro era completo. Eppure la scena non
era diversa, il soggetto era sempre lo stesso, ogni minimo
particolare era rimasto invariato. Sentiva che solo lui avrebbe
potuto accorgersene.
Andò
a dormire. Si distese sul letto, di fianco a Jane, che si era già
addormentata. Si rimboccò le coperte e chiuse gli occhi.
L'indomani
mattina venne svegliato dalla fame quando erano ormai passate le
undici. Jane doveva essere già uscita per andare a lavorare.
Aveva
trascorso una notte senza sogni, o almeno non ricordava di averne
fatti. Si alzò a sedere e avvertì un leggero mal di testa. Uscì
dalla camera e si diresse verso la cucina, ma quando vi fu davanti,
decise che avrebbe fatto colazione al bar. Voleva qualcosa di un po'
più sfizioso dei soliti cereali.
Entrò
nel locale e sentì immediatamente odore di brioche. Si avvicinò al
bancone e ne ordinò una con la crema, che accompagnò con il caffè.
Pagò il conto e tornò verso casa. Non si era ancora sentito di
guardare il quadro, per paura che quella strana sensazione tornasse,
ma quando giunse il momento, non fu così.
Rimase
smarrito nella sua splendida forma, in quella perfezione quasi
sovrannaturale, e vide che questa volta qualcosa era davvero
cambiato. C'era una piccola firma in basso a destra scritta con un
pennarello nero. Si avvicinò per leggerla, ma non ci riuscì. Era di
dimensioni microscopiche e non era sicuro di avere una lente a
portata di mano. Comunque non poteva aspettare, perché voleva essere
a conoscenza del nome del genio che aveva portato a termine
quell'opera.
Frugò
nei cassetti in camera, nei mobili in sala e persino negli sportelli
in bagno, ma non la trovò. Scese velocemente in cantina e vide uno
scatolone di oggetti inutilizzati. Era lì. Una lente in plastica
nera trovata per caso ad una bancarella anni prima.
Tornò
di corsa nel suo appartamento e si fermò davanti al dipinto. Non
pensò neanche ad avvicinarglisi, perché la firma era scomparsa.
Svanita nel nulla. Possibile che l'avesse immaginata? No, di sicuro.
Lasciò
cadere la lente. La sensazione era tornata a infastidirlo. Lo
tormentava e non lo lasciava in pace. Il quadro era di nuovo
incompleto.
Restò
tutto il pomeriggio a fissarlo, formulando ipotesi contorte e ragioni
impossibili. Doveva capire. Dimenticò anche il pranzo. Non poteva
distrarsi.
Arrivò
a sera con goccioline di sudore sulla fronte e chiazze scure sotto le
ascelle. Il mal di testa era peggiorato, ma non voleva saperne di
arrendersi. Non si accorse del tempo che passava, né del ritardo di
sua moglie. Quando fu notte fonda seppe per certo che non ne sarebbe
mai venuto a capo. Ora il ritratto sembrava rappresentare una donna
qualsiasi, non più la sua Jane, ma lui non ci fece caso.
Andò
a letto senza riuscire ad addormentarsi. La notte trascorse
lentamente. Ascoltava il ticchettare dell'orologio a muro e guardava
fuori dalla finestra in attesa del primo raggio di sole. Quando
questo arrivò, Jack lo osservò incredulo con i suoi occhi stanchi e
rossi, e solamente allora, tastando il materasso vuoto al suo fianco,
capì di essere solo.
Si
alzò di scatto e andò verso il bagno. Aveva bisogno di
rinfrescarsi. Girò la manopola della doccia e non ne uscì niente.
Riprovò senza successo. A quel punto decise di fare una chiamata
all'idraulico, che lui e Jane rimandavano da settimane.
Nell'attesa
del suo arrivo, Jack si sedette in sala fradicio di sudore e rivolse
lo sguardo a quel quadro. Questa volta non ebbe la forza di
riflettere, perciò si limitò a sospirare. Aspettò tre quarti d'ora
prima che suonasse il citofono. Impiegò qualche secondo perché le
sue orecchie lo percepissero. Aveva la mente stanca, distante dal
corpo anni luce, e i pensieri vi stavano alla larga.
Andò
ad aprire la porta con fatica e si trovò davanti un uomo alto e
robusto con una valigetta in mano.
“Buongiorno,
signor... ?”, disse.
“Williams”,
rispose dopo un attimo di esitazione.
L'uomo
lo guardò insicuro per qualche istante. “Ma si sente bene?”,
chiese. “Ha l'aria di non aver dormito”
“Ci
ha azzeccato. Ora entri che le illustro il problema”, concluse con
un filo di voce.
In
venti minuti tutto fu sistemato e Jack accompagnò il suo salvatore
in sala per un caffè.
Non
appena furono seduti, l'uomo gli chiese del quadro.
“Oh,
quello... L'ho acquistato qui sotto per poco”, rispose.
“Interessante,
ha un che di inquietante, però...”, continuò.
“Lei
dice?”, disse. E si avviò per prendere le tazzine, non sicuro di
volere conoscere la risposta. Fu quando giunse davanti alla porta
della cucina che esitò, fermandosi.
“Mi
scusi, ma ho finito il caffè”, esclamò.
“Niente,
sarà per la prossima volta!”, disse. Raccolse la giacca dalla
sedia e fu accompagnato all'uscita.
Quando
Jack fu solo, cadde per terra sfinito, con lo sguardo rivolto verso
la donna del dipinto, che sembrava avere assunto dei lineamenti
quasi... maschili. Si addormentò.
Sognò
di vagare la notte per vicoli bui e strade deserte, fino a giungere
in un cimitero sconosciuto fuori dalla città. Si avventurava in quel
labirinto di tombe cercando qualcosa di imprecisato. Sopra di lui si
estendeva un infinito manto di stelle. Al suo centro si vedeva la
luna, il cui bagliore veniva riflesso dal marmo freddo e grigio delle
lapidi. Jack procedeva con calma, senza fretta, in cerca di un
indizio, di quel particolare mancante che gli avrebbe permesso di
comprendere.
Arrivò
ad uno spiazzo vuoto in cui era scavata un'ampia fossa circolare.
Sorgeva nel cuore del labirinto, come la luna in mezzo alle stelle.
Era quello che stava aspettando. Rallentò fino ad arrivare sull'orlo
e guardò all'interno. La sua mente si aprì all'improvviso,
permettendogli di vedere, di capire la verità.
Si
svegliò a notte inoltrata; aveva dormito più di dodici ore. Il
sonno era passato, lasciando posto alla sua capacità di
ragionamento. Dov'era Jane? Quand'era stata l'ultima volta in cui
l'aveva vista? Ovviamente ora era in grado di rispondere a tutte e
due le domande. Adesso sapeva. Aveva bisogno soltanto di una
prova, ma l'avrebbe trovata. Sapeva dove trovarla.
Solo
alzandosi, si accorse di non essere sdraiato a terra in ingresso, ma
nel suo letto morbido. E sapeva come ci era arrivato. Si
diresse alla cucina. Non si fermò davanti alla porta chiusa di
quella stanza, come aveva fatto fino a quel momento, ma la aprì di
scatto ed entrò. Ed eccola lì. La prova.
I
cadaveri come apparivano nella fossa erano ora lì davanti a lui,
distesi sul pavimento. Il sangue sui loro corpi era tale e quale a
quello nel sogno, così come le forbici con cui aveva compiuto il
massacro, aperte di fianco al volto della moglie. Si avvicinò prima
all'uomo alto e robusto, poi a Jane. Iniziò a piangere.
“Scusatemi!
Non volevo! Avrei dovuto capire subito...”
Si
asciugò le lacrime e si fece forza per alzarsi. Ritornò alla porta
e si resse in piedi a fatica. Arrivò in sala gridando. Si accostò
al quadro e lo vide. La donna dai capelli biondi si era trasformata
nell'uomo alto e robusto che aveva aggiustato la sua doccia quella
mattina e che ora si trovava con sua moglie. I suoi occhi da verdi si
erano fatti marroni. L'unico oggetto rimasto invariato nel dipinto
era quello sgabello rosso di legno, lo sgabello della morte.
Ora
stava affacciato alla finestra a osservare gli ombrelli della gente.
Pensava a quelle famiglie felici sotto la pioggia. Aveva perduto
tutto quello che possedeva e il responsabile era quel quadro, quello
che giaceva appeso al muro alla sua destra. Sapeva che chiunque si
fosse soffermato a guardarlo avrebbe subito la stessa sorte, ma lui
non avrebbe potuto fare niente, perché era suo, e non sarebbe
mai riuscito a separarsene.
Si
voltò e notò la minuscola firma nera, riapparsa sul dipinto, nello
stesso punto di prima, che aspettava di essere letta. Strinse la
lente nella mano e avanzò con calma, senza fretta, perché sapeva
già cosa vi sarebbe stato scritto:
Jack
Williams
FINE
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