Aveva perso il conto di quanti giorni, settimane o mesi fossero passati da quando era stata imprigionata in quella cella angusta.
La catena che la costringeva al muro era corta, e per questo non era mai riuscita ad avvicinarsi troppo alla porta che la separava dal resto del mondo. Aveva cercato più volte di liberarsi, ma la magia e il destino facevano di tutto per ostacolarla.
Gloria si buttò a peso morto sul materasso consunto che le faceva da letto e sospirò con stanchezza. Chiuse gli occhi.
L’odore di salsedine e il calore del sole sulla pelle la costrinsero a riaprire gli occhi.
Si guardò attorno sbalordita: le onde del mare azzurrissimo producevano una schiuma chiara che si infrangeva su una spiaggia dorata.
Si stropicciò gli occhi per essere sicura di non immaginarsi tutto. Quando fu sicura che fosse reale, appoggiò una mano sulla sabbia e ne prese una manciata, lasciandola poi colare tra le dita, spostata dalla brezza leggera.
Gloria sorrise: era passata un’eternità da quando aveva visto il mare. Inspirò l’aria pulita, assaporando i profumi che si sentivano tutti intorno.
Si alzò in piedi e andò verso il bagnasciuga, meravigliandosi di riuscire a camminare così liberamente.
A un tratto sentì una risata cristallina, ci mise un po’ a rendersi conto di essere lei stessa a produrla.
Era da tempo che non si sentiva così libera, felice e spensierata.
«Mon cher» una voce metallica ruppe l’idillio e fece ripiombare Gloria nello sconforto. «È ora di tornare».
La ragazza si voltò e vide una vecchia bambola seduta dove poco prima si trovava lei stessa.
Lentamente la bambola si alzò in piedi, aprì le braccia e decollò verticalmente, come fosse un piccolo elicottero.
Il mare, la spiaggia e il sole svanirono come inghiottiti da una pesante tenda grigia e subito la piccola e angusta cella ricomparve.
E allora Gloria realizzò: Monique aveva creato quella realtà da sogno solo per farle capire che, nonostante tutto, non sarebbe mai riuscita a scappare da lì.