Avviso: Il
presente scritto ha per protagonisti persone vere e personaggi di pura
fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è frutto della
fantasia dell'autrice e non vi è alcun intento di
verità o di verosimiglianza. Nessun diritto legalmente
tutelato s'intende leso e ogni diritto appartiene ai rispettivi
titolari.
Il titolo della storia è un brevissimo verso del ritornello
di "Loud Like Love" dei Placebo.
For
all of our youth
La
prima volta che si erano incontrati, lui aveva vent’anni e
Brian venticinque.
…più
o meno.
Non
ricordava a quale festival o concerto fossero. Non ricordava
praticamente
niente del “contorno”, perché per
prendere abbastanza coraggio da salire sul
palco, esibirsi e poi scendere giù e racimolarne ancora,
abbastanza da
infilarsi nel backstage con lo scopo preciso di
incontrarlo…beh, per tutte
queste cose, aveva bevuto un po’.
Ok.
Aveva bevuto un bel po’!
Lo
aveva incrociato all’improvviso nonostante lo stesse
cercando. Non era
preparato. Aveva perfino sussultato, un groppo in gola tutto in un
colpo e poi
il fiato strozzato da qualche parte tra i polmoni e il naso, via
giù come se
dovesse ingoiare una pillola amara e…
-Brian
Molko? Ciao, io sono Matt Bellamy. Suono con i Muse! Ci hai sentiti
prima?
Ansia.
Brian
lo aveva guardato. Non era solo quella volta. Con lui c’era
un certo
Nic…Nicolay…Nicolò…
Insomma, un tizio di un altro gruppo che a Matt non diceva
proprio niente. Entrambi si erano voltati e Matthew ricordava ancora - e questo molto bene – lo
sguardo di
sincera derisione che il tipo con Brian gli aveva rivolto. Tutti e due
lo
avevano squadrato da capo a piedi, studiandolo con lo stesso interesse
scientifico che avrebbero potuto mostrare per un’insolito
calderone di elementi
spuri. Poi il tizio di cui non ricordava il nome aveva passato un
braccio
attorno alle spalle di Brian, stringendolo a sé in un gesto
così squisitamente
possessivo e intimo che Matt si era sentito avvampare per
l’imbarazzo. Specie
perché Brian non sembrava in alcun modo disturbato dalla
cosa e, anzi,
accondiscendeva a quel gesto con un atteggiamento docile che caricava
di
sottintesi tutta la scena.
Quella
volta, Matthew si era sentito tanto fuori luogo quanto non gli capitava
da un
pezzo. Da quando a scuola si era dichiarato a Pamela Arden, per la
precisione.
E allora aveva tredici anni e mezzo, come amava ricordare Dominic
quando
riportava alla luce quell’episodio scabroso della vita
dell’amico. E lei…lei ne
aveva cinque di più. Proprio come Brian.
-No.-
aveva risposto lento e annoiato quest’ultimo. – Non
ho idea di chi accidenti
siano i Muse, ragazzino.
La
seconda volta che si erano visti, Brian sapeva esattamente chi fossero
i Muse.
Matthew
non ricordava affatto il nome della rivista che aveva pubblicato
l’intervista
in cui l’altro aveva sputato veleno sul loro disco,
dichiarando al mondo intero
che avrebbe volentieri bruciato ogni singola copia di
quell’album. Era stato
uno shock scoprire che sarebbe stato comunque lui, Brian,
a premiarli agli EMA come “best alternative 2004”.
Uno shock
perché Matt sapeva benissimo che i Placebo erano in gara per
il medesimo premio
e sapeva altrettanto bene che “concedere” a Brian
Molko un contentino, dandogli
la possibilità di consegnare un premio che lui stesso
avrebbe voluto, suonava
come una beffa troppo ben articolata perché
l’altro ci si prestasse.
E
invece…
Dominic
si era ritrovato a reggere microfono e premio senza neppure rendersene
conto.
Il tempo di gettare un’occhiata trasversale al proprio
migliore amico, cercando
inutilmente di capire cosa esattamente ci
si aspettasse che lui facesse a quel punto e Matt era
già fuori portata,
aggrappato alle spalle di uno sconvolto e ringhiante Brian Molko.
Il
sorriso raggiante e cattivo che Matthew gli aveva regalato solo un
istante
prima era autentico. Un ricordo sincero di quegli anni in cui aveva
dovuto
tenersi per sé la vergogna del loro primo incontro. Adesso,
aggrappato a
quell’orrendo cappottino di pelo che l’altro aveva
indossato, si concesse la
sana rivincita di una risatina sottile contro il suo orecchio.
-Non
si trattano male i fan.- gli sussurrò velenosamente.-
Potrebbero diventare più
famosi di te, un giorno.
Non
gli aveva permesso di ribattere. Si era voltato verso il pubblico per
ringraziare, lasciando Brian a fremere rabbioso.
La
terza volta si erano evitati di comune accordo.
Entrambi
i gruppi avrebbero dovuto suonare a Parigi per il Live 8 ed entrambi i
manager
avevano avuto l’accortezza di contattare
l’organizzazione e specificare che in
nessun caso ci sarebbe dovuta essere
coincidenza di orari. Possibilmente, neppure di date.
Parzialmente
erano riusciti nell’intento.
Matthew
non l’avrebbe mai ammesso, è chiaro, ma aveva
cercato comunque di vederlo. Gli
era riuscito in parte, perché Brian difficilmente si
allontanava dai propri
amici e di amici, in quella manifestazione, ne aveva anche troppi e
lui, Matt,
doveva stare attento a non farsi beccare come la ragazzina con una
cotta
terribile che si è infilata di nascosto nel backstage.
Era
riuscito ad intravederlo da lontano. Brian era con la compagna, Helena
Berg,
quella che aveva conosciuto perché faceva la fotografa della
band e che aveva
pensato bene di farsi mettere incinta. Lei aveva un pancione enorme,
lui
sembrava sereno.
Matt
si era reso conto che quando sorrideva a quel modo, spontaneamente, o
quando
scherzava così, come un bambino troppo cresciuto,
c’era in lui qualcosa che lo
rendeva perfino più bello della creatura irreale e ambigua a
cui si era
abituato durante l’adolescenza.
Aveva
stupidamente sperato che anche Brian, anche solo per gelosia, si
fermasse allo
stesso modo a spiarlo. Magari mentre si esibiva. Matthew aveva la
convinzione
infantile di essere… “più
bello” mentre suonava. Sarà stato il fatto che
nessuno
sembrava notare tutti i suoi difetti mentre suonava.
***
Mentre
rimetteva a posto i pezzi di un puzzle complicato, fatto di mancati
incontri e
occasioni ugualmente perdute, Matthew pensava che era stata
un’autentica
fortuna riuscire a trovarsi, alla fine.
Un
po’ malandati, per dire la verità, e nemmeno
troppo a posto con la testa, il
cuore e le gambe. Un’accozzaglia di errori riparati
all’ultimo, di casualità
incolonnate nel punto giusto, al momento giusto e di cose fatte per poi
pentirsi. Si chiedeva spesso se la vita di chiunque a quel mondo
– anche chi
non era famoso come loro – fosse fatta di simili momenti e
delle loro
acciaccate conclusioni.
Erano
domande oziose. Non avevano davvero uno scopo, una finalità,
se non quella di
prendere tempo adesso. Mentre osservava la figura di Brian ritto
davanti a sé.
Fumava. Nel farlo si concedeva il lusso di tenere lo sguardo e il corpo
lontani
da lui. Pochi passi, è vero, ma sufficienti a dargli modo di
sentirsi solo con
se stesso, con i propri pensieri e con un pentimento in più
da aggiungere alla
lista: avrebbe voluto rimangiarsi quanto gli aveva appena detto.
La
figura di Brian, a voler essere sinceri, si era fatta più
pesante; aveva perso
tanto della bellezza androgina e conturbante che aveva avuto da
giovane; i suoi
occhi, a volte, sembravano appannati da un velo di malinconia che,
probabilmente, era solo il riflesso del tempo, lo stesso tempo che
aveva
tracciato impercettibili segni lungo la linea delle palpebre o sulla
fronte e
attorno alla bocca. La sensualità sfrontata di una volta era
quasi mesta,
adesso, languida in modo elegante ma anche stanco. Brian appariva
spesso
stanco, provato dalla consapevolezza di aver davvero vissuto fino in
fondo e
dalla necessità di trovare un senso nuovo per continuare a
sopravvivere ai
ricordi.
Matt
ormai lo conosceva abbastanza bene da essere consapevole che
l’autocommiserazione era la tomba della sua anima.
Ciò che più atterriva Brian
a questo mondo era il rischio di restare impigliato irrimediabilmente
in sé
stesso per giungere alla conclusione che non ci fosse spazio per
un’evoluzione
ulteriore. Nel momento in cui l’equilibrio era raggiunto,
quello stesso
equilibrio era sgretolato dalla coscienza della fugacità di
una stabilità
emotiva che era solo apparente. Ciò che aveva sempre corroso
l’anima di Brian
Molko dall’interno – e
che Matt
sospettava fosse Brian Molko stesso – non poteva
essere messo a tacere da
niente e da nessuno.
Probabilmente,
glielo aveva detto per questo. Voleva dargli l’ennesima
spinta al cambiamento,
voleva solo scuoterlo! Voleva strapparlo ad un’apatia formale
che stava
costando all’altro la capacità stessa di esistere.
-Quindi
è vero.- affermò lenta la voce di Brian dopo un
tempo che a Matthew parve
infinito. I suoi occhi ruotarono dalla strada a lui, la sigaretta tra
le dita
che si consumava lenta e inutile e la mancanza di qualsiasi espressione
in uno
sguardo gelido e distaccato.- La sposerai.
Matt
rifletté su quell’affermazione.
Certo
che l’avrebbe sposata: era la sua compagna ufficiale, la
madre di suo figlio e
lui era cambiato radicalmente per lei, aveva smesso di essere un
ragazzino per
lei. Gli era costato ogni grammo del proprio coraggio cambiare tanto.
-Dammi
un motivo per non farlo.- si sentì rispondere.
Lo
sguardo di Brian si allargò appena. Non un vero cenno di
stupore, non così
evidente almeno.
-…non
dire stronzate, Bellamy.- sibilò rabbioso, scostando il viso
con una rapidità
fulminea e nervosa.
Matthew
sentì il cuore fare un buffo saltello per poi scivolare,
ignorato, in fondo
allo stomaco. Non gli venne la nausea, no. Piuttosto, si
sentì arrabbiato.
-Brian!-
scattò in un ringhio basso. Lui lo guardò.- Dico
sul serio.- ribadì.- Ti prego.
Dammi una ragione per non farlo.
Avvertì
lui stesso la quieta disperazione del proprio tono.
Ebbe
la sensazione fisica che il mondo si stesse in qualche modo
accartocciando, ma
forse fu solo il gesto troppo repentino di Brian, quello slancio
improvviso e
inaspettato che colse entrambi ugualmente impreparati.
Matthew,
perché era certo che l’orgoglio
dell’altro gli avrebbe fatto girare le spalle e
attraversare il più in fretta possibile la strada, in
direzione dei taxi.
Brian,
perché era sicuro che il proprio orgoglio fosse una delle
poche certezze che
ancora gli restavano ma, a quanto sembrava, la vecchiaia aveva
rammollito anche
quello.
Le
loro bocche s’incontrarono a metà di un percorso
fatto di ripensamenti e dubbi,
di scene patetiche e di momenti in cui erano stati e si erano sentiti
ridicoli.
Matt afferrò le labbra di Brian tra i denti con lo scopo
preciso di fargli
male, lasciargli un segno tangibile del proprio passaggio che,
comunque,
sarebbe scomparso in una ruga. Sulla fronte o intorno agli occhi. Brian
si
aggrappò alla sua giacca con le dita e le unghie,
strattonando la stoffa come
se attraverso quella la sua rabbia potesse graffiargli la pelle.
Nel
buio della stanza il respiro pesante di entrambi aveva sapore di sesso
e di
amarezza allo stesso modo. Avevano serrato ogni finestra, spento ogni
fonte di
luce nel tentativo disperato di tenere fuori il mondo, il tempo che
scorreva
inesorabile. Avevano ignorato la fame e la sete, cibandosi e
dissetandosi solo
della sensazione dell’altro sulla pelle e intorno ai muscoli.
All’interno
di un bozzolo perfetto, la storia poteva tornare a riavvolgersi su se
stessa.
Brian poteva ricominciare ad avere la freschezza maliziosa di tanti
anni prima
e Matt quell’ingenuità sfrontata e maldestra che
l’altro aveva sempre odiato e
desiderato. Potevano ricominciare a rincorrersi come si erano rincorsi
per anni
prima di vedersi davvero, al di là e al di fuori di ogni
schema cucito addosso
– dagli altri o da soli, non importava. La libertà
insita in quell’unico gesto
di follia prima di un addio necessario aveva un potere catartico che a
poco e
niente a questo mondo restava.
Matthew
si chiese se Brian credeva davvero che potesse essere una scopata
– l’ultima ma non
necessariamente la migliore
– a sigillare il legame indissolubile, in grado di sciogliere
ogni altro legame
e da fargli credere che la sua unica scelta adulta potesse essere anche
il suo
sbaglio maggiore.
Si
rispose di no. Lo fece mentre cercava ancora e ancora le labbra
dell’altro
attraverso il buio, mentre avvertiva il tocco delicato dei capelli
lunghi e
neri sulla pelle nuda e pensava che erano seta, nonostante tutto.
Ma,
in fondo, aveva la stesa importanza che potevano aver avuto tutte le
occasioni
mancate o sprecate in qualsiasi altro modo. Nessuna importanza a
confronto con
quell’istante soltanto: valeva la pena comunque di esserci.
***
In chiesa il cielo
è terso come
le ali degli angeli appesi alle vetrate. E’ stata una
decisione di sua madre
fare la cerimonia in chiesa. Lei è cattolica, Kate no. Matt
ha smesso di
credere in Dio quando era abbastanza piccolo da voler credere ancora a
Babbo Natale.
Le cerimonie in chiesa, comunque, hanno quel fascino barocco e
retrò che fa
squittire di compiacimento Goldie e i suoi invitati, per cui Kate ha
detto alla
madre di Matt che sarebbe stata molto felice di rispettare certe
tradizioni.
Come quella di farsi
accompagnare
all’altare. Da un uomo che non è suo padre,
chiaramente, ma Kate e suo padre
non hanno mai avuto un buon rapporto e Matthew è davvero
poco stupito che sia
Kurt a dare il braccio a Kate.
Lei sorride. Sotto un
velo di
pizzo, con un abito di taffettà color avorio e una collana
di diamanti veri al
collo. Matt sorride anche lui, con Dominic accanto che ricambia il suo
sguardo
con serenità quando si volta a cercarne il sostegno.
E’ una bella
giornata, pensa
quietamente.
E’
l’ultimo pensiero prima che
Kate posi un passo sul primo dei tre scalini che la porteranno davanti
all’altare. Matthew allunga il braccio per sostituire quello
di Kurt e aiutarla
a salire gli altri due. Lei arrossisce quando la sua mano le sfiora il
polso e
il sorriso di Matt si allarga ancora, il cuore traboccante di
felicità
autentica. Il profilo di Kate contro il suo fianco è caldo e
rassicurante, lei
è bella e giovane ed è la compagna che ogni uomo
potrebbe desiderare.
Il prete li accoglie
entrambi con
un colpetto di tosse discreto che zittisce il brusio della chiesa.
Matt si piega verso
l’orecchio di
Kate, un ricciolo biondo, delicato e perfetto, scivola a coprire il
lobo
spoglio.
-Kate,- mormora con voce
bassa e
calda. Lo sguardo di lei si socchiude e piega docilmente verso di lui.
Matt
prende fiato con difficoltà improvvisa.- devo dirti una
cosa…
“For
all of our youth”
MEM 2014
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