L’ultima battaglia
Sogno
Rea dette
un calcio fortissimo al comodino, facendosi male all’alluce. Gridò dal dolore e
si tirò su di botto, senza rendersi conto di ciò che stava succedendo.
Si guardò
intorno e poi si stropicciò gli occhi, stanca.
“Ancora” sussurrò.
Era messa
con la testa al posto dei piedi, arrotolata come un salame nelle coperte e con un
braccio incastrato nel lenzuolo. Provò a girare su se stessa per liberarsi, con
il solo risultato di finire con la faccia a terra.
“Maledizione,
fa male!” si lamentò, toccandosi il naso.
Sospirò
sconsolata e si stese con le braccia aperte sul tappeto steso sul pavimento.
“Sono due
settimane che non riesco a dormire tranquilla, si può fare una vita peggiore di
così?” si chiese.
Faceva
sempre il solito sogno, ormai: era bloccata in una specie di limbo oscuro pieno
di piattaforme rotonde e galleggianti in aria, dove una voce le parlava. Ogni
volta che provava a fare qualsiasi cosa, però, apparivano dei piccoli esseri
neri simili a scarafaggi troppo cresciuti e la rincorrevano.
Ci provava
a scappare, ma i ponti che collegavano le piattaforme scomparivano e lei
rimaneva bloccata sempre nel solito punto. “Lotta, trova la forza” si sentiva
dire, ma non sapeva cosa diavolo significasse. Trova la forza? Sembrava la frase
di un film.
Si passò
una mano sulla fronte imperlata di sudore, sfinita. In pratica in quattordici
giorni aveva dormito in totale trenta ore. Non riusciva mai a prendere di nuovo
sonno dopo un incubo simile, quindi si metteva a fare altro. Tipo studiare.
Si era
fatta una cultura enorme in quelle settimane, questo c’era da dirlo, e le sue
prestazioni scolastiche erano decisamente migliorate, però il poco sonno la
portava ad essere ipertesa. Era sicura di aver visto qualcuno seguirla, quella
mattina, ma quando ne aveva parlato con sua sorella (con la quale faceva il
percorso per andare a scuola) lei aveva riso dicendole che era troppo
stressata. Probabile, aveva pensato, ma era comunque convinta che un signore
molto piccolo e vestito di nero le andasse dietro.
Si mise a
sedere e decise di tornare a dormire: magari non ce l’avrebbe fatta, ma almeno
si sarebbe riposata!
Il mattino
seguente, con due occhiaie pesanti e scure, Rea si avviò verso la scuola con
sua sorella minore.
“Ti sei
riposata stanotte?” le chiese.
“Macché,
sono caduta mille volte dal letto, alla fine mi sono messa a leggere” rispose
lei, sospirando sconsolata. Era talmente debole che anche portare la cartellina
marrone le faceva fatica.
Si guardò
intorno: le vacanze estive erano appena finite a Twilight Town e i ragazzi
correvano qua e là ancora carichi dal mese di riposo appena passato. Tranne
lei, ovviamente.
Salutò
debolmente con la mano il gruppo di Hayner, che le passò davanti sorridendo.
“Mi
raccomando, Rea, stamani ti vogliamo carica! Dobbiamo vincere al progetto di
scienze!” la salutò. Lei ricambiò il sorriso.
“Ho tutto
nei quaderni!” gli assicurò.
Alexis
indicò una ragazza un po’ più avanti.
“Io vado,
sorellona. Ci vediamo dopo!” le disse, correndo dall’amica.
Rea rimase
sola, stanca e con la testa pesante. Aveva bisogno di riposarsi, si sentiva
decisamente distrutta.
Fece un
paio di passi in avanti, ma le gambe non riuscivano a sorreggerla.
“Tutto
bene, cara?” le chiese la signora del chiosco dei gelati. Le sorrise.
“S-sì, non
si preoccupi, io… io…”
Cadde a
terra, in ginocchio, ma continuò a sorridere.
“Ora vado
a scuola” balbettò. L’attimo dopo era sdraiata a terra.
Quando
riaprì gli occhi si ritrovò di nuovo nel suo incubo.
Si tirò su
con un po’ di fatica.
“Ancora”
sussurrò. Si sentiva stranamente sveglia, per essere un sogno.
Si
spolverò i vestiti e si guardò intorno: stessa locazione di sempre.
Nell’oscurità più completa tre piattaforme rotonde collegate tra loro da ponti
di quello che sembrava vetro galleggiavano silenziosamente. Era tutto molto
tetro e, nonostante la tranquillità, inquieto.
Rea
rabbrividì pensando che quell’incubo la stava seriamente distruggendo e fece un
paio di passi in avanti, guardando attorno con circospezione. Ormai sapeva che
appena si muoveva quei piccoli scarafaggi neri le apparivano davanti e
l’attaccavano, quindi aspettava con una certa calma la loro comparsa.
Si rese
conto poco dopo che non sarebbero arrivati, quando una luce abbagliante
l’accecò per un secondo.
“Ma che…?”
si coprì gli occhi con le mani, infastidita da quel raggio luminoso, e dentro
di sé si domandò se, magari, questa fosse l’ultima volta che sognava. Gli
psicologi non dicevano che nel momento in cui cambia tutto allora significa che
tutto sta finendo?
La luce
scomparve poco dopo e Rea si domandò se poteva togliere le mani dal viso. Aveva
una lieve paura a scoprire cosa stava succedendo, ma non poteva certo rimanere
così per sempre.
Aprì gli
occhi e vide davanti a sé tre piccoli altari bianchi, ognuno con sopra un
oggetto luccicante: una spada; uno scudo; una sottospecie di scettro con la
cima a forma di testa di topo.
Stava per
decidere di non considerare quei cosi, quando una voce rimbombò intorno a lei.
“Con
uno sarai più forte; con uno sarai protetta; con uno potrai salvare i tuoi amici.
Scegli, portatrice di luce”
Si guardò
intorno per capire da dove provenisse la voce o a chi appartenesse, ma c’era
solo lei su quelle piattaforme.
Fece un
passo in avanti, decisa a prendere lo scudo: meglio proteggersi, anche se era
un sogno.
Arrivò davanti
al piccolo altare, pronta a prendere l’oggetto, ma poi sentì dietro di sé un
rumore sordo, come qualcosa che strisciava. Lo capì prima ancora di voltarsi
cos’era, ma la paura l’assalì comunque quando vide un essere nero alto quanto
le sue ginocchia apparire davanti ai suoi occhi dal nulla.
Arretrò
senza riuscire a dire nulla mentre quello si avvicinava, inciampando nei suoi
stessi piedi.
“Stammi
lontano!” gridò impaurita, ma lo scarafaggio sembrava non sentirla, continuava
ad avanzare verso di lei con una calma e una velocità inquietanti.
Rea quasi
si mise a piangere quando sentì le spalle sbattere contro qualcosa di duro e si
bloccò, impossibilitata a muoversi ancora.
“Svegliati,
Rea… svegliati!” si gridò, dandosi un pizzicotto sul braccio. Sentì dolore, ma
non si ritrovò nel suo letto come sempre.
Le venne
il terribile dubbio di essere già sveglia, e quel pensiero la paralizzò per
davvero: se era così, allora quel posto immerso nell’oscurità esisteva sul
serio. E lei ne era prigioniera!
Lo
scarafaggio le saltò addosso un secondo dopo, all’improvviso, e la ragazza
gridò, rotolando da una parte per scansarlo. Alzò lo sguardo e vide sopra di sé
quella sottospecie di scettro con la testa di topo, afferrandolo senza pensarci
quando l’essere nero strisciò di nuovo verso di lei.
“Stammi
lontano, ti ho detto!” gli urlò contro, picchiandogli lo scettro in testa.
Quello
scomparve con un *puff*, lasciandola sola.
Rea non
ebbe il tempo di accasciarsi al suolo, sfinita, che i tre altari iniziarono a
scomparire, risucchiati dal pavimento colorato della piattaforma.
“La
magia, protettrice degli amici e della famiglia, tu hai scelto questo potere.
Da ora in poi, la tua missione sarà quella di aiutare tutti quelli che
incontrerai” le disse la voce di prima.
“La magia?
Che stai dicendo? Chi sei?” gridò la ragazza, cercando di capire da dove
venisse la voce, senza risultato. Lo scettro, che aveva stretto fino a quel
momento, scomparve dalle sue mani in una nuvola.
Davanti a
lei comparve una porta bianca.
“Attraversala
per iniziare il tuo cammino”
Una luce
intensa la investì quando quella stessa porta si aprì da sola, facendole
perdere di nuovo i sensi.
Quando si
risvegliò si trovava a casa, nel suo letto.
Si
stropicciò gli occhi e si guardò intorno: ma allora era stato tutto un sogno?
Tutto quanto, anche lei che si svegliava e andava a scuola con Alexis?
Sospirò:
per fortuna ora era tutto passato.
Decise di
andare a prepararsi per quella nuova giornata, ma quando si alzò capì subito
che qualcosa non andava: la sua sveglia segnava le sette di mattina ma fuori
era tutto buio. Dense nubi nere si stagliavano su Twilight Town, oscurando la
luce arancione che illuminava sempre la cittadina.
“Ma che
succede?” chiese preoccupata.
Corse
fuori dalla sua camera per raggiungere la sua famiglia, ma in casa non c’era
nessuno.
“Mamma?
Papà? Alexis?” chiamò nel panico. Non ricevette nessuna risposta.
Si
precipitò ancora in pigiama fuori in strada, cercando qualsiasi persona:
Hayner, Pence, Olette, la signora del gelato, un insegnante…
Sin da
subito comprese che non avrebbe trovato nessuno nei dintorni, che Twilight Town
al momento era una città fantasma.
Rea si
immobilizzò in mezzo al Corso della Stazione, paralizzata dalla paura.
“Dove
siete tutti?” gridò impaurita.
Per tutta
risposta un attimo dopo fu circondata da quegli esserini neri ancora una volta,
ma adesso era sveglia.
“N-no…”
sussurrò quando iniziarono ad avvicinarsi a lei, creando una specie di cerchio
chiuso da cui non poteva scappare.
“NO!”
urlò, raggomitolandosi su sé stessa non appena gli scarafaggi si scagliarono su
di lei.
Non vide
cosa stava succedendo, aveva troppa paura per muoversi, ma non sentì alcun
dolore pervaderla. Gli scarafaggi non l’avevano attaccata.
“Uff,
sempre la stessa noia” commentò qualcuno sopra la sua testa.
Rea voleva
alzarsi, ma non ce la faceva, era immobilizzata.
“Ehi, tu,
tutto bene?” domandò la stessa persona che aveva parlato.
La
ragazza, ancora tremante, tolse le braccia da sopra la testa e, con gli occhi
pieni di lacrime, si permise di sbirciare chi c’era.
Partendo
dai piedi per arrivare alla testa, le si parò davanti un ragazzo alto almeno
uno e ottanta, vestito di nero con una specie di lungo impermeabile chiuso
addosso, la faccia sorridente e sfacciata e i capelli rossi, sparati sulla
testa.
“Sto
parlando con te” specificò sorridendo.
Lei annuì
leggermente, sentendosi sfinita.
“S-sì, io
sto bene…” rispose a mezza voce.
Il ragazzo
le si inginocchiò vicino e le tese una mano per aiutarla.
“Andiamocene,
ti hanno già trovata, dobbiamo fuggire prima possibile” le disse serio.
Rea
deglutì.
“Fu-fuggire?”
chiese.
“Sì”
confermò lui.
Lei si
alzò ignorando la mano che le stava porgendo e rimase in piedi appoggiandosi a
una parete.
“Non
voglio andarmene” rifiutò sicura.
“Sei in
pericolo, qui” la informò.
“M-ma la
mia famiglia e… e i miei amici…”
“Ascoltami,
ragazzina, non abbiamo molto tempo. Ti spiego tutto una volta al castello, ma
possiamo andare?” la bloccò il ragazzo, irritato. Rea scosse la testa.
“Non mi
muovo da qui!” esclamò.
Lui
sospirò e si scompigliò i capelli rossi, guardandola di sottecchi.
“Tutti
uguali, voi detentori, eh?” commentò. La ragazza non ebbe il tempo di chiedersi
cosa significasse quella frase: un attimo dopo il ragazzo le fu dietro e le
dette un colpo sulla nuca, facendole perdere i sensi.