Salve a tutti quelli che hanno aperto questa
storia.
Vorrei, prima di tutto, ringraziarvi.
Questa ff è venuta fuori in soli due giorni e sarà
composta di tre capitoli. E’ una What if…? dal Pairing AllenxKnda.
Il primo capitolo vi sembrerà noioso, perché è composto in gran parte dalle
riflessioni di Kanda. Ma c’è una ragione. Ho letto molte storie in cui Kanda
cade ai piedi di Allen così, all’improvviso. Avanti, tutti conosciamo Kanda:
com’è possibile che s’innamori all’improvviso di un ragazzino che odia? Perciò
ho elaborato una lunga analisi psicologica che permettesse gradualmente a Yu di
cambiare idea.
Detto questo
spero che vi piaccia! Dal prossimo capitolo arriva l’azione!
Buona lettura!
SaLvAmI
“Detesto il tuo modo di fare da ingenuo.
Ma odio ancora di più i tizi che non mantengono la parola!”
“Ah ah… In ogni caso…mi odi comunque, no?”
I. Tormenti
Un timido raggio di sole, unica
fonte di luce nella stanza scura, attraversò con lentezza la tenda della
finestra per poi posarsi sulla scrivania. Il legno lucido brillò un istante, e
subito dopo la luce sparì, coperta da una nuova tenda, più spessa.
Yu Kanda tornò a sedersi sul suo letto e presto si
coricò, con le gambe penzoloni al fondo del materasso. Il suo sguardo vagò per
un po’ di tempo attraverso la camera spartana, spoglia, infine si fissò sul
fascicolo posato sulla scrivania, unico oggetto che ne occupasse lo stretto
spazio.
Missione 67: Il fantasma di
Mater, quello era il titolo.
La sua mente s’annebbiò un
istante, mentre rivangava stancamente i ricordi più vivi ed intensi, poi tornò
lucida e fredda come sempre. Non sapeva perché avesse conservato con cura e in
bella vista quell’inutile fascicolo, ma
l’aveva fatto e basta. Dopo quella pericolosa avventura nel sud dell’Italia,
era tornato subito al Quartier Generale dell’Ordine: ultimamente i finder erano
molto impegnati, ma non covavano tracce realistiche per il mondo e gli
esorcisti non venivano quindi chiamati. Rientrato dopo cinque giorni nella sua
stanza, aveva fatto per gettare i fogli nel cestino, ma qualcosa l’aveva
trattenuto dal farlo. Una parte recondita della sua mente gli aveva sussurrato
che in realtà lui teneva a quelle parole d’inchiostro.
Ancora una volta, dopo giorni
che faceva la stessa cosa, si chiese perché. In fondo, cosa potevano valere per
lui pochi fogli di una missione ormai portata a termine con successo?
Niente, si rispose. Certo. Ma
le sue mani si rifiutavano di prendere quel fascicolo e buttarlo.
Stufo di tormentarsi
inutilmente, si alzò dal letto e si passò una mano sulla fronte sudata. Il
caldo soffocante dell’ambiente non voleva andarsene, ma a lui non dispiaceva.
Quel calore tiepido e dolce lo cullava e faceva scorrere i suoi pensieri come
acqua di sorgente.
Ormai lucido in mezzo alla
stanza, restò un attimo a decidere cosa fare. Era pomeriggio inoltrato, non
aveva nulla in programma se non dormire e tormentarsi con la solita domanda
rimasta senza risposta. Un’altra ora a chiedersi sempre la stessa cosa era
fuori discussione. Senza alternative, propese per una passeggiata nei giardini,
almeno avrebbe potuto scaldarsi sotto il sole.
Il suo bisogno di sentire la
pelle prendere fuoco, era qualcosa d’incomprensibile: più volte aveva chiesto a
se stesso perché desiderasse così intensamente scaldarsi… Era una cosa che gli
succedeva fin da quando era bambino, ma dopo essere diventato esorcista, il
bisogno si era fatto più forte. In realtà, si era dato molte risposte. E una di
queste era che forse il suo animo freddo, cinico e scorbutico aveva intaccato
anche il suo fisico, gelandolo; e così la sua mente, inconsapevolmente, tentava
di scaldarsi almeno un po’.
Ma questa risposta (quella che
più odiava, perché doveva ammettere a se stesso di non essere il migliore) era
saltata fuori solo due settimane prima, nella missione di Mater. Gli era
balenata alla mente il giorno prima di tornare all’Ordine, mentre parlava con
l’ultimo arrivato, Allen Walker.
Quel ragazzo era una sorpresa
continua e, anche se non voleva ammetterlo, Allen Walker stupiva anche lui.
Teneva un atteggiamento di un’ingenuità irritante e aveva ideali
irrealizzabili, ma in fondo forse proprio per questo suo modo di essere, era
unico.
Kanda svuotò la mente da quei
pensieri inutili, mentre varcava la soglia della stanza, dandosi mentalmente
dello stupido per quello che aveva pensato. Ma da un po’ di tempo la sua mente
gli rifilava supposizioni e riflessioni che lui non desiderava, senza chiedere
il suo consenso. Stupito, si accorse che anche quel piccolo mutamento risaliva
a dopo la sua ultima missione.
Cos’era stata, per lui, quella
missione, da influenzarlo così tanto?
Immerso in uno spazio personale
che lo avvolgeva come una bolla, si ritrovò a camminare spedito verso la mensa.
Quando se ne accorse, ormai era davanti all’entrata. Pensò che in giardino poteva
andare dopo e, con un sospiro, fece un passo oltre la porta.
La mensa era praticamente
vuota, a parte qualche finder che sgranocchiava uno spuntino pomeridiano agli
angoli della sala. Quando lo videro entrare distolsero lo sguardo in fretta e
non lo degnarono di un saluto. Non ci fece caso: era abituato alla diffidenza
dei finder nei suoi confronti; diffidenza e forse rancore giustificati,
rifletté. E subito dopo maledisse la sua mente che partoriva pensieri mai fatti
prima, pensieri che lo irritavano non poco.
Prese velocemente posto a metà
del tavolo centrale, dopo aver abbrancato solo un bicchiere d’acqua dalla
dispensa, aperta a tutti in assenza del cuoco. Cominciò a bere lentamente, con
gli occhi chiusi, assaporando ogni goccia che scendeva per la gola, in quel
pomeriggio torrido. Quando stava per mandar giù l’ultimo sorso e andarsene, la
sedia al suo fianco si mosse.
Aprì gli occhi con uno scatto,
non abituato a farsi sorprendere, e portò istintivamente una mano alla sua
Mugen.
- E-ehi! Aspetta un attimo! -
L’esclamazione del ragazzino
davanti a lui lo fece incupire. Spaventato dalla sua mano, che ancora non
lasciava l’arma, il più piccolo indietreggiò un poco, sedendosi.
- Che ci fai qui, mammoletta?
-
- Non chiamarmi…! -
Una vena cominciò a pulsare
pericolosamente sulla fronte del giapponese.
- Ti ho chiesto che ci fai qui!
-
Allen si ritrasse ancora, sul
bordo della sedia, trasportando il piatto stracolmo, che solo ora Kanda aveva
notato, lontano dalla furia del moro. Lo fissò sorridendo innocentemente,
cercando, in un modo buffo, di scusarsi.
- Sono solo… Sono solo venuto a
mangiare… - tentò.
Il giapponese alzò un
sopracciglio, chiedendosi cosa avesse in testa quel quindicenne coi capelli
bianchi.
- E chi ti ha detto di sederti qui?
– fece, con un dito minaccioso puntato sulla sedia dove era seduto Allen.
- Io… -
- Io niente, mammoletta!
– e con il braccio gli fece segno di andarsene e lasciare il posto libero.
Allen si morse un labbro, con
uno sguardo triste e dispiaciuto forse per averlo fatto arrabbiare; si alzò
senza dire una parola e si allontanò in fretta verso un altro tavolo.
Kanda restò a guardare la sua
schiena nera per qualche attimo, come per richiamarlo, poi sospirò. All’istante
spalancò gli occhi, chiedendosi perché l’ avesse fatto… Non era suo solito
trattare quel ragazzino così?
Fu un passo falso, perché la
sua mente maligna, sempre in agguato, approfittò del suo piccolo dubbio ed
attaccò.
Perché lo tratto così?
Improvvisamente si sentì vuoto
e vulnerabile come non lo era mai stato. Non trovava un risposta alla domanda
che gli porgeva la sua coscienza. Si sforzò, ma era come se la sua mente fosse
troppo stanca per ragionare.
Perché quella mammoletta gli
faceva quest’effetto, ora?
Appena pronunciata virtualmente
quella domanda, fu come se la sua mente si liberasse da un velo di nebbia che
era rimasto intatto per due settimane: Kanda capì perché tenesse ancora quel
fascicolo sulla sua scrivania, capì perché si era dato quella risposta al suo
bisogno di calore e capì perché da un po’ di tempo la sua mente giocava contro
di lui, impedendogli la solita lucidità.
Allen Walker, ecco perché.
Irritato dall’improvvisa
consapevolezza ottenuta, scolò il bicchiere sbattendolo sul tavolo con violenza
e si avviò a passo deciso verso la porta.
Prima di oltrepassarla, con la
coda dell’occhio scorse Allen fissarlo stupito.
Rimasto solo nel corridoio, ad
una distanza di sicurezza dalla mensa e certo di non essere stato seguito, Yu
Kanda si accasciò contro la parete e chiuse gli occhi.
Digrignò i denti, rabbioso e
frustrato, perché sapeva che in fondo non poteva incolpare Allen Walker di ciò
che gli stava succedendo.
Non sapeva, in realtà,
esattamente cosa gli stesse succedendo, ma non era sicuramente una cosa buona.
L’unico modo di levarsi il più presto possibile da quella situazione scomoda,
era eliminarla.
Risoluto, rincuorato un po’ per
essere riuscito a prendere una decisione, corse in camera, evitando i corridoi
più frequentati e scegliendo con precisione i passaggi più sconosciuti. Sbucò
in fretta da un porta chiusa a fianco della sua stanza e, quando fu sicuro di
non essere visto, sgusciò all’interno.
Quando chiuse la porta, vi si
appoggiò, respirando un momento, poi lanciò un’occhiata alla scrivania. Il
fascicolo era ancora lì, forse lo studiava, chiedendosi se questa volta sarebbe
riuscito a gettarlo via.
Kanda si prese un attimo per
riflettere con calma, come faceva prima di essere andato in missione con
quell’assurdo ragazzino, valutando la situazione in ogni particolare. Ad una
considerevole distanza da quel bambino maledetto, ragionare risultava più
semplice e tutto ciò che prima lo aveva irritato sembrava perdere importanza.
Prima, il suo bisogno di mettere fine alle domande e al suo disagio era
impellente, ora, lontano dalla fonte del suo cambiamento, non pareva più così
disastrosa, la sua situazione.
Si arrabbiò con se stesso per
essere scappato così e per essersi fatto mettere in subbuglio così facilmente
da un ragazzino patetico. Non aveva forse affrontato tante missioni, sempre sopravvivendo?
Non aveva forse lottato con esseri mostruosi e assetati, sconfiggendoli ogni
volta?
Che senso aveva allora, farsi
condizionare così da un bambino ingenuo?
Rilassatosi un momento, ripresa
la calma, dopo l’irritazione che lo aveva sommerso in mensa, diede ancora
un’occhiata al fascicolo sulla scrivania e decise di lasciarlo lì. Cercò di
convincersi che forse non era Allen Walker il motivo per cui l’aveva
conservato, pur sapendo di mentire a se stesso. Non lo toccò nemmeno, forse per
scaramanzia e tornò a sdraiarsi sul letto.
Tentò di pensare ad altro per
un momento, ma ci rinunciò subito, dato che risultava impossibile. I suoi
pensieri indugiarono sulla scoperta che aveva fatto, quando aveva capito che
aveva conservato il fascicolo per Allen Walker, e si ritrovò a studiare
mentalmente il suo viso, i suoi tratti gentili, gli occhi grandi e la cicatrice
della maledizione. Tornò con la memoria ai quattro giorni a Mater, rivivendo
quasi tutto ciò che era successo.
Kanda… Nonostante tutto, io
voglio essere un distruttore che salva le persone.
Rimuginò su quella frase un
attimo soltanto, e si chiese perché Allen Walker si ostinasse tanto a vivere
per gli altri. Una fitta psicologica si tramutò in dolore fisico e si ritrovò a
gemere per il male che lo invadeva al centro del petto.
Lui aveva sempre vissuto
soltanto per se stesso… Era forse il momento di cambiare?
- Basta! -
Gridò senza accorgersene e si
strinse con forza la testa tra le mani.
Patetico! Stava diventando
patetico! E tutto per colpa di quel maledetto stupido che aveva intaccato tutti
i suoi principi, tutto ciò in cui credeva, solo con una frase e con il suo
altruismo, la sua semplicità…
Digrignò ancora una volta i
denti. Ora capiva perché la sua coscienza volesse preservare il fascicolo della missione: era un oggetto
che gli avrebbe sempre ricordato le parole di Allen Walker e che lo avrebbe
costretto ogni volta che posava lo sguardo sulla scrivania, a farsi un esame di
coscienza, per chiedersi se fosse giusto ciò in cui credeva.
- Basta! -
Gridò di nuovo e si alzò con
rabbia, sbattendo il cuscino per terra. Non voleva più pensare a cosa fosse
giusto e cosa sbagliato. Era troppo tardi per rivedere i propri principi: era
cresciuto nel cinismo e nella freddezza, con la mente calcolatrice di un distruttore,
pronto a sacrificare chiunque, se fosse stato necessario a raggiungere il suo
scopo. Con la mente di un distruttore, si ripeté, non di un salvatore!
Urlò ancora una volta con
rabbia e tirò un calcio all’armadio essenziale che stava appoggiato alla
parete, sfondandolo. Poi si accasciò di nuovo sul letto e chiuse gli occhi,
ansimando.
Passò un secondo, poi, senza
preavviso, sentì bussare. Sobbalzò, stupito.
- Chi è? – fece, seccato.
Una voce titubante, gli rispose
bassa dall’altra parte.
- Kanda…. Sono Linalee. Scusa…
Ho sentito… - s’interruppe un momento. – Tutto bene? –
Il giapponese sospirò
lentamente, senza farsi sentire. – Sì. – ribatté, aspro. – Tutto bene. –
- Ah… Ok, scusa. -
Sentì i passi della ragazza
allontanarsi. Quando anche il leggero eco prodotto dal soffitto alto del
corridoio sparì, Kanda si rilassò. Questa volta aveva davvero esagerato. Non
poteva andare avanti in quella situazione. La risolutezza che l’aveva spinto a
tornare in camera dopo essere andato in mensa tornò all’improvviso.
Sì alzò, calmo, e arrivò alla
scrivania. Prese in mano il fascicolo con prudenza e lo gettò all’istante nel
cestino. Stette in allerta un secondo, come se temesse di vedere i fogli fare
ritorno sul legno lucido del ripiano, poi sospirò, liberandosi dalla tensione.
Era stato facile, dopotutto. Forse ora Allen Walker e le sue assurde
convinzioni avrebbero smesso di tormentarlo.
Quella notte dormì
profondamente e fu un sonno senza sogni.
Il tepore del sole sul viso lo
destò all’alba.
Si alzò riposato e in forma e
in viso si disegnò quasi l’ombra di un sorriso. La sicurezza di uscire dal
tormento dopo aver eliminato il fascicolo di Mater ancora lo avvolgeva,
sussurrandogli che quel giorno non avrebbe avuto problemi.
Era presto quando uscì dalla
stanza, probabilmente non ci sarebbe stato nessuno in mensa e si rasserenò.
Forse non avrebbe incontrato Allen Walker almeno quella mattina.
Raggiunse la mensa più in
fretta del solito: le gambe si muovevano rapide, al ritmo dei suoi pensieri che
per una volta non riguardavano il ragazzino maledetto e le sue patetiche
teorie. Sperava di essere chiamato quel giorno da Komui per partire in
missione: il suo fisico era stanco di oziare e la sua mente voleva stare per un
po’ lontana dall’Ordine Oscuro.
Quando entrò in mensa, assorto
nella contemplazione di uno scontro con un akuma di secondo livello, non si
accorse di essere il secondo arrivato. Solo giunto al suo solito posto, vide
che pochi metri più in là era seduto qualcun altro.
Allen Walker mangiava con gusto
la colazione servita per lui dal cuoco e a quanto sembrava non si era accorto
della sua entrata. Intento a finire ogni briciola del pasto, completò la sua
opera e sorrise a se stesso soddisfatto.
A quel punto alzò gli occhi e
sbiancò alla vista di Kanda che gli rivolgeva un’occhiata gelida. Sobbalzò e
arrossì.
- K-Kanda! -
L’altro sbuffò infastidito e,
senza degnarlo di uno sguardo, si sedette iniziando a mangiare a sa volta. Da
una parte avrebbe voluto che Allen Walker se ne andasse, dall’altra avrebbe desiderato
che rimanesse ancora, per vedere se il tormento sarebbe davvero scomparso con
il fascicolo e se sarebbe stato in grado di ragionare lucidamente accanto a
lui. Scelse la seconda possibilità e non gli chiese di sloggiare, come suo
solito.
Con la coda dell’occhio, vide
che il ragazzino lo fissava stupito, sicuramente per il fatto che non era
abituato a quel suo comportamento accondiscendente. Continuò a guardarlo con
gli occhi spalancati, finché Kanda non s’irritò.
- Allora, che hai da guardare, mammoletta?
-
Allen sussultò e distolse lo
sguardo. Stette in silenzio per un bel po’ di tempo, con il piatto vuoto
davanti, continuando a girare la forchetta sul fondo, senza sapere che fare.
Kanda lo controllò sbirciando
ogni tanto, chiedendosi perché non se ne andasse e rimanesse invece lì a
rimuginare sul piatto vuoto. Eppure l’inglese non sembrava mostrare il minimo
interesse per la porta che gli avrebbe dato la libertà e continuava a stare in
silenzio. Quando anche il moro ebbe finito la colazione e si alzò, Allen lo
seguì verso la porta. Raggiunta questa, l’irritazione di Kanda per
l’atteggiamento del più piccolo si fece acuta. Sbuffò rumorosamente e si voltò.
- Ma insomma, che vuoi mammoletta?
-
Allen spalancò gli occhi, senza
badare all’appellativo, spaventato da qualcosa che Kanda non riuscì a capire.
- I-io… -
I tentennamenti del ragazzino
resero Kanda ancora meno tollerante. Sbuffò di nuovo, chiedendosi cosa volesse.
A quel punto un lampo d preoccupazione attraversò gli occhi di Allen.
- Kanda, io… Volevo sapere… -
tentò. Poi si fermò, forse per vedere la reazione dell’altro. Quello lo
guardava, indifferente, anche se dentro di sé cominciò ad avere un brutto
presentimento.
Allen si morse un labbro e
ritentò. – Io volevo sapere se… se ieri… - abbassò lo sguardo a terra. – Se
ieri ho fatto qualcosa… di male… -
Kanda sussultò, ma il più
giovane non lo vide, ancora con lo sguardo basso e le guance in fiamme per
l’imbarazzo della confidenza. La mente del giapponese vacillò un secondo: come
doveva rispondere? In fondo Allen Walker non aveva fatto nulla, non meritava di
essere trattato male… L’annebbiamento che pensava di aver sconfitto tornò ad
invaderlo. La sua freddezza lo salvò appena in tempo: prima che il ragazzino
alzasse lo sguardo incuriosito dal breve silenzio, Kanda si ricompose e si
affrettò a rispondere, duro.
- Niente che tu non faccia di
solito. -
L’inglese lo guardò stupito,
con una punta di tristezza nella sua espressione, poi abbassò la testa.
Confuso dalle sensazioni che
nascevano dentro di lui e deluso dal ritorno dell’annebbiamento, Kanda gli
voltò le spalle e oltrepassò la porta velocemente, sperando che il ragazzino
non avesse la cattiva idea di seguirlo.
Una foglia cadde lentamente,
danzando nell’aria come una dama senza accompagnatore, e raggiunse l’erba senza
disintegrarsi, intatta anche nella morte. Kanda la osservò senza interesse,
solo per avere un qualcosa su cui posare gli occhi e attorno a cui cucire i
suoi pensieri.
Sulla panchina al lato ovest
dei giardini, fissò il sole che, dalla parte opposta alla sua, cominciava a
salire nel cielo, lento ed inesorabile, nel suo abituale cammino. Si chiedeva
perché, al contrario della stella che guardava, non potesse continuare
tranquillo il suo cammino e fosse invece ostacolato da un ragazzino che
arrivava a sconvolgere i suoi equilibri.
Sospirò: non capiva perché non
riuscisse più a comportarsi come aveva fatto quando Allen Walker era arrivato,
trattandolo con arroganza e svalutandolo. Dopo la missione, aveva cominciato a
soppesare ogni suo sguardo, ad analizzarne ogni gesto e, ora se ne rendeva
conto, a desiderare che non stesse male. Ma la parte di se stesso che aveva
mostrato fino a quel giorno, quella fredda, cinica, arrogante, distaccata, non
se ne sarebbe andata facilmente.
E infondo Kanda non desiderava
che sparisse: non era giusto che un ragazzino arrivato da chissà dove,
inesperto ed ingenuo, mettesse fine a tutto ciò che lui aveva costruito, alla
maschera che aveva indossato per proteggersi dal dolore della guerra.
Era stato per così tanto tempo
dietro quella maschera, che ora non voleva più uscirne, per paura di farsi del
male, di soffrire. Forse quel nanerottolo gli era stato mandato per togliersi
il costume che aveva addosso, per tornare ad essere se stesso.
Ma voglio tornare ad essere
me stesso?
Dopotutto la maschera gli era
servita a non soffrire e a non legarsi a qualcuno che poi sarebbe potuto
morire.
Sono disposto, ora, a
cambiare le cose? Sono disposto a rischiare di soffrire?
Strinse i pugni. Non lo sapeva,
davvero. Per la prima volta, da quando aveva cominciato ad affrontare gli
akuma, si trovò ad avere paura. Ma quella vera, che ti tormenta e ti toglie le
forze molto più di una battaglia.
Non era giusto. Non era giusto
che dovesse scegliere tra se stesso e la sua maschera.
E poi… Se quello che era dentro
fosse diventato uguale alla maschera, per la lunga convivenza?
Probabilmente era così. Sentiva
dentro il gelo di ciò che era diventato, il cinismo l’aveva ormai sopraffatto e
domato. Kanda era quello che dimostrava di essere, e basta.
Finalmente capì quel bisogno di
calore solare. Ne aveva davvero bisogno, ora che la maschera aveva preso il
controllo. Spinse il viso in alto, per accogliere i raggi mattutini. Avrebbe
voluto sciogliersi al sole, dimenticare tutto e ritrovarsi in un prato verde,
davanti alla casa che aveva abbandonato molti anni prima, di nuovo bambino. Di
nuovo Yu, solo Yu.
Ormai non è più possibile.
Si alzò, sul viso l’espressione
triste di una persona che si è arresa. Ma si era arreso?
Forse la possibilità di tornare
se stesso che aveva intravisto in Allen Walker era soltanto un inganno,
un’illusione. Probabilmente lui non provava quello che provava lui. Sicuramente
lo odiava, visto come lo aveva trattato fino a quel giorno.
Kanda… E’ così che ti chiami,
vero?… Piacere.
Provò una certa inquietudine,
al ricordo del suo gesto, al suo rifiuto di stringergli la mano e all’insulto
che gli aveva rivolto. Non gli aveva chiesto scusa per il suo comportamento, ma
lui non chiedeva scusa a nessuno, mai. Era arrogante, questo era Kanda. Non
sarebbe cambiato.
Il sole aveva raggiunto ormai
la metà del suo viaggio, quando il diciottenne si alzò e si stirò i muscoli
indolenziti dalla staticità. Con gli occhi colmi di dubbi e incertezze, come
nessuno li aveva mai visti nell’Ordine,
posò lo sguardo all’entrata della torre, immaginando di veder comparire
un ragazzino dai capelli bianchi. Si chiese perché lo volesse vedere. Alla fine
lo avrebbe trattato come tutte le altre volte, come quella mattina.
L’unica cosa che aveva capito,
era che dentro di lui, sotto la maschera, la sua coscienza agognava Allen
Walker.
E che quello, molto
probabilmente, lo odiava.
- Kanda! Kanda! -
Il giapponese tese l’orecchio,
sentendosi chiamare, nella luce soffusa del tardo pomeriggio, mentre era in
giardino ad allenarsi.
Riconobbe subito chi lo
chiamava, ma non rispose. La voce non voleva uscire, anche se non riusciva a
capire perché. Aveva riflettuto e si era combattuto così tanto quel giorno, che
forse le parole non sapevano più di esistere.
- Kanda! -
Reever Wenham spuntò
all’improvviso da dietro un albero, entrando nell’area erbosa che Kanda
utilizzava come palestra.
- Kanda! – esclamò, stupito. –
Eri qui, allora! Perché non hai risposto? -
Il giapponese non replicò, ma
restò in silenzio, seduto sotto una quercia frondosa dalla parte opposta dello
spiazzo. Reever rinunciò alla speranza di ricevere delle scuse e sospirò.
- Kanda… - lo implorò – E’ una
cosa urgente e importantissima. -
Qualcosa nello sguardo
dell’uomo gli creò un buco nello stomaco. – Di cosa si tratta? –
- Non posso parlartene qui. –
rispose l’altro, con gli occhi ormai quasi disperati. – Ti prego, Kanda, vai
subito da Komui. -
Il giapponese si alzò
all’istante, allarmato dall’urgenza che udiva nella voce di Reever. Senza
rispondere, prese Mugen appesa a un ramo e corse fuori dai giardini, verso la
porta della torre. Fece i piani di corsa, con un ansia nel cuore e un senso
d’inquietudine che non avevano una fonte logica. Ma c’erano.
Entrò nell’ufficio di Komui a
tutta velocità e si piazzò davanti alla scrivania. Komui arrivò un attimo dopo,
prima che lui avesse il tempo di chiedersi dove fosse. Kanda si voltò subito
verso di lui, cercando di nascondere la sua agitazione infondata.
- Allora, Komui… -
s’interruppe, quasi non volesse chiedere. – Che cosa succede? -
Dietro il supervisore apparve
Linalee. Kanda le lanciò uno sguardo e il cuore gli si strinse: aveva il volto
pallido, gli occhi spaventati, mentre le lacrime stavano per scendere.
- Lina… -
- Kanda. – lo interruppe Komui,
mentre lui fissava ancora la ragazza, stupito.
- Cos’è successo? – chiese il
giapponese, cominciando a preoccuparsi seriamente.
Il supervisore chiuse gli occhi
e respirò.
-
Allen è scomparso. -
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Dal
prossimo capitolo arriv l’azione.
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Aki