Roma, agosto 2008
Il profumo di carta stampata aleggiava, insieme ad una delicata musica
da sala, nella grande libreria del centro, il cielo terso illuminava i
corridoi in parquet attraverso le enormi finestre che correvano lungo
il muro destro, tinteggiato di un colore impreciso tra il bianco e il
lilla. Un giorno normale, da passare in libreria, fu la
decisione che valse per Lucia, venticinque anni, lavoro da commessa in
profumeria, capelli scuri striati di rosso Tiziano, occhi verdi e un
tailleur nero abbinato a camicia e scarpe rosse.
La giovane donna, Il Messaggero sottobraccio ed una ingombrante borsa
bianca nella mano sinistra, prese da uno scaffale un tomo rilegato
dall’aria recente. Le dita affusolate lasciarono
un’impronta nel leggero strato di polvere che copriva il
ripiano, ma il volume, di circa quattrocento pagine, risultava
intonso, come posato lì da poco. Ciò che la
incuriosì non fu tanto il colore della copertina, totalmente
di uno scialbo bianco panna, quanto il carattere del titolo, stampato
in verticale sulla costina, che ricordava le strisce di sangue lasciate
da dita febbrili su un muro candido. Mechanical Guide at the Death.
Lucia parlava discretamente l’inglese, abbastanza da tradurre
il titolo enigmatico, Guida Meccanica alla Morte, ma quando sul retro
della sovraccoperta non trovò il riassunto della trama, fu
tentata di posare il tomo dove l’aveva trovato e tornare come
suo consueto a spulciare tra gli economici e le novità. Ma
qualcosa in quel volume la incuriosiva a tal punto che si sedette su un
pouf viola dall’aspetto malandato a leggere.
Scoprì che di inglese c’era solo il titolo,
giacché il testo interno era totalmente in italiano. Lesse
le prime pagine, prima con diffidenza, poi con sempre maggiore
voracità, fin quando, dopo circa venti minuti di lettura, lo
chiuse di scatto. Senza nemmeno badare al prezzo, troppo alto per la
sua misera paga da commessa, lo aggiunse ai tre economici che teneva in
un sacchetto rigido e si avviò alla cassa.
Pagò il totale, cinquantaquattro Euro, e si avviò
all’uscita, impugnando le chiavi della macchina, parcheggiata
poco distante.
Entrò nell’abitacolo, posando il sacchetto e la
borsa sul sedile del passeggero.
Infilò la chiave principale nel quadro.
Girò.
Il resto fu raccontato sulle cronache cittadine di tutti i quotidiani
d’Italia: Giovane romana muore in seguito
all’esplosione della propria macchina.
Il sottotitolo di una testata menzionava una probabile avaria nel
motore, un altro quotidiano ipotizzava una perdita di gas. Solo uno, il
meno venduto di tutti, arrischiava un assassinio, ma si sa, se un
giornale pubblica una storia fittizia su tre, automaticamente perde
credibilità. Così nessuno diede credito a
quest’ultima versione. Tra le macerie furono ritrovati i
resti carbonizzati di tre libri in edizione economica e una borsa semi
fusa. Ma di Mechanical Guide at the Death, di cui non ritrovarono i
resti, nessuno si curò.
Quella notte il cielo pianse tutte le sue lacrime. In un piccolo vicolo
del centro una figura con indosso un pesante cappotto di pelle
scamosciata si muoveva lenta, incurante della pioggia battente e dei
frequenti lampi che squarciavano il cielo e rischiaravano le strade.
L’individuo si muoveva lento ma inesorabile lungo il
marciapiede sinistro, pieno di pozzanghere inquiete. Non
indugiò nemmeno davanti alla grande pozza scura che usciva
da un tombino intasato, e vi camminò dentro, inzaccherandosi
i pantaloni scuri. Ormai il cappotto era definitivamente da buttare:
l’acqua lo aveva rovinato irrimediabilmente, ma la persona
che lo indossava non se ne curò minimamente. Dopo una
manciata di minuti, un portone illuminato dall’interno
catturò la sua attenzione. Tirò fuori da una
tasca una lettera sigillata in un’anonima e miracolosamente
asciutta busta di carta bianca su cui troneggiava, scritto in
calligrafia, il nome del destinatario. Il messaggero imbucò
con attenzione la missiva in una cassetta blu, dopodiché si
allontanò lungo la via.
Sulla cassetta delle lettere una targhetta di plastica bianca riportava
il destinatario: “Studio Investigativo I. De
Santis”.
Il tempo di rischiarare con un fulmine l’ambiente che
l’uomo era sparito.
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