Cap. 16 Un branco atipico
Questa volta l'aggiornamento è arrivato prima del previsto... scusate ancora per i tempi biblici d'aggiornamento :(
Comunque... in questo capitolo troverete piccole rivelazioni che si
ricollegano ad indizi sparsi nei precedenti episodi. Abbiamo un
possibile sviluppo per il misterioso omicidio ed un salvataggio da
programmare. E in fretta, anche!
Non vi dico altro, buona lettura :)
Cap. 16 Un branco atipico
Si riunirono tutti all’interno dell’appartamento di
Amanda, dato che era il più vicino e la ragazza aveva già
invitato gli altri ad entrare prima che Evan potesse protestare.
I presenti si raggrupparono al centro della zona giorno, guardandosi
l’un l’altro con espressioni totalmente discordanti.
Van fu l’ultimo ad entrare. Chiuse la porta con estrema lentezza,
cercando le parole per confrontarsi con i due nuovi acquisti del
branco. Purtroppo, però, dentro di sé riusciva a trovare
solo improperi, la maggior parte nella sua lingua madre.
David gli si avvicinò, avendo percepito il tumulto che aveva
dentro. Si scambiarono una rapida occhiata e l’inglese
sgranò leggermente gli occhi, stupito. –Evan…-
iniziò, ma l’amico lo zittì con un gesto deciso
della mano e lo superò.
Guardò prima Andrew, le cui ferite testimoniavano uno scontro
con Stryker, e poi Eric, che probabilmente aveva osato ribellarsi ad
Aleksandr.
-Ci troviamo in un momento di grandi cambiamenti, abbiamo un branco
intero che vuole farci fuori per non si sa bene quale ragione e voi
pensate bene di andare a fare a pugni… ma cosa diavolo vi dice
il cervello?! Damnù air*!!- esplose lo scozzese.
I due giovani abbassarono immediatamente lo sguardo, rifuggendo
la rabbia del loro capobranco. Erica sapeva bene a cosa sarebbe andato
in contro tenendo il capo sollevato, mentre Drew, pur non essendo a
conoscenza di tutte le dinamiche del branco, l’aveva fatto per
evitare di provocare ulteriormente Evan.
Nonostante tutto avevano un po’ di sale in zucca.
La più sconvolta da quell’inaspettato scoppio d’ira
fu Amanda, che fissò senza parole tutti i presenti. Sin da
quando lo conosceva, aveva capito una cosa di quell’uomo: non
mostrava mai le proprie emozioni.
Non sapeva perché e non aveva voluto impicciarsi, fatto sta che
a malapena l’aveva visto sorridere genuinamente. Ed ora stava
imprecando in gaelico e maledicendo la stupidità dei due giovani
lupi.
“Meglio non far arrabbiare uno scozzese…”, decise,
tenendosi in disparte. “Anzi, meglio non far arrabbiare Evan e
basta.”, si corresse.
La collera del diretto interessato fiammeggiò per alcuni minuti,
facendo ardere la sua aura come un fuoco alimentato dalla benzina. Si
avvolgeva in spirali tutt’attorno a lui, avviluppandosi al suo
corpo e materializzando forme diverse ad ogni guizzo.
Dave non l’aveva più visto in quello stato da quando
Dearan gli aveva annunciato l’avvento delle sue nozze con
Crystal. “Un scoppio degno del vecchio Evan.”,
considerò, impressionato. Il suo ringhio aveva riverberato lungo
la sua colonna vertebrale come se fosse stato un diapason e non una
persona in carne ed ossa. Quella manifestazione di potere eliminava
qualsiasi dubbio circa il nuovo ruolo assunto dall’amico: era un
Alfa, in tutto e per tutto.
Alfa che, in quel momento, stava percorrendo il salone a grandi
passi. La bestia dentro di lui si era risvegliata con lo stesso fragore
di un tuono ed ora premeva per essere lasciata libera.
Digrignò i denti, maledicendo ancora una volta i giovani lupi e
poi afferrò con entrambe le mani il davanzale di una finestra,
puntando lo sguardo sul bancale di marmo.
Seguì le venature della pietra, le variazioni di colore fino a
quando non avvertì il lupo chetarsi e la calma tornare a
prendere possesso del suo corpo. Aveva frantumato il proprio guscio
emotivo e non sapeva se sarebbe riuscito a ricostruirlo.
La cosa in quel momento non lo preoccupava così tanto, ma dopo l’avrebbe fatto.
Prese un respiro profondo e poi si voltò a fronteggiare il resto
del branco. –Andrew, sei andato al Wolf’s Pond per sfidare
Stryker?- chiese con voce apparentemente piatta.
-Sì.- fu costretto ad ammettere l’americano.
Van digrignò i denti, sentendo la rabbia rinfocolarsi. –A
quanto vedo sei riuscito a mettere in pratica quello che ti ho
detto… ma questo non toglie il fatto che il tuo gesto sia stato
veramente stupido ed irresponsabile. Per quello che hai fatto dovrei
romperti l’altro braccio e mandarti in isolamento.- disse,
tenendo lo sguardo fisso sulla nuca del ragazzo.
A quelle parole Andrew deglutì, iniziando a sudare freddo. Non
sentiva più nemmeno il dolore causato dalle ferite, c’era
solo la paura di vedersi attaccare. –Se… se credi che sia
la cosa giusta da fare…- riuscì a dire. Non sapeva come
ci si comportava in quelle occasioni e aveva detto la cosa più
sensata che gli era venuta in mente.
In più, considerate le sue condizioni non propriamente ottimali,
non avrebbe potuto opporsi nemmeno volendo. L’aver dato ascolto
alle proprie pulsioni si stava rivelando una cosa veramente idiota.
-No! Sei pazzo?- Amanda si mise in mezzo, senza riuscire a trattenersi
dal farlo. Evan voltò di scatto la testa e la fulminò coi
suoi occhi, il cui colore in quel momento era molto simile
all’acciaio. –Non puoi spezzargli l’altro
braccio…- aggiunse, con meno convinzione. Un brivido freddo la
scosse, obbligandola ad avvolgersi il corpo con le braccia. Andrew la
ringraziò mentalmente, grato per il suo costante supporto.
-Non lo farò. Non seguo le regole di mio padre e non ritengo
necessario versare altro sangue.- le disse, tornando poi a guardare il
diretto interessato. –Nonostante io ora sia il tuo Alfa, non ti
punirò.- concluse, addolcendo impercettibilmente il tono della
voce.
A quelle parole Drew sollevò la testa, smettendo di fissare
Amanda. –Come fai a sapere che non faccio più parte del
branco di tuo padre?- chiese, stupito.
-Non lo senti anche tu?- replicò l’altro. –E’ come essere legati a doppio filo.
-Non… non volevo causare tutti questi problemi. Io…-
iniziò. Il senso di colpa stava iniziando a farsi sentire,
prepotentemente.
David si fece avanti. –Stai avendo problemi a controllarti con
l’approssimarsi della luna piena. È normale, ma non devi
assecondare la bestia, devi trovare un equilibrio tra le due
metà della tua persona. A meno che tu non voglia fare una
carneficina… o farti ammazzare.- disse l’inglese.
Pur se con un profondo senso di vergogna, Andrew dovette accettare le
sue parole. –Potrei fare del male a qualcuno?- chiese.
-In particolare a te stesso. Ma sia io che David ti sorveglieremo, domani notte.- rispose Evan.
Senza dire una parola, Drew si limitò ad annuire e a lasciarsi
cadere lentamente a terra, indebolito dalla fuoriuscita di sangue.
Amanda gli si avvicinò, chiedendogli come si sentisse.
Vedendolo indebolito e rendendosi conto che quello era il suo primo
intervento in qualità di Beta, David si sfilò la maglia
che indossava e la usò per tamponare la ferita del nuovo membro
del branco.
Nel mentre Van stava rimettendo lentamente sotto controllo la propria
bestia, ma si stava anche preparando per affrontare l’altro nuovo
affiliato, sul punto di esplodere.
-Io non volevo far parte di questo branco!- sbottò infatti Eric.
Dopo aver assistito allo sfoggio di potere dell’Alfa, aveva
deciso comunque di opporsi a tutta quella situazione. –Non
capisco perché mio zio mi abbia allontanato…- aggiunse,
arrivando a mettere il broncio.
-Perché devi imparare a rispettare gli altri, il loro ruolo e le
loro decisioni.- gli fece notare Evan. Incrociò le braccia
davanti al petto e gli dedicò una lunga occhiata, prima di
aggiungere:–A quanto pare non sai stare al tuo posto.
Il ragazzo s’indispose ancora di più. –Conosco il mio posto!- abbaiò.
Van scattò a sua volta, facendo schioccare la mascella e
mostrando le zanne con fare minaccioso. –A quanto pare no.-
ringhiò con voce metallica.
I due si fronteggiarono in silenzio, occhi negli occhi. David poteva
sentire il battito sordo del cuore di entrambi e la frustrazione del
giovane americano. Mentre Evan… Evan era un miscuglio di
emozioni non ben definite. Un gemito di Andrew lo costrinse a
distogliere lo sguardo e ad aumentare la pressione sulla spalla, la
quale stava iniziando a perdere molto meno sangue.
Passarono diversi minuti e, con suo grande disappunto, Eric fu
costretto a dichiararsi sconfitto. –Cosa vuoi che
faccia…?- domandò, remissivo.
-Aiuta Amanda a pulire e poi vai a sistemare le tue cose nel nostro
appartamento. Si trova dall’altra parte del pianerottolo.-
ordinò, perentorio.
Sottomesso, l’europeo fece come gli era stato ordinato e si avvicinò a Mandy, pronto a dare una mano.
La ragazza, ancora disorientata, guardò prima Drew e poi Dave.
–Vi serve una mano..?- si premurò di chiedere.
-No, ce la caveremo.- le sorrise gentilmente l’inglese, togliendo
il tampone ed osservando la ferita con aria soddisfatta. Lei allora
fece un cenno col capo e si rialzò lentamente in piedi. Le
fasciature che aveva attorno al busto e alla gamba le davano parecchio
fastidio ma, in confronto alle condizioni di Andrew, non erano nulla di
grave.
Si diresse verso il bagno ed andò a recuperare secchio e straccio, assieme ad un paio di guanti.
Quando tornò nella zona principale della casa,
ritrovò Andrew premuto contro la parte bassa del divano. Aveva
la fronte madida di sudore ed un panno stretto saldamente tra i denti.
Solo in quel momento si rese conto che, dopo essersi ritrasformato,
nessuno gli aveva offerto dei vestiti ed aveva solamente un cuscino a
coprire l’indispensabile. Il sangue si era praticamente fermato e
la maglia di David giaceva abbandonata sul pavimento, completamente
chiazzata di rosso.
Evan si era tolto la giacca e le scarpe ed era inginocchiato davanti a
lui. –Dovrò romperti le ossa del braccio perché si
stanno rinsaldando male e poi sistemarti la lussazione. Sarà
doloroso.- lo avvertì, fissandolo dritto negli occhi.
A quelle parole la ragazza impallidì, dimenticandosi del sangue
per terra e delle fitte che ogni tanto le arrivavano dalla gamba.
–C-cosa…?- gracchiò.
David si voltò a guardarla. –Dobbiamo sistemargli il
braccio, se no non guarirà nel modo corretto.- le spiegò,
cercando di non suonare allarmante. –Il sangue si sta già
fermando e la ferita si rimarginerà da sola.
Lei fece per protestare, ma si trattenne e si morse il labbro
inferiore. Prese un respiro profondo ed annuì, dando segno
d’aver capito. Drew le dedicò uno sguardo spaventato,
prima di voltarsi e focalizzarsi sulle parole di Evan.
-Se vuoi puoi anche non guardare…- le suggerì il nuovo
arrivato. Mandy scosse la testa, sistemando l’occorrente per
pulire sul tavolo. Si appoggiò alla superficie liscia del mobile
ed attese.
Quando Van ruppe l’ulna, Drew soffocò l’urlo che
voleva uscirgli di bocca solo grazie al panno. Le successive due
manovre gli ruppero anche il radio ed il polso e ad ogni sonoro crack
il ragazzo affondò i denti nella stoffa, sperando che finisse
presto.
-Ok, questa è fatta. Ora la lussazione.- annunciò il
giovane MacGregor. Attese che il suo paziente prendesse fiato e poi gli
appoggiò il piede vicino all’articolazione, afferrando
saldamente il braccio all’altezza del gomito e del polso.
–Sarà doloroso, ma rapido.- promise, prima di tirare e far
rientrare la spalla.
-E’ fatta!- lo rassicurò David, dandogli una pacca leggera
sulla spalla sana. Andrew lasciò la presa sul panno e si
concesse un sorriso, sollevato.
Anche Amanda sorrise, grata che fosse andato tutto per il meglio.
Per la seconda volta.
“Dovrò abituarmi a vedere scene del genere.”, si
disse. Ora che i lupi si erano trasferiti nel suo stesso palazzo li
avrebbe avuti in giro per casa molto spesso. Sperava solo di riuscire a
conciliare tutto quanto: lavoro, problemi sovrannaturali e vita di
tutti i giorni.
-E’ stato bravo, considerato che è un licantropo da poco
tempo.- il commento di Eric la distolse dai suoi pensieri. Vedendo la
sua espressione confusa, il ragazzo si affrettò ad allungare la
mano e dire:-Eric Camden, piacere.
-Oh… Amanda Miller, piacere mio.- la strinse, sorridente.
–Vuoi… vuoi che ti disinfetti le ferite?- chiese dopo un
po’, indicando con circospezione il taglio che aveva sul
sopracciglio destro.
-Come? Oh, no, non c’è bisogno… le porterò
con orgoglio.- le rispose, sfoggiando un sorriso un po’
strafottente. Lei mormorò qualcosa, per poi prendere il secchio
e metterlo sotto il rubinetto del lavello. –Cosa devo
fare…?- le chiese dopo un po’.
Mandy irrigidì le spalle senza volerlo. “Ecco la mia
proverbiale timidezza verso gli sconosciuti che fa capolino quando non
deve.”, pensò, infastidita. –Ehm…
nulla… posso farcela.- rispose, tenendo d’occhio il
livello dell’acqua ed aggiungendo il detersivo. A quanto pareva
solo Evan era riuscito a tirarla fuori dal guscio in tempi record.
Ovviamente farla arrabbiare era stato sicuramente d’aiuto.
-Sì, ma il capitano mi ha detto di aiutare.- insistette il ragazzo.
Vedendosi sotto pressione, Amanda annuì qualche volta e gli
allungò uno straccio, dopo averlo strizzato energicamente nel
lavello. –Inizia dalla porta… io pulisco in sala.- disse,
allungandogli anche lo spazzolone.
Eric fece un cenno d’assenso ed iniziò a pulire,
nonostante non fosse esattamente nelle sue corde. L’esser stato
strigliato a dovere dal suo nuovo Alfa era, però, un grosso
incentivo a non combinare altri casini. Almeno per un po’ di
tempo.
Lentamente e con circospezione, Mandy si avvicinò al
divano. L’aria, lì attorno, era ancora elettrica a causa
della presenza di Evan. Quando si avvicinò ai tre lupi
poté sentire i peli delle braccia rizzarsi e un brivido
scorrerle lungo la spina dorsale.
Si fece educatamente spazio e lanciò un’occhiata ad
Andrew, ancora pesantemente appoggiato al divano. –Drew, vuoi
salire a riposarti?- gli chiese, solerte.
Il ragazzo aprì un occhio e poi, a fatica, annuì. Doveva
essere sicuramente spossato dall’intervento di Evan, il quale non
sembrava aver avuto la mano leggera.
-L’appartamento è di sopra, vero?- s’informò
David, già pronto a sollevarlo. Amanda annuì,
affrettandosi a recuperare la copia delle sue chiavi ed
allungandogliela. –Grazie. Forza Drew, andiamo.- lo
afferrò saldamente per i fianchi e poi lo tirò in piedi.
-Posso camminare…- tentò di protestare il giovane,
arrossendo visibilmente. La bestia dentro di lui dissentì a gran
voce, ringhiando il proprio disappunto.
Al che Evan emise un ringhio talmente basso da esser quasi inudibile,
ma abbastanza potente da rimetter al suo posto il lupo. -Vedi se riesci
a dormire: la prossima notte non sarà una passeggiata.- gli
consigliò il giovane MacGregor. –Ah, Dave, aiutalo a
pulire la ferita alla spalla, così non sporcherà mezza
casa cercando di farlo da solo.
I due annuirono e si avviarono lentamente, superando Eric nei pressi
della cucina. Il poliziotto li guardò uscire, ma non disse nulla.
Comprendeva appieno quello che stava passando Andrew: anche lui aveva
faticato parecchio prima di arrivare ad avere un buon controllo sulla
propria bestia.
Ed era nato licantropo. A volte essere una creatura soprannaturale faceva proprio schifo.
Mentre rimaneva ad ascoltare i due lupi salire le scale, Evan lo fece
riemergere bruscamente dai suoi pensieri. –Hai qualcosa di
rotto…?- chiese. La sua voce era ancora ruvida per la rabbia, ma
non era riuscito a mascherare la propria preoccupazione.
-No, solo l’orgoglio.- rispose l’altro, scuotendo lentamente il capo.
-Quello prenderà altre batoste, non ti preoccupare.-
assicurò, suonando abbastanza pungente. Eric rispose con una
smorfia, poi tornò al proprio lavoro.
Amanda, invece, era impegnata a rimuovere la fodera del divano, dato
che buona parte si era sporcata di sangue. Avrebbe tanto voluto
protestare, ma cos’era un mobile in confronto alla vita di Andrew?
Gli oggetti si possono ricomprare, le persone non si possono rimpiazzare così facilmente.
Con un sospiro terminò di sfoderare il divano, raccolse tutto
ciò che si era sporcato con un’unica mossa e poi si
diresse rapidamente verso il bagno.
Si chinò davanti alla lavatrice ed iniziò a stipare i
panni al suo interno, cercando di ignorare il forte odore di sangue.
Mentre caricava il cestello, non poté fare a meno di reprimere
un brivido. Si fermò qualche istante, giusto il tempo per
rendersi conto che aveva iniziato a piangere.
-Ma cosa…?- stupita, si deterse le lacrime dal viso. A quanto
pareva, dopo tutte le stranezze delle ultime settimane, i suoi nervi
avevano ceduto, dando libero sfogo al suo stress sotto forma di pianto.
Respirò lentamente, accettando la reazione del proprio corpo e
cercando di non farsi sentire da Eric o da Evan. Chissà
cos’avrebbero pensato di lei se l’avessero vista piangere.
Si concesse qualche altro istante di autocommiserazione e poi
terminò di caricare la lavatrice, avviando subito dopo il
programma di lavaggio.
Quando si rialzò, pronta a tornare in sala, si ritrovò la
strada sbarrata da Eric. Per poco non cacciò uno strillo,
rivelandosi più isterica di quanto non fosse.
-Ho finito.- annunciò il ragazzo, ancora un po’ scocciato.
Poi, avvertendo un sentore salato nell’aria, aggiunse:-Tutto ok?
-Sì… ho solo avuto un cedimento momentaneo.-
sdrammatizzò lei. L’altro fece per aggiungere qualcosa, ma
lei non glielo permise, superandolo ed uscendo dalla stanza.
Eric si grattò una guancia, per nulla convinto. Il suo istinto
animale gli diceva che c’era qualcosa che non andava in quella
ragazza, ma non voleva risultare molesto già dal primo giorno
per cui si sarebbe trattenuto.
Dato che il grande capo era sceso di sotto per recuperare gli altri
scatoloni del trasloco, ne approfittò per darsi
un’occhiata allo specchio e controllare che aspetto avesse.
“Cavoli, mamma farebbe fatica a riconoscermi.”,
considerò, facendo una smorfia e tastando con attenzione lo
zigomo sinistro, visibilmente gonfio. A parte il viso, c’erano
molte altre parti che gli dolevano, ma suo zio non c’era andato
giù pesante (non più del solito, almeno) e non aveva
nessuna emorragia interna o ferite gravi.
Appoggiò le mani ai lati del lavabo e restò a fissare la
propria immagine riflessa per qualche istante. Poi si guardò
intorno ed ispezionò coi sensi l’appartamento in cui si
trovava.
Non sapeva esattamente chi fosse Amanda, ma una cosa era certa: era
coinvolta fino al collo in tutta quell’assurda faccenda.
Inoltre era quasi certo che mancasse un membro del branco, ossia la
persona appartenente al gruppo dei Blacks che aveva obbligato Evan a
trasferirsi nei territori di Aleksandr.
“Benvenuto nella tua nuova e stramba famiglia, Eric.”, si disse.
***
Aveva appena finito il turno in ufficio e stava rientrando a
casa, nonostante non desiderasse altro che scappare lontano, da tutto e
da tutti.
Da quando suo fratello era morto si era sentito devastato e a nulla
erano valsi i tentativi di sua moglie per aiutarlo. Si era
semplicemente chiuso in se stesso, avviluppandosi nel dolore.
Dopo il dolore, però, la notizia terribile: era stato accusato
dell’omicidio di William e il suo Alfa aveva richiesto
un’ammenda di sangue.
Ancora non si capacitava della cosa e il suo cervello si rifiutava di
elaborare il fatto che, da lì a poche ore, avrebbe dovuto
scontrarsi col Campione per espiare la propria colpa.
Colpa di cui non si era macchiato.
Non avrebbe mai osato torcere un solo pelo della gorgiera di William,
figurarsi ucciderlo a sangue freddo. E poi, come avrebbe potuto mettere
in atto l’omicidio se, al momento del fatto, si trovava
dall’altra parte del mondo?
Nonostante l’assurdità delle circostanze, Ethon non aveva
voluto sentire ragioni e l’aveva condannato fino a prova
contraria.
Ma considerata la sua spiccata inabilità al combattimento (era
il contabile del branco per un motivo), lo scontro che doveva decidere
le sue sorti di sarebbe risolto nella sua morte. Certa, definitiva,
senza possibilità d’appello.
“Io non so chi sia il bastardo che ti ha ucciso, Will, ma cercherò di scoprirlo.”, promise.
Senza rendersene conto era già arrivato nell’atrio
dell’edificio. Estrasse il badge e lo passò davanti allo
scanner, rendendo nota la fine del suo turno.
Determinato a non soccombere, ma con la morte nel cuore al solo
pensiero di non poter più vedere il fratello, Conrad raggiunse
la propria macchina. Vi salì con gesti meccanici e poi
partì alla volta di casa, ossia del quartiere che condivideva
col resto del branco.
Una volta arrivato trovò sua moglie ad attenderlo sulla soglia
di casa, gli occhi lucidi e il viso sofferente. Lei era l’unica
ad avergli creduto, l’unica a schierarsi dalla sua parte.
Nonostante fosse un membro stimato all’interno del gruppo,
nessuno dei suoi amici aveva fatto lo stesso. Avevano tutti detto che
non si poteva negare la verità e la verità era che lui
aveva ucciso William.
-Conrad, non puoi sottostare a questa decisione. Andiamocene!- Rachel
si aggrappò con forza alle sue spalle, implorandolo di trovare
un’altra soluzione. Sapevano tutti e due che le sue chances erano
molto vicine allo zero.
-Non posso fuggire. Devo dimostrare la mia innocenza.- replicò
lui, la voce resa roca dall’ansia e dal dolore. Al di là
della morte, ciò che lo faceva stare male era sentirsi accusare
di aver potuto meditare un atto tanto atroce come il fratricidio.
Sua moglie scosse ostinatamente la testa. –Non devi dimostrare
niente a nessuno!- ribattè, le lacrime ormai pronte a sgorgare.
Conrad la guardò con amore, grato di avere il suo sostegno in
quell’ora buia. –Ti amo, Rach.- sussurrò, chinandosi
per darle un bacio. Forse l’ultimo.
Lei tentò di trattenerlo, ma lui la staccò gentilmente da
sé e si avviò lungo la strada, verso il recinto sacro
dove era stato allestito il Ring.
Avrebbe combattuto e avrebbe cercato di sopravvivere per far sì
che il vero assassino di Will fosse consegnato alla giustizia del
branco.
“Non puoi farcela…”, gli disse una voce malevola
dentro di lui. Probabilmente era vero, ma sperare in una riduzione
della pena era inutile.
Nonostante al lupo imputato venisse data la possibilità dello
scontro, l’Ammenda per un omicidio era la morte
dell’uccisore stesso.
A meno di un miracolo.
Conrad aveva smesso da tempo di credere nei miracoli, ma quella sera si
ritrovò a pregare con tutte le sue forze, nella vana speranza di
ottenere un aiuto dall’alto.
L’ultima cosa che vide, prima di entrare nel recinto, fu lo sguardo devastato di Rachel.
***
Dopo aver sistemato tutte le loro cose ed essersi assicurati che
Andrew stesse bene, Evan, David ed Eric si erano ritirati nel loro
appartamento, lasciando ad Amanda un po’ di privacy.
La ragazza si era fatta visitare da MacGregor, che le aveva cambiato la medicazione con una meno invasiva.
Ora Evan se ne stava in salotto, appollaiato sul davanzale della
finestra. David, al suo fianco, stava lavorando ad un progetto che
avrebbe dovuto consegnare da lì a tre giorni. Fortunatamente,
nonostante tutto quello che era successo, i suoi clienti non si erano
fatti indietro e le commissioni avevano continuato ad arrivare.
-Dannata tecnologia!- sbottò ad un certo punto l’inglese.
Mollò con poca grazia il mouse ed ingiuriò il pc,
apparentemente bloccato da un’operazione troppo complessa.
Van gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla, prima di chiedere:-Cos’è successo?
Dopo la sfuriata di poche ore prima si sentiva stranamente molto
più calmo, soprattutto perché la sua parte animale
sembrava essersi assopita per un po’. Nonostante lui e Dave
appartenessero all’ultimo ceppo genetico, questo non voleva dire
che la vicinanza al plenilunio non facesse risvegliare in loro istinti
primordiali.
Spesso erano semplicemente più facili da canalizzare e sfruttare nel combattimento. Ma non sempre.
-Farò causa alla ditta produttrice: non è possibile che
il programma si blocchi per colpa di un’operazione booleana.-
brontolò in risposta l’amico.
Van sollevò un angolo della bocca, divertito dal tono di David.
C’erano delle volte, soprattutto mentre lavorava, in cui finiva a
lamentarsi come un bambino. Poi, subito dopo, tornava ad entusiasmarsi
e dimenticava persino perché stava brontolando.
A meno che tutto ciò non accadesse di mattina: allora ricordava
benissimo il motivo delle sue lamentele e sapeva ricordarlo anche agli
altri, il più fisicamente possibile.
-Lascia perdere il progetto per un po’…- gli suggerì.
Il riccio allora aggirò il tavolo e lo raggiunse, appoggiandosi
con la schiena al muro ed incrociando le braccia al petto.
–Allora, grande capo, qual è il bilancio per il primo
giorno?- chiese, con finto tono militare.
Evan si lasciò sfuggire una smorfia. –Poteva andare
peggio… ma poteva anche andare meglio. Proprio non capisco
perché i giovani lupi debbano comportarsi come idioti.-
commentò.
-Ah, be’, non sono sicuramente la persona giusta a cui chiedere, non trovi?- replicò divertito l’inglese.
L’altro lo guardò confuso, poi capì
l’allusione ed annuì con un sorrisetto.
–Già… siamo stati due idioti anche noi.- dovette
ammettere.
-Be’, almeno ora sappiamo cosa fare per aiutare i cuccioli.-
disse Dave, accennando col mento verso la camera di Eric.
–Fortunatamente stanno dormendo della grossa tutti e due. Questa
cosa mi fa dubitare che siano licantropi.- aggiunse.
-Le hanno prese tutti e due, oggi: il loro corpo deve rigenerarsi.- replicò lo scozzese.
Restarono in silenzio per un po’, osservando pensierosi la luna
alta nel cielo, in tutto il suo rilucente splendore. –Credi che
riusciremo a tener a bada Andrew?- chiese dopo un po’ Evan.
David cambiò leggermente posizione. –Penso di sì.
Dobbiamo aiutarlo ad allontanare le emozioni negative e a trattenere
quelle che gli sono utili.- disse, sicuro.
-Non voglio dovermi imporre su di lui come faceva mio padre…-
ammise l’altro. Abbassò il capo e lasciò che i
capelli gli coprissero il viso. –Non voglio diventare quel tipo
di Alfa.
Capendo le sue paure, l’amico gli strinse con forza una spalla.
–Andrai alla grande, ne sono sicuro. Devi solo imparare a
comunicare con gli altri… insomma, ultimamente non sei molto
aperto al dialogo e alla socializzazione.- quello che era iniziato come
un incoraggiamento finì in una battuta.
-Tu sì che sai rassicurare le persone.- commentò senza nessuna ironia.
David si concesse una breve risata, ma poi si fece serio. –Tu sei
diverso da Dearan: hai una testa che ragiona e non hai bisogno di
amputare dita delle mani o dei piedi per farti obbedire.- gli disse,
alludendo ad un vecchio episodio risalente alla loro vita in Scozia.
-Non è questione di obbedienza…- protestò
l’altro, puntellando il braccio su un ginocchio ed
appoggiandovisi sopra. –Ma di saper essere un punto di
riferimento per gli altri. Non è una cosa che ti insegnano alla
scuola per licantropi.- si passò una mano tra i capelli,
sospirando.
-E’ normale avere paura, Van.- mormorò l’inglese,
comprensivo. Non sapeva bene perché, ma Evan stava cercando di
mettersi a nudo e lui voleva aiutarlo. Era tantissimo tempo che non gli
confidava i propri pensieri più profondi e la cosa l’aveva
fatto sentire inaffidabile.
-Non è paura, solo… ho già stravolto le vite di
molte persone, come posso prendermene cura?- chiese, guardando
intensamente fuori dalla finestra. Non voleva incrociare lo sguardo di
Dave per evitare che vedesse la confusione nei suoi occhi.
-Il solo fatto che tu ti stia preoccupando di non essere
all’altezza indica quanto tu sia diverso da Dearan. Non sei
diventato Alfa per diritto di sangue, ma grazie alle tue qualità
di essere umano.- insistette il riccio. –Ma se non sei convinto
dovresti chiamare Alst e parlare con lui.- aggiunse dopo un po’,
facendo spallucce.
Non avrebbe voluto esser surclassato dal loro mentore, ma sapeva che
Alastair sarebbe stato in grado di rassicurare Evan in modo molto
più efficace. Avrebbe voluto essere in grado di farlo lui
stesso, ma aveva ancora troppa poca esperienza alle spalle.
A quelle parole lo scozzese rialzò la testa. –Come ho
fatto a dimenticarmene? L’omicidio!- si alzò con un
movimento fluido ed andò a recuperare il cellulare.
-L’omicidio?- ripetè David, perplesso. Osservò
l’amico muoversi per la stanza, recuperare il telefono dal
tavolino da caffè in sala e tornare verso la finestra.
-Salgo sul tetto. Non dovrei metterci tanto.- lo avvertì.
-Sì, ma stavamo avendo una conversazione…- cercò di protestare Dave.
Van esitò un attimo, poi scivolò fuori. –La
continueremo più tardi.- disse, prima di sparire sulla scala
antincendio.
L’inglese rimase a fissare gli scalini di lamiera per qualche
istante ancora, poi scosse la testa e tornò al proprio lavoro.
Se Evan aveva così tanti pensieri per la testa da diventare sbadato, la cosa iniziava a farsi veramente seria.
Avviò la chiamata e si issò sulla cabina
dell’ascensore, com’era solito fare nel vecchio palazzo. I
tetti degli edifici di New York tendevano ad assomigliarsi tra di loro,
a quanto pareva. A parte il fatto che questo aveva uno spazio adibito a
patio, con piante e un porticato.
Osservò incuriosito l’intera sistemazione, chiedendosi chi
l’avesse realizzata. “Potrebbe essere stata
Amanda…”, considerò, ricordando i vasi contenenti
gli odori più usati in cucina.
Seguì i propri pensieri mentre questi vagabondavano tra
argomenti poco impegnativi, fino a quando Alastair non rispose.
–Evan! Sai quanto tempo è passato dall’ultima volta
che ti sei fatto vivo?- lo rimproverò lo scozzese.
Il giovane MacGregor fece alcuni rapidi conti. –Parecchio. Mi dispiace, ho avuto da fare.- si discolpò.
-Ho saputo che c’è stato un trasferimento di branco.- buttò lì l’altro.
-Esatto. A quanto pare i Blacks hanno un conto in sospeso con me senza
che io lo sapessi.- confermò, strofinandosi il mento. Aveva
lasciato crescere la barba ed iniziava a dargli fastidio.
-Un branco non porta rancore senza un motivo.- gli fece presente l’amico.
Van annuì tra sé, ben conscio della cosa.
–Sì… ma a quanto pare un nuovo membro del gruppo
sembra aver qualcosa contro di me. L’unica cosa che so è
che ha un accento europeo ed è abbastanza antico da avere
un’aura particolarmente forte.- rispose. –C’è
qualcosa che mi sfugge e che tu mi vuoi aiutare a ricordare?
Perché proprio non riesco a venirne a capo.
Alastair chiuse il libro che stava leggendo e si affacciò
alla vetrata che dava sul grande parco esterno. Da che ricordasse, Evan
aveva sempre sistemato tutte le situazioni rimaste in sospeso prima
della loro partenza dalla Scozia. Chi diavolo poteva essere?
-Mi cogli di sorpresa: non mi viene in mente niente.- dovette ammettere. –Dammi del tempo per pensarci su.
-D’accordo, grazie.- mormorò.
-Non mi hai ancora detto dove vi siete trasferiti.- gli fece notare dopo un po’.
-Nel palazzo dove abita Andrew.- rivelò.
Al che Alst si fece perplesso. –Ma… mi avevi detto che
lì c’è un altro branco…- osservò,
confuso dalla notizia. C’era qualcosa che non quadrava.
-Infatti. Ho chiesto il permesso di insediarmi.- confermò con un
cenno del capo che il suo interlocutore, però, non vide.
–Il nostro ospite è un tipo particolare.
-E chi sarebbe?- chiese lo scozzese, facendosi sospettoso.
-Un membro della malavita russa… ricicla denaro per vivere.-
rispose con nonchalance Evan. Non gli interessava cosa facesse
Aleksandr per vivere, l’importante era che non gli creasse
problemi. Vivi e lascia vivere, soprattutto quando l’aiuto arriva
da fonti inaspettate. –Prima che tu possa iniziare a dirmi quanto
sia pericoloso e via dicendo, ti ricordo che sei stato tu a farmi da
precettore e quindi so cavarmela.- aggiunse, precedendo la sua predica.
-A quanto pare ti ho istruito anche troppo bene…- brontolò Alastair.
Van si concesse una mezza risata, prima di ricordarsi del vero motivo
per cui aveva chiamato. –Alst… devo chiederti una cosa.-
esordì con voce ferma.
L’altro si fece attento. –Dimmi.
-Come può un licantropo ucciderne un altro se non è
presente al momento dell’aggressione?- domandò. Da quando
Rogers gli aveva parlato dell’omicidio la sua mente aveva
iniziato ad elaborare le ipotesi più fantasiose, passando
dall’alibi perfettamente costruito a qualche maledizione. Nulla
sembrava avere un senso.
-Sei sicuro che non fosse presente?- indagò lo scozzese.
Van si alzò e balzò giù, prendendo a misurare a
grandi passi la terrazza. –Assolutamente certo. Ma i segni
d’artiglio lasciati sul corpo della vittima corrispondono a
quelli dell’indagato.- rispose.
-Mhm… i casi potrebbero essere tre: l’uomo sta mentendo e
ha veramente commesso l’omicidio; qualcuno ha raccolto i suoi
vecchi artigli oppure è coinvolto uno skinwalker.- elencò
dopo un po’ l’uomo.
-Uno skinwalker… credevo fossero solamente leggende!- fece
stupito. Aveva bellamente ignorato le altre opzioni perché stava
cercando di escludere la prima e la seconda necessitava giorni e giorni
di appostamento e il licantropo se ne sarebbe reso conto.
-Anche tu dovresti esserlo, invece eccoti qui, intento ad usare un cellulare.- lo prese in giro l’amico.
-Sì, ma è una leggenda persino tra di noi!- fece notare Evan, testardo.
-Durante il Medioevo ce n’erano diversi in Gran Bretagna e nel
resto dell’Europa e prima ancora erano molto diffusi. Poi sono
stati sterminati durante la caccia alle streghe, come parecchi di noi.-
spiegò. –Nell’Ottocento ce n’erano pochi
esemplari, ma nulla vieta ad uno di essi di trovarsi in America.
-Se si tratta veramente di questo… dovrò fare delle
ricerche.- mormorò, stupefatto. Mai avrebbe creduto ad una
possibilità del genere.
-Ne farò anche io, così potremo confrontare i risultati.- gli disse Alastair.
-Bene, grazie…- fece per aggiungere altro, ma ricevette un
avviso di chiamata. –Scusa un attimo.- disse, prima di
controllare chi fosse. Alla vista del nome sul display si
accigliò. –Alst, ho una chiamata in attesa e devo
assolutamente rispondere. Ci sentiamo tra qualche giorno, va bene?
Grazie per la chiacchierata.
-Va bene, Van. Non cacciarti nei guai, mi raccomando.- e con questo si congedò.
Evan smise di camminare e fissò per un istante lo schermo, prima
di prendere un respiro profondo e premere il tasto verde.
–Pronto.- disse solamente.
-MacGregor, lieto che tu abbia risposto.- la voce fortemente accentata di Aleksandr non gli fece presagire nulla di buono.
-C’è qualche problema?- domandò lo scozzese, cercando di rimanere sul chi vive.
-No… o meglio, credo di avere qui un membro del tuo branco.-
disse. Accigliato, Van buttò lì il nome di Emily.
–Esatto. Quindi è veramente con te?- domandò a quel
punto il russo.
-Sì, è con me. Era occupata in una missione.- spiegò brevemente. –Ha combinato qualche guaio?
-No, solo sconfinato senza permesso. Ovviamente, ora che so che
è un membro del tuo branco è tutto risolto.- lo
sentì sorridere, probabilmente divertito da tutta la faccenda o
da qualcosa che solo lui riusciva a cogliere.
Il suo tono di voce innervosì Evan, che però cercò
di non darlo a vedere. –Devo raggiungerti e garantire
personalmente per lei?- volle sapere.
Dall’altro capo ci fu silenzio per un po’.
–No… la mia piccolina ha controllato la sua versione della
storia. È pulita.- lo rassicurò.
-Bene, allora…- iniziò Van, ma l’altro lo interruppe.
-Se fossi in te andrei a recuperare il cucciolo oppure il padre potrebbe decidere di ucciderlo.- gli consigliò. -Spakòynay nòci*, Evan MacGregor.
Il giovane restò col telefono in mano, assolutamente confuso da
quella telefonata. Come mai Emily si trovava con Aleksandr? Li stava
per caso tenendo d’occhio o era stata lei a raggiungerlo, magari
per presentarsi ufficialmente?
Non gli restava altro che attendere il ritorno della lupa e l’avrebbe scoperto.
Aveva appena ricevuto un messaggio con le coordinate da
raggiungere e si era messa immediatamente a correre verso casa. La sua
nuova casa.
Fortunatamente era riuscita ad entrare nei territori dei russi sana e
salva, scampando per un pelo ai tirapiedi di Jared, che l’avevano
scoperta una volta ritornata sulla sponda di
Manhattan. Dato che conosceva bene le sentinelle che
le stavano dando la caccia era riuscita a mantenersi fuori portata per
gran parte dell’inseguimento, anche se ad un certo punto aveva
rischiato di rimanere bloccata nei tunnel della metropolitana.
Per pura fortuna (oppure no), uno dei lupi di Aleksandr
l’aveva individuata durante il suo giro di ronda e lei gli era
balzata addosso, dicendo di far parte del branco MacGregor.
L’uomo l’aveva fissata con confusione, ma poi l’aveva
portata dal suo Alfa.
Dopo una conversazione molto più simile ad un interrogatorio, il
licantropo aveva contattato Evan e poi l’aveva lasciata libera
d’andare.
Ora stava correndo lungo la St. Nicholas Terrace, diretta verso
Amsterdam Avenue. Non era molto lontana dalla destinazione, almeno a
quanto diceva il suo naso: stava seguendo l’odore del nipote di
Aleksandr, dopo che lui le aveva dato modo di annusarlo da un vecchio
cappotto del giovane.
Doveva sbrigarsi se voleva arrivare prima che la città
riprendesse i suoi soliti ritmi frenetici ed evitare che la vista di
una persona in grado di correre molto più veloce di qualsiasi
Bolt del mondo mandasse qualcuno fuori di testa.
Inspirò a fondo ed accelerò ulteriormente il ritmo della
corsa, scartando agilmente le poche persone in giro a quell’ora.
Dopo appena cinque minuti eccola davanti all’edificio che,
da in quel momento in avanti, avrebbe chiamato casa. Decelerò
con calma e sollevò il capo, cercando un modo per salire che non
la obbligasse a suonare il campanello e disturbare qualcuno.
Balzò in avanti, afferrando la scala antincendio. Si issò
con innata grazia e si mise a salire rapidamente gli scalini, conscia
del fatto che David ed Evan erano svegli e consapevoli del suo arrivo.
Quando raggiunse l’appartamento giusto scivolò rapidamente
sullo sbalzo di arrivo della scala e poi sgusciò
all’interno passando per la finestra aperta.
-Bentornata.- si sentì dire una volta dentro. I due lupi erano
in piedi l’uno accanto all’altro, illuminati dalla luce
soffusa di una piantana posta tra i due divani.
-Grazie…- mormorò, concedendosi finalmente un sospiro di
sollievo. Si guardò attorno con calma, assaporando
l’atmosfera accogliente che si respirava in quella parte della
casa. –E’ un bell’appartamento.- commentò.
Dave sorrise, lieto che qualcuno apprezzasse i suoi sforzi.
-E’ andato tutto bene?- domandò allora Evan. Emily si
tolse lentamente la giacca e poi si sedette sul davanzale della
finestra, esausta.
-Io sto bene, non hanno scoperto il mio nascondiglio. Ma Blake…
ho sentito alcuni lupi parlare e pare che Jared lo abbia rinchiuso in
una delle gabbie di contenimento e lo stia facendo digiunare.- disse,
stringendo con rabbia i pugni. La sola idea di quello che stava
passando il piccolo la mandava fuori di testa.
-Sta facendo patire la fame a suo figlio?! Emily, perdonami, ma
l’uomo che ti sei scelta è proprio un cretino!-
s’infervorò Dave.
A quelle parole lei abbassò lo sguardo. Evan fece per fulminare
l’amico, ma lei li precedette dicendo:-Non è il mio uomo.
-Cioè…? Ti hanno obbligata a stare con lui?- cercò di capire l’inglese.
L’americana scosse la testa. –Non proprio. Come vi ho detto
io sono la sostituta della precedente femmina Alfa.- spiegò.
–Si chiamava Evelyn. Era la mia gemella.
I due rimasero a fissarla ammutoliti mentre la notizia veniva elaborata
dai loro cervelli. Il primo a riprendersi fu Evan che mormorò le
proprie condoglianze.
-Grazie… ormai è quasi un anno che è mancata.- rivelò.
-Blake sa che non sei sua madre?
Annuì. –Sì, io e lei abbiamo due odori diversi. Però mi chiama comunque mamma.- spiegò.
-Nonostante quello che ci hai appena detto e nonostante il fatto che tu
abbia cercato di venderci al nemico, ti aiuteremo a riavere il
piccolo.- sentenziò Evan. –Ma poi dovrai lavorare per
riguadagnare la nostra fiducia.- le fece presente.
-Sì, lo so.- rispose lei, fissandolo dritto negli occhi. Non lo
stava facendo per sfidarlo, ma per mostrargli le sue buone intenzioni.
-Bene… domani ti presenteremo al nuovo membro del branco. Ora
puoi andare di sopra, la tua camera è l’ultima a
sinistra.- la congedò Van. Senza dire niente Emily fece un cenno
col capo e si allontanò.
La mattina arrivò anche troppo in fretta e Amanda
mancò addirittura il suo appuntamento giornaliero, ossia
un’oretta di corsa in uno dei parchi della zona.
Si svegliò un po’ stordita e con un principio di mal di
testa che non presagiva nulla di buono. Sbadigliando uscì da
sotto le lenzuola e si avviò in cucina, in tempo per veder
entrare Andrew, ancora più caracollante di lei.
-Oh, buongiorno… come stai? A me sembra di esser stata colpita
da un bus in piena faccia. Ieri sono successe troppe cose.-
brontolò la ragazza.
-Il mio era un autotreno.- commentò l’amico, scivolando a
sedere su uno degli sgabelli della cucina. –Mi serve della
Nutella…- aggiunse subito dopo, iniziando ad annusare
l’aria.
Mandy ridacchiò per quel suo comportamento lupino e
recuperò il vasetto dalla credenza. –Vuoi del caffè?
Drew scosse la testa. –No… non serve. Non ho lezione fino
al pomeriggio. Mi sono alzato presto perché non voglio essere
ripreso il primo giorno di scuola.- commentò, indicando col capo
il piano di sopra.
-Non credo che possa lamentarsi… in fondo i licantropi sono
creature notturne, no?- replicò lei, mettendo sul fornello la
macchinetta del caffè. Fatto ciò recuperò un
bauletto di pane bianco e lo mise al centro del ripiano della cucina
che, all’occasione, diventava tavolo della colazione.
-Comunque, Mandy, credo dovresti vestirti, sai?- le fece presente
Andrew, iniziando a spalmare la cioccolata su una fetta. Aveva sentito
dei rumori provenire dall’appartamento accanto e non voleva
succedesse qualcosa di imbarazzante.
La morettina gli lanciò un’occhiata, divertita.
–Drew, sai come sono fatta. Non ho problemi con te. E poi, anche
tu sei mezzo svestito.- gli fece notare.
-Sì, ma…
-Caffè!- la porta, lasciata accostata, si spalancò di
colpo, rivelando un alquanto esuberante Eric. Amanda per poco non
rovesciò la macchinetta nel tentativo di coprirsi con qualcosa.
–Oddio, mi dispiace!- esclamò il ragazzo, notando il suo
abbigliamento.
La giovane si spostò rapidamente, cercando di raggiungere la
camera da letto prima che arrivasse qualcun altro e la vedesse col suo
pigiama, ossia culottes e canotta di raso. Purtroppo, mentre si
rifugiava nel corridoio che portava alla zona notte, David ed Evan
entrarono nell’appartamento, richiamati dal trambusto.
Con un gemito strozzato, Mandy incespicò nel tappeto e si rinchiuse in camera, rossa in viso come un pomodoro maturo.
-Ehm… credo di aver visto qualcosa che non dovevo…- fece
David, perplesso. Evan non disse nulla, limitandosi a dare
un’occhiata in giro con fare indagatore. –Stavate facendo
colazione?- domandò poi l’inglese, notando la tavola
apparecchiata.
Andrew lanciò un’occhiata distratta verso la camera da letto e poi annuì. –Sì, volete favorire?
Mentre loro parlavano, Mandy indossò una maglietta ed un paio di
leggins in fretta e furia. Stava cercando in tutti i modi di
dimenticare la figuraccia che aveva appena fatto, ma quella continuava
a ripetersi in loop nella sua testa.
“Oddio! Cosa devo fare? Cosa devo dire?!”, pensò,
agitata oltre ogni dire. Fece un giro su se stessa e poi si
controllò allo specchio, giusto per vedere se aveva dimenticato
di indossare qualcosa.
Mentre si lambiccava sull’espressione da assumere, nella zona
giorno la cucina si stava animando. Andrew spostò le cose per la
colazione nel tavolo accanto alla finestra, in modo che potessero stare
più comodi e poi andò a spegnere la macchinetta, dando il
tempo al caffè di diffondere il proprio aroma nella stanza.
-Che cosa vi preparo? Il caffè va bene per tutti?- Drew stava
cercando di fare gli onori di casa meglio che poteva, nell’attesa
che Amanda tornasse e riprendesse in mano lo scettro.
-Vorrei tanto una colazione all’inglese.- sospirò David.
–Ma mi accontenterò di quello che c’è.
-Mi dispiace, non è particolarmente apprezzata dalla padrona di casa.- si scusò.
-Cosa non è molto apprezzata?- domandò Mandy, riemergendo in quel momento dalla sua isola di salvezza.
-David si chiedeva se fosse possibile avere una colazione all’inglese…- spiegò il ragazzo.
Al che lei fece una smorfia. –No, mi dispiace. Potrei rischiare
di rotolare giù per le scale se mangiassi una cosa del genere.-
commentò. –Però c’è tutto quello che
volete per farne una all’italiana: succo, croissant, cereali,
frutta… ah! Nutella e paste varie.- elencò.
-E da dove viene tutta questa roba?- domandò Eric, curioso.
Mandy arrossì. –Le ho fatte io… mi piace
cucinare…- mormorò, dirigendosi verso la cucina per tirar
fuori altre tazze e posate.
-Wow! Oltre ad avere un corpo da favola sai anche cucinare! Ti prego,
fammi tuo schiavo!- commentò il ragazzo, addentando un dolce
alla crema.
Tutti i presenti lo guardarono male, cercando di fargli capire che
doveva moderare le parole. Soprattutto perché la diretta
interessata era arrossita ancora di più, imbarazzata.
Ultimamente non faceva altro che arrossire e fare strafalcioni: suo
padre le avrebbe detto che assomigliava molto ad un puledro appena
nato, traballante e ancora inesperto del mondo.
Rendendosi conto della reazione che aveva scatenato, l’europeo si
scusò ed abbassò il capo dopo aver colto l’occhiata
di rimprovero del suo Alfa.
-Scusa l’intromissione. Abbiamo sentito Eric scendere le scale e volevamo fermarlo prima che combinasse guai.- disse Evan.
-Oh, non è un problema… cioè… sì, mi
avete vista mezza svestita, ma a parte quello… credevo che voi
licantropi dormiste fino a tardi…- farfugliò.
–Cioè… che non vi piacessero le mattine…-
tentò di correggersi, finendo per far ancora più
confusione.
-A me non piacciono proprio, le mattine. Ma stanotte sono riuscito a
finire una parte del mio lavoro, quindi stamattina sono particolarmente
di buon’umore.- rivelò David, versandosi un po’ di
cereali nella tazza.
Mandy ridacchiò, contagiata dalla sua allegria. L’inglese
le aveva fatto una buona impressione sin da subito, ma ora che lo
osservava ancor più da vicino si sentì in un certo qual
modo ravvivata dalla sua presenza. Non sapeva se fosse una sua
capacità personale o di derivazione soprannaturale, fatto sta
che le sarebbe piaciuto averlo intorno.
Eric, invece… stava mangiando con gusto il secondo
dolcetto, ma ogni tanto le lanciava delle occhiate maliziose.
Probabilmente stava sondando il terreno, ma non capiva se lo faceva per
provocarla o se fosse veramente fatto così. Sembrava uno
spaccone nel corpo di un bambino.
Evan, d’altro canto, rimaneva sempre sulle sue, sempre pronto a
reagire a qualsiasi possibile minaccia. Ponderava ogni cosa ed aveva
un’aura attorno a sé che tendeva ad allontanare le persone
o ad incutere loro soggezione.
Averli lì, tutti riuniti attorno ad una tavola imbandita
le stava dando modo di sbirciare nel loro mondo personale. Voleva
capirli e sopportare un po’ di imbarazzo era un giusto prezzo per
poter entrare a far parte di quella nuova, strana e ancora molto
precaria famiglia.
Lo scozzese sembrò rendersi conto dei suoi pensieri
perché smise di osservare i suoi lupi e puntò lo sguardo
nel suo. Quei suoi occhi cangianti avrebbero dovuto esser banditi
perché avevano un magnetismo tale da essere pericolosi.
Talmente pericolosi che Mandy non sentì la domanda che le era stata fatta. –Come…?
-Potrei avere una tazza di caffè nero, per favore?- ripetè lui.
-S-sì… arrivo.- disse lei, dirigendosi nuovamente verso
la cucina e riempiendo la macchinetta. Mentre aspettava che il
caffè salisse, si ricordò di aver un vassoio di muffin
salati a riposare nel forno. Li estrasse e li mise in un cestino. Poi
recuperò del burro e un po’ di marmellata e li
portò a tavola. –Questi sono muffin salati…
è l’unica cosa che possa ricordare la colazione
inglese… e quella scozzese.- disse, soffermandosi a guardare
prima Dave poi Evan.
Andrew sorrise da dietro la sua tazza e poi lanciò
un’occhiata agli altri. Il primo a servirsi fu proprio
l’inglese poi, con suo stupore, anche Van prese un assaggio.
L’espressione di Amanda fu impagabile e strappò un sorrisetto anche allo scozzese.
Mentre si godevano quella inaspettata colazione in compagnia, Emily
irruppe nell’appartamento come un furia, il telefono stretto tra
le mani. –Blake!- esclamò.
Tutti i presenti si voltarono, stupiti. –Cosa succede?- chiese il
capobranco, avendo percepito il battito accelerato del suo cuore.
-Jared… Jared è impazzito: ha detto che, se non mi
consegno entro oggi, ucciderà Blake!- spiegò, stringendo
febbrilmente il telefono in una mano.
I visi di tutti passarono dalla confusione ad una maschera di puro terrore.
*Dannazione, in gaelico
*Buonanotte, in russo
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