Il vento di Novembre
Dedico
questa mia One-Shot alla mia Professoressa di
Lettere, che per prima lo ha letto e mi ha
sostenuta, pur sapendo che al concorso non avrei
potuto portarla. Nella speranza che un giorno legga
e capisca quanto io l'abbia apprezzata per il
piccolo tempo che ha voluto dedicarmi. Grazie.
-Il Vento di Novembre-
Panta Rei. Tutto scorre. Tutto passa. Tutto
muore.
Il tempo scivola senza controllo, infidamente, lasciandoci
quasi senza fiato dalla velocità con cui esso ci travolge, ci
annega, ci fa sprofondare fino a quando non spiriamo.
Il tempo ci uccide lentamente, secondo dopo secondo, ogni
attimo di più, indissolubilmente.
Siamo condannati in partenza a subirne l'inesorabilità. Non
abbiamo scampo.
Respirai a fondo l'aria di Novembre.
Il cielo era chiarissimo e la luce dell'alba si spandeva, giocando
con le nuvolette candide e con i profili dei palazzi, e
accentuando il gelo del vento che mi sferzava il viso. Mi strinsi
nelle spalle e mi avviai verso la metropolitana. Ci mettevo
solitamente ben 20 minuti per raggiungerla, quando non faceva così
freddo.
Camminavo a testa bassa. Odiavo incrociare lo sguardo delle
persone sconosciute, gli occhi erano non solo lo specchio
dell'anima, ma di ogni pensiero ed emozione e non amavo affatto
aprirmi con gli sconosciuti in tal modo, anzi, con gli altri
in generale, era stupido. E doloroso. Tanto, tanto doloroso.
Né tanto meno io desideravo conoscerli, gli altri. Ogni
giorno già dovevo combattere con me stessa, non mi andava di avere
a che fare con conflitti anche esterni. L'umanità in generale era
un enorme guerra: interna all'umanità, contro altri esseri viventi
e con tutto ciò che esisteva, a prescindere che questo fosse o
meno vivo.
Evitai una buca e voltai sulla fine del marciapiede, aspettando il
semaforo verde. A volte immaginavo che ogni auto avesse una
propria personalità, una mente e che ne rispecchiassero i
proprietari, così quella mandria di automobili che mi stava
sfrecciando davanti diventava un'onda di vite e pensieri che ero
curiosa di conoscere e al contempo di tenere a distanza.
Velocemente la massa si esaurì e scattò il verde per i pedoni.
Con la coda dell'occhio percepii un movimento dietro di me, così
mi voltai di scatto ma vidi solamente il grigio muro della
palazzina alle mie spalle. Probabilmente me lo ero immaginato. Mi
rivoltai.
Stavo per attraversare quando un'auto svoltò all'improvviso, con
grande velocità e altrettanta enorme imprudenza, da una stradina
laterale e senza notare il semaforo rosso né la mia non troppo
delicata persona, risvegliandomi dallo stato semi-comatoso del
primo mattino.
Il mio cuore venne schiacciato, quasi dolorosamente da una forza
invisibile, forse la paura improvvisa. No, me lo stavo
immaginando.
In un attimo la mia mente reagì per me, il mio corpo si scansò
indietro, scivolò con la solita sbadataggine sul gradino del più
sicuro marciapiede e vi ci cadde di sedere, mentre l'auto aveva
inchiodato pochi metri più avanti lasciando le strisce degli
pneumatici.
Per un attimo mi parve di vedere -forse immaginandomi il peggio-
l'auto cappottata, e una figura a terra, ma immediatamente la
realtà tornò limpida, eliminando quel frutto della mia mente. Il
basso rombo del motore faceva da sfondo all'automobilista
sconcertato che ancora fissava davanti a sé, tra il terrorizzato e
lo shoccato. Anche io rimasi immobile, ancora con l'adrenalina che
mi teneva in costante tensione, pronta a scattare.
Nuovamente la mia mente mi giocò un brutto scherzo, facendomi
apparire due figure, una in nero e una a terra. L'adrenalina e lo
stress improvviso mi stavano davvero facendo vedere cose che non
esistevano.
«T-tutto bene?» chiese
tremante l'uomo.
Quell'unica, semplice domanda
mi mandò in crisi più di qualsiasi altra cosa, più
dell'incidente stesso. Forse perché non andava tutto bene anche
prima di quell'incidente. Forse perché con quell'interrogativo
sospeso tutto quello che era accaduto di lì a poco prendeva
consistenza.
Stavo bene? Stavo male?
Ero viva, giusto? Questo già
era buono. Ma forse nella somma complessiva di tutto quello che
era accaduto da due mesi a quella parte, no. Non stavo affatto
bene. Anzi, ero sul punto di crollare, ma per pura testardaggine
mi ero imposta di sorridere sempre e scuotere la testa dicendo “Tutto
alla grande!”. Così, ancora una volta lo feci. Mi alzai e,
dette quelle tre paroline, mi voltai e me ne andai. Più mi
allontanavo, maggiormente il mio passo aumentava trasformandosi
infine in una corsa senza meta. Ero completamente immersa in me
stessa e non mi accorsi dei passi che alle spalle andavano
perfettamente a ritmo coi miei e con essi risuonava la voce
dell'uomo che mi stava chiamando. Quando me ne accorsi ero in
una zona della città che nemmeno conoscevo, così, presa dal
panico mi bloccai. In quell'attimo l'uomo mi raggiunse e afferrò
il mio braccio destro. Più lo osservavo e con maggiore velocità
i suoi tratti cambiavano, si ringiovanivano ed infine l'uomo
dell'auto scomparve del tutto, lasciando il posto ad un giovane.
“Com'è possibile?” Mi chiesi, ma la mia mente non voleva
elaborare questa informazione, così semplicemente la cancellò.
Spaventata strattonai per
riavere la libertà, ma senza risultato.
«Per favore, smett...»
cominciò l'uomo, ma io, ormai nel panico più totale, avevo
cominciato a dimenarmi e a urlare, allora questo tentò di
tapparmi la bocca con una mano.
Continuava a tentare di
parlarmi, ma ormai non ero più in me, il terrore si era
impadronito della mia mente. Morsi la mano e tentai ancora di
sfuggire alla sua presa, ma questo mi cinse completamente con le
braccia e quasi mi sollevo da terra. Avevo la schiena contro al
suo petto, la bocca ancora una volta tappata e le gambe in aria.
«Grace! Grace, per piacere
smettila!» mi disse all'orecchio. Sentire pronunciato il mio
nome da quelle labbra sconosciute mi fece uno strano effetto,
tra il fascino, la curiosità e la paura. Smisi di urlare
e dimenarmi, come se mi avessero tolto la spina e semplicemente
sgranai gli occhi stupita. Dopo alcuni secondi fui libera e potei
porre la domanda che mi premeva nella mente.
«C-come sai il mio nome?!»
feci un passo indietro, assicurandomi un po' di distanza in caso
di fuga.
L'uomo sorrise in maniera
quasi inquietante «“Come”, mi chiedi?».
Si avvicinò di un passo, in
modo che mi fosse impossibile sfuggirgli. Non sapevo cosa stava
capitando, ma ero letteralmente terrorizzata. Mi aveva investita
e poi inseguita! Forse era un pazzo maniaco che mi aveva presa
di mira. La paura crebbe, facendo aumentare i battiti del mio
cuore.
Chi era? Cosa voleva?
«Non giriamoci attorno.» disse
col sorriso «Io sono colui che ti condurrà in un altro luogo»
La mia vena ironica avrebbe
volentieri risposto a tono, ma non mi parve il momento migliore
per fare battute.
«Cosa diavolo dici, brutto
megalomane?!» dissi ringhiando e usando la rabbia come scudo.
Mi si avvicinò in maniera
terrificante, affiancandosi al mio viso. Il suo soffio caldo
sfiorava il mio orecchio, le sue mani afferrarono i miei polsi,
legandoli in una morsa.
«Sono la morte.»
A volte accadono degli
imprevisti. A volte, mentre siamo troppo immersi in una
qualche azione, non ci accorgiamo che nel frattempo intorno a
noi il mondo sta cambiando, cambia continuamente.
A volte è solo una
questione di tempistica, di precisione, di fortuna. Ma su due
cose possiamo essere certi: lo scorrere del tempo, costante,
inesorabile, che muta ogni cosa ed ogni forma.
Il tempo è come l'acqua.
Arriva ovunque in un modo o nell'altro.
E la morte. Tutti muoiono.
Ogni giorno inventiamo storie su vampiri, esseri immortali,
mutanti, ma la semplice verità è che ognuno di noi è destinato
alla morte. L'unica cosa che ci impedisce di andare al
creatore è la fortuna. E la fortuna gira, è mutevole. La
fortuna è compagna del tempo, vien mutata da esso e insieme ad
esso. La fortuna a volte ci abbandona, lasciando il posto
all'oblio.
BIP...
...BIP...BIP...
«TU SEI PAZZO!» urlai,
disperata, cosa diavolo voleva quel tizio?! Era un folle!
Mi strinse i polsi
maggiormente.
«Non lo sono. Tu sei un
imprevisto invece. Non dovevi fuggire.» disse irritato, ma
ancora abbastanza calmo. Distese il volto e sorrise
amichevolmente, come il più invitante dei mieli, come il pazzo
più efferato.
...BIP...BIP...BIP...
...BIPBIP...
«Ti svelerò un segreto.» mi
sussurrò all'orecchio. Ero pietrificata nella strada buia e
deserta. Perché era così deserta?? Perché?! Non era normale! E
perché era così scuro il cielo?!
«Sono qui perché tu,» sorrise
mentre parlava. Sembrava provare un piacere malefico in ciò che
stava per dire. «sei morta.»
...BIPBIPBIP...
...
«Passatemi il
defibrillatore! Presto!»
No! NO! Quel ragazzo
stava delirando!
«VA' AL DIAVOLO!» strillai a
pieni polmoni.
Non sembrò scomporsi
minimamente, ma, al contrario, il suo sorriso aumentò,
trasformandosi man mano in una risata. Una donna passò dietro di
noi. Era la mia unica speranza per liberarmi da quel maniaco.
Urlai, urlai con tutto il fiato che possedevo che mi aiutasse,
che mi liberasse, ma questa procedette senza scomporsi,
ignorandomi.
“O non ti sente.” La
mia coscienza parlò per me.
Non poteva essere. Quindi quei
flash...erano...reali. Quindi, quella che credevo fosse la
realtà...era un'allucinazione che la mia mente aveva creato non
accettando il fatto? Quindi io ero...
«Uno...due...tre...carica!»
Contatto.
ZUN!
Calde lacrime cominciarono a
scendermi sul viso, per la consapevolezza e per il desiderio di
svegliarmi nel mio letto. Caddi a terra sulle ginocchia, ancora
coi polsi fra le sue mani. Mi liberò nuovamente, chinandosi a
terra davanti a me.
«Non piangere piccola, non
piangere.»
...BIP...
Non avevo nemmeno più il fiato
per rispondere male, per dire qualsiasi cosa, per ribellarmi. Ma
no, non potevo arrendermi! Mi alzai di scatto e corsi indietro,
veloce come più potevo, per raggiungere il punto dove era
avvenuto l'incidente. Doveva essere tutto uno scherzo!
«Uno...due...tre...carica!»
Contatto.
ZUN!
L'uomo mi rincorse, urlando di
fermarmi. «NON FARLO! TI PREGO!» urlò.
Non potevo ascoltarlo! Corsi a
perdifiato, corsi per non far spegnere quell'ultima mia
speranza.
Mi stavo avvicinando e un
odore di olio bruciato mi invase le narici, Come era possibile?
Era l'automobile? Ma no, non si era fatta nemmeno un graffio
quando me ne ero andata!
Svoltai l'angolo e vidi
ambulanze, carabinieri e un'auto dei vigili del fuoco. A terra,
poco lontano dalla mia posizione, coperto di ematomi, c'era un
corpo di un uomo sconosciuto. Mi avvicinai e mi chinai su di
lui. Era l'automobilista che mi aveva uccisa.
«Uno...due...tre...carica!»
Contatto.
ZUN!
All'improvviso spalancò gli
occhi e si rialzò. O meglio, il suo corpo era rimasto a terra,
ma la sua -come definirla?- anima era in piedi, davanti a
me. Ci osservò un attimo, allucinato. Fissò il corpo a terra
come se non gli importasse nulla e poi rivolse il suo sguardo
all'orizzonte, dove stava sorgendo il sole proprio in quel
momento. Si voltò e proseguì sparendo nel nulla, diretto verso
un altro luogo.
...BIP...
Gli uomini davanti all'auto
capovolta, che non avevo notato si mossero frenetici, andavano e
tornavano dall'ambulanza, urlando.
«Grace.» mi chiamò piano il
ragazzo, che ormai mi aveva raggiunta. «Andiamo via, dai.»
sussurrò piano, ma questa volta con una dolcezza che prima non
possedeva, come se mi conoscesse da sempre.
«N-no...io...io voglio vedere.
Devo.» sussurrai in risposta.
...BIP...
...
«Non possiamo muoverla!»
urlò con foga uno dei paramedici, quasi al limite della
disperazione «dobbiamo continuare a...» afferrò ancora
il defibrillatore.
Un altro, bruno, lo prese per
le spalle, scuotendolo. «È morta Andrew! È MORTA!»
«NON POSSIAMO MOLLARE! È
COSÌ GIOVANE!» rispose l'altro, ancora più disperato.
«Lasciala andare, ormai è
già morta.» disse ancora con più calma il bruno.
L'uomo piegò le spalle sotto
al peso della realtà.
«Era così giovane...»
sussurrò ancora, prima di alzarsi e di segnare l'ora del decesso
del corpo a lui sconosciuto.
I paramedici si spostarono e
finalmente vidi la persona piena di lividi e il cui corpo era
posizionato in una strana maniera. Mi portai le mani al viso. Ero
io.
Una mano si posò sulla mia
spalla morta.
«Vieni con me. Mi prenderò io
cura si te, piccola.» sussurrò ancora. E io, debolmente, lo
seguì, speranzosa di trovare forse la pace.
Tutto accade per una
ragione. Ogni filo si muove, si intreccia ad altri, si lega,
se ne allontana. Alcuni fili vengono tagliati, altri formano
un collegamento, in un movimento continuo, in un incessante
intreccio di fili, in un incessante intreccio di vite.
Il paramedico osservò lo
zaino, scaraventato lontano dal fragile corpo morto di quella
ragazzina. Si avvicinò e lo prese.
Non sapeva perché era andato
fino a lì, perché si era offerto di avvisare la famiglia della
ragazza di persona, né perché stava riportando loro quello zaino
non troppo pieno, ma lo aveva fatto, Non era riuscito a
salvarla, ma almeno poteva accollarsi l'onere di dirlo loro.
Suonò e attese.
Ad aprire fu una ragazza,
all'incirca della sua età, che, appena lo vide con la divisa da
paramedico e lo zainetto della sorella, sbiancò. Non poté non
esserne immediatamente affascinato.
«C-cosa è accaduto?»
L'uomo non ce la fece più e
una solitaria lacrima solcò il suo viso.«M-mi spiace...non sono
riuscito a salvarla.»
La donna cadde, travolta da
una consapevolezza troppo pesante.
Subito il giovane tentò di
frenarle la fragorosa caduta, stringendola al petto mentre le
lacrime sgorgavano copiose dagli occhi verde della ragazza.
«Non pianga,» disse
accarezzandole i capelli «Anche il dolore si attenuerà. Ci sono
qua io.»
E le cinse le spalle, con
tutto il supporto che avrebbe potuto mai darle, ripromettendosi
che mai, mai, mai, l'avrebbe lasciata sola, quella sconosciuta
tra le proprie braccia.
Tutto cambia, tutto muta.
Ciò portava dolore, può creare amore, può far trovare due
anime destinate a stare insieme. Ogni cosa si muove, in un
incessante scorrere di vite.
Non è difficile vederlo.
Dimmi, tu lo vedi? Vedi quella sfera di luce, nell'ombra.
Io oramai, sono cieca, ma tu ancora puoi farlo, puoi
vederle.
Seguile e corrici incontro. Non fermarti, mai!
Perché nel nero vi risiedono i demoni!
Corri tu che puoi, tu che vedi e lascia andare coloro che
non possono più essere salvati. Vivi e lascia morire.
Lasciami qui, che oramai i demoni mi amano come una loro
figlia, lasciami a morire, questo è il mio desiderio.
Lasciami andare.
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