There's
No Life Without Love
Cap.
1: The Beginning
Elizabeth
posò le mani sulla fredda pietra del Pensatoio. Aveva
iniziato il
trattamento qualche anno prima, quando le esperienze del suo passato
avevano iniziato ad avere effetti deleteri sulla sua vita presente.
Non
era stata l'unica, in quegli anni, a richiedere le attenzioni degli
psicologi del San Mungo, così erano stati sviluppati dei
piani di
cura alternativi, che richiedevano l'uso del Pensatoio. Nel suo caso,
le cure avevano avuto effetto, nonostante tutto. Così, ormai
per la
maggior parte del tempo, il Pensatoio veniva riposto in un angolo del
solaio, quasi dimenticato.
Qualcun
altro avrebbe cercato di sbarazzarsi dell'oggetto, una volta esaurito
il suo utilizzo. Elizabeth conosceva un sacco di persone che
l'avevano fatto, ma i medici lo sconsigliavano, e lei non voleva
farlo.
Almeno
una volta all'anno, Elizabeth voleva ricordare. Ora che rivivere quei
momenti non le faceva più così male, lei voleva
che restassero
impressi nella sua mente. Così, in quel momento di quel
giorno,
la giovane si trovava davanti a quel bacino colmo di materia
argentea, pieno di quei ricordi che, dal più felice al
più
traumatico, l'avevano aiutata a tornare a vivere. Si trattava di un
modello particolare di Pensatoio: mentre normalmente l'unica cosa
permessa era di osservare i ricordi da un punto di vista esterno,
quell'esemplare, assieme ad altri che erano stati prodotti negli
anni, permetteva di rivivere i propri ricordi in prima persona e con
la coscienza del momento, pur conservando ogni sensazione provata
anche una volta tornati alla realtà. E quello era
esattamente ciò
che la giovane donna voleva fare.
Elizabeth
fece un bel respiro, ed immerse la testa nel liquido. Subito
sentì
la familiare sensazione di instabilità, come se stesse per
cadere....
*
-
Mamma, perché devo andare a giocare con quelle bambine? -
domandò
la piccola Elizabeth, mentre sua madre le faceva la treccia.
-
Perché adesso sono le nostre vicine di casa, tesoro -
rispose la
donna, prendendo un nastro rosa per capelli da un cofanetto. - Sono
di buona famiglia, e tu sei una piccola Selwyn. È ora che tu
faccia
davvero amicizia con loro, dato che a Settembre le rivedrai a scuola.
Sicuramente tu e Astoria sarete compagne di stanza. Daphne vi
avrà
già raccontato un sacco di cose, immagino!
Per
una giovane purosangue c'era poco di che essere sorpresa, ad
Hogwarts. Tutto ciò che Daphne aveva fatto fino a quel
momento era
stato parlare di quanto tutti i suoi amici di scuola fossero ricchi,
e lamentarsi di qualche occasionale incontro con qualcuno il cui
sangue non fosse completamente puro.
Elizabeth
sapeva che la sua famiglia incoraggiava quel modo di pensare, ma lei
non era ancora sicura del perché. In fin dei conti, il
bersaglio
preferito delle battute di Daphne, tale Hermione Granger, era
mezzosangue, ma ciò non le aveva impedito (con grande
irritazione
della Greengrass) di prendere voti più alti dei suoi.
-
Sono antipatiche - disse Elizabeth.
-
Devi solo imparare a conoscerle. Prendi come esempio tuo fratello.
Edgar.
La persona che, da quando era tornata a casa per le vacanze, non
aveva più trovato un momento per stare con lei, tutto preso
dai suoi
nuovi amici.
Sua
madre la fece voltare, e la guardò negli occhi. - Devi solo
avere un
po' di pazienza, tesoro - disse, poi le diede un bacio sulla fronte e
la invitò ad andare.
Non
appena chiuse la porta principale, il sole del sud della Francia le
baciò la pelle. Quello era il primo anno che trascorrevano
le
vacanze lì, e da quando i Greengrass, i Malfoy e i Nott
avevano
deciso di passare l'estate nello stesso loro paesino magico, per sua
madre ogni occasione era buona per un tè tutti assieme.
Elizabeth
lisciò il vestito verde che sua madre le aveva fatto
indossare.
Aveva detto che faceva risaltare i suoi occhi blu, per quello l'aveva
scelto. Attraversò il cortile per raggiungere le sorelle
Greengrass.
Si trattava di un giardino che si affacciava su tre case: la casa dei
Greengrass, la casa della sua famiglia ed infine, la casa di una
famiglia che ancora non avevano avuto l'opportunità di
incontrare.
Daphne
e Astoria stavano chiacchierando su una panchina. O, per meglio dire,
Daphne parlava senza fermarsi, mentre la sorellina la osservava con
curiosità. Di sicuro non si poteva dire che Daphne fosse
timida,
dato che faceva così con chiunque.
-
Ciao – disse Elizabeth, quando fu vicina alle altre due
bambine.
-
Oh, ciao, Elizabeth – fece Daphne, interrompendo per un
attimo il
suo monologo. - Stavo giusto descrivendo ad Astoria il nostro
dormitorio. Dicevo... i letti sono stupendi, davvero. Le lenzuola
sono verdi, naturalmente, e i cuscini sono più comodi di
quelli di
casa. Per questo ho chiesto a papà di farli cambiare. Non
voglio
certo tornare a casa e farmi venire il torcicollo!
Elizabeth
quasi smise di ascoltarla. Sapeva bene che sia i Selwyn che i
Greengrass erano famiglie privilegiate che potevano permettersi i
cuscini migliori del mondo, ma non le sembrava il caso di farne una
questione di stato. Lei era soddisfatta di quello che aveva.
Guardò
davanti a sé, e vide quasi subito qualcosa, o, meglio,
qualcuno, che
attirò la sua attenzione.
Si
trattava di un ragazzino, seduto davanti ad un tavolino di pietra,
che leggeva, da solo. Elizabeth cercò di capire che cosa
stesse
leggendo, ma era troppo lontano.
Probabilmente
abita nell'altra casa.
Dei
passi interruppero il discorso di Daphne, ed Elizabeth si
voltò. Si
trattava di suo fratello.
-
Stiamo giocando a SparaSchiocco, in casa. Volete unirvi a noi? -
disse.
-
Va bene – rispose Daphne, alzandosi. La sorella si
limitò ad
annuire, e a seguirla.
-
Io arrivo tra poco, voi iniziate ad andare – disse Elizabeth.
Il
ragazzino che leggeva l'aveva incuriosita, e voleva conoscerlo.
Elizabeth
aspettò che gli altri fossero rientrati in casa, poi si
incamminò
verso il ragazzo.
-
Ciao – disse, sedendosi davanti a lui. Gli occhi del ragazzo
erano
blu, proprio come i suoi.
-
B-bonjour! - fece lui, mettendo giù il
libro di scatto.
Oh,
è francese.
-
Comment tu t'appelles? - disse
Elizabeth, ricorrendo ad una delle poche frasi di francese che
conosceva.
-
Mi chiamo Julian – rispose lui – e parlo anche
inglese.
La
ragazza sorrise. Lui aveva un accento simpatico.
-
Io mi chiamo Elizabeth, piacere – disse lei, porgendogli la
mano.
Il ragazzino la strinse.
-
Cosa stai leggendo? - continuò.
Julian
sollevò il libro, facendole vedere la copertina.
“Il
mago dei numeri”, di Hans Magnus Enzensberger.
-
È un libro babbano – spiegò. - Me l'ha
regalato mio padre. Parla
di matematica.
-
Oh, sembra molto interessante – disse lei, e non stava
fingendo. Da
piccola aveva ricevuto, come tutti i piccoli maghi della sua
età, le
nozioni di base. I numeri l'avevano sempre affascinata, ma essendo la
matematica una disciplina strettamente babbana, i suoi genitori le
avevano proibito di coltivare questo suo interesse. E lì,
davanti a
lei, c'era un giovane mago a cui, invece, questo non era stato
impedito.
Continuarono
a parlare, ed Elizabeth notò che Julian era un ragazzo molto
diverso
da quelli attorno a cui era cresciuta: suo padre era un astrofisico
babbano (Julian, stupito, dovette spiegarle cosa un astrofisico
fosse, perché in quasi dodici anni di vita Elizabeth non
aveva mai
sentito quella parola), mentre sua madre era una Guaritrice che
lavorava nell'ospedale magico di Nizza. Parlare con lui era molto
diverso che parlare con le sorelle Greengrass, o con chiunque altro
lei avesse mai conosciuto: nonostante potesse capire che anche la
famiglia di Julian fosse messa bene economicamente, i beni materiali
sembravano essere l'ultimo dei suoi pensieri. Aveva anche un certo
interesse per i libri, sia magici che babbani, e l'appartenenza ad
entrambi i mondi gli dava più possibilità sia in
termini di
conoscenza che in termini di divertimento. Infatti, fu con
un'espressione divertita che lui si alzò, e le fece cenno di
seguirlo.
-
Sei sicuro che non ci faremo male? - chiese Elizabeth, mentre si
arrampicava sui rami. Non l'aveva mai fatto in vita sua, e la cosa
era evidente: Julian era più avanti, e lei cercava
(abbastanza
inutilmente) di non sporcarsi il vestito e di non impigliarsi da
nessuna parte.
-
Tranquilla, non saremo molto vicini alle api. Specialmente se hai
paura – rispose lui, fermandosi. Evidentemente era arrivato
nel
punto giusto.
-
Intendevo per l'altezza – disse Elizabeth, cercando di
arrampicarsi
più in fretta.
Finalmente,
giunse anche lei al punto raggiunto da Julian. Il ragazzo
indicò
qualcosa davanti a lei. Era giallo, anche se poco della sua
superficie era allo scoperto, dato che era quasi completamente
circondato da api.
Ma
certo, un nido!
Julian
le spiegò varie cose, mentre lei, tutta orecchi, cercava di
non
mettere un piede in fallo e cadere. Si mise a parlare di api, della
loro organizzazione, dei loro ruoli e della struttura del loro nido.
Elizabeth lo ascoltava, affascinata, domandandosi quante altre cose
non conoscesse del mondo che anche lei abitava.
-
Non vi hanno mai spiegato tutte queste cose, a scuola? - le chiese
lui.
Elizabeth
scosse la testa. - I miei genitori mi hanno insegnato le conoscenze
base. La mia famiglia è purosangue, sarebbe una tragedia se
frequentassi una scuola babbana.
L'espressione
di Julian si rabbuiò, come se fosse davvero triste per lei.
- Mi
dispiace – disse. - Ma se vuoi, finché saremo qui,
potrò
insegnarti io qualcosa!
Elizabeth
sorrise, entusiasta. - Va bene!
Ben
presto il sole cominciò a tramontare, e arrivò il
momento di
tornare a casa. Sicuramente tutti si stavano chiedendo dove fosse
finita, e lei non avrebbe avuto troppe scuse da tirare fuori,
specialmente viste le condizioni del suo vestito.
-
Mamma non sarà contenta – disse, indicando uno
strappo nel tessuto
verde.
-
Scusa – fece Julian.
-
Non importa, mi sono divertita un sacco.
-
Oh, tieni questo – disse lui, porgendole il libro. - Credo
che
potrebbe piacerti.
Elizabeth
lo ringraziò, prima di rientrare in casa. Riuscì
a sgattaiolare in
camera sua per nascondere il libro (non osava immaginare cosa avrebbe
detto suo padre se l'avesse beccata con un libro babbano tra le
mani), ma per il vestito c'era poco da fare.
-
Dove sei stata? I tuoi amici ti hanno aspettato per ore –
disse suo
padre, seduto a capotavola, non appena la vide entrare in sala da
pranzo. Sua madre osservò il vestito strappato con aria di
rimprovero, ma non importava: se solo avesse voluto, avrebbe potuto
fargliene confezionare uno identico in uno schiocco di dita.
-
Io... beh... - fece Elizabeth, titubante. Una cosa era certa: mai
avrebbe tirato fuori il nome di Julian, perché i suoi
genitori le
avrebbero impedito di vederlo per il resto dell'estate.
-
Non stavi facendo qualche gioco da Babbani, vero? - disse suo padre,
alzando la voce.
Elizabeth
strinse gli occhi. Suo padre le faceva davvero paura, quando usava
quel tono minaccioso. - Io... ecco... ho provato ad arrampicarmi su
un albero. Volevo vedere le api. Sono interessanti.
Sono
caduta, avrebbe
potuto dire.
Sono inciampata, e sono finita in un cespuglio. Invece
no, doveva proprio sputare fuori la verità. Che stupida.
La
reazione di suo padre non si fece attendere. Si alzò in
piedi,
posando le mani sul tavolo.
-
Ti sei arrampicata su un albero? - urlò, furioso. - Credi
che ti
abbiamo educata per diventare così, come la peggiore delle
ragazzine
babbane? Dodici anni di insegnamenti, e guarda un po' che cosa ne
è
uscito!
L'uomo
si spostò dal tavolo, dirigendosi verso di lei.
A
quel punto, Elizabeth stava per scoppiare a piangere per la paura.
Non poteva dire che suo padre picchiasse spesso lei e suo fratello:
la maggior parte del tempo, li viziava come se fossero stati i figli
migliori del mondo. Tuttavia, quando si arrabbiava particolarmente
tendeva a dare qualche sculaccione, cosa che, naturalmente, non le
piaceva per nulla.
L'uomo
fu bloccato dalla mano della moglie sul suo braccio.
-
Edward, basta – disse lei. - Adesso, Elizabeth, prometti che
non lo
farai mai più, così chiudiamo la faccenda.
-
Promesso – disse. Suo padre tornò a posto,
visibilmente più
calmo.
Sua
madre le sorrise. - Tesoro, ora siediti qui e mangia.
Cenarono
in silenzio, ed Elizabeth cercò di fare più
veloce che poté: non
vedeva l'ora di tornare in camera sua. Quando, finalmente, ci
riuscì,
chiuse la porta dietro di sé e si buttò sul
letto, prendendo poi il
libro dal cassetto del comodino in cui l'aveva riposto.
Sorrise,
stringendoselo al petto. Forse, per la prima volta da quando era
arrivata in quel luogo, aveva trovato un amico.
*
La
giovane donna si tirò su. Il ricordo era finito e, come ogni
volta
in cui lo riviveva, stava sorridendo. Quell'incontro e quel libro le
avevano cambiato la vita, ed era certa che, se non fosse stato per
gli avvenimenti di quell'estate, in quel momento non si sarebbe di
certo trovata lì.
Ricordò
con nostalgia le nottate passate a leggere quel libro, e la sua
curiosità che aumentava ad ogni pagina. Ricordò i
pomeriggi
trascorsi con Julian a chiacchierare, magari bevendo una cioccolata
nella grande biblioteca di casa sua. Era stato triste dover tornare
in Inghilterra per l'inizio della scuola, ma lui le aveva promesso
che le avrebbe scritto durante l'anno, e così era stato.
Ora,
però, era il momento di passare ad un altro ricordo.
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