Scoppietta
il
fuoco nel camino, fuori è gelo e buio, la neve cade in
morbidi fiocchi, non un
rumore disturba il suo posarsi lieve. Dentro la stanza è
illuminata dal tenue
bagliore delle fiamme e loro se ne stanno l’una di fronte
all’altra godendo del
silenzio e della reciproca compagnia. E’ singolare quanto
siano simili, il
colore dei capelli è il medesimo, la figura quasi gemella,
gli occhi entrambi
chiari, sebbene nessun legame di sangue le unisca.
Solo
ad un
esame più attento si potrebbe scoprire che lo sguardo verde
dell’una si
specchia in quello grigio dell’altra, che uno dei due
profili, entrambi
cesellati, è vivacizzato da una fossetta sul mento. Notevole
invece è la
difformità delle bionde chiome: una è essenziale,
corta, aerodinamica
la definirebbe
la sua stessa proprietaria, al di là del ciuffo scomposto,
che consente agli
sguardi di spaziare liberi sull’avvenenza del suo volto. Per
contro l’altra è
folta, ricorda un intrico di mangrovie, dove la luce penetra a sprazzi,
e le cade
sulle ossute spalle in ciocche sfrangiate e strinate dal sole.
In
mezzo a
loro un narghilè e di tanto in tanto ne aspirano una
voluttuosa boccata che
riempie l’aria d’aromi fruttati.
Una
ha
distese le longilinee gambe davanti a sé, come un impacciato
puledro dalle
zampe troppo lunghe, l’altra preferisce tenerle incrociate e
i suoi occhi sono
chiusi. A differenza della sua vicina che li tiene ben aperti invece,
come se
ancora non riuscisse a saziarsi della presenza di colei che le sta
davanti.
E’
singolare
il loro rapporto, un legame che nulla chiede, apparentemente
sfilacciato e
condizionato dalla distanza. Eppure è come se non si fossero
mai separate,
quantunque la bambina nel frattempo sia diventata assai diversa dalla
proiezione della sua mentore, e la ragazza d’un tempo si sia
spinta molto più
in là di quanti potrebbero azzardare in una vita intera.
Essenzialmente
comunque restano sempre le stesse e quanto di comune avevano
c’è ancora. In una
forse l’amore l’ha un po’ addomesticato,
mentre nell’altra è sempre vivido.
“Sai
una
cosa?” Chiede all’improvviso la più
giovane, come se le fosse venuto in mente
solo in quel momento. “Non mi hai mai raccontato niente della
tua vita prima che
c’incontrassimo.”
“Non
me l’hai
mai chiesto.”
Tranquillamente
l’interpellata lascia intravedere il suo sguardo cinereo
posandole gli occhi
addosso con affetto.
“Suppongo
che
sia perché per me sei sempre stata compiuta.
Davvero non sarei stata in grado d’immaginarmi un passato per
te, di vederti
diversa da quel che eri. E poi ero una mocciosa con ben altre
priorità!”
Ridono
insieme, quantunque l’ilarità di una sia venata
dal timore di venir considerata
po’ meno dall’altra alla luce delle scelte borghesi
che ultimamente ha fatto.
Non ne hanno mai parlato, supinamente le ha accettate senza esprimersi
in
merito, senza darle alcun segno di biasimo. Ciò non toglie
che così potrebbe
essere, per questo ora, tutto ad un tratto, le si è
risvegliato il desiderio di
sapere riguardo a quel che ha sempre ignorato.
“Ti
va
d’illuminarmi?”
“Certo,
ma
devi scegliere. Posso liquidarla con due parole, o metterci tutto il
tempo di
cui ha bisogno.”
“Non
sei mai
stata un tipo loquace, immagino quindi che se tu ti debba dilungare, un
motivo
ci sia.”
“Come
in tutto.”
Risponde pacata accarezzandola con un prolungato sguardo. Quanto sono
simili, eppure,
allo stesso tempo, assolutamente dissonanti.
“Voglio
raccontartelo per bene sì. Principalmente per darti modo di
assimilare quel che
sentirai. Ti apparirò così diversa, talmente
lontana dalla persona che conosci,
che vedrai, avrai bisogno di tutta la tua lucidità per
capire.“
“Avanti
Sid,
mi hai sempre lasciato pensare con la mia testa, perché
stavolta dovrebbe
essere altrimenti?”
“Giusto,
perché?” Chiede sorridendole di rimando. Prende
una prolungata boccata e pare,
ispirando il fumo e saturandone l’aria attorno a loro, che da
quella nebbia si
possano schiudere le porte del passato. E infine comincia.
“Avevo
tutto
e a molto altro avrei potuto aspirare ancora, sarebbe
bastato un cenno e la mia vita sarebbe
potuta essere completamente diversa… ma io scelsi di non
scegliere, ed è qui
che inizia la mia storia.”
Preludio
Era un Martedì
d’inizio Settembre, una giornata alquanto atipica per la
verità, poiché, volendo speculare sul calendario,
avrebbe dovuto far caldo,
tuttavia l’aria non era affatto estiva.
La città era avvolta
da una cappa insolita ed era spazzata da una brezza
fredda che stava incrementando la forza del mare e creando, laddove
fino a poco
prima c’era stata l’immota distesa sabbiosa, tanti
piccoli mulinelli, che
vorticando senza posa, avevano praticamente costretto alla fuga gli
ultimi coraggiosi bagnanti.
Statici invece apparivano gli
animali, i quali, nel loro
istinto primordiale, erano come bloccati, quasi immobilizzati
in una morsa, timorosi persino di respirare.
Tant’è che persino l’usuale
concerto pomeridiano
del frinire dei
grilli aveva subito un’improvvisa battuta, per poi arrestarsi
del tutto.
Qua e là,
persistente, ancora s’udiva l’occasionale
vociare dei turisti che normalmente in questo periodo affollavano il
litorale,
ma nel giro di pochi minuti l’incipiente mutare del bel tempo
aveva spinto
anche questi ultimi a riparare al coperto.
Finanche gli onnipresenti
piccioni erano svaniti nel nulla,
normalmente volavano tutt’intorno, raggruppandosi nelle
piazze o sulle guglie
della cattedrale, ma oggi no. Se ne stavano rintanati nei propri
cantucci in
attesa che il cielo sempre più
plumbeo cedesse nuovamente posto al sole.
C’era
un’aria come d’un indistinta minaccia, come se
un predatore avesse preso a volteggiare nell’etere
sovrastante, come se la
cittadina stessa fosse
stata
afferrata da due
possenti mani nere.
Poi, prima che l’acquazzone estivo scaricasse la tensione elettrostatica e
rasserenasse uomini
e animali, il vento rinforzò ulteriormente la sua sferza,
quasi che non volesse
concedere alcuna tregua, neppure momentanea.
Non era una semplice corrente
d’aria fredda e non
raggelava esclusivamente il corpo, ghiacciava penetrando, strato dopo
strato, fino a giungere in fondo, giù, alla fonte
delle emozioni, dando una netta
sensazione svuotamento e provocando una gran voglia di
piangere.
Sulla stessa rotta percorsa da
quel vento viaggiava
un aereo della compagnia di bandiera tedesca e, man a mano che si
avvicinava al
suo obiettivo, risentiva degli sbalzi
che quelle forti correnti d’aria provocavano sulla fusoliera.
A bordo, mescolata tra
gli altri passeggeri, ma inconfondibile anche per
chi l’avesse vista
una sola volta,
c’era una bionda adolescente,
la quale non prestava molta attenzione a ciò che la
circondava. Neppure i
frequenti vuoti d’aria che l’aereo subiva
riuscivano a scuotere
la sua aria pensosa, concentrata
com’era nel ricordo dell’ultimo scambio di opinioni
avute, tra le tante prima
della sua frettolosa partenza, con sua madre.
Le erano state rivolte frasi
sentite, ma che di
amorevole non avevano affatto traccia. Senza dubbio la sua
interlocutrice era
una retore eccellente, soprattutto quando si trattava di formulare
parole dure,
di congedo e di condanna, senza contare che quella non era neppure la
prima
volta che le declamava una filippica di
tal fatta.
Ad ogni modo aveva ascoltato
tutto e non aveva
battuto ciglio, neanche
quando infine sua
madre aveva concluso amara:
“Va pure Alexandra, la
totale indipendenza era
l’unica cosa che non avevi ancora provato. Mi pare chiaro,
ovviamente, che se fosse
dipeso solo da me, da qui non ti saresti
mai mossa.”
Sarah era furente,
l’aria serafica di sua figlia
aveva il potere di stizzirla oltre ogni immaginazione e lei, nemmeno
per un
minuto, era stata tentata di chiedersi il
perché del suo agire sconsiderato.
La guardò a lungo combattuta, ma
com’era possibile? Una ragazza così
bella, dotata d’un intelligenza acuta, perché
quella crisi di rigetto verso
quanto, per nascita e meriti, le spettava di diritto?
Non era una semplice rivolta
adolescenziale quella,
ne era certa e, a lasciar sedimentare quell’enzima
pericoloso, la situazione,
da arginabile che era, sarebbe diventata insostenibile. Pure il decano
della
famiglia, all’ennesimo disastro combinato da quella ribelle,
aveva in tal senso
sentenziato. Doveva partire e i suoi timori materni potevano pure
andare a
farsi benedire, ché la parola del Conte era legge e
Alexandra obbediva solo a
quella.
Sospirò rassegnata,
con la mente invasa da foschi
presagi e riprese, nella speranza che il suo velato monito sortisse
qualche
effetto.
“Comunque sia, anche
se sono certa che non mi credi,
mi auguro che almeno stavolta ti riesca di trovare un
barlume di normalità. Nei limiti dei tuoi
difetti, s’intende. Del resto il sangue di tuo padre scorre
dentro di te, e
solo se riuscirai a sopprimerlo potresti farcela.”
Anche innanzi a
quest’ultima sortita non aveva
raccolto la provocazione e, fissando deliberatamente
colei la quale l’aveva tenuta, un tempo ormai
immemore, nel suo caldo grembo, ancora una volta si ritrovò
a chiedersi perché
mai non riuscissero a capirsi. Tra
di loro
non c’era comunione, di
nessun tipo, come se neppure fossero carne della stessa carne. La cosa
l’aveva
sempre ferita, ma era inutile indugiarci ancora, soprattutto alla luce
di
quanto stava per andare a fare. Ché solo allontanandosi da
lei, e da tutto
quanto rappresentava, avrebbe potuto finalmente uscire dal bozzolo
opprimente
nel quale si sentiva ingabbiata. Quindi, perché non fingere
di dar poco peso
alle sue esortazioni? E dunque, ad ostentazione della sua noncuranza,
le rispose
con aria annoiata.
“E’ una
questione di punti di vista mater.
E quelli che ritieni essere
difetti, per me non sono altro che nitide manifestazioni di
unicità.
Naturalmente puoi essere d’accordo oppure no, ma in fin dei
conti non interessa
a nessuna delle due. Non temere comunque, se è per me ti
assolvo completamente dall’obbligo
di preoccuparti. Anche
se dubito che tu
l’abbia mai avuto. Arrivederci, se ne avrò il
tempo mi sforzerò
di telefonarti.
In caso contrario
potrai rivolgerti al Conte, se e quando, vorrai avere
notizie.”
Così aveva concluso,
abbozzando un gesto di saluto con
un dolente e imbarazzato abbraccio, prima di salire sull’auto
di famiglia con aria
triste, ma distaccata. Eppure era tutt’altro che infelice.
La libertà finalmente.
In tal modo Sarah van der Post
osservò andarsene,
senza sapere quando avrebbe fatto ritorno, la sua unica figlia. Si era
agli
sgoccioli dell’estate e mancavano poco meno di sei mesi al momento in cui Alexandra
van der Post,
diciassettesima in linea di successione per il titolo nobiliare cui si
fregiavano da secoli, avrebbe raggiunto la maggiore età.
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