‘Til
your singing eyes and
fingers
Sbuffò,
pizzicandosi lievemente il naso.
L’odore
dell’erba fresca e il profumo settembrino nell’aria
era piacevole fino a quando
non faceva pizzicare le narici. Così, sollevò
pigramente le braccia sopra la
testa, gonfiando il petto in un grosso sbadiglio prima di mettersi in
piedi,
restando all’ombra del grande salice piangente che cresceva
ai confini dei
possedimenti di Headley Grange.
Aveva
trascorso ore intere a passeggiare a vuoto, quasi misurando ogni metro
di terra
con i propri passi, ma l’ispirazione tardava, facendosi
attendere come la più
esclusiva delle ospiti.
-
Non ce la farò mai. – sussurrò tra
sé e sé, portando l’armonica sul bordo
delle
labbra sottili, soffiando piano e scrutando il cielo terso come i suoi
occhi.
The people turned away, the
people turned away…
Le
parole continuavano a rincorrersi nella testa senza incontrarsi mai,
evitando quel
filo logico che lui cercava. Riprese a camminare, mani e armonica
cacciate
nelle tasche, un filo d’erba tra i denti. Si fermò
soltanto quando,
attraversata una piccola radura spennellata di rosso autunnale, si
trovò
davanti ad un laghetto, ben nascosto da rocce vestite di muschio e
arbusti
sempreverdi ancora fioriti.
Non credevo ci fosse un
lago da queste parti,
pensò, avvicinandosi piano, in sincronia con il sorriso che
iniziava a
sollevargli le guance, fino ad essere abbastanza vicino da poter
contemplare
l’immobilità dell’acqua, la luce che si
rifletteva su di essa.
-
Dio, sembra un lago incantato! – sussurrò, quasi
come se qualcuno potesse
sentirlo.
Poi,
con la sorpresa di un acquazzone in pieno Agosto, le parole si
precipitarono
nella sua testa, chiare e limpide come gocce di pioggia.
Out in the country, hear the
people singin'…
Singin' 'bout their progress,
knowin' where
they're goin'.
Oh, oh, oh, oh, the people
turned away
Yes, the people turned
away
Iniziò
a rovistare nervosamente nelle tasche posteriori, impaziente, timoroso
di poter
perdere le parole; poi finalmente trovò il foglietto,
ridotto quasi a
brandelli, e la matita che, controllò attentamente, aveva
ancora la mina
perfettamente intatta. Frettolosamente la fece passare sulla punta
della
lingua, in quel gesto che tante volte aveva visto fare da suo padre,
quando era
immerso nei suoi calcoli infiniti, rifugiato sotto la luce verdognola
dell’abat-jour appoggiata sulla scrivania al centro del suo
studio,
accompagnato solo da silenzio e concentrazione.
Sorrise
a quel ricordo, mentre canticchiava le parole e le scriveva nella sua
accurata
calligrafia, piegato sulle ginocchia e foglio appoggiato su una coscia,
così perfettamente
immerso nell’attimo d’ispirazione che nemmeno si
accorse che stava perdendo
l’equilibrio. Fece giusto in tempo a reggersi sulle punte dei
piedi, ma nel
farlo perse di mano la matita, andata a rotolare poco distante dalla
riva del
laghetto. Sospirò di sollievo.
-
Wow! – disse, mettendosi in piedi – Che culo!
– esclamò, avviandosi a
raccoglierla, ma c’era una cosa che quella mattina Mr. Plant
non aveva messo in
conto. Qualcosa ce l’aveva con lui.
E
così, mentre era ad un passo dal raccogliere la matita,
inciampò contro la
radice di un albero e, ciò che vide prima di sbattere con la
testa contro il
suolo roccioso, fu soltanto la scia luccicante della superficie
dell’acqua.
*
Arricciò
il naso, in un gesto che gli sembrò di aver già
fatto quel giorno.
Infatti
si chiese subito se per caso non avesse sognato tutto mentre continuava
a
tenere gli occhi chiusi.
Invece
no.
Man
mano che si svegliava, sentì che un forte mal di testa
batteva contro la tempia
sinistra in maniera allucinante, quasi come se a percuoterla fosse
stato un
martello, mentre scoprì che a fargli arricciare il naso era
qualcos’altro, come
se una mosca dispettosa ci stesse girando intorno.
Aprì
lievemente gli occhi, lasciando che la luce si facesse strada poco a
poco,
senza abbagliarlo. Quando furono aperti, però, dovette
stropicciarli bene con i
pugni, per poter mettere a fuoco il volto sopra il suo.
La
chioma fulva le ricadeva su una spalla sola, mentre
l’espressione corrucciata e
preoccupata non gli impediva di scorgere i bei lineamenti della
ragazzina che
aveva di fronte. Labbra carnose, naso all’insù e
occhi azzurri.
Anzi no, viola, pensò.
-
Ciao! – sussurrò, tentando di sfoderare il solito
sorriso da marpione, ma
scoprì subito che ciò gli costava aumentare la
fitta alla testa. Così, rinunciò
volentieri alla sua arma di conquista preferita, preferendo portarsi
una mano
alla fronte e mettendosi a sedere, giusto per vedere in che condizioni
si
trovasse. Tirò un sospiro di sollievo nel vedere che non
c’era sangue, se non
un leggero graffietto sulla pelle e un gonfiore che andava aumentando.
Si
guardò intorno e dalla luce capì che non era
passato molto tempo da quando
aveva perso conoscenza, ma tornando a guardare la piccola creatura di
fronte a
lui, si accorse che era completamente sola.
-
Come hai fatto a trovarmi qui? – chiese, guardandosi intorno
ancora una volta,
giusto per essere certo di ciò che diceva.
Lei
non rispose, si limitò soltanto a fare spallucce, facendo
scivolare giù una
spallina dell’anonimo vestitino bianco che la copriva a
malapena fino alle
ginocchia. Robert se ne accorse subito, nonostante il dolore che
continuava ad
aumentare, e non perse l’occasione di passare lo sguardo su
ogni singolo pezzo
di pelle della giovane. Questa se ne accorse, arrossì di
vergogna e
frettolosamente sollevò la spallina e portò le
braccia avanti, come a volersi
coprire fino ai piedi.
-
Hey! – sussurrò lui, sconvolto da tanto timore
– Non ti mangio mica. – disse,
in quello che era il tono più rassicurante che riusciva ad
imitare, ma,
guardandola negli occhi, vide che non era imbarazzata, bensì
spaventata a
morte.
-
Che ti hanno fatto? – chiese, questa volta analizzando il suo
corpo in cerca di
lividi, tagli, qualcosa che gli desse da pensare, ma trovò
quella pelle più
candida di come gli era sembrata cinque secondi prima. Lei
continuò a restare
in silenzio, abbassando gli occhi e arricciando un angolo della bocca.
Non so nemmeno come ci
sono finita qui, questo
sembrò dire.
-
Ho capito! – disse lui, alzando un dito in aria con fare
ironico – Ti hanno
tagliato la lingua! – esclamò puntandole il dito,
sperando di farla ridere. Si
sbagliò di nuovo. La ragazzina arricciò le
labbra, tirandole dentro e
trasformando quell’espressione spaesata in un broncio che le
riempì gli occhi
di lacrime.
Robert
non seppe cosa pensare. Si era svegliato da soli venti minuti e in
così poco
tempo era riuscito a terrorizzare la ragazzina che lo aveva gentilmente
risvegliato. Bel traguardo, Plant,
si
disse, dovrai rivedere le tue tecniche di
seduzione.
-
Scusami! – disse, profondamente amareggiato e portandosi una
mano al petto - È
che ero qui, completamente da solo e mi chiedevo come fossi riuscita a
trovarmi, tutto qui. – aggiunse tutto d’un fiato,
mentre le spalle della
ragazza iniziavano a rilassarsi. Robert, senza ombra di malizia,
avvicinò una
mano ad una di esse. Si sorprese quando la ragazzina gli permise di
massaggiarla piano, con una delicatezza che per certe donne non avrebbe
usato e
sorridendo intenerito vedendo che lei lo fissava ipnotizzata.
-
Come ti chiami? – le chiese gentilmente senza interrompere il
contatto.
Anche
a quella domanda, rispose il silenzio, mentre gli occhi della fanciulla
diventavano sempre più tristi. Poi, la vide muoversi in modo
quasi
impercettibile e notò che stava allungando una mano vicino
al proprio fianco,
con la punta del dito indice rivolta verso il selciato, tracciandoci
sopra
alcune lettere con una grafia sottile e tonda.
Iris
-
È il tuo nome? – chiese lui e finalmente la vide
annuire e sorridere insieme,
in un’espressione luminosa che la rendeva ancora
più bella – Ma non puoi
proprio parlare? – chiese lui, sinceramente curioso. Lei fece
di “no” con la
testa, ma senza perdere la sua aria allegra e spensierata.
Robert
non insistette oltre. La poverina era di certo muta e farle altre
domande al
riguardo le avrebbe fatto perdere di nuovo quel sorriso meraviglioso.
Poi la
vide portarsi una mano sulla fronte, come se stesse per scordare
qualcosa, così
si alzò di scatto andando a raccogliere qualcosa nascosta
sotto un cespuglio di
more.
Quando
tornò, Iris porse a Robert il suo foglietto malandato, ma
ancora intatto e con
le parole ben scritte e leggibili, mentre lui sentì che
qualcosa di grande gli
cresceva nel petto. La gratitudine.
-
Oddio, hai trovato anche questo! – esclamò,
raccogliendo delicatamente il
foglio – Tu non sei una ragazza, sei un miracolo! –
aggiunse, facendola ridere
e sentì che, pur essendo muta, Iris aveva una voce
incredibile, cristallina.
Gli bastò quel piccolo suono per intuirlo. Dopo qualche
secondo, si rese conto
che la stava fissando e che Iris aveva smesso di ridere, guardandolo
con
un’aria curiosa e incerta, come se stesse aspettando il suo
prossimo passo.
-
Vuoi sentire? È una canzone che sto scrivendo. –
disse lui, facendola annuire
una seconda volta.
Iris
unì le gambe insieme e le portò entrambe da un
lato, sedendosi con le mani sul
grembo, pronta ad ascoltare Robert che aveva già iniziato a
cantare con voce
bassa e soffiata. Lo ascoltò ad occhi chiusi, ondeggiando
impercettibilmente
seguendo il ritmo della canzone, mentre Robert la guardava con un moto
di
tenerezza che non credeva di poter trovare. Era la prima volta che, pur
trovando
attraente una donna, sentiva tenerezza
per questa, quasi di fronte a lui ci fosse Carmen intenta ad ascoltare
ogni sua
nuova canzone o farsi ripetere quelle che di solito ascoltava lui.
-
Ti piace? – le chiese quando finì.
Lei
annuì ancora, sinceramente convinta e battendo piano le
mani; poi si guardò
intorno, in cerca di qualcosa, alzandosi di scatto non appena il suo
sguardo si
fermò.
-
Ma dove vai? – le chiese, vedendo che andava verso il
laghetto.
Quando
tornò, Iris aveva tra le mani una ninfea, bianca quasi come
la sua pelle.
-
Ma … che fai? – chiese Robert quando la vide
avvicinarsi ad un soffio dal suo
viso, credendo per un attimo che la donna nascosta dentro Iris stesse
per
uscire fuori. In realtà, la ragazzina andò a
sistemargli il fiore tra i capelli,
adagiandolo all’altezza dell’orecchio.
Robert
non seppe decifrare quel gesto. Nessuno (o nessuna) aveva mai provato
ad
adornargli i capelli, la maggior parte delle volte si limitavano a
criticarli,
adorarli o tirarli. Iris, invece, aveva scelto quel gesto che invece lui aveva rivolto ad altre donne. Non
sapeva se ad imbarazzarlo era “sentirsi” quasi una
donna o l’incapacità di
capire l’intenzione di Iris. Così, tentando anche
lui la strada del silenzio,
si limitò a guardarla, a capire attraverso i suoi occhi cosa
le stesse passando
per la mente.
Non
trovò nulla di particolare, se non una voglia di portare a
termine il lavoro e
di farlo nel migliore dei modi, quasi volesse sdebitarsi di quella
canzone
mezza cantata e mezza sussurrata.
Quando
ebbe finito, Iris si allontanò di poco per vedere la sua
opera, per poi
sorridere compiaciuta.
-
Sto bene? – la assecondò lui, gonfiandosi i
capelli con le dita, attento a non
far cadere il fiore. Iris fece di “sì”
con la testa, mordendosi le labbra con
fare infantile.
Piccola Iris, pensò, sei
così innocente da farmi provare affetto
per te.
Non
osò confessarglielo. Semplicemente si avvicinò
alla giovane, sentendone il
profumo fresco come la brezza marina, e le lasciò un
innocente bacio sulla
guancia, senza sentire il minimo desiderio di fiondarsi sulle labbra
carnose o
di addentarle il collo. Quella era una bambina vera, non un semplice
nomignolo
da appioppare alla prima che passa. Ne aveva rispetto, quasi fosse
sacra e la
guardò come se fosse stata una sorella minore quando
sì alzò in piedi. Vista da
lì, sembrava ancora più piccola.
-
Sì è fatto tardi, Iris. – disse lui,
notando subito la repentina espressione di
delusione sul volto della ragazzina – I miei amici potrebbero
preoccuparsi non
vedendomi ritornare. – si giustificò, per poi
chinarsi e prenderle una mano - È
stato un piacere, principessa. – le sussurrò,
baciando il dorso della mano
minuta – Spero di incontrarti ancora, prima o poi!
– concluse, mentre lei lo
guardava senza lasciar trapelare alcuna emozione che non fosse lo
sgomento.
Robert
impiegò tutte le sue forze per non sentire il senso di colpa
di fronte alla
delusione di Iris, così si incamminò subito verso
il casale e trovandolo dopo
appena venti minuti di passeggiata. Il sole era ormai nascosto alle
spalle dell’edificio,
dipingendolo di ombre e di una calda luce rossa. Poi, qualcuno lo
chiamò.
-
Robert! – e solo allora si accorse che la porta
d’ingresso era aperta, Maureen
appoggiata all’uscio. In quel momento, si ricordò
che aveva ancora il fiore tra
i capelli e, per paura che lei iniziasse a sospettare qualsiasi cosa,
se lo
sfilò senza danneggiarlo. Quando fu abbastanza vicino alla
moglie, questa gli
corse incontro, buttandogli le braccia al collo e sfiorandogli le
labbra con le
proprie.
-
Dov’eri? – gli chiese curiosa.
-
In cerca d’ispirazione. – sospirò lui.
-
E l’hai trovata? – fece lei, stringendosi ancora di
più a lui.
Robert
sollevò il fiore alle spalle della moglie, senza che lei lo
vedesse, poi
rispose: - Sì.
-
Perfetto. – esclamò lei, baciandolo una seconda
volta. Quando si staccarono,
lui le porse il fiore.
-
Robert, è bellissimo! Dove l’hai trovato?
– chiese lei, prendendo il fiore con
aria stupefatta.
-
Dopo il confine, c’è un laghetto nascosto tra le
rocce. – rispose con tono
monocorde.
-
Wow! – esclamò lei – Non sapevo ci fosse
un laghetto da queste parti.
-
Nemmeno io. – disse lui, mettendosi le mani in tasca, mentre
sua moglie portava
il fiore tra i propri capelli.
In
quel momento, sentì come un gemito di pianto sollevarsi
dalla radura, ma
abbastanza forte da essere scambiato per un urlo. Si voltò
di scatto.
-
Robert? Che succede? – chiese Maureen.
-
Non hai sentito?
-
Cosa? Io sento solo il rumore del vento. –
constatò lei, iniziando a guardarsi
intorno preoccupata – Robert, tutto bene?
-
Devo andare. – disse, proprio mentre si avviava verso la
radura con Maureen che
lo pregava di fermarsi. Non le diede ascolto, inoltrandosi in poco
tempo fino
al laghetto. Quando fu arrivato, Iris non c’era
più.
Solo
una cosa notò. L’acqua non era più
cristallina, coperta da una lieve schiuma
bianca e luminosa.
Come la pelle di Iris.
-
No, non può essere. – sussurrò, proprio
mentre nel bel mezzo della schiuma iniziarono
a sbocciare delle piccole e bellissime ninfee bianche.
Angolo dell'autrice
Salve!
Perdonate il ritardo. Siete state così tante a recensire che
avrei voluto pubblicare questo capitolo molti giorni fa. La
verità è che ho finito di scriverlo solo ora. ^^'
Ok, iniziamo con i credits:
- Down to the seaside, Led Zeppelin;
- Song to the siren , Robert Plant.
Detto ciò spero abbiate intuito cosa accadrà nei
prossimi nei capitoli ma, nel caso in cui invece non si sia capito una
mazza, ve lo dico...
Ad ogni componente, verrà abbinata una favola di Andersen.
E, come avrete notato (spero), quella abbinata a Robert è
"La Sirenetta".
Ok, date queste piccole informazioni, non vi resta che scommettere
sulla prossima favola con il rispettivo componente.
Ovviamente, ogni favola è riadattata in modo che possa
sembrare almeno verosimile e, per quanto riguarda "La Sirenetta", mi
sono ispirata alla trama originale della favola, in cui appunto il
principe non ricambia affatto la povera principessa dei mari.
Detto ciò, vi do appuntamento alla prossima favola.
D.H.
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