In Paradiso, il disegno
di Dio si era compiuto solo in parte
- molti degli angeli che l’avrebbero popolato erano ancora
un’idea, una
fiammella di vita nella sua mente.
Michael desiderava ardentemente e ormai da diverse ore, che
suo Padre si fosse trattenuto ancora qualche giorno - o qualche eone
- dal dare vita al suo fratello più
piccolo, uno scalmanato angioletto dalle ali dorate e un temperamento
allegro e
chiassoso.
Certo, Michael amava Gabriel - chi poteva resistere agli
occhietti entusiasti di quel piccolino? - ma il fratellino riusciva a
creare un
caos micidiale con quasi nessuna risorsa disponibile: il Paradiso non
era la
Terra, tanto per intenderci,
e, dannazione, quel moccioso piumato non
aveva ancora imparato a volare; ogni
schiera celeste con un accenno di buonsenso avrebbe dovuto temere
l’idea di Gabriel associata per disgrazia
a quella
di movimento.
Solo il loro amato Padre poteva sapere ciò che sarebbe
accaduto - quali catastrofi, azzarderebbe
Michael, ma non vuole essere troppo ottimista.
Il bimbo alato sgambettava allegramente, gattonando su ogni
superficie a lui accessibile e afferrando con entusiasmo qualunque cosa
gli
capitasse a tiro.
Gli Arcangeli l’avrebbero trovato piacevole e adorabile in
qualunque altro momento, per carità, ma Michael aveva
davvero bisogno di concludere quel trattato con
gli Aesir e i Vanir, e la continua distrazione di Gabriel, che sembrava
più che
deciso a ruzzolare giù da qualche ammasso di nuvole o,
peggio, da una meno
soffice colonna di marmo, di certo non aiutava la concentrazione del
fratello
maggiore.
Per fortuna, Lucifer possedeva il provvidenziale dono
dell’intuizione e di un tempismo perfetto: sollevò
con poca delicatezza
l’angelo bambino e lo portò via dalla vista
dell’esausto fratello maggiore; i
gorgoglii contenti di Gabriel lo accompagnarono e le sue manine
agguantavano le
piume che spuntavano da dietro le spalle di Lucifer, scompigliandole o
addirittura tirandole con gentili strattoni, ma l’Arcangelo
non fece una piega.
Gabriel era ancora piccolo,
stava imparando appena a muovere le ali e a stare in posizione eretta,
ma si
faceva capire eccome: di tutte le creazioni di suo padre, Lucifer non
aveva mai
visto qualcosa di così minuscolo ma tanto pieno di energia
da poter far
esplodere un pianeta (e non solo in senso figurato - con Raphael ne
aveva avuto
esperienza diretta).
Dal canto suo, Gabriel adorava
Lucifer, così come amava Raphael e Michael, i quali,
tuttavia, non avevano quasi
mai tempo per giocare con lui: Lucifer gli proponeva giochi e tanti
trucchi
divertenti, e inoltre gli aveva mostrato per la prima volta come
distendere le
ali, lasciando più di una volta che il fratellino gli
scompigliasse con genuino
e infantile stupore le piume candide.
Li accomunava anche la luce, che non assomigliava allo
splendore glorioso di Michael né al terribile fulmine di
Raphael.
Nel caso di Gabriel era una luce soffusa, dai contorni
d’oro, benevola e ancora accennata per la tenera
età; Lucifer era puro fulgore,
il riverbero del mattino che orla le nuvole di bianco e di vita -
Lucifer era luce.
La furbizia, poi, pareva un tratto ereditato direttamente da
Lucifer, e più di una volta Michael si era chiesto se Dio li
avesse creati così
affini di proposito o spinto da puro e irrazionale amore; in ogni caso,
aveva
fede nelle sue scelte e non le aveva mai messe in dubbio, neanche una
volta.
Raphael voleva bene al fratellino, le sue parole erano
sempre affettuose e il suo sguardo mai duro, ma nonostante la sua
indole straordinariamente
serena - che pareva controbilanciare l’infinito e frenetico
stupore di Gabriel
- non riusciva a trascorrere molto tempo con lui, non senza perdere
inevitabilmente la pazienza.
Se con Lucifer il piccolo angelo s’intratteneva con giochi,
creazioni e risate, in Michael ritrovava la calma e la sicurezza
infinita
dell’oceano; la Grazia
del fratello maggiore lo cullava come le onde del mare, quando dormiva
con la
testa poggiata al suo petto, le labbra che sfioravano la testolina di
Gabriel
figuravano un amore assoluto e perfetto, le sue ali che lo riscaldavano
erano
come l’abbraccio di una madre.
Spesso Michael lavorava con Gabriel rannicchiato in grembo,
ma il piccolo stava sempre incredibilmente quieto, il suo infantile
interesse
per il mondo che lo circondava non esplodeva di luce incandescente ma
rimaneva
tiepido, cortese, accennato, come attenuato dalla benevolenza del
fratello:
questa era una delle mille abilità che Lucifer ammirava in
Michael.
Questa capacità, tuttavia, rimaneva sconosciuta ai fratelli:
Lucifer, scherzando, aveva detto che Michael non amava condividere, ma
dietro
la facciata allegra era piuttosto timoroso all’idea di dover
gestire il minore
dei suoi fratelli e impedirgli di farsi male - le
probabilità di una ferita
fatale erano quasi nulle, certo, ma riportare Gabriel da Michael con un
solo graffio
avrebbe scatenato la famosa e temuta ira di quest’ultimo, da
cui Lucifer aveva finora
avuto l’accortezza di tenersi ben alla larga.
Ma Gabriel era in qualche modo riuscito a cadere per terra
e, immaginò Lucifer, a schiacciarsi un’ala o
qualcosa del genere, perché il suo
pianto disperato risuonò per i quattro angoli del Paradiso.
Lucifer si congelò sul posto - un freddo improvviso
l’aveva
attraversato dalla punta delle ali ai piedi, lasciandolo intorpidito e
preoccupato; non era la prima volta che Gabriel, concentrato per
gattonare più
veloce o acchiappare una farfalla, inciampava goffamente sui suoi
piedi, e
Michael riusciva sempre a calmarlo… appunto, Michael:
Lucifer gli permetteva di arrampicarsi ovunque volesse, di
tendere le mani in alto, più vicine al Padre, da sopra le
sue spalle, di creare
bolle colorate e rincorrere le piume che galleggiavano pigramente
intorno a
loro, ma il suo sguardo vigile gli permetteva di recuperare Gabriel un
momento
prima che si facesse male.
Perso nei suoi pensieri, Lucifer si era distratto, e un
lieve panico l’aveva colto quasi di sorpresa.
Si avvicinò velocemente, preoccupato, e prese in braccio il
bambino con estrema cautela; la piccola serpe, tuttavia, non appena
sentì
vicino il petto del fratello, scoppiò in una risata
argentina e con un battito
di mani creò un piccolo oggetto d’oro e
d’ottone, che cadde nelle mani di
Gabriel producendo un dolce suono.
Svanita la precedente preoccupazione, anche Lucifer
ridacchiò, togliendo dalle mani del fratellino
l’arnese: il corno che il
bambino aveva creato riluceva di una bellezza singolare, la forma
elegante e
semplice suggeriva l’uso che il piccolo angelo aveva
casualmente - o forse
consapevole del suo compito futuro? - attribuito all’oggetto,
un vessillo di
verità e annunciazione.
Avrebbe consegnato il corno a Michael non appena ritornati
dalla distesa nuvolosa in cui il piccolo della famiglia amava giocare,
poi
l’avrebbero restituito a Gabriel quando sarebbe giunto il
momento: Lucifer non
poteva fare a meno di domandarsi quali progetti avesse suo padre per
quel
bambino pieno di vita e di luce, ma lo consolava sapere che, almeno in
parte,
poteva guidare i suoi passi, guardarlo crescere, proteggerlo.
Sarebbe andato tutto bene.
E lui sarebbe sempre rimasto al suo fianco.
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