Madri, sorelle, amiche di Aylim (/viewuser.php?uid=42080)
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MADRI, SORELLE, AMICHE
Una breve storia ambientata alla fine della terza stagione. Una scena
tra una disperata neomamma alla ricerca di aiuto e una salvatrice
inattesa.
C’è una cosa che a Mary Margaret era rimasta dalla
maledizione. La fiducia cieca e incrollabile per i libri. Del resto,
non puoi passare trent’anni della tua vita a fare la maestra
e non finire per innamorarti del potere che i libri ti offrono. Con i
giusti libri a portata di mano, puoi riempire un buco quando la tua
lezione è finita troppo presto e i bambini si stanno
agitando, puoi leggere una storia quando ti appioppano una supplenza
improvvisa e inattesa, puoi fotocopiare lo schema per i decori
d’autunno e di primavera, puoi trovare proprio
l’esercizio giusto per l’indomani mattina senza
doverti mettere ad inventare frasi senza soggetto alle dieci di sera.
Insomma, hai fatto metà del tuo lavoro quando sai in quale
libro cercare. Per questo amore, i pochi momenti liberi tra una seduta
spiritica e una caccia alla strega, l’avevano vista col naso
profondamente immerso dentro qualche volume relativo alla puericoltura.
Con un po’ di rimpianto, aveva scorso velocemente le pagine
relative alla gravidanza e al parto per giungere a quelle trattanti
quel territorio inesplorato che è la cura dei neonati. Dopo
tante parole assimilate, pieghe alle pagine e domande poste in giro, si
era sentita decisamente pronta a questa nuova grande avventura.
Questo finché questa sicurezza non venne a scontrarsi un
sabato mattina con la dura realtà.
Emma e Hook erano partiti di corsa per New York per recuperare gli
effetti personali e sbrigare le ultime faccende burocratiche. Dalla
caparra della casa al nulla osta da richiedere alla scuola di Henry per
il trasferimento, la lista delle cose era lunga e impegnativa, ma i due
avevano ogni intenzione di portare velocemente a termine tutto per
poter, finalmente, tornare a casa. Tuttavia, per tornare a casa,
è necessario avere un tetto da chiamare così, e
Charming e Henry, dal canto loro, stavano affrontando questa sponda
della battaglia, ripitturando e risistemando un piccolo ma grazioso
appartamento a pochi minuti dal loft. Tutto incredibilmente positivo e
incoraggiante, finanche il fatto che Charming non avesse fatto
opposizione che la sua unica figlia andasse a convivere con il pirata;
tutto, se non che Snow era rimasta a casa da sola a badare a Neal. A un
Neal urlante. A un Neal inconsolabile che da quasi un’ora
stava piangendo ogni lacrima che aveva in corpo. Granny avrebbe detto
che così gli crescevano i polmoni, ma i detti popolari non
erano di alcuna consolazione alla disperata madre.
Dei consigli dei libri, nessuno aveva funzionato. Non era fame, non era
da cambiare, il ruttino l’aveva fatto e anche il rigurgito,
ovviamente oltre il bavaglino e dritto sulla maglia della madre. Non
voleva il ciuccio, né aveva sete. Appoggiarlo sulla spalla
camminando aveva portato a quei trenta secondi di pace che avevano
fatto illudere Mary Margaret di star per uscire vincitrice dalla
battaglia, ma il sogno si era subito sgretolato quando le urla erano
riprese, più forti e struggenti di prima.
Bluffare con degli orchi e rischiare di essere bruciata viva non le
avevano creato che un decimo dell’ansia che la attanagliava
in questo momento. Non sapeva più cosa fare, ma qualcosa
doveva trovare, per il bene di Neal e della propria sanità
mentale. Camminava ciondolando avanti e indietro, tenendo con un
braccio il neonato appoggiato su una spalla e facendolo saltellare
leggermente su e giù, mentre con l’altra mano e
con l’aiuto del mento (è
incredibile come si impari ad arrangiarsi, quando si ha un neonato
sempre in braccio) sfogliava disperatamente il suo libro
più fidato, sperando in qualche consiglio che potesse
finalmente condurla vincitrice fuori da questa impasse. Scorrendo il
capitolo ed eliminando via via ciò che già aveva
provato, giunse alle ultime, beffarde righe, che riportavano:
“Quando tutto
questo non funziona, ricorda mamma: a volte, un bambino ha solo bisogno
di piangere”.
Non appena il suo stanco cervello colse appieno il senso di questa
frase, un impeto d’ira così poco caratteristico
della sua indole la colse, portandola a lanciare lontano da
sé il volume traditore, che cadde con un tonfo contro il
tostapane facendo sussultare e urlare ancor di più il
piccolo principe. Sull’orlo oramai di una crisi di nervi, con
la mente annebbiato dall’ansia e dalle urla, Mary Margaret si
ritrovò senza pensare a fare qualcosa che, lucidamente,
forse non si sarebbe mai sognata di fare. Prese il suo vecchio
cellulare e scrisse un messaggino.
“Neal piange
da un’ora, sono da sola e non so più che fare, le
ho provate tutte. Aiutami, ti prego.”
Subito dopo aver premuto il tasto invio, un barlume di
lucidità le fece capire che forse, forse quella non
era proprio una mossa geniale, anzi. Così, non solo non
aveva risolto nulla, anzi, era solo riuscita a far cacciarsi in un
guaio ancora più grande.
Quasi inatteso, pochi minuti dopo bussarono alla porta. Davanti
all’uscio, nella sua classica eleganza, con occhi stranamente
gonfi e arrossati, stava Regina. Non la guardò in faccia se
non di sfuggita, ma con fare di chi è abituato a comportarsi
come più le aggrada, entrò in casa, chiuse la
porta dietro di sé e prese dalle braccia della madre il
piccolo che ancora piangeva. Mary Margaret non sapeva che dire, se
scusarsi incalzantemente per il disturbo o ringraziare per il cambio
alle sue stanche braccia. Dal canto suo, Regina era completamente
concentrata sul piccolo urlante che, dopo solo un secondo di silenzio
per il brusco cambio di location, aveva ripreso il suo pianto
disperato. Benché una parte di lei continuasse a
considerarla un’idiota, Regina sapeva che Mary Margaret non
era una stupida, e che sicuramente aveva già controllato i
motivi più comuni per cui un neonato di solito piange.
Questo, e il fatto che la stanza fosse disordinatamente piena di
biberon iniziati, ciucciotti abbandonati, pannolini aperti ma non usati
e sedie spostate per aumentare la superficie calpestabile erano un
chiaro indizio di ciò che era accaduto nell’ultima
ora.
Rivolgendo nuovamente tutta la propria attenzione al piccolo disperato,
parlandogli in tono sommesso, come se gli stesse rivelando un segreto,
Regina si avvicinò al divanetto nell’angolo e vi
si sedette alla ricerca di una posizione comoda, appoggiò un
cuscino sulle ginocchia per appoggiarci le braccia e non stancarsi,
dopo di che voltò delicatamente il bambino in modo che fosse
disteso lungo il proprio braccio e il suo pancino fosse a contatto con
il calore della sua mano destra. Lentamente, le urla andarono scemando,
lasciando il posto a una nenia mormorata dalla donna, una ninnananna
nata in un’altra terra che pacatamente condusse il piccolo
prima a qualche lieve singhiozzo, facendolo infine cedere alla
stanchezza e al sonno. La mano di Regina continuò ancora a
lungo a muoversi lentamente, massaggiando il neonato, e le sue labbra
continuavano a canticchiare, mentre lei sembrava persa in un mondo
tutto suo fatto di ricordi e pentimenti per ciò che era
stato e di una flebile, inconscia speranza per i giorni a venire in
cui, se troppo giovane per essere nonna, potesse almeno svolgere il
ruolo di lontana zia per il piccolo tesoro che così
fiduciosamente stingeva tra le sue braccia.
Persa tra i suoi pensieri, non si accorse di come il leggero shock
sulla faccia di Mary si tramutò prima in stupore per la
rapidità con cui Neal si era calmato, poi in un dolce
sorriso pieno di rimpianto e di una sfumatura di affetto per quello che
stava accadendo. Se in passato Regina era stata più volta
sul punto di toglierle la vita, ora non aveva tentennato nel lasciare
la sua casa, rifugio dall’immenso dolore che nuovamente le
stava distruggendo il cuore, per rispondere alla richiesta di aiuto che
a lei, e solo a lei, era arrivata. Mentre la donna più
anziana era occupata a perdersi nei suoi pensieri cullando il piccolo,
Mary recuperò silenziosamente la macchina fotografica, che
dal giorno in cui Neal venne alla luce era sempre a portata di mano per
immortalare i mille preziosi momenti che la famiglia stava, finalmente,
vivendo. Senza farsi accorgere, scattò alcune foto alla
coppia, decisa a metterle nell’album di famiglia che aveva
intenzione di costruire per il piccolo. Vista gli intrecci
dell’albero genealogico familiare, Neal avrebbe avuto bisogno
di tanti aiuti visivi per riuscire a cogliere chi ognuno fosse nei
propri confronti. In quel momento, Mary aveva appena deciso che quella
pagina bianca su cui aveva scritto a matita “Regina
?” doveva essere corretta cancellando il punto di domanda e
ripassando il nome di quel brillante rosso che la donna tanto amava e
che, Mary ne era certa, stava tornando a dominare il di lei resistente
cuore.
“Non hai visto
come piegava verso di sé le gambe? Non serve
chissà quale genio per capire che il poverino soffre di
coliche. Se ti ricapita, e credimi, capiterà di nuovo,
mettilo a pancia in giù come vedi e massaggialo, ma sempre
in senso orario, hai capito?”
Anche se Regina aveva tinto le sue parole di non proprio velata
acidità, i suoi occhi tradivano in realtà la
volontà di trasmettere qualcosa alla giovane mamma.
Così, mascherandosi dietro un finto atteggiamento di chi
è indispettito dal trovarsi dov’è,
passò il pomeriggio seduta sul divano con il suo quasi
nipotino in braccio, a condividere la sapienza materna che in tanti
anni solitari con Henry aveva dovuto apprendere da sola.
Fin dalla notte dei tempi, le donne, siano esse madri, sorelle o
amiche, si insegnano l’una l’altra i segreti della
maternità. E Regina e Biancaneve, in fondo in fondo, erano
un po’ tutte e tre l’una per l’altra.
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