WHAT IF BEATLES 1
Ok, forse mi sto lanciando in
un'impresa più grande di me anche perchè ho molte
cose da
scrivere in ballo, ma... Si sa, la mia più grande passione
torna
sempre a galla e ho tanto di quel materiale cartaceo sparso,
nonchè pensieri ricorrenti i nostri 4 Beatles! Potrei stare
qui
a scrivere per ore di quanto li adori, quanto vorrei essere nata in
quel periodo, averli visti almeno una volta nella vita ecc ecc ecc, ma
mi dilungherei in chiacchiere inutili perciò, passiamo a
quello
che voglio raccontare sul serio:
'' E se la Beatlemania
non fosse scoppiata negli anni '60? Come sarebbe
andata la storia se i 4 di Liverpool fossero dei giovani d'oggi?
Un'altra epoca, un mondo completamente diverso, le loro vite
completamente differenti...Proverò a raccontarvi questa What
if?
con tutta la passione e l'amore possibili, sperando che possa piacere
anche a voialtri! Peace & Love
PS:
premessa n°1=
Essendo una what if non ricalcherò
precisamente tutte le tappe fondamentali della vita o della carriera di
John, Paul, George o Ringo, per ovvi motivi sia di epoca che di etica
(voglio attingere, ma comunque creare un qualcosa ''ex novo''), quindi
non se la prendano i fan più accaniti se non rispetto
situazioni
familiari, incontri, scontri ecc... (posso dirvi che gli eventi e i
personaggi principalli rimarranno intoccati, anche se con le dovute
variazioni del caso)
premessa n°2=
Sarà una cosa alquanto impegnativa (ovviamente
perchè lo voglio io. Potrei aggiornare ogni giorno, ma la
qualità dello scritto secondo me ne risentirebbe, quindi
preferisco curare ogni particolare e correggere, correggere correggere)
dunque mi appello alla vostra santa pazienza (chi segue/ha seguito
altri miei lavori ne sa qualcosa).
ED INFINE, non abbiate
paura di lasciare i vostri pareri, siano essi
positivi, negativi o so and so, l'importante è che le
critiche
siano costruttive e i complimenti esagerati e copiosi (i'm kidding) Ok
basta vi ho ammorbati anche troppo, spero che vi piaccia! ENJOY!
CAPITOLO 1
- JOHN
La pioggia batteva sui vetri
ruscellando instancabile. Comunque, niente di
sconvolgente per gli standard climatici della città portuale
di
Liverpool, bagnata dal Mare d'Irlanda, a due passi dal confine con il
Galles.
Un sedicenne smilzo se ne stava poggiato con la fronte
sul vetro gelato del numero 251 di Manlove Avenue, scarabocchiando
sulla condensa che formava il suo alito.
Anche se nato e cresciuto lì quello era pur sempre uno
spettacolo svilente per un adolescente.
Si scollò sbuffando dalla finestra, arrotolandosi poi una
manica del maglione per pulire il misfatto: già gli pareva
di
sentire Mimi urlare per le scale: ''Non sono la tua schiava, John
Wiston
Lennon! Le
manate sulle finestre come un bambino di quattro anni!!! Non ho proprio
parole per definirti!''
Richiuse le tendine per nascondere il panorama, poi passò lo
sguardo lungo la camera. Sul letto il libro di letteratura era ancora
aperto dove lo aveva lasciato, o meglio dove lo aveva abbandonato
quando Mimi era entrata. Dietro la copertina spessa che
raffigurava un'accozaglia di volti della tradizione britannica, mixati
da un pessimo graphic designer, infatti, John teneva sempre il suo
blocco da disegno. Quando la zia passava davanti alla sua porta
semichiusa gettando uno sguardo per vedere cosa stesse combinando, John
sembrava il perfetto studente modello, immerso nella lettura e nello
studio; la verità era che stava componendo le sue poesiole
scanzonate e strambe o disegnando caricature.
Passava i pomeriggi a
quel modo, facendo schizzi,
ascoltando musica sul suo mp3, immaginando di trovarsi altrove, via da
Liverpool e dal suo clima, via dall'Inghilterra, in qualche posto
nuovo, dove nessuno lo conosceva e dove lui stesso non conosceva
niente.
Se ne stava ore con le cuffiette piantate nelle orecchie,
mimando gli assoli di chitarra, muovendo le labbra come in playback,
ballando come un forsennato per la stanza, finchè non cadeva
esausto sul letto sfatto del giorno prima.
Mimi lo trovava spesso così a tarda notte, il computer
ancora
acceso, quella musica assordante che gli rombava nei timpani
e
che le faceva domandare puntualmente come potesse riuscire ad
addormentarsi in quel modo. Lei sgusciava furtiva dentro, facendo lo
slalom tra jeans, calzini e cardigan sporchi, gli sfilava le scarpe da
ginnastica, poi gli toglieva quelle diavolerie dalle orecchie e
abbassava lo schermo del portatile. Solo in quel momento, osservando il
profilo aquilino del nipote beatamente addormentato si sentiva libera
di potergli sussurrare: ''Buonanotte Johnny-boy caro''
John non aveva mai pensato, neppure per un istante, di non essere
riconoscente per
quella zia che lo aveva tirato su tutta da sola. Sì, c'era
stato
lo zio George ma ormai anche lui era sottoterra da un po', pace all'
anima sua.
No, di Mimi John non aveva mai avuto di che lamentarsi.
Certo, era una donna di polso, molto severa e a tratti fredda,
addirittura glaciale, ma... Con
un cuore di burro e un'anima gentile le cui corde John sapeva
solleticare ormai con maestria.
Dal canto suo Mary Elizabeth Stanley, vedova del compianto signor
Smith, era tutto sommato fiera di
quel ragazzo dall'aria scanzonata e spavalda che le aveva lasciato sua
sorella. Non provava più risentimento per lei adesso, ma i
primi tempi erano stati i peggiori.
Julia aveva lasciato il piccolo John da loro, dicendo che sarebbe stata
via per un
po', sicuramente dietro ad uno di quegli scapestrati che frequentava di
solito, combinando chissà cosa, chissà dove. Mimi
era
disgustata dal comportamento della sorella, così incoscente
e
irresponsabile, d'altronde lo era sempre stata ma, ingenuamente Mimi
aveva creduto che con la nascita di John le cose sarebbero potute
cambiare.
Le due
sorelle Stanley non potevano essere più diverse: Mimi era
sempre
stata
una tipa di ferro sì, ma tradizionalista, legatissima alla
famiglia, senza grilli per la testa e un incredibile senso del dovere,
a volte anche troppo impostata ed austera per la sua giovane
età.
Julia invece era il suo
opposto, molto indipendente ma anche facilmente condizionabile, uno
spirito
naive con un'etica tutta sua della vita, ribelle fino al midollo e
trascinata dalle passioni, che finivano per metterla nei guai.
Si era fatta mettere incinta da un poco di
buono, Alfred, un tizio sempre ubriaco e rissoso che nel giro di poco
tempo era sparito per non tornare mai più, così
lei era
andata a stare dalla sorella. Di tornare dai genitori non aveva pensato
neppure per un minuto, erano anni che ormai non parlava più
con
loro e Mimi, seppur con molte obiezioni, aveva finito per accettare di
aiutarla.
Vedersela comparire davanti alla porta con il pancione, gli abiti
sporchi e nient'altro con se', se non una borsa sdrucita, aveva fatto
esplodere
in Mimi un miscuglio di emozioni che non seppe definire. Non poteva
abbandonarla proprio adesso, in fondo era pur sempre sua sorella ed
oltretutto stava per avere un bambino e, anche se non voleva ammetterlo
perchè troppo orgogliosa ed ostinata, amava l'idea di
stringere
tra le braccia un nipotino.
John fu da subito croce e delizia, ma anche se il suo carattere
pessimista e schivo continuava a borbottare dalle retrovie, Mimi aveva
creduto veramente che sarebbe stato possibile trovare un
equilibrio.
Non poteva sbagliarsi di più.
Una mattina scendendo per la colazione suo marito George aveva trovato
un biglietto di Julia scritto a mano frettolosamente. Solo due parole:
''Mi dispiace''
Lì per lì Mimi era montata su tutte le furie e
non
perchè dovessero occuparsi di un bambino non loro, con due
stipendi miseri e tutte le preoccupazioni o doveri che ne conseguivano,
ma sopratutto perchè quella creatura avrebbe potuto essere
cresciuta da
chiunque al mondo, ma avrebbe sempre portato per sempre dentro di
sè i segni indelebili di quelle perdite.
La testarda signora di Menlove Avenue si rimboccò le maniche
e
fece il possibile per educare quel ragazzino scalmanato e un po'
particolare, che le dava già un mucchio di grattacapi, ma
che
amava come fosse suo. Lo preferiva mille volte fare marachelle in
quartiere, che sbattuto chissà dove dietro quella dibosciata
di
sua sorella.
Poi anche George morì e Mimi si ritrovò
dolorosamente sola,
doveva lavorare e star dietro a John, che ormai aveva 14 anni ed
iniziava a mostrare i primi segni di quell'irrequietezza giovanile
tutta particolare che solo gli animi creativi possiedono.
Un pomeriggio se ne tornò a casa con un vistoso piercing al
lobo, il sorriso a 32 denti bene impresso sulla faccia e l'aria da
impunito.
- Cosa hai combinato a quell'orecchio?-
Per tutta risposta John aveva ondeggiato le spalle, sbuffando dal naso.
- Zia, come sei antica... ce lo hanno tutti!-
- Oh bhe, se tutti decidessero di forarsi la fronte con una trave di
metallo tu lo faresti non è vero?-
Quel sorrisetto a labbra strette e gli occhi piccoli, scuri, da
predatore, la prendevano in giro ad ogni battito di ciglia.
Non aveva retto la stizza, si era avvicinata a lui e gli aveva stampato
una bella cinquina sulla guancia; John non si aspettava una reazione
del genere ed arretrò, le mani sul viso e lo sguardo ferito,
incredulo.
Fu una delle occasioni in cui John non le parlò per giorni;
poi
però comprese il misfatto e, almeno in sua presenza cercava
di
togliersi quel brillocco che, appena messo piede fuori casa sfoggiava
così orgogliosamente.
Non era certo facile avere a che fare con un adolescente: uscite con
gli amici, il cellulare nuovo, la linea internet,
andare ai concerti... Mimi non riusciva a stare al passo con le
richieste del nipote. Il più delle volte gli vietava di
mettere
in pratica tutte le idee strampalate che si metteva in testa, ma presto
scoprì che se non gli veniva permesso qualcosa, John Wiston
Lennon se la prendeva lo stesso.
Non era raro che avesse a che fare con la polizia, che glielo
riportassero a casa graffiato e ammaccato perchè partecipe
ad
una rissa nei quartieri più squallidi del porto.
Un giorno, vicino al 15esimo compleanno di John, mentre
infilava
in lavatrice gli abiti che lui aveva buttato a terra in giro per la
camera,
Mimi trovò un coltellino svizzero.
Aveva salito le scale come una furia, sbuffando come una locomotiva a
vapore, era entrata sbattendo la porta mentre John stava
parlando con un suo amico al telefono.
-Zia, posso avere un po' di intimità?-
Solito sorrisetto sardonico.
- Te la dò io la tua intimità, razza di criminale
che non sei altro! Butta subito giù quell'arnese!-
- Stu, ti richiamo io, ok? Mia zia sta avendo un attacco di
psicoqualcosa-
Mimi cercò di controllarsi, anche se la voce le tremava
dalla
rabbia e le mani stringevano il coltello, come fosse l'arma di un
qualche delitto.
- Cosa ci faceva questo nei tuoi jeans, John?!-
Per tutta risposta il 15enne sollevò le spalle,
un'espressione esasperatamente innocente.
- E chi lo sa... Qualcuno vorrà screditarmi, sai buttare
fango sul mio buon nome!-
- Non fare il simpatico con me! Sai che se succede qualcosa e ti
trovano con questo addosso puoi passare guai seri? Per non parlare poi
di usarlo! Vuoi finire in prigione? Vuoi diventare un criminale senza
futuro?!-
Non ce la fece a reggere oltre. La voce di Mimi si ruppe,
lasciò andare il coltello, che cadde
sul parquet graffiato della camera di John. La donna inizò a
singhiozzare, le spalle incassate e la testa bassa.
- Zia ma cosa fai?-
- Sto piangendo, razza di somaro!-
Si guardarono per una manciata di secondi, forse vedendosi veramente
per la prima volta.
Lui, un ragazzino acerbo e smilzo, con una smisurata fretta di
diventare grande, la volontà di canalizzare quell'attenzione
di
cui sentiva non essere mai stato protagonista. Forse... Sì,
probabilmente era anche in cerca di amore, sotto la scorza da duro che
stava pian piano costruendo.
E lei, bisbetica e inacidita per nascondere il dolore e il peso di
quella vita faticosa che, volente o nolente si era trovata a vivere.
Lo prese per le spalle, se lo portò al petto con uno
strattone e poi lo strinse con quanta forza aveva in corpo.
- Io voglio solo che tu sia un bravo ragazzo, Johnny-Boy... Che tu ti
tenga lontano dai guai che invece sembrano piacerti tanto...-
Poteva sentire il respiro del nipote strozzarsi, ma sapeva che non
avrebbe pianto. Non aveva pianto nemmeno uscendo dal ventre di sua
madre, nè quando lei era andata via, quando aveva 6 anni ed
era
solo al mondo. No, John Lennon possedeva forse poche lacrime, ma si
poteva
star certi che le avrebbe versate solo in situazioni di grande dolore e
il
separarsi definitivamente da quella madre che pensava un giorno di
poter
rincontrare era sicuramente il più grande di tutti.
Stettero molto tempo così abbracciati, Mimi piangendo sui
capelli folti di John, John sussurrando promesse che all'ora di cena
avrebbe già dimenticato.
La situazione precipitò proprio quel giorno piovoso di
novembre,
un mese e dieci giorni dopo il sedicesimo compleanno di John.
Qualcuno suonò alla porta, John era ovviamente rinchiuso in
camera sua, Mimi sperò che stesse studiando,
perciò
decise di non disturbarlo. Lasciò la tv accesa e
arrivò
nell'ingresso. Si chiese che genere di pazzo uscisse con un tempo del
genere, ma guardando dallo spioncino non fu certo sorpresa di chi le si
trovasse davanti.
-Stuart, prego...Entra pure-
Quel ragazzo non le era mai stato a genio, ma doveva dolorosamente
riconoscere che
nel duo Lennon-Sutcliffe la vittima era senza dubbio quest'ultimo.
Il ragazzo era fradicio da testa a piedi, l'utilizzo del K-Way si era
rivelato del tutto inutile col diluvio universale che si era scatenato
fuori.
- Grazie signora Smith!-
Stuart Sutcliffe entrò gocciolando sul pavimento del
salotto, lasciando pozzanghere lungo tutto il tragitto.
-Stuart, caro, non puoi stare con quella roba fradicia addosso... Vado
a chiamarti John, ti presterà qualcosa di comodo e asciutto!-
Stava per mettere il piede sul primo scalino, quando il ragazzo la
interruppe.
- Non c'è bisogno che lei vada a chiamarlo, gli mando un
messaggio!-
Il sorriso di Stuart era furbesco come quello di John, ma in modo
più candido, quasi innocente.
Mimi in tutta risposta alzò le mani di fronte a quelle
diavolerie tecnologiche e tornò in cucina a preparare una
delle
sue famose torte di mele.
Pochi minuti dopo il ciabattare rumoroso di John per le scale
annunciò la sua apparizione teatrale avvolto in un plaid
rosso
scuro.
I due si salutarono come vecchi compagni che non si vedono da una vita,
poi Stuart si infilò una delle felpe di John ed un paio di
pantaloni scuri.
-Era proprio necessario che mi facessi mettere la roba più
imbarazzante che avessi?-
Stuart sollevò il sopracciglio nell'indicare il maglione con
una stampa enorme di Topolino sul davanti.
- Ma tesoro! Se ti sta una fa-vo-la!!!-
Mimò John con voce effemminata, carezzando Stuart sulla
spalla.
Iniziarono a spintonarsi, ridendo come ossessi e rivolgendosi ogni
sorta di insulto. John per poco non inciampò nella sacca che
Stu
aveva portato con se'.
- Hey, che ci tieni qui dentro? Il cadavere della fidanzatina?-
John sfoderò un sorriso inquietante, facendo alzare le
sopracciglia.
- Una specie... Anche se è tutt'altro che morta!-
Stu sorrise di sbieco, facendo l'occhiolino al compagno, poi,
inginocchiandosi vicino alla borsa iniziò a sfilare la lampo.
All'interno riposava una chitarra acustica di legno chiaro, leggermente
graffiata, ma comunque in buono stato.
Il sorriso di John si allargò per tutta la faccia,
illuminandosi come fosse un faro.
- Cazzo, Stu! Questa dove l'hai recuperata?-
- L'ho trovata nel garage di mio nonno... Che te ne pare? Non sembra
messa poi tanto male!-
- Male?! A me sembra perfetta!!!-
John balzò in piedi, iniziando a ridere come un matto. Poi,
spintonando Stu, si riaccovacciò vicino alla chitarra.
Lasciò che le dita gli scivolassero lungo il profilo
affusolato
delle corde.
Ed eccola là, la sua ossessione ormai da mesi. Voleva
imparare a
suonare, sentiva che la musica era quel qualcosa che mancava nella sua
vita, come musicista intendeva. No, come ''ascoltatore'' John poteva
vantare una vasta gamma di interessi e stili, ma ciò che gli
mancava era entrare sul serio nella Musica, comporre a sua volta,
sentire qualcosa di suo prendere forma e svolazzare per la stanza. Lui
e Stu si erano messi in testa di trovare qualcosa da fare, un hobby che
non fosse marinare la scuola.
Era stato proprio Lennon a insistere che iniziassero a suonare uno
strumento, Stuart non ne era molto convinto. Aveva sempre preferito
pennelli e carboncini alla musica. Già si vedeva diplomato
all'istituto d'arte col massimo dei voti, idolatrato poi nei
più
grandi musei, nelle mostre d'arte più prestigiose. Ma come
passatempo, la musica poteva andare alla grande.
Conoscendo però le idee seriose di zia Mimi, John non si era
nemmeno sognato di farle sapere cosa aveva in mente e sopratutto di
chiederle dei soldi per comprare una chitarra. Dopo quella volta in cui
aveva trovato del fumo in camera sua Mimi aveva smesso di dargli soldi,
se non in situazioni del tutto particolari. E quella sicuramente non
sarebbe stata una di quelle. Perciò Stuart si era sobbarcato
l'impegno di rimediare uno strumento malmesso che avrebbe potuto
permettergli di imparare le basi.
- Cosa combinate voi due, lì per terra?-
Nemmeno un battito di ciglia che il borsone fu di nuovo ermeticamente
chiuso. Mimi, rimase sulla soglia della cucina, i guanti da forno
infilati alle mani.
I ragazzi sembravano strani. Non che non lo sembrassero sempre a suo
avviso, ma sembravano nascondere qualcosa, stavolta. Decise di non
ossessionarsi inutilmente con idee catastrofiche e sperò che
non
si stessero cacciando nei guai.
- Stu è venuto per studiare zia Mimi, ci stavamo
organizzando...-
''Che bugiardo impunito''
- Certo, John... E io sono la regina Elisabetta! Forza, venite ad
assaggiare la torta che ho appena sfornato prima di gettarvi a
capofitto nel vostro...''studio''-
Stuart balzò in piedi come se avesse sentito suonare
l'armonia più celestiale dell'universo.
- Sei un fottuto voltafaccia, Sutcliffe!-
Lo apostrofò John, lo sguardo incollato alla sagoma scura
del borsone abbandonato sul parquet. Dopo la scorpacciata di una delle
proverbiali torte di zia Mimi, John e Stu si erano rinchiusi in camera
con tutto l'intento di studiare, sì... Ma della musica.
- Devi assolutamente rimediare uno strumento, John... Non possiamo
imparare con una chitarra in due! E sopratutto le lezioni serie costano
un sacco di soldi...-
John osservava la strada da più di dieci minuti, ascoltando
la voce dell'amico o il pizzicare tenue di qualche accordo mentre Mimi
passava l'aspirapolvere al piano di sotto.
- Sai che i soldi sono un problema per me, Stu... E per quanto riguarda
le lezioni, non abbiamo bisogno di imparare niente da nessuno! Possiamo
fare tutto da soli!-
Sutcliffe guardò l'amico come se stesse blaterando in
qualche lingua incomprensibile, poi dopo aver parlato ancora una
qualche manciata di minuti, lo informò che doveva andare a
trovare un'amica per ripassare l'ultimo capitolo di biologia.
- Ah-ah, Sutcliffe! Scommetto che a fine giornata sarai un asso in
Anatomia!-
I due si separarono con una pacca sulla spalla e sorrisetti ammiccanti.
John rimase sulla porta ad osservare l'amico scomparire nell'aria
fumosa e rarefatta dalla pioggia, il borsone sulle spalle che sbatteva
ad ogni passo.
Si richiuse la porta alle spalle, sbuffando afflitto, conscio che quel
desiderio non sarebbe stato facile da realizzare, specie con Mimi tra i
piedi. Doveva trovare un modo per imparare a suonare, ma prima di
tutto, trovare uno strumento.
- Cosa ti affligge, Lennon?-
Mimi stava stirando le camicie della sua uniforme scolastica e, anche
se nel bel mezzo delle sue centinaia di faccende, riusciva comunque a
capire quando qualcosa gli stava passando per la testa.
Lui le si fece accanto, poggiandole il mento sulla spalla.
- Niente mi afflige, zietta cara!-
Le stampò un bacetto frettoloso sulla guancia, mentre la
guardava di sguincio.
Una risata sprezzante e roca uscì dalla gola della zia.
- Se stai per chiedermi dei soldi, nipotino caro, sappi che conosci
bene la mia risposta, e adesso levati dai piedi e torna a studiare!-
Scansò John con una spintarella affettuosa, ma la voce
estremamente ferma e solida, come al suo solito.
John non insistette. Non era dell'umore adatto per scherzare su
qualcosa che gli stava così a cuore; a volte odiava
l'atteggiamento della zia, avrebbe voluto essere solo, senza la sua
presenza arcigna e severa continuamente fra i piedi. Spesso si prendeva
gioco di lui, come per ricordargli che fino a prova contraria, era lei
ad avere potere sulla sua vita almeno fino al compimento dei suoi 18
anni. Aspettava quel momento come fosse Natale, quando finalmente si
sarebbe liberato di quella presenza ingombrante, che lo frenava e
limitava le sue aspirazioni.
Uscì dalla stanza strascicando i piedi su per le scale.
- E con studiare intendo incollare gli occhi sulle pagine del libro,
non scarabocchiare con quell'album da disegno e la musica nelle
orecchie!-
John le fece il verso boccheggiando alle parole della zia, poi arrivato
in cima alle scale, si chiuse dentro camera sua.
Mimi Smith sapeva bene ciò che vorticava nella testolina
ricciuta del nipote in quei momenti. La dipingeva come un tiranno
dispotico, ai danni del quale il giovanotto spesso tentava sommosse
rivoluzionarie che non facevano altro che inasprire le repressioni nei
suoi confronti.
Mimi non avrebbe voluto comportarsi a quel modo, ma John non le dava
scelta. Il taglio dei viveri era stato necessario visto l'uso
distruttivo che ne faceva.
''Porta ancora della droga in questa casa, Lennon, e io ti sbatto in
collegio! E sai a che tipo di collegio io alluda''
Sì, quello che sarebbe servito a John era un istituto
vecchio stampo, con una ferrea educazione religiosa ed ai sani
principi, una pesante infarinatura di rispetto ed onestà,
condita da un'immancabile dose di restrizioni. Non voleva essere una
dittatrice, ma John non le lasciava scampo.
Iniziava seriamente a pensare che quel Sutcliffe, come
chissà quali altri ragazzacci frequentasse, non facessero
altro che peggiorare l'attitudine già ribelle del nipote.
E pensare che aveva fatto di tutto per fare in modo che trovasse una
sua dimensione, si sentisse a suo agio! Notando le sue
difficoltà e la sua insofferenza alla Querry Bank High
School, Mimi l'aveva iscritto alla Liverpool Collage of Art, dove
sperava che le sue qualità sarebbero venute fuori in maniera
meno burrascosa.
Il ferro da stiro passava sulla camicia stropicciata di John,
rendendola liscia come una tavola, e così Mimi avrebbe
voluto fare con lui, modellarlo, addrizzare tutte le storture del suo
carattere, ma non per cattiveria o per prevaricare la sua
individualità, tutt'altro... Proprio perchè lo
amava così immensamente, per lui non poteva che desiderare
il meglio. Dove sarebbe andato a finire se non avesse finito la scuola?
Se si fosse abbandonato alla droga e a quella vita di stravizi che era
stata tanto cara al padre? Non poteva permettergli di buttare la sua
vita dopo tutti i sacrifici fatti per lui. Aveva solo 16 anni, Mimi
continuava a ripetersi che sarebbe stata solo una fase ma... In alcuni
momenti quando si ritrovava da sola riusciva a stento a trattenere le
lacrime al pensiero di come stesse sempre più fallendo nella
missione di educare il ragazzo.
''Forse non gli ho dato abbastanza affetto... Con le mie punizioni non
ho fatto altro che alimentare la rivalsa nei miei confronti''
Proprio mentre se ne stava immersa nei pensieri, con la voce petulante
di qualche venditore alla televisione come sottofondo, Mimi
sentì bussare alla porta.
Fu un rumore quasi impercettibile, visto il continuo ruscellare della
pioggia che quel giorno sembrava proprio non voler smettere.
Pensò che dovesse trattarsi di nuovo di Stuart,
così attraversò il salotto velocemente e senza
nemmeno guardare dallo spioncino, aprì la porta.
- Cosa ti sei dimenticato stavol....-
Le parole le morirono in gola in un rantolo strozzato e incredulo.
Davanti a lei non c'era nessun ragazzino di 16 anni, bensì
sua sorella Julia, fradicia dalla testa ai piedi, quasi irriconoscibile
coi capelli davanti alla faccia.
Un moto di rabbia e furore si impossessò delle sue membra.
- Tu cosa ci fai qui?-
Sibilò, socchiudendo la porta alle spalle.
Non le avrebbe permesso di rovinare tutto, adesso che John sembrava
aver superato la sua perdita. Non poteva permetterle proprio di
piombare di nuovo nella vita di quel povero ragazzo... Cosa voleva
ancora da lui? Se ne era disinteressata completamente fino a quel
momento.
Julia per tutta risposta indicò la porta.
- Tu non entrerai qui dentro!-
- Voglio solo vedere mio figlio...-
- Non è affatto figlio tuo! Tu lo hai partorito,
sì... Ma chi si è preso cura di lui? Chi lo ha
curato quando era ammalato? Chi si è presa carico della sua
istruzione, educazione? Chi gli ha dato tutto l'amore che essere umano
può provare? Siamo stati io e il povero George... Ed ora io
sono tutta sola... Ed io e John abbiamo trovato un equilibrio e, giuro
su Dio, Julia, non permetterò che tu venga qui a rovinare
tutto!-
La pioggia sembrava aumentare d'intensità, formando un
fiumiciattolo che scivolava e scivolava fino all'incrocio della strada.
Dopo pochi minuti, Mimi era già fradicia fino al midollo, ma
non intendeva tornarsene dentro finchè Julia non se ne fosse
andata via per sempre, lontana da casa sua e da John.
- Sparisci!-
Le intimò fra i denti, guardandola con sguardo infuocato
Julia la osservava dritta negli occhi, senza dar segno di arretrare,
piantata lì sul portico, le braccia lungo i fianchi e i
capelli appiccicati alla testa.
- Ehi Mimi?! Che ci fai impalata sotto la pioggia?-
John si materializzò dietro di lei, la sua sagoma appena
visibile dietro il vetro offuscato della porta d'ingresso semichiusa.
- Non ti preoccupare, Johnny caro, torna pure di sopra...-
Julia trattene il respiro in quella manciata di secondi che
impiegò il ragazzo ad aprire la porta quel tanto che
bastasse per capire cosa diavolo stesse combinando sua zia sotto quel
diluvio.
Lo sguardo dei due si incontrò: John la osservava mentre
Julia gli si faceva sempre più vicina e Mimi, sconfitta, si
faceva da parte poggiando le spalle contro il muro.
Li separavano ormai una manciata di spanne quando il sorriso di Julia
si illuminò, splendente come un sole.
John trattenne a stento le domande dolorose che avevano punzecchiato la
sua mente in tutti quegli anni e si abbandonò a
quell'abbraccio caldo e tenero che, a dispetto di tutte le previsioni
che avrebbe potuto fare, lo fece sentire amato e finalmente desiderato.
|