Arigatou, Gomennasai (Thank you, I'm sorry)

di Kikyo91
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Capitolo 18.




Takahiro era perfettamente consapevole che per portare avanti quell’enorme bugia, occorreva prendere delle precauzioni piuttosto drastiche.
Non poteva sperare che Naoya non venisse a sapere della vera data dell’intervento dai suoi amici o dal dottor Kazuki, perciò decise di fare semplicemente in modo che nessuno potesse in parlagliene.
Durante il week end a casa aveva contattato sia Chiaki che Shinjiro al telefono: raccontò loro che avrebbe effettuato l’intervento il ventinove Agosto, ma che sarebbe stato meglio se non ne avessero parlato troppo con Naoya. Gli disse che il sensei era particolarmente sensibile all’argomento e che preferiva di gran lunga evitare il discorso. I due ragazzi ovviamente non sospettarono nulla, e promisero che ne avrebbero parlato il meno possibile. La stessa cosa la spiegò anche al dottor Kazuki, quando venne per i soliti controlli il lunedì mattina.
Lui, come aveva previsto, fu più difficile da convincere. Era un uomo estremamente intelligente, e gli bastò guardare Takahiro negli occhi per capire che stava escogitando qualcosa.
Tuttavia, benché le parole del moro lasciassero trasparire ben più di quello che volesse, quando ebbe finito di parlare il dottore si limitò a dire: “beh, penso sia un bene”.
Takahiro aveva capito fin troppo bene che Kazuki sapeva, o se non altro intuiva, ciò che voleva fare. Infatti, nel salutarlo, poco prima di uscire, dandogli le spalle si fermò proprio davanti all’ingresso.

-riflettici, però!- esclamò prima di congedarsi

Face quasi finta di niente e, quando fu di nuovo solo, fece un lungo sospiro sconsolato: aveva ottenuto quello che voleva, ma adesso sarebbe arrivata la parte difficile.
Si chiese come avrebbe fatto a guardare Naoya negli occhi durante quei quindici lunghi giorni. Gli aveva mentito già un’altra volta, quando aveva scoperto il tumore. Allora si era rimboccato le maniche e l’aveva affrontato, ma le cose adesso erano leggermente diverse. Non era più sicuro di riuscire a mentire con una convinzione del genere.
Fortunatamente, pensò in seguito, Naoya in quei giorni sarebbe stato meno presente a causa delle commissioni che doveva sbrigare in vista della laurea. A detta sua, doveva andare e venire dall’università diverse volte; ed inoltre doveva tornare a Yamagata per parlare con i suoi genitori circa la cerimonia e un sacco di altre faccende che lui a stento immaginava. Se non altro questo avrebbe aiutato a rendere la bugia meno pesante da sopportare, anche se voleva dire non vedersi.
Ovviamente si sentiva anche molto in colpa nel giocare in quella maniera con i sentimenti dell’amico. Aveva approfittato della sua preoccupazione per mentire non solo a lui, ma anche ai propri amici, a conti fatti. Eppure, la netta convinzione di fare solo il meglio per Naoya, di potergli restituire in un certo senso il favore, era più grande di qualsiasi altra cosa.


Poco dopo che il medico se ne fu andato, Takahiro venne colto improvvisamente da un magone allo stomaco nel preciso istante in cui diede uno sguardo per caso al cellulare, sul comodino.
Il pensiero andò subito all’unica persona alla quale non aveva ancora detto del suo intervento.

Per tre giorni, dalla mattina alla sera, aveva provato invano a contattare Misako al telefono.
Continuava senza sosta a chiamarla sul cellulare, ma questo squillava sempre a vuoto. Senza perdersi d’animo, aveva provato anche a telefonare al ristorante dei genitori. La madre di Misako era una donna estremamente gentile e più volte, l’aveva fatto mangiare nel suo locale senza pagare, specialmente durante il primo periodo senza sua madre, dove sembrava un pesce fuor d’acqua e non era in grado di arrangiarsi da solo. Quando la chiamò fu molto felice di sentirla: avevano chiacchierato un po’; lei gli aveva ribadito che per qualunque cosa, su di loro poteva sempre contare e che ogni giorno andava al Meiji Jingu a pregare per la sua guarigione. Takahiro ne fu davvero commosso.
Poi però quando l’oggetto della conversazione divenne “Misako”, la voce della donna sembrò incupirsi.

-non so davvero cos’abbia quella ragazza- spiegò –sta tutto il giorno in camera, non mi aiuta nemmeno qui al ristorante. Posso provare a chiamartela, se vuoi-

Takahiro però rifiutò –…no, non serve, la ringrazio-

-ma avete litigato?-

Il moro esitò a rispondere. Poi,disse solamente –magari fosse solo una litigata – ed interruppero la telefonata, salutandosi

Subito dopo, senza perdersi d’animo, provò a chiamare l’amica altre tre volte, ma non ci fu nulla fa fare.
Misako era una persona estremamente testarda, e se non voleva parlargli, non ci sarebbe stato verso di costringerla a farlo. Rammaricato, decise allora di inviarle qualche sms: quelli li avrebbe letti di sicuro, pensava.
Così, senza perdere altro tempo, si appresto a scriverle.

Nello stesso momento, Misako, a casa sua, distesa sul letto guardava il soffitto, tenendo stretto tra le braccia il cuscino. Il telefono, che fino a pochi attimi prima aveva squillato incessantemente, si trovava proprio di fianco a lei e ogni tanto vibrava per la mole di chiamate senza risposta che aveva ricevuto.
Sua madre era venuta fino alla sua stanza, le aveva bussato e detto:” guarda che Takahiro kun ha chiamato poco fa!”. Lei aveva mugugnato un semplice “non mi interessa” e la donna, sconsolata, era tornata al suo lavoro.
Misako non si era mai sentita così egoista ed arrabbiata nello stesso momento. il suo era un comportamento irragionevole e lo sapeva. Però non riusciva proprio a confrontarsi con Takahiro. Aveva paura anche solo di sentire la sua voce e anche se avesse provato ad ascoltarlo, non avrebbe saputo da dove cominciare, per parlare.
Si era spinta davvero troppo oltre ed aveva messo in difficoltà non solo l’amico, ma anche il senpai, che, in un certo senso si sentiva responsabile.
Non aveva nemmeno la forza di uscire e fare due passi. Era davvero distrutta.
In quell’istante, un suono, diverso dagli altri, la riportò per un breve momento a quella che era la realtà: aveva ricevuto un messaggio sul cellulare. Non fece in tempo a prenderlo, che suonò altre due volte.
Con il cuore in gola, vide chi glieli aveva mandati. Si trattava di Takahiro .
Ben sapendo di non poterlo vedere ne sentire, si calmò leggermente e decise di non ignorarli.
Aprì il primo:

 

“Misako, avrei davvero bisogno di parlarti. ”


Sospirò pesantemente. Era vero, Takahiro non c’era, però poteva addirittura sentire la sua voce rimbombargli nelle orecchie. Facendo finta di nulla, si apprestò a leggere anche l’altro.

 

“Il mio intervento sarà il ventinove agosto.
Volevo fartelo sapere”


Ed in seguito, lesse l’ultimo


“ti voglio bene”


-…-

Istintivamente, la ragazza fissò il calendario a muro, tutto scarabocchiato, accanto allo specchio della parete. Mancavano due settimane. Si alzò bruscamente dal letto, gettando su di esso il telefono, ancora col messaggio aperto.
Le venne il forte impulso di andare subito a Yokohama, da lui. Quando però, con lo sguardo, cercò la borsa, si bloccò in piedi, di nuovo, frenata dalla paura.
Con che faccia l’avrebbe guardato? Non si era fatta viva per tre lunghi giorni, e adesso voleva andare da lui? Con che coraggio lo stava facendo? Ne aveva davvero il diritto?.
Tutte quelle domande al assalirono in un colpo solo, tanto che dovette risedersi forzatamente sul letto.
Lanciò un’occhiata al cellulare, poi lo prese nuovamente in mano. Rilesse ancora una volta il messaggio e, con gli occhi lucidi di pianto, lo spense.




**




Takahiro non sperava di ricevere una risposta. In cuor suo gli bastava che lei avesse almeno letto quei messaggi e che capisse di non sentirsi in colpa, che lui non ce l’aveva con lei per il non essersi fatta sentire. Aveva esitato un po’ prima di scrivere “ti voglio bene”, ma alla fine aveva sentito semplicemente il bisogno di farlo. Perché era quello che provava.

Nei giorni successivi, Naoya andava e tornava dalla clinica con più frequenza e non mancava mai di raccontare al moro ogni dettaglio sulla sua preparazione. Era davvero molto felice e più lo vedeva, più Takahiro credeva che, tutto sommato, avesse fatto la cosa giusta. Come aveva sospettato, il sensei era contento di poter partecipare alla cerimonia di Laurea e la sua allegria riusciva a contagiare anche lui, dimenticandosi per un po’ tutti i problemi con Misako.
Ogni tanto, al pomeriggio, quando c’era più tranquillità, se ne stavano in silenzio a rilassarsi, magari guardando un po’ di televisione.
Naoya, notò il moro un giorno, era impegnato a scrivere qualcosa su una specie di diario.
Glielo aveva visto fare qualche volta, ma non si era mai soffermato ad osservarlo mentre scriveva con così tanta curanza. Si incuriosì.

-…che scrivi?- domandò

Il sensei si fermò e si voltò verso l’amico –oh, niente di importante! Solo qualche pensiero!-

Tipica risposta di uno che voleva tenere nascosta ogni cosa. Takahiro fece una smorfia. Si scoprì il lenzuolo e cominciò a gattonare sul letto, fino a raggiungerne l’estremità, in modo da poter essere più vicino al sensei, seduto alla scrivania.

-N a o y a kun!- esclamò con una vocina stridula, cercando di sembrare carino –sarò molto, molto felice se mi dici cosa stai scrivendo!-

-fare il kawaii non ti si addice!- rise Naoya –sei spaventoso, più che altro!-

Takahiro sbuffò, sconsolato.

-non ti ho mai visto scrivere! –commentò poi, tornando normale –cioè, è da poco che lo fai!-

-scrivo solo quando ne sento il bisogno!- spiegò Naoya– comunque si, non è da molto che l’ho iniziato –concluse riferendosi al diario

Il moro sorrise nuovamente, questa volta con più intensità.

-…Naoya kuun?- domandò ancora

-non attacca, non te lo faccio leggere!- lo interruppe il sensei, chiudendo improvvisamente il libro

-uffaaa!! Hai detto che non c’è nulla di importante! –

-ciò non vuol dire che sia aperto al pubblico!-

-…che noioso…-

Rassegnato, Takahiro fece dietro front e si rimise sotto le coperte, con lo sguardo imbronciato, a guardare la televisione.
Naoya sorrise sotto i baffi e mise a posto il diario nella propria ventiquattrore .
Poi si voltò di nuovo verso il ragazzo.

-la sai una cosa?- domandò

-mh?- rispose il moro

-vorrei che tu potessi venire. Alla mia laurea, intendo!-

Takahiro si sentì improvvisamente a disagio. Distolse violentemente lo sguardo dal sensei, continuando però a sorridere, per evitare di insospettirlo. Si morse il labbro inferiore.

-a-anche io!- disse –ma sarà come se ci fossi!-

-sarebbe stata una buona occasione per farti conoscere i miei genitori! – sospirò Naoya

-…-

Fu in quel momento che si accorse di aver detto troppo.

-ah! No, scusami. –si apprestò ad esclamare- forse non è l’idea più brillante che mi sia venuta in mente…-

Il moro capì che doveva aver detto quelle cose senza pensarci, con assoluta naturalezza. In fondo, era del tutto naturale che due persone che stavano insieme andassero a conoscere i genitori di ognuno. Fu allora che si chiese in che tipo di famiglia fosse cresciuto Naoya. Provò ad immaginare il volto di sua madre, che aveva intravisto in qualche foto, o quello della sorella minore.
Certo, era tutto molto complicato: riuscì a malapena a pensare alle loro facce sconvolte quando si sarebbe presentato davanti a loro. Prima di tutto era un ragazzo, per giunta ancora minorenne.
In effetti, annuì in seguito, forse sarebbe stato il caso di aspettare.

-un giorno me li farai conoscere!- disse infine

Quella frase speranzosa e rivolta al futuro, colpì profondamente Naoya, più di quanto avesse immaginato.
Assunse una faccia stupita e poi, sospirando lievemente, annuì con la testa.





**




Durante tutti quei lunghi otto mesi il tempo era passato lento ed inesorabile, scandito insistentemente. Ogni ora, ogni secondo, Takahiro li aveva sentiti tutti su di lui, come presagio della sua imminente dipartita.
Eppure, dopo aver saputo la data del suo intervento, malauguratamente il tempo aveva deciso di correre più in fretta che poteva e, senza che il ragazzo se ne rendesse conto, le due settimane che anticipavano l’evento, passarono quasi in un batter di ciglio, con tutti i loro pro e contro.
Naoya era sempre più indaffarato e, benché fosse contento, d’altra parte era rammaricato nel lasciare troppo da solo Takahiro. Ma il moro l’aveva rincuorato, dicendogli di non preoccuparsi, che ormai non aveva più attacchi di panico dovuti alla solitudine. Poteva sembrare solo una scusa, ma la realtà era che Takahiro si sentiva davvero bene.
Chiaki lo chiamava spesso al telefono, per sapere come stesse, e Shinjiro faceva lo stesso, quando poteva. L’unica che non chiamava mai era Misako.
Ormai, dal giorno dei messaggi, non si erano più sentiti e il ragazzo aveva perso le speranze di poter chiarire ogni cosa con lei. Cercava di non pensarci, perché se lo faceva, l’angoscia lo pervadeva e non riusciva ad essere lucido: doveva stare molto attento a non tradirsi, specialmente davanti a Naoya. La sua bugia doveva perdurare, almeno fino a quando sarebbe entrato in quella sala operatoria.


Il vent’otto Agosto era un caldo lunedì.
Takahiro quella mattina si era svegliato piuttosto presto ed aveva trovato Naoya al suo fianco che sonnecchiava seduto sulla sedia. Doveva essere rimasto a vegliarlo tutta la notte, come aveva fatto nei primi periodi, quando non se la sentiva di lasciare solo l’amico. Per Takahiro quei momenti era molto importanti e cercava di viverli con pienezza, sapendo per altro cosa sarebbe accaduto il giorno dopo.
Nel ridestarsi, cercò di non svegliare anche Naoya e controllò le ore. Erano le otto e mezza, ci voleva ancora un po’ per la colazione. Si mise ad osservare il volto rilassato e pacifico del sensei e non poté fare a meno di sorridere: era buffo quando dormiva.
Incredibilmente erano arrivati alla vigilia dell’operazione senza che sospettasse nulla.
Takahiro lo sapeva, che Naoya si fidava ciecamente di lui, ed era proprio per questo che era andato tutto liscio; anche gli amici ne avevano parlato poco.
Aveva ansia, ne aveva davvero tanta. L’indomani, mentre Naoya avrebbe festeggiato la sua laurea, lui avrebbe cercato di provare a vivere e di sfidare quell’astuto destino che mai una volta gli era stato amico nella sua vita. Tutto quello che aveva fatto, gli amici che aveva incontrato…ogni cosa l’aveva scelta lui, impegnandosi per ottenerla. Il destino si era sempre messo in mezzo, ma finora Takahiro aveva sempre vinto; e sperava di poterlo fare ancora nella battaglia più importante.

Poco a poco, forse a causa dei movimenti un po’ irrequieti del giovane, Naoya sembrò svegliarsi, perché cominciò a bofonchiare qualcosa.
Aprì gli occhi quasi a rallentatore e subito sbadigliò, facendo ridere Takahiro.

-yaaaawn…-

-buongiorno!- esclamò il moro

Il sensei riprese conoscenza e, quando ebbe focalizzato bene dove si trovava, si portò una mano sul collo, stiracchiandosi.

-c-ciao…- sospirò stanco

-…sei stato qui stanotte…- osservò Takahiro

-mi sono addormentato di colpo, credo- spiegò l’altro -…è da giorni che dormo poco…-

-agitato?-

-diciamo!- sorrise –tu piuttosto…sei mattiniero oggi!-

-nemmeno io ho particolarmente sonno ultimamente- sospirò Takahiro

Non poteva certo dirgli di essere in ansia per l’operazione.
Naoya si alzò dalla sedia e fece qualche passo intorno alla stanza, per far ripartire un po’ il proprio corpo indolenzito.

-ah, è vero!- esclamò all’improvviso –devo passare in tintoria e fare la spesa oggi…e passare in appartamento per pulirlo un po’…sai, i miei vengono stasera-

-…capisco-

Takahiro non si rese conto di aver detto quella parola con un tono quasi sconsolato. Naoya si fermò di colpo e lo guardò, leggermente sorpreso: per quanto cercasse di sorridere, l’amico sembrava davvero triste.
Fece un lungo sospiro e si avvicinò al letto, rimettendosi seduto sulla sedia. Poi cercò la mano di Takahiro con la propria e la prese. Il ragazzo però era voltato dall’altra parte.

-…va tutto bene?- chiese

-…mh!- annuì il moro

Naoya continuò a fissarlo, un po’ incerto sul da farsi. Poi gli venne un lampo.

-senti, facciamo così!- disse –tutte queste cose le posso fare anche un’altra volta!-

-eh?-

-in tintoria ci passo domani mattina. Quanto alla casa…in fondo non è così sporca!- sorrise –oggi lo dedico completamente a te! Che ne dici?-

Takahiro lo guardò stranamente.

-n-non devi! Hai tanto da fare…- esclamò mortificato

il sensei scosse la testa –in questi giorni ci sono stato poco…voglio rimediare!-

-ma…-

-voglio passare una giornata con il mio Takahiro!- insisté –non è giusto che solo io sia felice!-

-…-

Senza esserne consapevole, Naoya in realtà aveva colto proprio nel segno. Lui non lo sapeva, ma per Takahiro quello sarebbe stato il suo ultimo giorno. E anche se sembrava egoista, sentiva il forte desiderio di passarlo con il sensei; ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo, anche per paura di risultare troppo seccante e fuori luogo. Fortunatamente non c’era stato bisogno di dire nulla e, anche se si sentiva un po’ in colpa a trattenere Naoya lì con lui, era felice di poter trascorrere quella giornata insieme.




**




Quel pomeriggio, subito dopo i controlli che in quei giorni erano triplicati (e Takahiro aveva lottato duramente con le infermiere, perché non si lasciassero sfuggire niente), decisero di uscire ed andare a fare due passi lungo il viale davanti alla clinica, per poi passare qualche ora affittando un ombrellone alla spiaggia privata.
Chiacchierarono, risero e riuscirono anche a divertirsi un po’ con altri pazienti che si trovavano lì per rilassarsi. Naoya era molto in vena di parlare e di distrarsi, forse per l‘ansia dovuta all’indomani e Takahiro, dal canto suo, aveva i nervi decisamente più sciolti, anche se inconsciamente non faceva altro che guardare l’ora sull’ orologio da polso che portava l’amico.
Quando vennero le sei, dovettero rientrare in stanza: il sensei doveva prepararsi per tornare a casa, visto che a breve sarebbe arrivata tutta la sua famiglia a Tokyo.
Takahiro, leggermente sudato, era molto stanco e quasi non proferì parola al loro ritorno.
Si coricò sul letto e si passò una mano sulla fronte, come per assicurarsi di non avere la febbre; Naoya era preoccupato.

-va davvero tutto bene?- domandò all’improvviso, mentre sistemava le proprie cose

-…c-certo!- sorrise Takahiro cercando di non tradirsi – perché non dovrebbe?-

-oggi sei un po’ strano –osservò il sensei –sembri nervoso. Controlli le ore ogni cinque minuti, sei distratto…-

-…-

-…non è che c’è qualcosa che vuoi dirmi?-

Fu in quel preciso istante che Takahiro spalancò gli occhi di colpo, mettendosi a fissare Naoya, per poi distogliere subito lo sguardo e posarlo sul lenzuolo bianco dal quale si intravvedeva la forma delle sue gambe.
Non si era nemmeno accorto che Naoya si era avvicinato pericolosamente a lui. Di certo, se l’avesse guardato anche solo una volta, non sarebbe più riuscito a nascondere niente.

-non mi guardi nemmeno più, ultimamente- disse il sensei, un po’ tristemente

-…-

Doveva assolutamente fare qualcosa. Naoya non doveva sospettare niente.

-n-no!- rispose infine balbettando –non è come pensi. È solo…solo che volevo dirti una cosa e…beh, forse è stupida!-

L’espressione dell’amico mutò leggermente, ma mantenne quella punta di sospetto ben evidente –e cioè…?- disse

-…domani! Domani è un grande giorno per te, no? – spiegò –conoscendoti però cercherai di chiamarmi ogni due secondi per sapere come sto e come va! Non ti godrai niente!-

-…-

- quindi vorrei che mi facessi un favore!...un altro-

-s-sarebbe?- domandò Naoya perplesso


-tieni spento quel dannato cellulare!- esclamò ridendo lievemente –voglio che la giornata di domani sia solo tua! Perciò tieni spento il telefono, non chiamarmi e non lasciare che gli altri chiamino te!-

-…m-ma che stai dicendo?- rise il sensei, senza fare troppo per nasconderlo

-si lo so, è stupido ma…promettimelo!!- insisté

Naoya si rese conto, ancora una volta, che Takahiro era davvero una persona fuori dal comunque. Aveva imparato a conoscerlo piuttosto bene, eppure ogni volta che pensava di sapere tutto di lui, riusciva sempre a colpirlo.
Smise di ridere e si avvicinò leggermente verso il moro, facendo leva appoggiando una mano sulla superficie del letto. Senza preavviso, allungò il volto verso quello di Takahiro e gli diede un piccolo bacio sulle labbra.
Takahiro arrossì vistosamente ma, subito dopo che Naoya si fu staccato, fu lui ad esporsi ed a dargli un altro bacio, molto più passionale di quello del sensei.
Naoya, che non si era aspettato quella reazione, ricadde sul letto, fino a ritrovarsi quasi sopra l’amico, che sembrava non avere intenzione di sciogliere il bacio.
Sembrò durare una vita, finché, per riprendere fiato, Takahiro dovette fermarsi.
Si staccarono, ansimando entrambi. Il moro per la prima volta in quella giornata guardò Naoya e i loro occhi si incrociarono per lungo tempo.

-…forse mi ripeto ma..oggi sei strano- sorrise il sensei – baciarmi in questo modo in ospedale…-

-mi andava di farlo!- si limitò a disse Takahiro – consideralo il mio regalo di laurea-

In realtà, quello aveva l’aria di essere più che altro, un bacio d’addio. Anche Naoya doveva avere avuto la stessa impressione inizialmente, ma rimase in silenzio, pensando che forse era solo la sua immaginazione.
Sentendo qualche voce provenire dal corridoio, per paura che fosse qualche infermiere che doveva entrare in camera, Naoya si alzò velocemente dal letto e si ricompose, sotto gli occhi di Takahiro, che lo seguiva in ogni movimento che faceva .
Dopo aver preso la propria borsa, il sensei fu pronto per andare.

-ricorda quello che mi hai promesso!- gli rammentò takahiro

-si, niente cellulare…ricevuto!- rispose l’altro

-…-

Takahiro sembrava piuttosto provato in quel momento. aveva gli occhi leggermente lucidi, ma non sembrava sul punto di piangere. Naoya si chiese se non fosse solo la luce del sole che pian piano tramontava, a donare quello strano effetto.

-È stato bello!- esclamò il moro

-si, oggi mi sono divertito molto!- sorrise Naoya

Il ragazzo però, scosse la testa –è stato bello averti incontrato- precisò

-…-

-questi mesi sono stati…davvero felici!- sospirò con un po’ di tristezza –se non ci fossi stato tu…chissà dove sarei adesso-

Naoya era immobile, colpito da quelle parole che in quel momento sembravano quasi fuori luogo. Non capiva perché Takahiro stesse dicendo quelle cose in una situazione come quella. Non riusciva a capire.

-Takahiro…- provò a dire

-vai adesso!- lo interruppe il giovane –in bocca a lupo per la cerimonia!- sorrise

-…domani sera sarò di nuovo qui. E ti racconterò tutto!- annuì Naoya

-ti aspetto!-

Si guardarono ancora una volta. Takahiro non aveva alcuna intenzione di distogliere i suoi occhi da quelli del sensei. Voleva aver ben chiaro il suo volto, ogni lineamento, ogni cosa, per poterselo ricordare anche nel peggiore dei casi.
Vide di nuovo il sorriso disegnarsi su quel volto dolce che aveva imparato ad amare. Naoya lo salutò con la mano, finché non scomparve, uscendo dalla stanza.
Fu in quel preciso momento che Takahiro fu cosciente del fatto di essere rimasto solo. Per qualche istante continuò a fissare l’ingresso della camera, e rendendosi conto che il sensei non sarebbe più tornato, cercò di pensare solo al suo volto che era riuscito a memorizzare quasi alla perfezione.
Senza preavviso sentì un irrefrenabile desiderio di piangere.
Quello, con molta probabilità sarebbe stato il suo ultimo giorno. Si sarebbe addormentato con la consapevolezza di svegliarsi per l’ultima volta.
Capì di avere ancora così tante cose da fare: chiedere scusa a Naoya per avergli mentito di nuovo, poter chiarire tutto con Misako e, perché no? Provare a fare pace con suo padre e conoscere il suo fratellino. Era rimasto tutto in sospeso, quasi come la sua vita, che ora più che mai era in bilico nel vuoto.





**





Il giorno seguente Naoya si svegliò di soprassalto.
Aveva fatto un incubo, che però non riuscì a ricordare. L’unica cosa di cui era certo è che aveva dormito davvero poco quella notte. Non sapeva se fosse per l’ansia o per qualche altro motivo, ma era molto preoccupato. Fin da quando aveva lasciato l’ospedale, una strana sensazione si era impossessata di lui e ancora non se ne era andata: la chiara sensazione di non dover lasciare Takahiro da solo; non quel giorno almeno.
Tuttavia, ebbe poco tempo per riflettere in quanto, qualche istante dopo che si fu alzato, il campanello di casa suonò insistentemente e fu costretto a ricevere montagne di parenti ed i genitori, che si stupirono di vederlo ancora in pigiama a quell’ora.
Aveva fatto accomodare la famiglia nel piccolo salottino, mentre lui era volato di corsa a prepararsi: suo padre era passato gentilmente in tintoria al posto suo.
La cerimonia si sarebbe svolta a mezzogiorno, ma tutti i laureandi dovevano essere lì almeno un’ora prima.
Ci volle un po’ perché potesse ritenersi presentabile, e dopo che ebbe finito di pettinarsi i capelli, passò al setaccio della roba da portarsi dietro: fu in quel momento che notò il cellulare sopra il comodino. Sospirando lievemente lo prese in mano per metterlo in tasca del completo, ma prima di farlo, si mise a fissarlo per qualche istante, un po’ indeciso.
Si ricordò della ‘promessa’ fatta a Takahiro, il giorno precedente.
tieni spento il telefono, non chiamarmi e non lasciare che gli altri chiamino te!”, aveva detto.
Sapeva molto bene che Takahiro teneva tanto a quella cerimonia, forse addirittura più di lui, e che non voleva che venisse rovinata per nessun motivo. Spegnere il cellulare era un modo un po’ drastico, ma non aveva tutti i torti in fondo.
Senza perdere altro tempo decise infine farlo, immaginando che non sarebbe successo nulla di così importante, in quelle ore, perché dovesse tenerlo acceso.
Fatto ciò, quando sentì il padre chiamarlo dal salotto, si apprestò a raggiungerlo, dopo essersi dato un’ultima occhiata allo specchio.





**





Se Naoya non aveva dormito quasi per niente quella notte, Takahiro era stato costretto a farlo grazie al calmante che gli avevano iniettato.
La sera prima, intorno alle dieci, il ragazzo aveva avuto un leggero attacco di panico, dovuto probabilmente all’ansia, tanto che gli infermieri, per sicurezza, avevano preferito farlo dormire ‘artificialmente’.
Così si era svegliato di punto in bianco alle nove del mattino, con la testa che gli martellava incessantemente a causa delle medicine.
Fortunatamente nessuno aveva pensato di contattare Naoya, tant’è che il suo piano sembrava stesse andando nella direzione giusta.
L’operazione sarebbe avvenuta a mezzogiorno e sarebbe durate almeno sette ore. Pensare a come sarebbe potuto essere quella sera, vivo o morto, lo fece leggermente rabbrividire e cercò di concentrarsi su altro, adocchiando delle riviste sulla scrivania.
Decise di alzasi dal letto per recuperarle e così, un po’ goffamente ed aiutandosi sorreggendosi al muro, riuscì a raggiungere il tavolo dove erano appoggiate. Nel farlo però, ne fece cadere un paio, che sbatterono con un tonfo sul pavimento.
Sbuffando, Takahiro si apprestò a raccoglierle, quando si accorse che insieme alle riviste, c’era un libro leggermente più grosso e piccolo.
Incuriosito, lo prese in mano e lo osservò: era il diario che Naoya scriveva di tanto in tanto.

-…se lo sarà dimenticato…- esclamò ad alta voce

In un primo momento decise di rimetterlo sulla scrivania, ma poi l’impulso di darci un’occhiata ebbe il sopravvento e, prendendo anche le riviste che gli occorrevano, si coricò nuovamente a letto.
Fissò il diario, al quale una penna biro faceva da segnalibro, ma non era certo di volerlo davvero aprire. Se Naoya l’aveva tenuto per sé, un motivo ci doveva per forza essere.
Deciso più che mai a non essere invadente, fece per appoggiare il libro sul comodino, ma facendolo, urtò invece lo spigolo del mobile e il diario cadde.
Maledicendo lui e sua imbranataggine, Takahiro allungò il braccio per recuperarlo,e si accorse che cadendo, si era aperto proprio dove la penna separava le pagine scritte da quelle ancora bianche.

-…-

Rimase con il braccio a penzoloni per qualche istante, osservando l’elegante calligrafia del sensei e non potendo fare a meno di leggere le prime righe.
Lo raccolse, controllando che non si fosse rovinato.

-“5 Luglio” – lesse a bassa voce –“oggi Takahiro non è di buon umore. Adesso mi trovo in corridoio, aspettando che gli passi.”-

Con il cuore in gola, il moro continuò a leggere, sfogliando quelle che in tutto, erano più o meno una quindicina di pagine.

-“16 Luglio. Vedo Takahiro più sereno, da quando ha parlato con suo padre. Sono molto felice che le cose si stiano sistemando.

Il dottor Kazuki continua a ripetermi che Takahiro non può migliorare. Però io voglio credere che si sbagli.
“-

In alcune pagine, le note non avevano la data.

-“Finalmente fuori dall’ospedale!”- e ancora –“Quella di ieri, è stata la notte più bella della mia vita”-

Rilesse diverse volte alcune frasi che Naoya doveva aver scritto di getto, come per liberarsi un po’ di certi pensieri per far spazio ad altri. Uno, scritto piuttosto di recente, lo colpì in maniera particolare.

Avevo perso ogni speranza. E mi sento egoista per questo. Ma adesso essa è diventata una cosa concreta. Ho ripreso a sperare perché posso finalmente farlo.”

-…-

Takahiro fissò quel punto del diario, smettendo improvvisamente di parlare. Molte emozioni pervadevano il suo animo in quel momento. Gli sembrava di avere, in un certo senso, sondato nella mente del sensei e di essere riuscito a capire fino in fondo cosa provasse e per quale motivo; c’erano cose che aveva voluto annotare, forse per ricordarsene in seguito.
Contrariamente a quanto aveva previsto, non si pentì di aver letto quelle righe. Provò un vero senso di gratitudine ed ammirazione nei confronti di Naoya, molto più grande di prima. Istintivamente, prese una delle riviste che si era portato sul letto e cercò una pagina che avesse del bordo bianco. Quando l’ebbe trovata, strappò la parte non scritta con un po’ di cautela e subito dopo prese la penna di Naoya.
Ci pensò un attimo e poi, con un po’ di apprensione, vi scrisse sopra qualcosa.
Nel farlo, sorrise lievemente, in modo nostalgico.
Quando ebbe finito, rimise la penna al suo posto, collocò il pezzo di carta all’interno del diario, e lo chiuse definitivamente.




**





-eccoci arrivati!-

Chiaki fissò la grande insegna posta sullo stipite dell’ingresso di un locale.
Quella mattina c’era un grande viavai di gente in centro città e tutti i negozianti erano indaffarati per la grande mole di clienti che pullulava in quasi ogni negozio. Anche se la fine di Agosto era ormai alle porte, moltissime persone erano ancora intenzionate a comprare il costume più alla moda mentre, d’altro canto, gli studenti di medie e liceo erano alla ricerca delle divise da portare per il nuovo anno scolastico.
La ragazza, nonostante indossasse solo un vestito leggero a fiori, tentava di farsi aria con la mano, mentre Shinjiro, accanto a lei, faceva ombra con un ombrello bianco, per il sole.

-sei sicura che sia una buona idea?- domandò il ragazzo, perplesso –forse avremmo dovuto avvisare-

Chiaki si voltò verso il fidanzato, fulminandolo con lo sguardo.

-avvisare non serve a nulla, tanto si farebbe negare!- sbottò -l’unica soluzione è piombare in casa e stanarla!-

-dobbiamo essere in clinica per mezzogiorno!- le ricordò il giovane –e poi non possiamo costringerla…-

-Misako è la mia migliore amica!- spiegò Chiaki, trascinando Shinjiro in mezzo alla strada, quando il semaforo fu verde –qualunque cosa sia successa, la risolveremo! Inoltre…-

-…?-

-sono certa che se non venisse, lo rimpiangerebbe per il resto della sua vita!- concluse un po’ tristemente.

Shinjiro non disse più nulla e si limitò ad annuire.
Avevano più volte provato a parlare con Misako in quei giorni, ma l’amica si era sempre fatta negare o aveva evitato accuratamente di farsi trovare in casa . Non sapevano cosa fosse successo, ma era chiaro che dovevano fare qualcosa per sistemare tutto. Takahiro non aveva detto nulla riguardo a quella situazione, ma Chiaki aveva capito fin troppo bene che doveva essere successo qualcosa di serio.
Quando furono davanti al locale dei signori Uno, prima diedero un’occhiata dall’esterno, attraverso la vetrina, finché non si decisero ad entrare.
A quell’ora non c’erano molte persone e i proprietari erano più che altro indaffarati a pulire il negozio ed a preparare il menù del giorno.
I due ragazzi salutarono rispettosamente e la madre di Misako, che si accorse della loro presenza, andò ad accoglierli calorosamente.

-buongiorno signora!- salutarono in coro Chiaki e Shinjiro

-ragazzi, quanto tempo!- esclamò la donna, contenta –Chiaki, sei sempre più carina!-

La giovane arrossì.

-siete venuti a trovare Misako?- domandò la donna

-ehm, più o meno!- disse Chiaki un po’ a disagio

-…dobbiamo andare in ospedale!- si affrettò a dire Shinjiro, vedendo l’amica in difficoltà

La signora Uno smise di sorridere e capì al volo ogni cosa. Appoggiò sopra uno dei tavolini della sala, lo strofinaccio che fino a quel momento aveva usato per spolverare, e sospirò un po’ amaramente. Sembrava mortificata.

-Takahiro kun…?- domandò

I due ragazzi annuirono, senza dire niente.

-capisco…- continuò la donna –ancora non posso credere che sia successo proprio a lui…un così bravo ragazzo…-

-…-

-b-beh, Misako è in camera sua ora! Vado a chiamarvela…- riprese la signora Uno, cercando di cambiare discorso

-se non le dispiace, vorremmo andare noi a parlarle!- spiegò Chiaki

Lei sorrise ed annuì –certo! Accomodatevi pure di sopra!-

Entrambi ringraziarono con un inchino e si diressero in fondo alla sala. Proprio di fianco all’ingresso della cucina, c’era un’altra porta con su scritto “PRIVATO”.
La aprirono e si trovarono subito davanti ad una serie di scale che portavano a quello che era l ‘appartamento vero e proprio della famiglia Uno.
L’entrata dava proprio sul piccolo soggiorno fatto interamente di tatami. Si tolsero le scarpe ed entrarono. Senza troppi preamboli, Chiaki puntò subito verso la camera dell’amica ma quando fu davanti alla porta, si fermò un po’ timorosa.

-...Misako?- esclamò infine, bussando

Non ci fu risposta.

-Misako, siamo noi!- disse Shinjiro

-apri un attimo, dobbiamo parlarti!- insisté la ragazza

Dapprima non percepirono ne rumori e ne risposte, tanto che si guardarono leggermente affranti. Fu in quel momento che sentirono qualcuno avvicinarsi probabilmente alla porta e, lentamente, questa si aprì.
La testa di Misako, che era ancora in pigiama, sbucò all’improvviso: sembrava assonnata e non aveva una bella cera. Guardò perplessa i due amici.

-oh, siete venuti…- sbadigliò, aprendo definitivamente

Sia Chiaki che Shinjiro non erano certi sul da farsi, ma entrarono ugualmente nella stanza della ragazza. Era la prima volta che Shinjiro veniva in camera di Misako, difatti si mise in un angolo immobile, un po’ a disagio, mentre Chiaki appoggiò la borsa di fianco al tavolino basso sul tatami, al centro della stanza. Le finestre erano aperte e, nonostante ci fosse pochissima aria, le tende ondulavano dolcemente.
Misako, senza dire una parola, si era seduta sul letto.

-….di cosa volete parlarmi?- domandò la giovane

-…- Chiaki era a dir poco incredula -…stai scherzando vero? Che domande sono?!-

-…-

-piuttosto, che ci fai ancora conciata così?! vestiti, dobbiamo andare a Yokohama!- spiegò l’amica, aprendo l’armadio di Misako e cominciando a darci un’occhiata

-io non vengo- si limitò a rispondere

-cosa?!- parlò Shinjiro per la prima volta

-…-

Chiaki rimase con lo sguardo rivolto all’armadio.

-si può sapere cosa ti è preso?!- chiese in seguito, rivolgendosi alla ragazza –non ti riconosco più!-

-…-

-non so perché tu ce l’abbia così tanto con Takahiro ma…-

-non ce l’ho con lui!- sbottò Misako alzando il tono della voce -…ce l’ho con me stessa…-

-eh?-

La ragazza si alzò dal letto, guardando il pavimento. Scalza, si avvicinò alla finestra e si mise a fissare il panorama circostante. Si vedevano innumerevoli palazzi e, se si sforzava, si riusciva a notare anche l’altissima Tokyo Tower o la ruota panoramica di Odaiba. Sospirò pesantemente, mentre gli amici la osservavano in silenzio.

-…gli ho detto…una cosa- disse infine -…una cosa che ho sempre tenuto per me-

-…-

-e avrei dovuto continuare a farlo –continuò con una smorfia quasi di disgusto

Chiaki provò a consolarla -…beh ma…cosa puoi mai avergli detto, dai…-

-…Takahiro mi è sempre piaciuto!!- esclamò Misako rabbiosamente

Shinjiro in quel momento fece una faccia a dir poco stupita, in perfetta sintonia con quella di Chiaki, che però sembrò impallidire a differenza sua.

-…come…- si limitò a dire l’amica

-nessuno doveva saperlo!- la interruppe Misako –ma io, stupidamente gliel’ho praticamente urlato in faccia. Lui voleva solo qualcuno con cui confidarsi e ridere, in un momento così triste…-

-…-

-ed io l’ho messo in difficoltà con la mia stupida arroganza!! sono proprio un’egoista…- spiegò –non ho nemmeno il coraggio di chiamarlo…-

-Misako…- sospirò Chiaki

-quindi, per favore, andate voi in ospedale- supplicò la giovane –io non voglio che la mia presenza lo faccia sentire peggio di quanto non stia già…-

-…-

La stanza piombò nuovamente nel silenzio.
L’unico suono che si sentiva era quello del traffico mattutino lungo le strade della città, accompagnato di tanto in tanto dal canto di qualche uccellino nei paraggi.
Misako aveva gli occhi lucidi e sembrava che stesse tremando, perché a stento riusciva a frenare le proprie emozioni.
Chiaki dal canto suo, diede prima uno sguardo a Shinjiro, ancora in disparte e un po’ abbattuto, e decise di prendere in mano quell’assurda situazione.
Lentamente, chiuse le ante dell’armadio e sospirò. Poi si avvicinò all’amica, ancora immobile.
Quando furono l’una di fronte all’altra, e vedendo che Misako non sembrava essere intenzionata a guardarla, Chiaki per istinto le diede un sonoro ed inaspettato schiaffo.
Si sentì lo schiocco della mano che colpiva la guancia della ragazza, che fissò Chiaki incredula.

Shinjiro scattò in direzione delle due ragazze -Chiaki!- esclamò presagendo il peggio

La giovane però non lo stette a sentire. Guardava Misako con rabbia e tristezza impresse negli occhi.

-…te ne darò un altro se non cominci ad usare il cervello!- sbottò la giovane

-C-Chiaki…- disse Misako con un filo di voce

-ma tu pensi davvero che il nostro Takahiro sia una persona del genere?! Che si faccia abbattere così da queste cose?!- esclamò arrabbiata –mi meraviglio di te!!-

-…-

-non capisci che è il non vederti che lo fa soffrire?! - spiegò –Takahiro sta…-

E lì, sembrò che la parola facesse fatica ad uscirle.

-…sta morendo! –concluse –e sta cercando in tutti i modi di combattere contro questo assurdo destino! Ma ha bisogno di noi per farlo! Di tutti noi!-

-…-

-vuoi davvero rimanere qui, ad aspettare senza fare niente?! Senza nemmeno salutarlo?-

-…i-io…-

-torna ad essere quella che eri!! Tu non sei mai stata così…-

Questa volta, Chiaki concluse la frase con un singhiozzo, tenendo il braccio ancora a mezz’aria, pronto a colpire: aveva praticamente urlato tutti i suoi sentimenti e tutto quello che provava. Misako continuava a guardarla, incredula che proprio lei, fra tutti, fosse diventata una ragazza così forte e risoluta. Chiaki era davvero cambiata in meglio, mentre lei aveva percorso la strada inversa. Era diventata una persona di cui non era fiera, ed aveva davvero rischiato di peggiorare, chiudendosi in se stessa. Sentendosi colpevole della cosa sbagliata.
L’unica cosa che non voleva era che Takahiro fosse infelice e per questo aveva erroneamente pensato di allontanarsi da lui. Che errore che aveva commesso! Era stata talmente cieca che non aveva capito niente.
E adesso, che aveva nuovamente aperto gli occhi lo voleva. Voleva davvero vedere Takahiro, chiedergli scusa per il suo comportamento. Voleva vederlo, anche solo un’ultima volta.

-…v-voglio vederlo…- sospirò piangendo

-e-eh?- domandò Chiaki

-…voglio vederlo! Voglio vederlo ancora una volta!!- ripeté la ragazza andando ad abbracciare all’improvviso l’amica

Chiaki rimase immobile stupita. Sentì la testa di Misako appoggiarsi alla sua spalla

-s-scusatemi…scusatemi…- singhiozzava

-...Misako…- sorrise Chiaki commossa

Shinjiro, poco distante, fece un lungo sospiro di sollievo e scosse il capo.
Poi si avvicinò alle due ragazze, ancora abbracciate.

-andiamoci tutti insieme…?- chiese flebile, abbozzando un sorriso

-…-

-andiamo tutti insieme a salutare Takahiro!-





**




In quelle interminabili ore da solo, in ospedale, ad aspettare che gli infermieri arrivassero per portarlo chissà dove, Takahiro si era fatto molte domande e considerazioni. Si era chiesto, per esempio, se avesse fatto la scelta giusta, se fosse stato un bene operarsi. Da un lato poteva avere la certezza di morire entro qualche mese, mentre dall’altro poteva aggrapparsi ad una lieve speranza di poter continuare a vivere.
Si era inoltre chiesto se per caso il suo comportamento nei confronti di Naoya e dei suoi amici non fosse stato in qualche modo “scorretto”, se aveva veramente fatto tutto il possibile per loro, così da non avere nessun rimpianto.
Era arrivato addirittura a pensare che i giorni trascorsi a scuola, preso di mira da Sato, fossero stati tutto sommato felici e che piuttosto che morire lì in ospedale, avrebbe di gran lunga preferito tornare indietro e riviverli altre cento volte. Divagando un po’ con la mente, aveva provato ad immaginare i suoi ex compagni di Liceo e di dove fossero in quel momento, di che persona fosse diventato Sato; se era cambiato o rimasto lo stesso.
Si rese conto che erano pensieri ai quali normalmente non avrebbe mai dato importanza, ed era proprio perché era ad un passo dalla fine che aveva cominciato a ricordare tutte quelle cose.
Si ricordò anche di non aver mai scritto nessun testamento o disposizione, in caso di morte. Erano tutte ‘scartoffie’ che spettavano a suo padre, quindi non ci aveva mai dato troppo peso. Anche perché non aveva proprio nulla da lasciare in quel mondo, per coloro che gli erano stati vicini. Non possedeva niente se non se stesso. Era un po’ triste pensare di poter scomparire da un giorno all’altro così, in un attimo. Non aveva paura della morte fine a sé stessa, ma dell’esatto momento in cui chiudendo gli occhi, non era certo di riaprirli ancora. Era l’incertezza il suo vero timore.
E proprio con essa nel cuore, a Gennaio di quell’anno mai si sarebbe immaginato di riuscire a diplomarsi e di rivedere Naoya, quello strambo professore che lo aveva così tanto protetto e, si, anche amato. Fino alla fine era stato certo che sarebbe morto in solitudine, senza che nessuno venisse a saperlo, ma alla fine le cose non erano andate come aveva programmato. E anche lui, rincuorato da tutto l’amore che aveva ricevuto, aveva deciso di provare a cambiare il suo destino. Ed era per questo che si trovava lì: solo ed esclusivamente per vivere, anche se con il rammarico di non aver potuto salutare il ‘suo’ sensei.

-Nishijima san, siamo pronti-

Non si era nemmeno reso conto che l’infermiera era entrata già da qualche attimo, poiché troppo intento ad osservare, forse per l’ultima volta, il panorama che si poteva pregustare dalla clinica.
Un po’ spaventato, si voltò verso la donna vestita di bianco, dallo sguardo dolce: era lei l’infermiera che si era presa cura di lui durante quegli ultimi otto mesi di degenza. Sorrise ampliamente, contento di vederla.
Dopo qualche esitazione, il giovane si scoprì dal lenzuolo, mentre la donna lo raggiunse con un altro lettino munito di ruote, per trasportarlo in sala operatoria.

-grazie mille!- esclamò sorridendo, aiutato dall’infermiera

Quel nuovo ‘letto’ era gelido e le lenzuola erano color menta erano ruvide. Sentì improvvisamente freddo.
La vide annuire con un cenno, in risposta alle parole di ringraziamento, per poi spingerlo fuori dalla stanza numero 1313, che era stata in un certo senso sua fino a quel momento. Non riusciva a vedere altro che il soffitto.
Non appena furono nel corridoio, notò che ad attenderli c’erano anche altre persone, probabilmente dottori; dovevano essere in molti a lavorare sul suo cervello, pensò con una smorfia.



-a-aspettate un momento!!!-

Takahiro sentì il lettino fermarsi con un leggero scatto mentre il volto dell’infermiera si contrasse, e la donna si voltò nella direzione opposta a quella dove stavano andando. Il giovane non poteva sollevarsi, ma aveva sentito distintamente quel richiamo e quella voce così famigliari.
Chiaki, Shinjiro e Misako arrivarono così, di punto in bianco, comparendo da uno degli ascensori e piombarono di corsa verso il lettino di Takahiro.
Vide per primi i due neo fidanzati, che dalla fatica avevano addirittura il fiatone. Erano arrivati giusto in tempo, a quanto pareva.

-cos’è…- esclamò Chiaki riprendendo fiato –credevi di filartela senza nemmeno salutarci?!- scherzò

-…r-ragazzi….- sospirò Takahiro, felice –siete qui-

-come potevamo non esserlo?- lo incoraggiò Shinjiro –andrà tutto bene, vedrai!-

Sembrava davvero convinto di quelle parole. Fu per questo che il moro non riuscì a smettere di sorridere.

-T-Takahiro…-

Una voce flebile chiamò il suo nome.
Chiaki e Shinjiro fecero spazio all’unica persona che Takahiro non aveva ancora visto. Ed era sorpreso di trovarla proprio lì.
Misako, visibilmente commossa, si fece avanti timidamente.
Dapprima sembrò non voler nemmeno guardare in faccia il ragazzo ma poi, incoraggiata anche dal suo sorriso, pian piano alzò lo sguardo.

-hey!- rise Takahiro, cercando di fare lo spiritoso –mi sei mancata…- disse allungando la mano

La giovane, senza esitare, gliela prese dolcemente.
Solo ora Takahiro si rese conto che stava piangendo.

-p-perdonami…perdonami….- sospirò Misako

-…-

-a-anche io ti voglio bene!- continuò la ragazza, ricordandosi delle parole scritte sull’sms che aveva ricevuto giorni prima –te ne ho sempre voluto!

-…non chiedermi perdono…- la interruppe il moro –sono io che non avevo capito…-

Ma lei scosse il capo –la cosa più importante è quella di averti accanto a me! Non importa come!!- disse – sei il mio fratellone!!- aggiunse poi cercando di asciugarsi le lacrime

-vedi di non fare scherzi!- intervenne di nuovo Chiaki

Takahiro rise -…assolutamente! Non appena mi ricresceranno i capelli, tornerò ad essere figo e andremo a farci un giro a Shibuya!-

Tutti, compresa l’infermiera ed i medici si guardarono con una smorfia divertita.

Poi il moro si rivolse a Shinjiro –la cosa che ti ho detto…- cominciò

-eh?-

-sono certo che saprai fare del tuo meglio!- Gli disse serenamente

Shinjiro per un attimo divenne serio. Poi, cercando di fare in modo che le ragazze non si accorgessero del suo turbamento, sbuffò e tirò una leggera pacca sulla spalla a Takahiro.

-non ce ne sarà bisogno, vedrai!- disse

-…già!- sorrise il ragazzo

Adesso però era arrivato il momento di andare. I tre amici si allontanarono lievemente dal lettino, lascando che i dottori sistemassero un paio di flebo temporanee.
Poi, tutto fu pronto.

-…ci vediamo dopo!- lo salutò Chiaki, commossa

-t-tivoglio bene Takahiro!- ripeté Misako –ti aspettiamo!! -

-…grazie…-

-buona fortuna, amico!- sorrise Shinjiro proprio nell’esatto momento in cui il ragazzo si stava allontanando lentamente

Takahiro, che poteva guardare solo il soffitto, sentì le voci dei suoi amici farsi sempre meno nitide e percettibili.
Quasi per istinto, strinse forte i pugni sul lenzuolo, improvvisamente resosi conto di essere nuovamente da solo, senza il sostegno di nessuno.
Quella reazione venne colta subito dall’infermiera, che dopo che ebbero svoltato l’angolo, non poté fare a meno di parlare.

-Nishijima san, se non ti senti pronto possiamo rimandare! – esclamò un po’ preoccupata

Lui però, scosse il capo violentemente

-no, va bene così –disse mostrando un leggero sorriso

-capisco… -

–morirei comunque. E’ così che sarebbe dovuta andare, in fin dei conti-

La donna non disse più nessuna parola, limitandosi solo ad annuire, forse colpita da quelle parole così forti uscite dalla bocca di un ragazzino quasi diciannovenne.
Takahiro in fondo si sentiva pronto. Non aveva senso rimandare ancora quell’agonia. Era davvero arrivato il momento di fargliela vedere, a quel destino infame.
L’unica sua speranza, che sapeva non si sarebbe mai avverata, era quella di poter vedere di nuovo Naoya, prima di compiere quel lungo passo. Ma sapeva anche che ciò era impossibile e che era stato proprio lui a fare in modo che fosse così.
Sospirò e chiuse gli occhi, sentendo le porte dell’ascensore che si aprivano con un suono che gli sembrò quasi fastidioso. Provò a concentrarsi e ricordare il volto del suo sensei, rimembrare ogni suo tratto e tutti quei sorrisi che, sperava, l’avrebbero accompagnato nel suo viaggio verso la vita. O nel suo ultimo viaggio, prima della fine.



Nel frattempo, Misako, Shinjiro e Chiaki erano rimasti in corridoio, indecisi sul da farsi. Sapevano di dover scendere al piano terra, in sala d’attesa, perché erano lì le sale operatorie. Eppure sembrava che nessuno di loro fosse in vena di muovere un dito.
Misako stava cercando di asciugarsi le lacrime con un fazzoletto, mentre Chiaki era ancora immobile a fissare la porta della stanza numero 1313.
Fu il ragazzo ad interrompere quell’innaturale quiete.

-…andiamo giù –disse –stare qui non ha senso…-

L’aveva detto cercando di far reagire le amiche, ma nemmeno lui era convinto di ciò che diceva. Avevano cercato di essere forti per incoraggiare Takahiro, ma tutti e tre sapevano che le speranze erano davvero appese ad un filo, un misero 20%; praticamente nulla.

-…scusate ma…?- domandò Misako in quel momento, come ricordandosi di qualcosa

-Misako?- domandò Chiaki

La giovane cominciò a guardarsi intorno, cercando qualcosa. Poi si rivolse nuovamente agli amici.

-…Naoya senpai non è qui- osservò incerta

-…-

Istintivamente, Chiaki e Shinjiro si dettero un’occhiata perplessa, diventando improvvisamente nervosi. Anche loro, proprio come l’amica, troppo presi nel salutare Taahiro, non si erano resi conto che in effetti, Naoya non c’era. Anzi, non c’era mai stato.
Un’ennesima infermiera responsabile del reparto, dal volto familiare, passò loro davanti e prima che potesse andarsene gli domandarono quasi in coro se per caso “Urata Naoya si fosse fatto vedere quella mattina”. La donna scosse il capo, dicendo che non lo vedeva dalla sera precedente.
Senza perdere altro tempo, con apprensione, decisero di andare al piano di sotto, anche per chiedere se in reception avevano avuto notizie.
Erano inconsapevoli del fatto che il sensei si trovava ancora a Tokyo, ignaro di tutto quello che stava succedendo.




**




Per Naoya, la laurea era stata da sempre un chiodo fisso, una specie di ‘punto di arrivo’ che doveva assolutamente raggiungere e superare. Non per niente, già da quando era alle elementari, aveva espresso ai genitori la chiara intenzione di volersi laureare, anche se all’epoca non sapeva minimamente cosa volesse dire. Col tempo quello strano desiderio era diventato una sorta di assoluta certezza di volerlo davvero fare, e così si era ritrovato di punto in bianco tra i banchi dell’università di Tokyo, a studiare letteratura. Non era una facoltà particolarmente rinomata come lo potevano essere Medicina od Ingegneria, ma la trovava affascinante in egual modo, ed aveva imparato ad apprezzarla grazie ad un suo insegnate delle superiori, che gliel’aveva fatta amare a tal punto da spingerlo verso quella strada. E sempre ricordando con piacere quei momenti, aveva in seguito deciso di cercare di diventare professore, per poter insegnare a sua volta quell’affascinante materia con la stessa bravura.
Quando, dopo un lungo discorso, il rettore dell’Università di Tokyo cominciò a consegnare gli attestati ai laureandi, non appena ebbe ricevuto il suo sentì un tale senso di soddisfazione e di gratitudine che ringraziò uno per uno, senza indugi, tutti i membri della commissione ed i suoi professori, riservando per ognuno un profondo inchino.
Sua madre aveva cominciato a piangere ininterrottamente non appena Naoya si presentò con la sua bella laurea stampata nero su bianco. Mari chan aveva iniziato a prenderlo in giro scherzosamente, mentre suo padre, che solitamente era una persona piuttosto restia a mostrare emozioni, non riuscì a trattenere troppo la propria commozione.
Era stata un’ottima occasione per passare un po’ di tempo con la sua famiglia ed anche per staccare la spina dall’ultimo periodo, passato per lo più in ospedale.
Aveva solo accennato della situazione di Takahiro, quando era tornato a Yamagata a Giugno, ma non ne aveva mai spiegato i dettagli anche perché questo significava raccontare anche di ‘cosa’ fosse per lui il ragazzo, ed era un argomento che voleva evitare.
Dopo la consegna, l’evento prevedeva un piccolo rinfresco nella piazzetta davanti alla sede centrale Universitaria. C’erano dei lunghi tavoli imbanditi di stuzzichini e bevande. Naoya si divertì molto a farsi le foto con i propri compagni di corso e chiacchierò del più e del meno, mentre i genitori non facevano altro che guardarsi intorno un po’ spaesati: nonostante cercassero di sembrare ‘signorili’, erano persone semplici ed abituate alla vita di campagna; tutte quelle cerimonie li facevano sentire a disagio.

Verso le due del pomeriggio, quando il sole cominciò davvero ad essere insopportabile, tutti i presenti si trasferirono nei giardini, adornati di panche sotto i grandi salici che facevano da contorno suggestivo, circondati di tanto in tanto da dei piccoli laghetti. Naoya andò a sedersi proprio sotto le fronde di uno di questi alberi, un po’ in solitudine e cercando di non farsi vedere. Amava la compagnia, ma voleva pensare cinque minuti anche a se stesso.
Era molto felice quel giorno eppure, adesso che si trovava da solo, l’inquietudine che l’aveva accompagnato nel risveglio tornò all’improvviso a bussare alla sua porta. Quasi istintivamente mise una mano nella tasca destra dei pantaloni ed estrasse il cellulare, spento.
Lo fissò un po’ perplesso.




**




Il telefono da lei chiamato potrebbe essere spento o non raggiungibile

-…accidentaccio!!-

Misako aveva voglia di colpire il muro a forza di calci in quel momento. Con il proprio cellulare attaccato all’orecchio andava avanti ed indietro nella sala d’attesa, con Chiaki e Shinjiro che, seduti, seguivano con ansia ogni suo movimento.
Takahiro era entrato in sala operatoria da almeno due ore e per tutto quel tempo i tre ragazzi avevano cercato di contattare Naoya, ma senza successo.

-…niente da fare?- domandò Shinjiro

-macchè! continua ad essere spento!!- sospirò la ragazza, arrabbiata -è la quinta volta che provo…-

-f-forse ha il telefono scarico, ha trovato traffico…- provò ad ipotizzare Chiaki

-…non è da lui –spiegò Misako- uno preciso come il senpai non lascerebbe mai il telefono in certe condizioni, sapendo di Takahiro!-

-mica starai pensando che l’ha spento apposta?- intervenne nuovamente Shinjiro

-…-

Misako guardò il telefono, indecisa sul da farsi. Tutta quella situazione era assurda: come poteva Naoya essere sparito nel nulla proprio quel giorno? Era pur vero che non si sentivano da un bel po’, anche perché da quanto gli avevano raccontato gli amici, era stato spesso impegnato con la sua famiglia. Si chiese se per caso non gli fosse successo qualcosa, ma tentò in ogni modo di scacciare quei pensieri dalla sua mente e, senza perdere altro tempo, riprovò a chiamare.




**




Naoya aveva continuato a fissare il cellulare per un bel po’ di minuti, riflettendo un po’. Aveva promesso a Takahiro di tenerlo spento fino alla fine della giornata ed aveva tutta l’intenzione di mantenere quella promessa.
Però, in quel momento s’immaginò il volto del ragazzo, e venne colto improvvisamente dall’irrefrenabile desiderio di sentire di nuovo la sua voce.
Ebbe l’impulso di accendere il telefono, giusto il tempo per fargli una breve telefonata, per chiedergli come stesse. Quella sera si sarebbero rivisti, ma pensò che in fondo, Takahiro non se la sarebbe sicuramente presta troppo se si fossero sentiti un po’ prima.

-massì, solo una chiamata…- disse a bassa voce il ragazzo, decidendo finalmente di accendere l’apparecchio

Fu allora che il cellulare, dopo l’accensione, cominciò improvvisamente a vibrare una, due, tre, quattro e più, numero di volte, tanto che Naoya si spaventò leggermente. Erano tutti avvisi di chiamata non risposta.
Controllò un po’ ansioso e vide che erano addirittura cinque e tutte provenienti dallo stesso numero.
Quello di Misako.
Di nuovo, quella strana sensazione spiacevole tornò ad invaderlo e si rimise in piedi velocemente, con il cuore in gola. Come mai Misako l’aveva chiamato così tante volte? Era forse successo qualcosa?.
Senza perdere altro tempo, digitò il numero dell’amica e la richiamò.
Inaspettatamente fu un fulmine a rispondere.

-senpai?!- aveva esclamato la giovane

Sembrava piuttosto agitata.

-Misako chan!- salutò Naoya –ho appena visto le chiamate! Che succede?! –

-si può sapere dove sei?! è da ore che ti cerco!- sbottò lei ignorando la domanda

-s-sono a Tokyo ora…-

-…come?! A Tokyo?!-

-Perché? è successo qualcosa?!- ripeté Naoya preoccupato –sei in ospedale? …Takahiro sta bene? –

-Takahiro è in sala operatoria adesso!!- rispose Misako

Naoya rimase letteralmente senza parole. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non uscì alcun suono, solo uno strano mormorio di stupore.

-c-cosa?! – chiese –che diavolo stai dicendo?!-

-tu piuttosto!!dovresti essere qui!- rispose la ragazza un po’ stizzita –perché sei a Tokyo?!-

-…-

-senpai?-

-…i-io non…lo sapevo!- spiegò il giovane, con un filo di voce

-..eh?!-

-mi…mi ha detto che l’operazione è il trentuno!!-

-…-

Misako, dall’altra parte doveva essere rimasta anch’ella senza parole.

-l-l’operazione è oggi senpai…- disse, questa volta con meno veemenza

-…-

Naoya si sentì mancare. Le gambe cominciarono a tremargli e dovette metterci tutto il proprio impegno per non cadere.
Cercò subito di fare mente locale, di rimanere lucido il più possibile, chiedendosi se non fosse stato semplicemente un terribile incubo. In lontananza sentiva le chiacchiere dei suoi compagni.
Ad un certo punto si ricordò che Misako era ancora in linea e si apprestò a risponderle.

-s-sarò lì il prima possibile!- esclamò, mettendo giù di colpo il telefono

Rimise l’apparecchio nelle tasche e cercò con lo sguardo la propria famiglia. Quando li vide, seduti a rilassarsi poco lontano, corse verso di loro senza sapere minimamente cosa dirgli.
La madre si accorse subito che qualcosa non andava, perché non appena il figlio si presentò davanti a lei, la donna si alzò preoccupata.

-Naoya, tutto bene?- chiese –sei pallido!-

-d-devo andare a Yokohama! –spiegò il ragazzo- adesso-

-eh?!-

Come previsto, i genitori ci rimasero di stucco. In effetti non era normale che ad una cerimonia importante come quella, si chiedesse una cosa del genere così su due piedi, e comprese in pieno gli sguardi perplessi della sua famiglia.
Il padre soprattutto, scattò in piedi come una molla.

-che significa?- domandò con severità

-è una cosa urgente! Non ho molto tempo per spiegare…se non fosse importante non sarei qui a supplicarvi di lasciarmi andare…-

-m-ma è la tua festa!- obiettò la madre, non capendo –ti sei impegnato tanto per questo…-

-…lo so –sospirò il giovane – ma c’’è…c’è una persona che ha assolutamente bisogno di me, adesso-

Naya fissava i genitori con un’espressione speranzosa ed allo stesso tempo assolutamente decisa. Sapeva che l’unico difficile da convincere era suo padre, e per cercare di ammorbidirlo, fece un profondo inchino di novanta gradi, sotto gli occhi di molti presenti che stavano osservando la scena incuriositi.
L’uomo, fino alla fine sembrò restio e non capiva le reali motivazioni che stavano spingendo suo figlio a comportarsi in quel modo.
Tuttavia, dopo averlo guardato a lungo, sospirò pesantemente.

-ho avuto la fortuna di avere un figlio diligente e dedito al dovere – spiegò

-…-

-Naoya, se dici che è importante a tal punto, ti credo – concluse infine, con un mezzo sorriso

Il ragazzo si rimise in piedi, leggermente incredulo dalle parole del padre. Anche la consorte lo era, ed annuì discretamente, sollevata dal fatto che il marito sembrava aver preso bene quella decisione, appoggiandola.

-grazie!!- esclamò Naoya –s-scusatemi, davvero…-

L’uomo scosse la testa. Poi mise una mano all’interno di una delle tasche della giacca ed estrasse un paio di chiavi di metallo. Gliele porse.

-…hai detto che devi andare a Yokohama? Con l’autostrada non dovresti metterci molto!-

-p-papà, ma voi come fate senza macchina?!- chiese Naoya con profonda gratitudine

-chiederemo un passaggio agli zii!- sorrise la madre –ora vai! –

-…-

Anche se ciò significava perdere qualche altro istante, Naoya non poté fare a meno di inchinarsi nuovamente verso i suoi genitori e pensò, ancora una volta, di essere stato davvero fortunato ad averli.
Poi, senza indugiare oltre, strinse tra le mani quelle chiavi e si mise a correre, più veloce che poteva.





**




Nel frattempo Misako, dopo che il sensei le aveva praticamente buttato giù il telefono, era rimasta imbambolata con l’apparecchio che continuava a squillare a vuoto, decisamente perplessa.

-allora? Ci hai parlato?- domandò Chiaki avvicinandosi all’amica

-che cosa gli è successo?- chiese anche Shinjiro

La ragazza si voltò verso i due amici -non…non lo sapeva- disse senza giri di parole

-eeeh?!-

-Takahiro gli aveva detto che era il trentuno l’operazione…- esclamò ripetendo le esatte parole che aveva sentito

-…-




**




Per tutta la durata del viaggio da Tokyo a Yokohama tramite l’autostrada, Naoya non riuscì a pensare ad altro che a quanto fosse stata assurda tutta quella situazione. Mantenendo anche una certa lucidità, si rese conto che le parole di Misako acquistavano senso man mano che ricordava gli atteggiamenti di Takahiro in quelle due ultime settimane ed in particolare, dopo che gli aveva detto la data della sua laurea.
A ben rifletterci era la stessa identica cosa che era accaduta dopo le vacanze di Natale, quando l’amico aveva fatto di tutto per depistalo e non fargli capire che stava male, arrivando persino a mentire sui suoi sentimenti reali. Aveva davvero creduto che dopo tutto quello che era successo non ci sarebbero più stati segreti così terribili da nascondere, ma a quanto sembrava, Takahiro aveva ancora una volta, preferito lottare da solo.
Da quanto gli sembrava di aver capito, a differenza della volta precedente, Misako e gli altri non erano a conoscenza del piano di Takahiro e si convinse che il moro doveva aver escogitato tutto con la massima cura nei dettagli, in modo che gli amici e chi ne sapeva qualcosa, non parlassero più del dovuto.
Sentiva di provare una grande rabbia.
Più della paura di non rivedere mai più Takahiro, di aver perso le sue ultime ore inconsciamente, sentiva il profondo desiderio di entrare in quella sala operatoria e prenderlo a pugni.
Poi si rese conto che l’amico si trovava effettivamente lì, e non osò immaginare cosa gli stavano facendo.
La sensazione di inquietudine che l’aveva accompagnato tutto il giorno si era rivelata qualcosa di ben più grande. Un’ assoluta certezza.

Una volta arrivato in clinica parcheggiò di fretta e furia l’auto di suo padre e si diresse correndo all’interno della struttura. La receptionist lo salutò cordialmente, ma lui, troppo preso nel cercare la sala d’attesa, non la vide neanche.
Diede uno sguardo alle indicazioni sul tabellone appeso ad uno dei muri e, dopo aver letto dove si trovava il reparto che cercava, ci si fiondò.
La strada fu più breve di quanto avesse immaginato, e dopo pochi minuti riuscì ad intravvedere la stanza dove erano seduti, in silenzio, Misako, Shinjiro e Chiaki.
Non appena fu entrato, con fiato corto, i tre amici balzarono in piedi all’improvviso.

-s-senpai!- esclamò Misako

Naoya salutò solo con un cenno; non aveva il cuore di parlare in quel momento. La sola cosa che fissava costantemente, erano le porte che conducevano alla sala operatoria, chiuse. Una luce rossa di un monitor indicava che era in corso un intervento.
La ragazza, senza dire nulla di più, andò verso Naoya e lo abbracciò, lasciandolo un po’ colpito.

-senpai!!- ripeté, avvolgendolo con le sue esili braccia.

-…-

-l-l’ha rifatto –disse ad un certo punto il ragazzo

-…eh?- Misako si staccò e fece un passo indietro

La rabbia che fino a quel momento aveva cercato in tutti i modi di tenere rinchiusa dalla propria ragione, finì quasi per esplodere. Si sentiva ribollire man mano che continuava a guardare l’ingresso di quella sala, dove si trovava Takahiro.

-lo sapevo, è rimasto tale e quale…!!!- esclamò

-Naoya senpai…- sospirò Chiaki

-…SEI PROPRIO UN MALEDETTO EGOISTA!!- urlò all’improvviso, rivolto laddove si trovava il moro

I tre amici, che non si aspettavano quella reazione, rimasero quasi pietrificati. Non avevano mai visto Naoya così infuriato, i suoi occhi non facevano che riflettere la pura rabbia. Coloro che in quel momento passavano da quelle parti, si erano voltati a vedere cosa stesse succedendo, compreso qualche medico, indeciso se intervenire o meno.

-MI HAI SENTITO, TAKAHIRO?! SEI SOLO UN EGOISTA!!!- urlò ancora con tutto il fiato che aveva in corpo

-Naoya..!- intervenne Shinjiro, cercando di calmarlo

La gente stava cominciando a preoccuparsi e Shinjiro, con una certa risoluzione, prese il sensei per un braccio, costringendolo a guardarlo in faccia. Naoya non fece nulla per divincolarsi.

-…qualunque cosa Takahiro abbia fatto…- spiegò ad un certo punto –l’ha fatta solo ed esclusivamente in funzione di te!-

-…-

Shinjiro sembrava piuttosto deciso e risoluto, come non l’aveva mai visto prima. Forse fu proprio per quella sua improvvisa forza, che Naoya sembrò calmarsi tutto d’un tratto. Quando fu sicuro che non avrebbe più dato in escandescenza, l’ormai suo ex studente mollò la presa e lasciò che si ricomponesse.

-s-scusatemi…- sospirò Naoya mortificato

Chiaki scosse la testa –n-non potevi farci nulla…-

-Takahiro è sempre il solito…- intervenne Misako con una punta tristezza

-la colpa è anche nostra…- spiegò Shinjiro rammaricato –se non fossimo stati così ingenui…Takahiro ci aveva detto di parlarne il meno possibile perché l’argomento era piuttosto delicato. L’abbiamo preso fin troppo alla lettera…-

-…in questi giorni era sempre strano…- continuò poi il sensei –era ansioso, nervoso…avrei dovuto insistere e farmi dire tutto…se c’è qualcuno che doveva fare qualcosa…quello sono solo io…-

-senpai…-

Senza dire un’altra parola, Naoya, molto lentamente, decise di lasciare di punto in bianco la sala d’attesa. Ora più che mai aveva bisogno di pensare seriamente sul da farsi. Aveva bisogno di un po’ di solitudine.
Vedendo che stava uscendo, Shinjiro fece qualche passo verso di lui, perplesso.

-Naoya, dove vai?!- domandò

-…-

Il sensei si voltò verso i ragazzi, che lo fissavano preoccupati. Lui, per la prima volta in quei minuti intensi, mostrò un lieve sorriso, quasi di incoraggiamento, che lì colpì.
Era un sorriso triste, ma anche speranzoso: non sapevano bene come interpretare quello strano gesto.

-…tornerò!- disse semplicemente, prima di uscire.






**





In realtà Naoya non aveva la minima idea di dove andare. Aveva solo sentito il bisogno di allontanarsi il più possibile, dopo essersi sfogato con Takahiro. L’attesa di sapere se il suo compagno sarebbe sopravvissuto o meno era snervante e a tratti terribilmente opprimente. Invidiava molto il modo di pensare di Misako e Chiaki, sedute in silenzio ad attendere senza segni di cedimento.
Lui non ci riusciva.
Si mise a passeggiare in lungo e largo per l’ospedale, senza una meta precisa, molti degli infermieri ormai lo conoscevano e si incrociarono diverse volte, salutandosi.
Quasi istintivamente fece la stessa identica strada che ormai si era abituato a percorrere da quasi otto mesi, e dopo un po’, quando le porte dell’ascensore si aprirono, si ritrovò a vagare tra le camere dei pazienti. Alcune avevano la porta aperta e ogni tanto vi guardava dentro: alcuni malati erano con i familiari venuti in visita, altri stavano dormendo beatamente, altri ancora erano talmente fuori dal mondo che probabilmente non si rendevano nemmeno conto di esistere ancora.
Arrivò in silenzio davanti a quell’unica stanza che aveva solcato più e più volte, in quel periodo. I numeri ‘1313’ stampati sulla porta sembravano quasi brillare.
Con un po’ di esitazione, decise di entrare, solcò l’ingresso di quella camera, quasi con il desiderio, o meglio la speranza, di guardare e trovare ancora Takahiro lì, che sorrideva al solo vederlo.
Ma non c’era nessuno in quel letto, ad attendere il suo arrivo. Con timore e lentamente, osservò quella stanza con un po’ di nostalgia e notò che, nonostante tutte le cose dell’amico fossero ancora lì, probabilmente come le aveva lasciate, il letto era stato interamente rifatto, quasi fossero stati certi che Takahiro non ci si sarebbe mai più sdraiato. Un magone improvviso lo costrinse a fermarsi ed a riprendere fiato. Fissò le lenzuola bianche che aderivano perfettamente alla forma del materasso, ed allungò una mano, sfiorandole. Gli sembrò addirittura di sentire ancora l’essenza di Takahiro in quel posto, nonostante lui non fosse lì.
L’ultima volta che lo aveva visto, il moro gli aveva confessato quanto bello fosse stato l’averlo incontrato.
Era successo tutto per puro caso, in un normale giorno di scuola, e da allora niente era stato più come prima, ne per uno ne per l’altro. In un certo senso era stato il destino ad aver voluto che non si separassero, di questo ne era assolutamente certo. Quello stesso destino che aveva teso brutti scherzi al moro, aveva comunque cercato di farli stare insieme; quali fossero le sue reali intenzione, Naoya non lo sapeva.
Fu in quell’istante che sul comodino, notò una serie di riviste. Dapprima non ci fece troppo caso quando, aguzzando la vista, scorse qualcosa che era troppo piccolo e spesso per essere un giornale. Si avvicinò e per poco non gli venne un colpo.

-ma questo…?- esclamò a voce alta

Si trattava del suo diario.
Subito si chiese dove e quando Takahiro avesse potuto prenderlo; poi si ricordò che probabilmente, nella fretta, l’aveva dimenticato lì la sera prima.
Timidamente, allungò la mano e lo prese. Nel farlo però, notò che ‘qualcosa’ scivolò fuori dal libro e, ondeggiando come una piuma, andò a depositarsi proprio di fianco al letto, per terra.
Perplesso per quello che si era rivelato essere un piccolo pezzo di carta, sospirò e si accucciò per prenderlo e vedere cosa fosse.
Sembrava un pezzo di foglio di rivista, e subito si domandò come avesse fatto a finire lì in mezzo. Lo guardò con attenzione, rigirandolo.
E fu allora che si accorse che sulla superficie di quel foglietto c’erano scritte alcune parole.
La calligrafia era molto ordinata e precisa. Naoya la riconobbe subito: era quella di Takahiro.
Con il cuore in gola, lesse quelle poche righe che erano state impresse da quella mano esile e senza energie:

 

あなたを愛して幸せになった。[Anata wo ai shite shiawase ni natta]
ありがとう。ごめんなさい。[Arigatou. Gomennasai]




-“…Sono stato felice di amarti” – lesse a voce alta, incredulo –“Grazie. Scusami”-

Perché le cose erano andate così, in quel modo triste e silenzioso?
Perché nonostante tutte le promesse che si erano fatti, Takahiro aveva deciso ancora di lasciarlo fuori dai suoi problemi? Era stata forse colpa sua, che non era riuscito a capire subito cosa accedeva nella testa dell’amico?
Rilesse almeno cinque volte quelle righe, scritte probabilmente poco prima di entrare in sala operatoria, in totale solitudine, quasi a presagire che probabilmente non si sarebbero mai più rivisti.
Sentì le gambe tremargli all’improvviso di dovette sedersi sul letto, con quel foglio ancora tra le mani, stretto stretto.
Alzò gli occhi al cielo, tentando in tutti i modi di non farli lacrimare. Non aveva mai pianto, non ci riusciva nemmeno in quel momento, a dire il vero. Eppure sentiva il bisogno di guardare in alto, perché in un certo senso, se Takahiro era già dall’altra parte, forse avrebbe potuto essergli più vicino. E con il timore che potesse vederlo, non doveva assolutamente lasciarsi andare con i sentimenti. Doveva essere forte.

-s-sei uno stupido…- sospirò con voce rotta -…ti ho detto mille volte di non ringraziare e di non chiedermi scusa…-

In quel momento i due ragazzi era lì, vicini ma lontani. L’uno stava lottando per la vita, l’altro stava pregando per la sua salvezza. Respiravano ancora la stessa aria, erano ancora sotto lo stesso cielo. Erano vivi entrambi, lo sentiva. Sentiva che Takahiro era ancora lì con lui, con tutti loro, che lottava con le unghie e con i denti per rimanere attaccato alla vita. A quella stessa vita che lo aveva ignorato fino a quel momento, dandogli prove enormi da affrontare.
La rabbia verso l’amico in quell’attimo cessò, e gli sembrò addirittura di vederlo, mentre scriveva quelle parole, con il volto contratto e la paura nel cuore di non svegliarsi più. Benché, lo sapeva, fosse l’egoista più forte e coraggioso che avesse mai incontrato. Una persona così testarda come lui non poteva darla vinta alla malattia.
Senza rendersene conto si ritrovò con le mani congiunte, a chiedere aiuto non a Dio, ma a Kyoko san. A chiederle di nuovamente di non portarsi Takahiro con sé, di lasciargli una speranza di poter ricominciare.
Sperò con tutto sé stesso che potesse ascoltare le sue preghiere.
Ora che erano giunti alla fine del viaggio, bisognava decidere da che parte svoltare: se verso il nulla o verso la luce.




**





Il sensei tornò dagli altri amici dopo all’incirca un’ora. Si era portato dietro il diario, con il foglietto scritto da Takahiro fra le sue pagine.
I tre furono felici di vederlo e soprattutto, di vedere che il suo umore era piuttosto sereno.
Si sedette su una delle sedie a disposizione e lì vi rimase, in totale silenzio, assorto nei suoi pensieri. Chiaki e Shinjiro si consolavano a vicenda, stringendosi la mano, mentre Misako non riusciva a stare ferma e continuava a camminare, nervosa.
Quando furono passate altre quattro ore, alcuni infermieri vennero a domandare se volessero qualcosa da mangiare o da bere, ma nessuno di loro era in vena. Di tanto in tanto, a turno avevano fatto un giro fuori dall’ospedale, per prendere una boccata d’aria, ma l’attesa era davvero snervante, in quanto nessuno si era degnato di dirgli come stesse andando l’intervento. Secondo le previsioni comunque, non doveva mancare molto. Da un certo punto di vista, il fatto che non sapessero nulla forse voleva dire che tutto stava andando bene.
Naoya si sentiva davvero stanco, totalmente a pezzi. Lanciò uno sguardo agli altri, e parevano anche più distrutti di lui. Nessuno aveva parlato per tutto il tempo quando, improvvisamente, non sapeva bene come spiegarlo, ma sentì il bisogno di farlo.
Raccontò loro qualche episodio divertente accadutogli insieme a Takahiro durante l’inverno passato, per poi soffermarsi sulla sua laurea e sul fatto che l’amico aveva escogitato tutto quello stratagemma solo per impedirgli di non parteciparvi.
I tre, che non erano a conoscenza del fatto che quel giorno Naoya si fosse laureato, gli fecero gli auguri.

-Takahiro…pensa sempre prima agli altri…- sospirò Misako –quello stupido…-

Naoya si limitò a sorridere, lievemente affranto.
Era indubbiamente vero.

-avevo capito che era coraggioso- intervenne Shinjiro –ma non pensavo che lo fosse fino a questo punto. Cercare di sopportare tutto questo da solo…io non ce la farei-

-Kyoko san…sarà sicuramente fiera di lui!- annuì Chiaki

Certamente, Kyoko probabilmente non avrebbe mai potuto sperare di avere un figlio migliore di Takahiro che, come lei, aveva sempre messo gli altri davanti a sé stesso. Forse sbagliando, forse sembrando egoista, lui aveva fatto ogni cosa solo con lo scopo di rendere la vita più facile agli altri, magari facendoli soffrire inizialmente, ma di una sofferenza che si poteva superare in un modo o nell’altro.

In quel momento la luce del monitor divenne verde all’improvviso; come un lampo i quattro ragazzi si alzarono dai propri posti e si voltarono verso l’ingresso della sala operatoria.

-h-hanno finito?- domandò Misako

Erano passate ormai otto ore.
Attesero impazienti qualche minuto, ma da quelle porte non usciva nessuno. Si guardarono un po’ perplessi ed allo stesso tempo preoccupati. Chiaki si era stretta attorno a Shinjiro che fissava ancora la luce verde che lampeggiava.

-quanto ci mettono…?- chiese Naoya, spazientito

-…-

Dopo un altro paio di minuti, finalmente quell’entrata si spalancò davanti a loro. Ma a differenza di quanto avevano pensato, non uscì Takahiro, ne la moltitudine di infermieri e medici che avevano visto quando erano venuti a salutare l’amico.
L’unico che si presentò d’innanzi a loro fu un uomo, vestito di un camice verde menta, con un fazzoletto del medesimo colore sulla nuca e una mascherina che non faceva capire chi fosse. Anche se non c’erano dubbi al riguardo.
I quattro si precipitarono verso il dottore.

-dottor Kazuki!!- esclamò Chiaki

Il medico si tolse la mascherina. Sembrava molto spossato.

-ragazzi- sorrise –siete tutti qui…- esclamò guardando anche Naoya

-Takahiro come sta?!- domandò il sensei – ci dica tutto!-

-non ci tenga sulla spine!!- aggiunse Misako

-…-

Kazuki sembrava non sapere da dove cominciare a parlare, tanto che per un momento tutti pensarono subito al peggio. Naoya vide Misako congiungere le mani istintivamente.
L’uomo sospirò, per poi parlare.

-….ci sono state delle complicazioni…- spiegò

-…complicazioni?-

-…-

-la massa tumorale era più estesa di quello che pensavamo –continuò – è andato in arresto cardiaco ben due volte…-

-c-cosa significa?!- obiettò Naoya con veemenza –aveva detto che l’intervento si poteva fare!-

-il tumore è andato ad annidarsi ancora più all’interno. Le macchine non hanno potuto trovarlo, sono cose che capitano molto spesso.-

-…T-Takahiro…- singhiozzò Chiaki, che venne abbracciata da Shinjjiro

-d-dov’è …dov’è Takahiro…?- domandò Misako sul punto di piangere

-…-

Il dottor Kazuki dapprima guardò ognuno dei ragazzi con molta serietà. Nei loro occhi riusciva a percepire la paura e l’angoscia che il loro amico fosse andato via per sempre. La loro, pensò, era davvero un’amicizia che andava al di là di tutto. Takahiro nella sua vita aveva perso molte persone care ma, al tempo stesso, era riuscito a trovarne altre che gli volevano bene. E questa era la cosa che contava di più.
Sorrise lievemente dopo aver vagato con la mente. Il suo sguardo sembrò trasparire una certa commozione.

-…Takahiro kun ha così tanta forza dentro di sé, che forse non riesce nemmeno ad immaginarlo – spiegò –nonostante tutto siamo riusciti a togliere il tumore!- esclamò

Naoya non si rese subito conto di quanto aveva detto il medico. Rimase imbambolato a fissare l’uomo senza cambiare espressione, troppo occupato a cercare di codificare quelle parole. Gli altri sembravano in trance quanto lui.

-l-l’operazione è riuscita, ragazzi miei!- sorrise, questa volta più ampliamente

-…-

-…s-sta dicendo…- balbettò il sensei con il cuore che sembrava un martello pneumatico impazzito -…che Takahiro…lui…-

Kazuki annuì –si, Takahiro non ha più motivo di pensare di dover morire tanto presto!-

-…-

All’istante, Naoya sembrò estraniarsi improvvisamente da tutto. In un primo momento sentì ancora la voce del dottore che diceva “sta dormendo ora. potete andare a trovarlo.“; poi però cominciò a non udire più nulla, riuscì solo a vedere ciò che accadeva intorno a lui: Misako e Chiaki che si abbracciavano in lacrime, saltando di gioia, Shinjiro che un po’ in disparte si era messo le mani sul volto tirando un sospiro di sollievo, e il dottor Kazuki che rideva felice.
Cosa voleva dire tutto questo? Che Takahiro era ancora lì? Che non era scomparso lasciandoli soli? Avrebbe potuto rivedere il suo sorriso quante volte voleva? Era davvero accaduto quel miracolo che aveva a lungo sperato che avvenisse?
Sentì qualcuno prenderlo per un braccio, strattonandolo lievemente: erano le ragazze che, commosse, gli stavano dicendo di correre da Takahiro.
Se per tutti quei mesi aveva dovuto metabolizzare il lutto imminente, dicendo a se stesso che Takahiro sarebbe morto, adesso la sua mente non faceva altro che ripetere:”Takahiro è vivo, è vivo” con insistenza, perché capisse che non era solo un sogno od una lieve speranza. Ma la semplice realtà.

Mentre si avviarono alla stanza dove riposava l’amico, Kazuki spiegò loro che i danni al cervello sarebbero stati minimi. In un certo senso, sarebbe diventato leggermente più smemorato, ma non era un handicap così evidente e probabilmente col tempo ed una buona dose di allenamento, il difetto sarebbe pressoché scomparso. Quello che però non era certo, era la condizione con la quale si sarebbe svegliato dopo l’operazione. C’erano buone possibilità che di non ricordare certi momenti, periodi o addirittura anni interi della sua vita. Magari ciò non sarebbe accaduto, però i quattro ragazzi avrebbero dovuto essere pronti. Naoya non volle nemmeno pensare a quell’eventualità. Takahiro non poteva assolutamente dimenticarsi di lui. Ne avevano passate talmente tante…no, era categoricamente impossibile che potesse cancellare ogni cosa.

Quando furono arrivati, il medico li fece entrare silenziosamente.
Uno dopo l‘altro, si disposero di fianco al letto dove giaceva Takahiro. Una grossa benda gli copriva praticamente tutto il cranio e veniva aiutato a respirare con il tubo. Ma per l’appunto, respirava, era vivo. Sembrava dormire piuttosto serenamente e a prima vista non pareva una persona che era appena stata ad un passo dal morire.
Naoya si avvicinò lievemente e con una mano gli sfiorò una guancia. Era così bello, pensò senza distogliere lo sguardo.
Ci sarebbero volute un altro paio d’ore prima che potesse svegliarsi, ma i ragazzi, per quanto fossero stanchi, decisero di rimanere lì, ad assistere l’amico .
Così il dottor Kazuki fece portare loro delle sedie e stettero lì, in silenzio, ad attendere.
Alla fine sembrava che quel misero 20% di possibilità fosse stato più che sufficiente e che Takahiro, con la sua incredibile forza, fosse riuscito a ribaltare il suo destino. Naoya voleva credere che sarebbe andato tutto per il meglio, che sarebbero presto usciti insieme, che avrebbero viaggiato, riso e goduto di ogni momento da lì in avanti. Voleva credere che l’incubo era finalmente finito.
Ad un certo punto sembrò che la mano di Takahiro si fosse mossa lievemente. Naoya, che l’aveva tenuta stretta tutto il tempo, lo percepì chiaramente quel movimento e scattò in piedi, attento.

-T-Takahiro!- esclamò, avvisando gli altri

-si sta svegliando?- domandò Misako

-…-

Dapprima sembrò solo un falso allarme un movimento involontario. Poi però l’espressione sul volto del moro sembrò cambiare lievemente. Tutti si misero attorno a lui.

-…mh…- bofonchiò il ragazzo, svegliandosi

-Takahiro?- lo chiamarono gli amici

Aprì gli occhi piuttosto velocemente. La prima cosa che sentì distintamente, fu un tremendo dolore alla testa, ed una strana sensazione di stanchezza. Percepì che qualcuno gli stava tenendo una mano, ma non riuscì ad alzarsi per capire chi fosse. Sentì delle voci che pronunciavano il suo nome con insistenza, e si accorse di non essere affatto solo.
C’erano delle persone accanto a lui, che inizialmente parve non riconoscere, ma che poi, lentamente, cominciò a ricordare. E cominciò a ricordare anche chi fosse lui.

-s….siete….voi…?- cercò di parlare, ma gli uscivano solo parole a metà

-Takahiro, ci riconosci?!- chiese Shinjiro

Il giovane fissò una per una, ogni faccia. Poi annuì, sorridendo lievemente.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo.

-Shin…M-Misako…Chiaki….- esclamò Takahiro dicendo uno per uno tutti i loro nomi

I tre annuirono. Le due ragazze erano letteralmente in lacrime.
Poi lo sguardo del moro si posò sull’unica persona che non aveva intravisto bene.

-…Takahiro…- esclamò il sensei con un po’ d’ansia

-…N…Naoya –sorrise il ragazzo, salutandolo

Fu la volta sua di poter finalmente rilassarsi: si ricordava ancora di lui. Takahiro sembrava un po’ frastornato e non capiva bene dove si trovasse.

-…non..non sono morto?- domandò

-sei vivo Takahiro!- rispose Naoya –s-sei vivo, ce l’hai fatta…-

-e sei sano come un pesce, aggiungerei!- rise Chiaki

-è tutto finito!! Tutto!- annuì Misako

-bentornato tra noi, amico!- concluse Shinjiro

Ora riuscì a distinguere chiaramente i dettagli del volto di tutti, eccetto quello di Naoya, che aveva memorizzato talmente bene prima di addormentarsi, che non servì impegnarsi per sapere che fosse davvero lui.
Cominciò a ricordare diverse cose ed a capire cos’era successo: aveva deciso di fare l’intervento, si era operato ed era riuscito a farcela. Era vivo, lo era davvero.
Per un breve istante gli era sembrato di essere morto. Era stata una sensazione durata giusto un attimo, ma ci aveva davvero creduto, tanto che l’essere vivo e vegeto in quel momento gli parve più una cosa triste che felice.
Guardò i volti dei suoi amici che erano rigati di lacrime, che però erano di gioia. Poi posò i suoi occhi su quelli di Naoya, del suo Naoya. Lui non stava piangendo, ma sorrideva, ed era bellissimo.

-s-scusami…Naoya…scusami…- esclamò

Il sensei scosse la testa –sei uno stupido, devi smetterla di scusarti-

-non ti ho…detto nulla…rchè volevo…volevo che…- provò a dire, con molta fatica

-so perché l’hai fatto- lo fermò –adesso non ha più importanza…-

-…-

-…adesso avremo tutto il tempo che vogliamo-


Takahiro aveva sempre pensato che sopportare il dolore in solitudine fosse molto meno crudele che farlo sopportare anche agli altri, a tutti quelli che gli volevano bene.
E sempre in funzione di questo, aveva vissuto e programmato le sue scelte con il massimo impegno e precisione.
Ma forse, sopportando tutti insieme le avversità che la vita mette davanti, non è più semplice continuare il proprio cammino? Aiutandosi l’uno con l’altro non facilita le cose?.
Aveva imparato tutto questo semplicemente sbagliando, commettendo innumerevoli errori, come tanti altri prima di lui aveva creduto che la cosa migliore fosse quella di liberarsi degli affetti, grandi o piccoli che fossero.
Ma nessuno può vivere senza un amico che piange per te, senza una persona disposta a tutto pur di farti sentire amato, senza qualcuno al quale aggrapparsi dopo una caduta.
Il destino gli aveva dato una nuova opportunità di vivere e di rimediare ai propri sbagli. Che fosse stato tutto programmato fin dall’inizio? quello stesso destino al quale Kyoko non era riuscita a sottrarsi, lui invece l’aveva soggiogato all’ultimo secondo, riuscendo a vivere. Era riuscito a fare quello che probabilmente sua madre aveva rinunciato: andare avanti nonostante tutto, nonostante ogni cosa andasse male.

-Takahiro- esclamò Naoya con la voce che tremava ancora per la commozione

Lui si voltò in silenzio,verso il suo sensei.
Non riusciva ancora a credere che avrebbe potuto continuare a vederlo, sentirlo, toccarlo. Sarebbe riuscito a fare tante cose insieme a lui.

-….Naoya…- lo chiamò dolcemente

Il ragazzo sorrise alla chiamata.
Delicatamente si abbassò tanto quanto bastava per raggiungere la testa bendata di Takahiro e, con una dolcezza quasi immaginaria, posò le sue labbra sulla fronte dell’amico, baciandolo.
Misako, Chiaki e Shinjiro osservarono la scena commossi. Misako sorrise lievemente, con un aria leggermente sconsolata: anche per lei, a quanto sembrava, era arrivato il momento di voltare pagina, una volta per tutte.

-ti amo, Takahiro- disse il sensei

Il giovane riuscì appena a rispondere, sussurrando semplicemente “anche io”, prima di richiudere gli occhi e sprofondare nuovamente nel sonno.
Naoya, istintivamente gli prese la mano e gliela strinse forte, come se avesse avuto paura che Takahiro potesse in qualche modo andarsene lo stesso, in un modo o nell’altro.
Quando i respiri regolari del ragazzo cominciarono ad essere calmi e scanditi, capì che era davvero tutto finito: che Takahiro era davvero vivo e che non avrebbero più dovuto preoccuparsi del futuro. Che sarebbe bastato semplicemente vivere il presente con amore e serenità, giorno dopo giorno.
Se il filo rosso del destino esisteva davvero, allora Naoya era certo di essere legato indissolubilmente a Takahiro, da un legame talmente profondo che erano stati capaci di ritrovarsi anche nelle avversità.
Ed era certo che, nonostante tutto, le cose sarebbero andate per il verso giusto.
Sarebbero stati insieme al suo risveglio.
Ed era questo ciò che più contava.
Essere insieme.


 
 

nligRxe







**









Io e Takahiro trascorremmo quattro anni meravigliosi. Con molto più amore, di quanto altri ne abbiano avuto in una vita intera.
Dopo la laurea riuscii ad ottenere un posto presso l’Università di Tokyo, come insegnante di letteratura. Takahiro, poiché non poteva accedere a nessuna facoltà importante, trovò lavoro come assistente di un direttore di una nota casa editrice di manga. Girava il Giappone in lungo e in largo, dai rispettivi autori per ritirare i manoscritti da pubblicare.
Nonostante non fosse ciò che aveva sognato, era felice e si divertiva a viaggiare. Poco tempo dopo la sua guarigione andò a trovare la famiglia di suo padre; si perdonarono e lui conobbe finalmente il suo fratellino. Durante i fine settimana andavano spesso via insieme e la cosa non mi dava assolutamente fastidio. Anzi, ero davvero felice che le cose si fossero sistemate.
Takahiro aveva sempre sostenuto che gli fosse stata concessa una possibilità in più per provare ad essere felice e che per questo, doveva dare il massimo, per non sprecarla. Io, dal canto mio, ero certo che Kyoko san avesse esaudito il mio desiderio, che ci avesse concesso una nuova opportunità per stare insieme.
Ma inconsciamente sapevo che quel tempo sarebbe finito, prima o dopo. Che Kyoko san avrebbe deciso di riprendersi Takahiro e di portarlo infine, con sé, com’era stato stabilito.
E ciò accadde in un giorno di fine inverno.
Si trovava in Hokkaido, per lavoro. Aveva noleggiato una macchina in modo da raggiungere l’aeroporto di Sapporo, per tornare a Tokyo. Le strade di montagna erano ghiacciate. Takahiro ebbe un malore, perse il controllo dell’auto, andò a sbattere contro un platano che si trovava nei pressi della strada che stava percorrendo.
E fu così che se ne andò.
Ricordo vagamente i giorni che seguirono quell’incidente. Ero troppo preso dal consolare Misako e Chiaki da rendermi conto di cosa fosse successo davvero. Rammento solo sprazzi di quello che facevo e di quello che facevano gli altri: Shinjiro che fissava un punto indefinito del pavimento, senza espressione. Questa è una di quelle cose che mi sono rimaste nella mente.
Il medico che fece l’autopsia, confermò quella che in un certo senso, era stata la mia prima intuizione, subito dopo aver saputo la notizia: il malore che aveva causato l’incidente, era dovuto ad una nuova metastasi al cervello, che si era formata di recente.
Quel male contro il quale Takahiro aveva lottato con tutto se stesso, era infine tornato, a distanza di quattro anni. Non ero certo che fosse cosciente di essere malato, ma mi consolò sapere che non aveva sofferto. Era svenuto ancor prima di rendersi conto di morire. Per questo, ringraziai Kyoko san di averlo stretto fra le sue braccia in quell’attimo.

Alla cerimonia funebre parteciparono gli amici più stretti, compreso il dottor Kazuki, i vecchi compagni di scuola della Hibiya High School ed il padre, Miura Takuya con la propria famiglia. Dentro quella bara aperta, Takahiro sembrava dormire profondamente, sereno. Molte lacrime furono versate, io non ricordo nemmeno cosa provavo. Fissavo quel volto che sembrava quasi lo spettro della morte, in silenzio, senza dire una parola. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse strappato via il cuore. Non avevo la forza nemmeno di piangere. Non l’avevo mai fatto, ad essere sincero.

Ci volle poco; Takahiro divenne cenere bianca, leggera, silenziosa. Tutto ciò che era stato da vivo era sfumato, pian piano. Mentre vedevo quella bara bruciare, mi resi finalmente conto che Takahiro, in quel preciso momento aveva smesso di esistere. Che non c’era più in quel mondo. Che non avrei più rivisto il suo sorriso. Era diventato come Kyoko san. Era finalmente tornato da lei.

Miura Takuya dopo il funerale mi chiese di tenere le ceneri di Takahiro. Mi disse che era più giusto. Io però sapevo ciò che andava fatto.
Pochi giorni dopo, decidemmo di comune accordo di recarci a Yokohama. Chiaki, Misako, Shinjiro e il dottor Kazuki vennero con noi. Noleggiammo una barca e andammo al largo, in mare. Dopo aver pregato a lungo, lasciammo che il vento, tristemente, trasportasse ciò che era rimasto di Takahiro e Kyoko san, lontano, dove avrebbero potuto stare insieme, senza che la morte li separasse.
Fu allora che, per la prima volta dopo l’incidente, piansi. Fui colto da uno strano senso di disagio, mi sembrò che il cuore stesse per scoppiare da un momento all’altro, pesante come un macigno. Il vento mi scompigliava i capelli, e le lacrime solcavano le mie guancie. Finalmente avevo trovato la forza anche di piangere.
Era una calda giornata di fine marzo.
Ed infine, lì diedi il mio addio a Takahiro, che aveva salutato quel mondo prima di me, ed a tutto quello che eravamo stati.


Sono passati cinque anni da allora.
Da quel giorno a Yokohama non ho più rivisto il signor Miura. Le nostre strade non si sono più incrociate benché sia rimasta intatta la stima che provavamo a vicenda.
Il primo periodo senza Takahiro fu molto duro, ma mi feci coraggio, come ero sicuro che mi avrebbe detto di fare lui. Non ho mai mollato ed ho continuato a lavorare con impegno e dedizione finché, tre anni fa’, non ho deciso di abbandonare l’Università. Insegnare era sempre stato il mio sogno più grande, ma sentivo che quello non era il mio posto. Avvertivo una strana sensazione, che mi spinse a cambiare improvvisamente rotta, e dopo tanto tempo, guardai al passato.
Tornai là, dove avevo provato gioia, felicità e si, anche dolore. Tornai alla Hibiya High School, laddove tutto era cominciato. Quando solcai di nuovo quella soglia mi pervase un senso di nostalgia tale, che non potei fare a meno di sorridere. In un certo senso, ero tornato a casa. Ritrovai molti colleghi che avevo conosciuto nell’anno dello stage, e rividi anche Yuri che, nonostante gli anni fossero passati, era diventata sempre più bella. Per la prima volta la vidi sotto una luce nuova.

Adesso sono felicemente sposato; ho due splendide bambine ed una moglie con la quale condividere tutto. Sono riuscito ad essere felice.
Non ho mai detto nulla a Yuri riguardo al mio rapporto con Takahiro. Non che non mi fidassi di lei, semplicemente, non ho sentito il bisogno di parlarne. Erano cose che ormai appartenevano ad un passato che si era dissolto per sempre, quel giorno nell’oceano. Certamente, che fossimo molto legati l’ha capito da sola ad un certo punto, ma non si è mai chiesta nient’altro. Tra noi c’è una fiducia reciproca molto speciale, ed è questo che più mi fa sentire bene del nostro rapporto. Con Yuri non sono mai servite parole superflue, basta il semplice sguardo per capire cosa proviamo entrambi.
Molti in seguito mi hanno domandato se sposarsi fosse stato solo un modo per fuggire dalla realtà. Dal fatto che Takahiro non c’era più. Lui era stato la prima vera persona che mi abbia fatto battere il cuore. Ma mia moglie però è stata capace di farlo battere ancora, anche quando pensavo che mi fosse stato portato via. A lei devo tanto, sento di avere tanto amore da darle. La guardo e vedo il suo volto, non quello di un qualcun’altro. Non quello di Takahiro.
E fortunatamente, non sono l’unico ad essere riuscito a ricominciare, dopo quell’incidente.
Misako finalmente ha trovato una persona da amare ed ha messo al mondo un bambino meraviglioso non poco tempo fa. L’ha chiamato Takahiro. Ha seguito il suo cuore ed è diventata una maestra d’asilo. Shinjiro e Chiaki, che dopo essersi laureata ha aperto una clinica veterinaria a Shinjuku, sono una coppia ormai sposata e stanno pensando di allargare la loro famiglia. Sono diventate due donne sagge e leali, di cui Takahiro sarebbe stato davvero fiero.
Nonostante il tempo sia passato, siamo rimasti molto uniti e ci vediamo spesso. I nostri bambini giocano insieme, felici, senza pensieri. Tutti noi siamo riusciti ad andare avanti nonostante tutto. Nonostante le cose inevitabilmente non siano andate come le avevamo programmate.

Lo sai, Takahiro?.
Ci sono volte in cui, quando varco la soglia di quell’aula, mi immagino di tornare indietro. Ed allora mi volto verso la porta, sperando di vederti comparire da un momento all’altro, timido ed impacciato, con i capelli neri che ti ricadono sugli occhi; e la divisa sporca di terra.
Ogni tanto ci penso. Penso a come sarebbe stata la nostra vita se tu non fossi morto, se il sentimento che ci legava sarebbe durato per sempre. Ma poi, penso che ora sono un padre di famiglia, che mia moglie conta su di me. E tutto questo l’ho scelto io, è la vita che mi sono costruito.
Durante il mio percorso ho incontrato numerose persone. Tu ne hai fatto parte, e continuerai ad esserne parte, nei miei ricordi. Sei arrivato nella mia vita con la dirompenza di un uragano, e con la stessa forza te ne sei andato, lasciandomi stordito. Ma mi hai lasciato dentro più di quanto avessi potuto immaginare. Davanti all’altare in tua memoria, in cimitero, prego perché le mie figlie crescano sane e forti, che la nostra felicità possa durare ancora per tanti anni. A volte mi sono sentito un egoista: perché io sono qui, sono vivo e sto pregando per poter continuare ad essere felice. Tu invece non ci sei più, nonostante la tua lotta contro il male più grande. Mi sono chiesto più volte che diritto avessi di essere felice al posto tuo, che te sei andato via così giovane e pieno di speranze.
E’ stato difficile farsene una ragione, accettare il fatto che tu ormai non esisti più, che sei solo aria. Non hai potuto realizzare niente di quello che avresti voluto, e continuo a domandarmi se il tempo che hai vissuto sia stato sufficiente per poter essere felice, se io abbia fatto del mio meglio per renderti sereno.
L’unica cosa che posso sperare, è che tu sia fiero di me, laddove ti trovi.
Finita la malattia avevamo programmato tante cose; una vita insieme, un futuro, e molti viaggi. I quattro anni passati insieme sono stati importanti e speciali, con momenti che non potrò mai dimenticare.
Mi hai insegnato cosa vuol dire non arrendersi, che ognuno di noi può essere padrone del proprio destino, se lo desidera. Ogni tanto chiudo gli occhi e provo ad immaginare il tuo volto, come saresti diventato da uomo. I tuoi capelli neri, i tuoi lineamenti, ogni cosa di te mi è ancora perfettamente chiara, nonostante sia passato del tempo.


Dopo l’incidente non ho più scritto in questo diario. Avevo paura che facendolo, avessi potuto in qualche modo cadere in un baratro senza fine, fatto di ricordi e rimpianti. Avevo bisogno di ritrovare me stesso, prima di poter rileggere quelle righe con la giusta serenità.
Ci ho pensato molto, chiedendomi se fossi stato pronto. E proprio perché in questo momento sto scrivendo queste parole con la gioia nel cuore, so che è finalmente così.
Tu, che lottavi sempre da solo, inconsapevole di quanta forza possedessi.
Tu, che non facevi altro che scusarti e ringraziare per ogni cosa.
Sento che prima o poi, Takahiro, noi ci rincontreremo. Fino ad allora, io sono certo di voler continuare a vivere, come mi hai insegnato.
Per la mia famiglia, per te e, si, anche per me stesso.

Per la persona che sono diventato.

ありがとう









NOTE:
MEIJI JINGU: santuario shintoista che si trova a Tokyo, nei pressi del distretto di Harajuku.
KAWAII: letteramente' carino'. Viene utilizzato soprattutto rivolgendosi alle ragazze.




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