Passarono i giorni dediti
all'addestramento.
Verso l'ora di pranzo
del terzo giorno, incominciarono le sessioni private con gli Strateghi.
Ogni Tributo veniva
chiamato per dimostrare il suo talento.
Alla fine delle sessioni
private, gli Strateghi avrebbero comunicato a tutti un punteggio per
ogni Tributo.
Più il
proprio punteggio era alto, più persone sarebbero state
disposte a sponsorizzarti nell'Arena.
Era il momento X. Il
momento che poteva fare la differenza.
Marina stava in
silenzio, seduta da sola nel tavolo della mensa.
Suzuno era stato
appena convocato e la sedia di fianco a lei era vuota.
La castana
strinse le dita intorno al bicchiere di plastica.
Non aveva
mangiato niente. Le succedeva sempre, quando era agitata.
Sospirò.
Doveva stare calma. Dopotutto lei era una Favorita. Dopotutto lei era
stata allenata sin da piccola. Dopotutto eccelleva nel combattimento.
Tenne gli occhi
socchiusi, tentando di estraniarsi da tutto il chiacchericcio che
riempiva la stanza.
Rimase
così, a rimuginare sulle sue possibilità e a
perdersi nei pensieri più sciocchi, nel vano tentativo di
distrarsi.
Doveva ottenere
un punteggio alto. Solo così avrebbe potuto vincere.
Dopo un quarto
d'ora, chiamarono il suo nome.
Si
alzò con gesti meccanici. Si passò una mano fra i
capelli, pettinandoseli, e si sistemò le pieghe della maglia.
Ostentando un
passo sicuro, entrò nella palestra.
Gli Strateghi
erano attenti, freschi e riposati. Ogni suo errore sarebbe stato visto.
Prese un respiro
e si attenne al programma, impugnando saldamente la katana.
Non l'aveva usata
spesso, durante l'addestramento, dato che era il suo punto di forza.
Osservò
un istante i riverberi di luce sulla lama affilata, poi alzò
gli occhi celesti.
Uno scatto. La
sua espressione non mutò un'istante. Fulminea,
tagliò la corda che sosteneva un sacco da boxe e, mentre
quello stava ancora cadendo, ci si avventò sopra,
spezzandolo in due con un fendente preciso.
Non si
fermò e batuffoli di imbottitura volarono in aria,
incastrandosi fra i suoi capelli.
Non ci fece caso
e si voltò di scatto, lanciando la katana. Un gesto
avventato. L'arma non era fatta per essere scagliata e quello era una
mossa da professionisti.
Ma lei era una
professionista. La katana, fendendo l'aria con un sibilo,
andò a tagliare di netto la testa di un manichino, colpendo
in una maniera talmente precisa da spezzarlo in modo millimetrico e
andando a conficcarsi nella parete.
La ragazza si
fermò, l'imbottitura ancora impigliata fastidiosamente fra i
capelli.
Gli Strateghi
parvero soddisfatti e la congedarono.
Marina si
inchinò e uscì, con passo deciso, senza che la
sua espressione fredda mutasse.
Entrò
nell'ascensore e approffittò del breve viaggio per togliersi
dai capelli i residui di imbottitura.
Ce l'aveva fatta.
**
Hikari
sospirò stancamente.
La ragazza del 6,
quella che l'aveva minacciata durante l'addestramento -Hakaikuro, le
pareva che si chiamasse- non aveva fatto altro che fissarla con aria
truce tutto il tempo.
Era riuscita
anche a sopportarla, finchè Desarm era stato al suo fianco.
Ma lui era stato
chiamato da poco dagli Strateghi e lei era sola; posò la
fronte sul tavolo freddo, gli occhi strizzati.
Si
tirò a sedere, stizzita e scomoda; giocherellò un
poco con il bracciale regalatole da Desarm, distratta.
Voleva distrarsi,
voleva non pensare che questa era la prova decisiva, che il risultato
che avrebbe ottenuto adesso era quello definitivo, che avrebbe influito
molto sulla sua morte.
Aveva salutato
Desarm con un bacio; se lei doveva morire, voleva che fosse lui a
vincere.
Un quarto d'ora
passò troppo in fretta. Chiamarono il suo nome e allora,
dopo un profondo respiro, si alzò, scostando rumorosamente
la sedia.
Sistemò
un poco i capelli ricci e si passò le mani sul volto; era
pronta.
Entrò
nella palestra, decisa e sicura come non mai. Gli Strateghi la
studiarono con i loro occhi perforanti, ma Hikari non ci fece caso.
Afferrò
il nunchaku e lo strinse saldamente. Un brivido l'attraversò
e iniziò a rotearlo.
Ne
afferrò un'estremità e disegnò un otto
in aria, per poi lanciarlo e riafferrarlo al volo.
Se lo
passò intorno alla vita e intanto si guardò
intorno, continuando a rotearlo; cosa fare per rendere la sua
performace più interessante?
Un'idea le
balenò in mente e si avvicinò ai pesi con un
sorriso furbo.
Gli Strateghi si
fecero più attenti mentre Hikari legava i pesi ai pezzi di
legno del nunchaku.
Quando lo prese
di nuovo in mano, pesava quasi il doppio.
Decisa,
iniziò a rotearlo; era più impacciata, ma il suo
esercizio era comunque eccellente.
Dopo aver passato
il nunchaku sotto le braccia, decise di finire in grande stile;
lanciò l'arma con forza e quella, nonostante i pesi,
roteò fulminea in aria, andando a mozzare la testa di un
manichino.
Si
fermò, alcuni ciuffi scuri appicciati alla fronte sudata, il
fiato grosso.
Gli Strateghi la
congedarono, soddisfatti.
Dopo essersi
inchinata, Hikari uscì, inaspettatamente felice.
Entrò
nell'ascensore e sorrise. Finalmente tutto stava andando nel verso
giusto.
**
Kiara sorrise.
Skylin e Misaka
stavano battibeccando allegramente, la prima seduta di fianco a lei e
l'altra davanti a sè.
Era felice di
aver conosciuto le due; con loro si sentiva libera, inaspettatamente
serena, come se niente avesse potuto turbarla.
Ormai mancavano
pochi giorni al suo ingresso nell'Arena; voleva vivere allegramente
quel tempo che le restava, senza nessuna remora o rimorso.
Ryuuji era stato
chiamato da poco, la rossa lo aveva visto alzarsi poco tempo prima; era
rimasto seduto due tavoli davanti a lei, insieme al ragazzo del 5 e
quello dell'8.
In un certo
senso, era gelosa. Avrebbe voluto allearsi con lui, ma in
realtà non aveva assolutamente motivo di sentirsi tradita.
Erano solo "nemici-quasi-amici", confidenti per convenienza.
Però
Midorikawa era quanto di più vicino a un fratello avesse in
quel momento e voleva che stesse con lei.
Era un pensiero
sciocco ed egoistico, ma non ci fece caso.
La chiamarono
proprio in quel momento, destandola dai suoi pensieri.
Sospirò,
alzandosi, e Skylin l'abbracciò. Ricambiò con un
sorriso.
-Vai Kia,
facciamo il tifo per te.- le diede un buffetto sulla guancia,
sorridendo teneramente.
-Falli fuori, mi
raccomando.- Misaka le fece l'occhiolino, alzandosi a sua volta per
venirla ad abbracciare.
Sembrava che
stessero per separarsi per sempre e quel pensiero la fece ridacchiare.
Entrò
nella palestra con ancora un sorriso accennato sulle labbra, che subito
svanì.
In
realtà, non aveva la più pallida idea di cosa
fare. Rimase immobile qualche secondo, sotto lo sguardo indagatore
degli Strateghi, e arrossì un poco.
Prese coraggio e
avanzò con un passo sicuro ma che traballava un po',
tradendo la sua agitazione.
Fece vagare lo
sguardo per la palestra e individuò una cerbottana
appoggiata alla parete, all'angolo. Con maggiore disinvoltura
possibile, la prese e la caricò.
Si
allontanò di cento metri e colpì perfettamente il
centro del bersaglio. Duecento, il tiro si conficcò preciso.
Trecento, bersaglio centrato, ma iniziava a mancarle il fiato.
Quattrocento, cinquecento. I tiri erano sempre perfetti e la sua
notevole mira iniziava ad attirare gli Strateghi.
Decise di tentare
il tutto per tutto. Ottocento metri. Erano davvero tanti.
Assottigliò gli occhi azzurri, tentando di mettere bene a
fuoco il centro del bersaglio. Doveva centrare perfettamente. Se avesse
sbagliato questo tiro avrebbe dovuto scordarsi un punteggio positivo.
Prese un respiro,
le gote arrossate dall'emozione e dalla fatica, il fiato grosso.
Soffiò
nella canna con tutta la forza che aveva. Il dardo partì a
una velocità impressionante, fendendo l'aria. Per un attimo,
Kiara fu colta dalla paura di aver sbagliato tutto.
Ma poi il dardo
si conficcò preciso al centro, con un po' meno forza dei
precedenti ma sempre perfetto. Dentro di sé
esultò, ma si limitò a un sorriso soddisfatto.
La congedarono e
la rossa si inchinò, mentre un brivido le trapassava la
schiena.
Salì
sull'ascensore e si concesse un sospiro. Ormai quello che era fatto,
era fatto.
**
Zoey era seduta
da sola, in un angolo della mensa.
Aveva ignorato
con la maggiore disinvoltura possibile le occhiatacce che Skylin
continuava a lanciarle, cercando di distrarsi.
Appoggiò
la testa alla parete, dondolandosi sulla sedia; i suoi occhi smeraldini
corsero per la stanza, tracciando il solito itinerario che seguivano da
quasi un ora.
Il suo sguardo si
fermò al tavolo appoggiato alla parete sinistra, quasi
opposto al suo; Mac era seduto a quel tavolo con il ragazzo dell'11 e
quello del 9 e chiaccheravano allegramente.
Zoey
gonfiò le guance, gelosa; avrebbe voluto avvicinarsi a loro,
stare vicino a Mac, sentire il suo sguardo dolce su di sè,
magari stringergli la mano e--
Arrossì
di botto, stupendosi dei suoi stessi pensieri.
Ma cosa andava a
pensare? Mac era suo nemico. Avrebbe dovuto ucciderlo. Lei era una
Favorita, non poteva permettersi certi pensieri smielati.
Strinse i pugni,
seguendo con gli occhi i movimenti del ragazzo, che si era alzato in
quel momento per entrare nella palestra.
Avrebbe dovuto
attendere ancora per poco e poi avrebbe potuto andarsene da quella
mensa chiassosa.
Iniziò
a disegnare distrattamente spirali sul tavolo con le dita, gli occhi
catturati dal movimento ritmico della mano.
Il suo sguardo
cadde sul bracciale d'argento che Vincent le aveva regalato, allacciato
al polso.
Una fitta di
nostalgia le attanagliò improvvisamente il petto, mentre
studiava attentamente il quadrifoglio con sopra una piccola coccinella,
che era allacciato nell'intreccio d'argento del laccio.
Per la prima
volta da quando era arrivata a Capitol City avvertì
chiaramente la nostalgia di casa, la voglia di rivedere i suoi
genitori, i suoi amici, Vincent.
Scacciò
quella sensazione attanagliante scrollando la testa, accompagnata da
una cascata di capelli ricci.
A sottrarla da
quei pensieri affilati fu il suo nome, che venne chiamato in quel
momento.
Si
alzò, senza traballare, fiera, lo sguardo freddo e il passo
sicuro, mentre si avviava nella palestra.
Quando fu
entrata, fece correre lo sguardo per tutta la grandezza della stanza.
Ebbe l'accortezza
di non incrociare gli occhi degli Strateghi e afferrò decisa
un coltello.
Serrò
le dita affusolate sul manico di pelle, in una stretta ferrea ed
esperta; sicura come non mai, si avvicinò con calma glaciale
a un manichino.
Rimase immobile.
Il silenzio era palpabile. Nulla si mosse per istanti che parvero
interminabili.
Poi
scattò. Affondò il coltello nel petto del
manichino e saltò, dandosi slancio sulle spalle del
fantoccio. Tenne il pugnale fra i denti, mentre si aggrappava con le
mani ai ganci appesi al soffitto.
Dondolandosi con
esperienza, percorse tutta la palestra a mezz'aria, arrampicandosi,
scattante e sicura.
Ad un certo
punto, senza preavviso, si lasciò cadere; trattenne il
respiro e mollò la stretta dei denti sulla lama del
coltello, che afferrò al volo. Atterrò
precisamente di fianco a un manichino e piantò il pugnale
nel suo cranio, con violenza dirompente.
Gli
tirò un calcio e il fantoccio cadde a terra.
Zoey si
fermò, sudata e col fiatone. Alzò gli occhi
smeraldini per incrociare quelli affilati degli Strateghi.
La congedarono e
la mora si inchinò, trattenendo il fiato.
Uscì
ed entrò nell'ascensore; un sorriso sbocciò sulle
sue labbra e i suoi occhi si riempirono di gioia.
Mancavano ancora
pochi giorni al suo ingresso nell'Arena ed era sicura che tantissimi
sponsor l'avrebbero aiutata.
Ne era certa.
**
Hakai
sospirò, gli occhi fissi sul piatto ancora pieno.
Non aveva fame,
sentiva l'agitazione scorrere gelida nelle vene.
Hiroto era appena
entrato nella palestra. Oh, le mancava già sentire la sua
risata.
Il rosso era
rimasto seduto con il ragazzo dell'8 tutto il tempo, ma le aveva sempre
lanciato occhiate sorridenti.
La ragazza non
aveva potuto non arrossire, però le piacevano le attenzioni
che lui le dedicava.
Avrebbe voluto
dirglielo, ma sarebbe stato stupido, inutile e molto fraintendibile.
E poi ora doveva
concentrarsi solo sulla sua sessione.
-Ehi Hakai!
Cos'è sul muso lungo?-
La bionda
alzò lo sguardo, incontrando gli occhi sfavillanti di Roxie.
-Xie, ciao.-
esclamò e un sorriso nacque sul suo viso.
La rossa la
squadrò qualche secondo, poi scoppiò a ridere.
-Neneh, ti manca
già Hiroto?- disse con un sorriso malizioso e la voce
cantinelante.
Hakai
arrossì di botto. -N-No! C-Che cosa vai a pensare... I-Io...
No... N-Non stavo pensando a lui!- balbettò, scuotendo le
mani e la testa, negando.
-Ceeeerto, come
no.- la quattordicenne le strizzò l'occhiolino, allungando
le vocali in maniera esasperante.
La bionda
incrociò le braccia sotto il seno, socchiudendo gli occhi
azzurri.
Roxie non aveva
tutti i torti. Però ammettere che non riusciva a stare senza
Kiyama era davvero troppo, significava che per lui provava qualcosa di
decisamente forte.
E non era
così... vero?
Arrossì
di nuovo, sotto lo sguardo scettico della rossa, che sospirò
sorridendo.
-Eh
già, la nostra Hakai è proprio cotta...-
ridacchiò e la bionda si imbronciò.
-Vogliamo parlare
di te e Yuuto? Guarda che si consuma a forza di mangiarlo con gli
occhi!- sbuffò e godette nel vedere il rossore espandersi
sulle gote dell'altra.
-M-Ma no!-
provò a protestare la rossa, ma fu sopraffatta dalla risata
dell'altra, a cui preso anche Roxie si unì.
Il nome di Hakai
fu chiamato in quel momento e la bionda parve gelarsi sul posto.
Sospirò,
cercando di tenere a bada l'agitazione che all'improvviso aveva
iniziato a roderle il petto.
-Vai e scaglia
diritta i tuoi coltelli.- la incoraggiò Roxie, sorridendole.
Hakai
ingoiò un mezzo sorriso ed entrò nella palestra.
Gli Stateghi le
lanciarono occhiate indagatrici e la ragazza si strinse leggermente
nelle spalle.
Prese una decina
di pugnali e si posizionò davanti al bersaglio.
Sospirò
e strinse le dita fini intorno all'impugnatura di un coltello.
Alzò gli occhi, senza tremito.
Il primo tiro.
Per suo padre.
Il secondo tiro.
Per sua madre.
Il terzo tiro.
Per Riku.
Il quarto tiro.
Per il suo Distretto.
Il quinto tiro.
Per Roxie.
Il sesto tiro.
Per Hiroto.
Il settimo tiro.
Hiroto. Hiroto Kiyama.
L'ottavo tiro.
Per i suoi occhi acquamarina e quel sorriso speciale.
Il nono tiro. Per
la sua risata, bella, cristallina, affascinante.
Il decimo tiro,
il più potente. Per quel sentimento che non conosceva e che
li legava.
Si
fermò, gli occhi freddi e letali, le gote leggermente
arrossate.
Gli Strateghi
parvero soddisfatti e la congedarono.
Hakai si
inchinò con un sorriso e uscì, improvvisamente
pervasa da una strana adrenalina bruciante.
Salì
sull'ascensore e si sentì inspiegabilmente felice.
**
Hakaikuro
socchiuse gli occhi scuri, sbuffando.
Non aveva proprio
voglia di starsene ferma di quella sedia scomoda, voleva mettere le
mani sulla sua katana.
Su ordine di
quell'idiota del suo mentore non l'aveva usata spesso durante
l'addestramento ed era rimasta a bramarla durante tutti i tre giorni.
Ora voleva solo
tirare qualche bel fendente e magari tagliare la testa agli Strateghi,
molto casualmente.
Emise l'ennesimo
sbuffo, facendo sollevare una ciocca di capelli bruni che era ricaduta
sul viso e lasciandosi scivolare sullo schienale.
C'era troppo
rumore, troppa gente che starnazzava.
Solo a vederli
mangiare si capiva che erano bestie da macello, nient'altro. Lei,
invece, ne aveva di possibilità di vittoria.
Sperava solo che
quegli idioti degli Strateghi capissero subito le sue doti, dopotutto
lei era l'unica ad avere esperienza nell'uccidere in quella stanza.
Fudou era
già entrato nella palestra da quasi dieci minuti, non ne
poteva più di aspettare; portò distrattamente le
mani ad accarezzare la testa del serpente di ardesia che era
arrampicato sul suo ciondolo e il suo sbuffo si tramutò in
un sospiro.
Aveva
già addocchiato le persone che pensava potessero esserle
utili nell'Arena, perciò aveva già in mente di
proporre qualche alleanza, giusto per non essere colta di sorpresa da
persone potenzialmente pericolose.
Non aveva
assolutamente intenzione di morire, per di più durante uno
spettacolo che veniva trasmesso in tutta Panem.
Sarebbe stato un
disonore troppo grande per lei.
Il suo nome venne
chiamato e Hakaikuro si alzò con uno sbuffo che stava a
metà fra lo scocciato e il sollevato.
Voleva solo
uscire da lì e buttare a terra qualche manichino.
Dopotutto,
pensò mentre entrava nella palestra, non le serviva
un'esibizione da grande talento, solo qualcosa di veloce ed efficace.
Come se stesse
uccidendo per davvero.
Sorrise
provocatoria e guardò i manichini come se fossero esseri
umani.
Afferrò
la katana e non degnò di uno sguardo gli Strateghi, che
iniziavano ad essere distratti dopo dodici sessioni.
Passò
un dito sulla lama sottile e leggermente curva e dalla carne
iniziò a stillare un po' di sangue.
Sogghignò
e la impugnò saldamente; la sua espressione mutò
totalmente da quando era entrata.
Il suo sorriso
acquistò sfumature di malignità, il suo viso
somigliò in tutto per tutto a quello di un assassino.
Prese un
barattolo di vernice rossa dal reparto di mimetizzazione e ci immerse
la lama dell'arma; tagliò di netto la testa di un manichino,
con velocità invidiabile e una potenza impressionante,
mentre il liquido cremisi schizzava su tutto il fantoccio come sangue.
Squoiò
undici manichini senza mai fermarsi, il pavimento sporco di gocce
rosse, l'atmosfera improvvisamente tesa.
Gli Strateghi si
erano fatti attenti; non era difficile per loro notare quella luce
spettrale negli occhi della ragazza, quella ferocia che cercavano in
ogni Tributo.
Hakaikuro si
concentrò sul dodicesimo manichino, l'ultimo;
lacerò viso di cotone senza tagliare la testa e poi si
concentrò sul petto.
Lo
buttò a terra e con impeto affondò più
e più volte la lama vermiglia, fin quando il manichino non
fu ridotto a un'ammasso di stoffa e imbottitura.
Afferrò
il barattolo di vernice e lo rovesciò sopra il fantoccio,
per poi lanciarlo in aria, in modo che gli ultimi schizzi cadessero
come pioggia di sangue intorno a lei.
Si
fermò, affannata ma soddisfatta, sogghignante nella sua
attività preferita.
Gli Strateghi la
congedarono, stupiti da tanta ferocia; Hakaikuro li fissò
sprezzante e uscì, senza inchinarsi.
Una volta entrata
nell'ascensore si concesse una risata, mentre i suoi occhi brillavano
di luce spettrale e sui capelli bruni scintillavano le gocce cremisi di
vernice come presagio di morte.
**
Annalisa si
arricciò annoiata una ciocca di capelli ricci sulle dita,
guardandosi intorno svogliatamente.
Natsumi e Amelia,
sedute accanto a lei, confabulavano sottovoce e lei non si sentiva di
partecipare al discorso.
Si stava
annoiando terribilmente; non era agitata per la sessione privata, anzi,
quella era la sua ultima preoccupazione.
Essere
così tranquilla non era da lei, ma la ragazza non ci fece
poi molto caso.
Gouenji era
appena entrato nella palestra e Annalisa lo aveva seguito con gli occhi
fin quando non era sparito dietro alla porta.
Avrebbe voluto
parlargli, anche se in realtà non aveva la più
pallida idea di cosa dirgli.
-Nali? Hai
sentito quello che ho detto?-
La ragazza
sobbalzò e si girò verso le due alleate, che la
guardavano in attesa.
-Ehm... No.-
rispose abbozzando un sorriso di scuse; Amelia sospirò
sconsolata e Natsumi ridacchiò leggermente, mormorando un
rimprovero amichevole.
-Stavo dicendo-
riprese Amelia lanciandole un'occhiataccia. -che volevo proporvi
un'altra alleanza con il ragazzo del mio Distretto.-
La riccia si
sporse un po' verso l'altra, incuriosita.
-Mh? Chi, quel
bel castano?- rispose con un sorrisetto, indicando con un cenno del
viso Fideo, seduto tre tavoli avanti a loro con il ragazzo del 10.
-E' carino...-
commentò, lanciando un'occhiata maliziosa verso Amelia.
La castana
arrossì leggermente, spostando piccata lo sguardo. -Certo
certo, tutto quello che vuoi. E' furbo e questo mi basta. Vediamo come
andrà nella sessione privata, ma ho il presentimento che il
suo punteggio sarà alto.-
Natsumi si
scambiò un'occhiata d'intesa con Annalisa e poi
ridacchiarono all'unisono, facendo arrossire ancora di più
l'altra.
-E questa risata
cosa vorrebbe dire?!- sbuffò incrociando punta nel vivo le
braccia al petto, cercando di ignorare il rossore che le copriva le
gote.
Annalisa
soffocò un sorriso; Amelia non sarebbe cambiata mai.
Il suo nome venne
chiamato in quel momento e la riccia si alzò, sorridendo
verso le altre, senza che l'agitazione la sfiorasse minimamente.
-Allora... Ci
vediamo nell'Arena.- disse e le ragazze annuirono.
Annalisa
alzò la mano in segno di saluto, avviandosi verso la
palestra.
Tutto stranamente
sembrava andare per il verso giusto e lei non avrebbe potuto chiedere
di meglio.
Circondata da
amiche come Natsumi e Amelia persino gli Hunger Games parevano meno
minacciosi; era così strano che la loro amicizia fosse nata
così, un fiore in mezzo ai rovi.
Entrò
nella palestra e notò vari schizzi di vernice rossa per
tutto il pavimento; mise da parte lo scettismo e impugnò la
scure.
Strinse
saldamente il manico, arricciando le labbra carnose in un espressione
concentrata.
Chiuse gli occhi
smeraldini e tutti i giorni nel bosco con suo padre le passarono
davanti come un film. Doveva solo ripetere quei movimenti tanto
familiari, come se stesse abbattendo un albero in un pomeriggio
qualunque di una giornata qualunque.
Con uno scatto
repentino aprì gli occhi e sollevò l'arma,
affondandola poi con potenza letale nella sua custodia.
Il legno si
incrinò con un schianto secco e varie scheggie si alzarono
dall'oggetto.
Colpì
la custodia della scure ancora e ancora, facendo saltare pezzi di legno
ovunque, nel violento modo che suo padre chiamava "barbaro".
Se si spezzava
legno in quella maniera non lo si avrebbe mai potuto vendere e Annalisa
ricordava le volte in cui l'uomo glielo ripeteva stenuamente.
Però a
rompere così violentemente quell'oggetto provava una
soddisfazione innata; quasi non riusciva a credere di possedere tanta
forza.
Si
fermò solamente quando non ci fu più nulla da
rompere. Pezzetti di legno erano disseminati disordinatamente per il
pavimento, troppo piccoli per essere tagliati ancora.
Annalisa
alzò lo sguardo con freddezza e lanciò la scure
senza spostare gli occhi dagli Strateghi; l'arma si conficcò
nella parete, rimanendo a mezz'aria.
Godendosi le loro
espressioni stupide, la riccia si inchinò e uscì,
i capelli spettinati e le gote arrossate, ma un sorriso soddisfatto sul
volto.
Già,
non avrebbe potuto andare meglio di così.
**
Misaka
affondò il viso fra le braccia, sospirando.
Aveva passato il
tempo a chiaccherare con Skylin e a lanciarsi occhiate sporadiche con
Nagumo, che se n'era stato in un altro tavolo per tutto il tempo.
Però
ora Haruya non era più seduto là, a scoccarle
occhiate spavalde con i suoi splendidi occhi color miele, ma era
entrato nella palestra per la sua sessione privata.
Alzò
gli occhi cerulei, insoddisfatta, cercando di incrociare lo sguardo
dorato di Skylin, magari un sorriso su quelle labbra sottili.
Ma la castana non
la stava guardando; seguendo la traiettoria dei suoi occhi, Misaka
capì che stava fissando il ragazzo del suo Distretto.
Fubuki, le pareva si chiamasse.
Era rimasta molto
colpita dal suo gesto durante l'addestramento; era intervenuta per
bloccare la rissa e quindi salvare quel ragazzo da una punizione severa.
La bruna non
sapeva che lei avrebbe fatto lo stesso per Nagumo; probabilmente no,
anche se non ne era sicura.
Non comprendeva
perché Skylin avesse rischiato di finire in mezzo a quella
storia per un suo nemico, non aveva senso.
-Ehi Skyl.- la
chiamò e la castana sussultò, distogliendo lo
sguardo dal Fubuki e girandosi verso Misaka.
-Sì?-
rispose incerta, gli occhi dorati che bramavano di incastrarsi di nuovo
con quelli color argento del ragazzo.
La bruna scosse
la testa con un mezzo sorriso. -Nulla.- e si disse che era ovvio il
motivo per cui Skylin aveva salvato Fubuki.
Il
perché risiedeva nelle loro iridi, in quel dolcissimo
luccichio pervadeva i loro occhi quando si incrociavano. Forse -si
disse- c'erano occhi che erano destinati a rimanere incatenati e quando
si incontravano quella luce speciale li illuminava.
Chissà
se anche lei aveva nelle iridi quel bagliore quando guardava Haruya.
Non si chiese
perché proprio Nagumo, ma in un certo senso sperava che
anche i suoi occhi brillassero per lui.
Il suo nome venne
chiamato in quel momento e Misaka si alzò, stiracchiandosi
come un gatto.
-Ci si vede.-
disse facendo un cenno a Skylin, che le sorrise caldamente, salutandola.
Entrò
nella palestra con un sospiro, tentando di togliersi di dosso quella
malinconia appiccicosa. Non era il momento per farsi prendere da
pensieri tanto stupidi.
Scoccò
un'occhiata stizzita agli Strateghi, che dopo sedici sessioni
iniziavano ad essere più attratti dal banchetto che era
stato allestito per loro che dai Tributi.
Raccolse una
katana non molto lunga, stringendo febbrilmente il manico.
Tirò
qualche fendente ai manichini, frustrata; rivolse uno sguardo sdegnato
agli Strateghi, che però non sembravano assolutamente
considerarla.
Sentiva l'ira
montare dentro al petto e le tornò in mente suo padre, quel
sognatore ribelle dagli occhi scuri che lei non aveva mai conosciuto.
Buttò
arrabbiata un manichino a terra e scagliò in un angolo la
katana, che scivolò per il pavimento con un triste clangore
metallico.
Prese un coltello
e attese un attimo, gli occhi cobalto che fissavano insistentemente gli
Strateghi.
Le dedicarono
solo qualche occhiata per nulla interessata e quella reazione fu la
goccia che fece traboccare il vaso.
Misaka, senza
pensare, scagliò il coltello contro il loro tavolo; si
udì un sibilo e tutta l'aria intorno al banchetto
sembrò criptare, poi la lama venne sbalzata indietro dal
campo di forza.
La bruna si
chinò repentinamente e il pugnale andò a
piantarsi nella parete; gli Strateghi la guardavano, chi spaventato e
chi stupito.
La ragazza si
alzò, con gli occhi ancora colmi di disprezzo; senza
inchinarsi uscì, mentre una soddisfazione prepotente le
invadeva il petto.
Sperava solo che
quel gesto avventato non le sarebbe costato troppo.
**
Natsumi
sospirò, borbottando qualcosa riguardo al fatto che in
quella mensa ci fosse davvero troppo caldo.
Si
passò una mano fra i capelli quasi ricci, tentando di
dissipare la calura che la circondava.
Le luci dei
lampadari asettici le davano il mal di testa; con un sospirò
si lasciò scivolare sul tavolo, godendosi l'impatto fresco
del suo viso accaldato contro la superficie, mentre Amelia ridacchiava
della sua espressione sconfitta.
La rossa
sentì qualcosa sfiorarle la spalla e alzò curiosa
gli occhi nocciola; fece appena in tempo a vedere una chioma di capelli
turchesi che si allontanava verso la porta.
Rimase a guardare
stupita il punto in cui Kazemaru era sparito; l'aveva... toccata.
Le aveva posato
una mano sulla spalla e poi era andato via. Arrossì
piacevolmente, mentre un mezzo sorriso incosciente si faceva spazio sul
suo volto.
La risata di
Amelia la fece sobbalzare, si era quasi dimenticata della sua presenza.
-Dovresti vedere
la tua faccia!- rise la castana e Natsumi arrossì ancora di
più, tirando una gomitata alla coetanea.
-Questa
è la mia faccia.- esclamò seccata, incrociando le
braccia.
-Non ti ha
baciata Natsu, ti ha solo toccato la spalla! Non mi sembra il caso di
fare tutto queste scene, potrebbe averti sfiorato anche per sbaglio.-
ribatté Amelia con un sorrisetto, ignorando totalmente il
suo commento.
La rossa
sentì di essere cascata dalle nuvole. La castana aveva
ragione e lei era una vera e propria stupida.
Voltò
il viso da un'altra parte, con espressione delusa; non aveva motivo di
esaltarsi tanto per un contatto così minimo, se ne rese
conto solo in quel momento.
E poi, non aveva
motivo di agitarsi. Kazemaru l'aveva toccata, e allora? Non era certo
la prima volta che qualcuno le sfiorava le spalla. Ichirouta era
esattamente come chiunque altro, un nemico qualunque.
Sbuffò,
stanca di rimuginare su argomenti così idioti.
Amelia era girata
verso il tavolo di Fideo e lo guardava con uno sguardo dolce e attento,
che mai la rossa le aveva visto fare.
Sogghignò
leggermente: la prendeva tanto in giro, ma anche lei non scherzava!
Sembrava volesse mangiarsi con gli occhi quel ragazzino.
Si
scostò di nuovo i capelli dal collo, ricordandosi
improvvisamente di avere caldo.
A salvarla da
quella calura fu il suo nome, che venne chiamato in quel momento,
richiamando anche l'attenzione di Amelia.
-Ciao, eh.- la
castana le diede un buffetto sulla spalla, facendola sorridere
leggermente.
Entrò
nella palestra con sguardo freddo. Non era agitata, dopotutto sapeva
benissimo cosa fare. Gli Strateghi non avrebbero potuto che stupirsi
davanti alla sua mira.
Impugnò
l'arco e incoccò, facendo vagare lo sguardo alla ricerca di
qualche bersaglio interessante.
Se voleva essere
considerata, doveva attirare subito l'attenzione su di sé.
Abbozzò
un sorriso vittorioso, notando numerosi dardi conficcati in un
bersaglio nella posizione di lancio.
C'era una
distanza sottilissima fra loro e chi li aveva lanciati -forse la
ragazzina del Distretto 3- doveva possedere una buona mira, ma poca
esperienza.
Natsumi sorrise e
scoccò; la freccia schizzò nell'aria e
andò a conficcarsi nel leggerissimo spazio fra due dardi
vicini.
I seguenti tiri
furono tutti dimostrazioni di una padronanza innata dell'arma; era
andata così da subito, dato che aveva dimostrato un talento
speciale per il tiro con l'arco da quando aveva pochi anni.
Sua madre era
sempre stata compiaciuta di questa sua passione per l'arco e Natsumi
l'aveva assecondata, un po' per non deluderla e un po'
perché quell'arma la affascinava tantissimo.
Ormai l'arco era
un'estensione naturale del suo braccio, una parte di sè;
perciò tirare frecce in spazi sottili era una passeggiata
per lei.
Stava per
lanciare l'ultima freccia, quando gli Strateghi la interruppero e
congedarono.
Insoddisfatta, la
rossa la scagliò verso l'alto; la freccia fendette l'aria e
andò a conficcarsi nel lampadario a neon sopra di lei,
rompendolo.
Una cascata di
scintille si riversò a terra e Natsumi sorrise, esibendosi
in un inchino spavaldo e uscendo.
Gli schizzi di
luce di quella sessione le rimasero dentro, imprigionati fra un sorriso
e una consapevolezza scarlatta.
**
Roxie si
dondolò distrattamente sulla sedia, soffocando uno sbadiglio
annoiato.
Dopo che Hakai se
n'era andata, la rossa non aveva fatto che annoiarsi a morte.
La mensa ormai si
stava svuotando; rimanevano solo lei e Yuuto, i due dell'11 e quelli
del 12.
La stanza era
molto più silenziosa e la quattordicenne proprio non si
trovava in un ambiente del genere; si sarebbe sentita molto
più a suo agio circondata da chiacchere e rumore.
Si
alzò dalla sua sedia, con l'intento di andare a sentire cosa
dicevano Kidou e il ragazzo del 12.
Gofiò
le guance; si sentiva offesa dal comportamento del castano, che l'aveva
ignorata per tutto il tempo.
Purtroppo
però non fece in tempo a raggiungerlo che lui si
alzò, salutando quel moretto seduto affianco a lui e
avviandosi verso la porta.
-Aspetta Yuuto!-
Il ragazzo si
fermò, senza girarsi. -Ci vediamo dopo, Roxie.- disse,
scostandosi quando la giovane provò a mettergli una mano
sulla spalla e allontanandosi.
La rossa rimase
immobile, seccata ed esterefatta.
Sentì
qualcosa di fastidioso pungergli il petto, mentre gonfiava le guance e
incrociava le braccia; perché l'aveva trattata con tale
freddezza?
Lei non aveva
fatto niente dopotutto!
Si
lasciò cadere offesa sulla prima sedia che le
capitò davanti, attirando l'attenzione dei presenti.
Roxie li
ignorò; Yuuto non voleva parlarle? Allora neanche lei lo
avrebbe pensato.
Però
era molto più difficile di quanto immaginasse; tentava di
concentrarsi su altro, di pensare a cosa avrebbe fatto durante la sua
sessione o a cosa avrebbe detto ad Hakai nell'Arena, ma Kidou era
presente in ogni singolo pensiero e non riusciva a scacciarlo.
Il suo viso dai
tratti aristocratici le tornava in mente ogni volta, facendola
arrossire stupidamente.
Un quarto d'ora
passò talmente lento che le sembrarono anni; appena il suo
nome fu chiamato, saltò giù dalla sedia,
impaziente di concentrarsi su altro e sfuggire al pensiero dolcissimo
di Yuuto.
Entrò
nella palestra e fece vagare i suoi occhi smeraldini per la stanza;
lanciò uno sguardo scettico al lampadario rotto con una
freccia spaccata ancora conficcata dentro, ma la sua attenzione fu
presto attratta da altro.
Come c'era da
aspettarsi, gli Strateghi erano concentrati su tutto meno che su di lei.
Roxie
sbuffò seccata e si avvicinò con passo deciso al
sacco da boxe; uno giaceva a terra spaccato e circondato da batuffoli
di imbottitura, ma il secondo era ancora intero.
Si
sfregò le mani, sorridendo furbamente.
Non era una
ragazzina indifesa qualunque, lei. A scuola, le capitava molto spesso
di fare a botte con i maschi che la infastidivano ed era inutile dire
che era lei a vincere ogni volta.
Essendo rimasta
orfana all'età di nove anni, con una sorellina in fasce,
aveva imparato da subito a badare a se stessa. E se c'era una cosa che
aveva appreso, era che saper picchiare chi provava a provocarla era
indispensabile.
Sferrò
un pugno al sacco, senza nemmeno mettersi i guantoni; l'oggetto
ondeggiò traballante e la ragazza iniziò a
tempestarlo di pugni e calci.
Con uno scatto
afferrò un coltello e tagliò la corda che lo
sosteneva; ci tirò un pugno potente, facendolo rotolare
sconfitto a terra.
Quello che
seguì fu solo un feroce confondersi di pugnalate e calci,
che il sacco incassava sfracellandosi per terra, fin quando non rimase
che una poltiglia di imbottitura e stoffa.
Scagliò
il coltello, colpendo un manichino distante in testa.
Gli Strateghi,
colpiti da tale forza, la congedarono e Roxie rivolse loro un'occhiata
fredda, per poi esibirsi in un inchino strafottente e uscire con passo
spedito.
Quando fu dentro
l'ascensore, scoppiò a ridere. Si era sfogata colpendo quel
sacco da boxe e non era più arrabbiata con Yuuto; adesso
voleva solo abbracciarlo.
Sorrise, in balia
di una felicità frizzante.
**
Skylin
sospirò, socchiudendo gli occhi.
Dopo che anche
Misaka era entrata nella palestra, lei era rimasta sola.
Era stanca di
stare lì ad attendere e il pensiero di cosa avrebbe fatto
per dimostrare il suo valore la logorava.
Per di
più, Atsuya continuava a fissarla e questo non la
tranquillizzava per niente.
Si sentiva
arrossire ogni volta che incrociava quegli occhi, avvertiva i palmi
delle mani sudare ed era tesa come una corda di violino.
Non capiva
perché Fubuki le facesse questo effetto e non era veramente
sicura di volerlo scoprire.
Alzò
timidamente lo sguardo e i suoi occhi si incatenarono a quelli del
ragazzo.
Atsuya era seduto
dall'altra parte del tavolo, le gambe accavallate e le braccia
incrociate dietro la testa, con uno splendido sorriso spavaldo sul
volto.
Arricciò
il naso alla vista di quell'espressione; non poteva prendersi gioco di
lei in quel modo.
Incrociando le
braccia al petto, si lasciò sprofondare nello schienale,
senza distogliere più gli occhi dai suoi.
Era una sfida?
Non sarebbe stata lei a perdere.
Così
rimase a guardare le infinite sfumature di quegli occhi presuntuosi,
dal taglio arrogante, di quello splendido color argento scuro, che
sembrava il colore della polvere e delle nuvole che portavano pioggia;
le loro iridi erano legate, lei, un raggio di sole nella tempesta degli
occhi di lui.
Quel magico
incanto fu però spezzato dal nome di Atsuya che fu chiamato.
Fubuki si
alzò tranquillamente e le passò accanto per
dirigersi verso la palestra.
-A dopo
uccellino.- sussurrò, facendola arrossire appena.
Skylin rimase a
fissare come una sciocca la porta dove lui era sparito, quelle parole
appena mormorate che le rimbombavano in testa, in un dolcissimo eco
infinito.
Un brivido
l'attraversò e distolse offesa lo sguardo.
Atsuya non faceva
altro che farla arrabbiare; era lui, con quel modo di fare
insofferente, con quella fastidiosissima strafottenza, con quegli occhi
che avevano il potere di stregarla.
Passò
il tempo a ripetere nella sua mente le note di una canzone popolare che
Sue le aveva insegnato, facendo intanto correre le dita sul tavolo.
Il suo nome fu
chiamato quasi all'improvviso, senza che lei se lo aspettasse.
Accompagnata da
un polveroso senso di stanchezza, entrò nella palestra.
Non c'era nulla
di particolare e quindi niente che attirasse la sua attenzione nella
stanza.
Rassegnata,
Skylin si attenne al programma, camminando verso il punto dove erano
appesi i pugnali.
Fissò
qualche secondo le lame e le note della canzone le danzarono nella
mente con insistenza.
"Complimenti,
davvero un'ottima performace" le parole di Naigel le tornarono in mente
e subito le fu chiaro cosa avrebbe dovuto fare. Dopotutto, doveva solo
dimostrare il suo talento.
E quasi non se ne
rese conto, quella melodia uscì dalle sue labbra con una
naturalezza innata.
Fece qualche
passo aggraziato per la palestra, cantando con un tono di voce sempre
più alto, raggiungendo note talmente acute da fare male alle
orecchie.
Ma non si
fermò, continuando a tracciare semplici passi di danza, una
voce così alta che molti Strateghi si dovettero premere le
mani sulle orecchie.
Arrivò
al culmine dell'altezza che avrebbe potuto raggiungere, prolungando una
nota acutissima e alzandosi sulle punte dei piedi, come a voler andare
ancora più in alto.
Qualcosa fendette
l'aria e ci fu uno scoppio. Il campo di forza che circondava gli
Strateghi si spaccò e Skylin fu sbalzata indietro, finendo a
terra.
Confusa, la
ragazza fu congedata e uscì, ancora frastornata.
Dentro
l'ascensore, si disse con un sorriso che aveva fatto davvero combinato
un pasticcio. Però la cosa la faceva solo ridere e quindi
rise, libera come un usignolo che si libra nel cielo.
**
Amelia
sospirò, arricciandosi una ciocca di capelli fra le dita.
Lanciò
uno sguardo a Fideo e si alzò, avvicinandosi a lui.
Il ragazzo non si
voltò, gli occhi fissi su alcuni fogli che stringeva attento
fra le mani.
La castana stette
in silenzio qualche secondo, aspettando che lui si girasse.
Se voleva
parlargli, doveva farlo ora, prima che la ragazza dell'11 finisse e lui
veisse chiamato.
Tossì
un poco, per richiamare l'attenzione del ragazzo. Odiava essere
ignorata.
-Amelia, ciao.-
disse lui tranquillamente, senza nemmeno girarsi a guardarla.
La giovane
sospirò, tentando di rimanere calma.
Per qualche
strano motivo, il comportamento di Ardena la irritava terribilmente.
Si
lasciò cadere sulla sedia affianco a lui e si decise a
parlare.
-Ho proposto
un'altra alleanza.- esclamò tentando di rimanere
disinteressata, battendo distrattamente le dita sul tavolo e
nascondendo gli occhi sotto la frangia.
Fideo
alzò stupito lo sguardo e Amelia si sentì
investita dal blu intenso dei suoi occhi.
-Oh.- disse solo
lui, poi tornò a sorridere compiaciuto. -Anch'io.- rispose,
altrettanto noncurante.
La castana rimase
interdetta e sbattè un paio di volte gli occhi. Come? Fideo
aveva proposto un'altra alleanza? E senza chiedere il suo parere?!
Arricciò
infastidita le labbra, assottigliando gli occhi, nonostante il suo
pensiero fosse molto incoerente.
-Ah. Hai fatto
tutto da solo, senza dirmi niente.- sibilò, senza pensare
che anche lei aveva fatto tutto da sola.
-Yuuto
è un buon alleato. E' furbo, prova a guard-- - ma fu
interrotto da Amelia, che strabuzzò incredula gli occhi.
-Kidou Yuuto?!
Quel ragazzetto insignificante?!- sbottò, battendo furiosa
una mano sul tavolo. Un'alleanza con quello svitato! Fideo doveva
proprio essere uscito di testa. Aveva osservato quel ragazzino durante
l'allenamento e poteva dire con certezza che non valeva nulla.
Purtroppo
però non poterono continuare la conversazione e il nome del
castano fu chiamato.
Ardena si
alzò, un'espressione accigliata sul viso, nascondendo i
fogli che prima stava leggendo in tasca.
-Ti ricrederai.-
disse solo, uscendo.
Amelia rimase
immobile. Non si sarebbe alleata con Kidou Yuuto.
Era pronta a
scommettere che non sapesse nemmeno tenere in mano un coltello.
Ridacchiò.
Se Fideo voleva fare comunella con lui, lei non lo avrebbe seguito.
Convita di questa
decisione, passò i seguenti quindici minuti a dondolarsi
sulla sedia, pensando ad altro.
La chiamarono
prima di quanto avesse immaginato.
Si
alzò ed entrò sicura nella palestra. Non aveva
paura di quei palloni gonfiati che erano gli Strateghi.
Quello che vide
la lasciò perplessa. Sembrava che fosse esploso qualcosa,
dato che tutte le attrezzature erano buttate negli angoli e il
capanello di uomini e donne attorno al banchetto sembrava molto agitato.
Amelia si
trattenne dal ridacchiare, chiedendosi chi fosse riuscito a far
arrabbiare tanto gli Strateghi.
Prese la mazza
chiodata, che ora riusciva a usare perfettamente. Annalisa le aveva
insegnato come utilizzare armi pesanti e adesso non aveva
più alcun problema.
Strinse sicura le
dita intorno al manico e fece roteare la palla di ferro tempestata di
aculei sopra la sua testa, per poi piantarla con forza dentro il corpo
di un manichino.
Continuava a
colpire bersagli e improvvisamente il pensiero di Leila
tornò a galla.
Si chiese cosa
avrebbe detto la sua sorellona, vedendola destreggiarsi in quel modo
con un'arma. Leila, la ragazza che l'aveva sempre sgridata per i suoi
modi scostanti e che spesso ricadevano nelle maniere forti.
La maggiore aveva
sempre disprezzato la violenza e messo in primo piano il dialogo;
chissà cosa avrebbe fatto lei, se fosse stata al suo posto.
Per la prima
volta da quando era arrivata, pensò che era un bene che
fosse stata estratta lei e non Leila.
Strinse
leggermente gli occhi, sottraendosi a quei pensieri dolorosi.
Con un grido,
scagliò la mazza chiodata, che roteò
pericolosamente in aria e andò a conficcarsi nel muro.
Amelia rimase
stupita; il suo tiro doveva essere stato davvero potente per far
rimanere la mazza inchiodata al muro.
Prima che potesse
riprenderla però, gli Strateghi la congedarono.
La castana fu
tentata di tirargli addosso l'arma, ma poi declinò
quell'idea e uscì, stizzita per essere stata interrotta dopo
così poco.
Ora,
pensò con un sospiro mentre l'ascensore saliva, doveva
affrontare Fideo.
...
*spunta da dietro un muro*
Ehm...
Ciao ^^"
Ci
ho messo mesi per scrivere questo capitolo, lo so.
Scusatemi
tanto! >.<
Però
fra compiti, vacanze, pigrizia e caldo non ho potuto scrivere!
Cercherò
di essere più puntuale in futuro, lo prometto
ç.ç
Ora,
questo capitolo.
Inizialmente
avevo idea di farlo più lungo e aggiungerci ancora dodici
parti, ma poi mi sono detta che vi avevo fatto aspettare anche troppo.
Ringrazio
chiunque continua a seguirmi nonostante abbia tempi indecenti, arigatou
**
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto, ora vi lascio ;)
E
sappiate che anche se non recensisco o aggiorno più, io ci
sono e vi osservo... *colonna sonora da film horror (?)*
Ehm
già, ora è meglio che la finisco di dire cavolate
xD
Ciao
ciao <3
Lucchan
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