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sul forum/Efp: Lullopola
Titolo: Riflessi
Cremisi
Schema
scelto: Schema
"Specchio"
Coppia: Het
Lunghezza:
3
pagine/1454 parole
Raiting: Giallo
Eventuali
note: //
Breve
introduzione: Per
cambiare bisogna soffrire.
Per
cambiare bisogna rendersi conto di soffrire.
Però,
a volte non basta nemmeno quello.
A
volte si ha semplicemente toccato il fondo e non si può
risalire.
Però
quando gli occhi affondano nello specchio di un mare in frantumi, tutto
il dolore viene a galla.
E
si piange.
Riflessi
Cremisi
Il
cielo era plumbeo. Un tetto di cenere sopra la sua testa. Un tetto di
cenere sopra il mare calmo.
Tiziano
affondò le mani nella sabbia, piegando la testa all'indietro
e sospirando.
La
spiaggia era deserta; il sole era già calato da un pezzo e
la maggior parte dei turisti era raccolta in qualche sudicio pub con
musica a tutto volume. Storse il naso, disgustato al solo pensiero.
Ma
in quel ritaglio di mondo deserto, animato solo dallo sciaborio lento
delle onde e dalle lontane note di qualche canzone proveniente da un
locale poco distante, non c'era niente, non c'era nessuno.
Esisteva
solo lui lì. Solo lui e il dolce luccichio delle stelle
sopra la sua testa.
Tiziano
strinse la sabbia fra le dita e i granelli freddi scivolarono via dalla
sua stretta con immensa facilità.
Era
così che era andata? Era con la stessa semplicità
della sabbia che la situazione gli era sfuggita di mano?
Quand'era,
di preciso, che i suoi principi si erano frantumati? Perchè
non se n'era accorto in tempo?
Eppure,
gli era sembrato di avere la situazione sotto controllo.
Doveva
avere la situazione sotto controllo. Ma allora perchè era
accaduto?
Tiziano
non aveva paura di uccidere. Non provava rimorso ad aver ucciso degli
uomini.
Dopotutto,
non erano altro che maiali vestiti, feccia del mondo che doveva
eliminare.
Tiziano
uccideva su commissione. Era sempre disposto ad aiutare chi, come lui,
si era accorto di quanto l'umanità fosse sporca. Di quanto
certi individui dovessero essere eliminati. I soldi poco importavano a
lui. Li accettava e li usava per girare il mondo cambiando ogni volta
posizione, in modo da non essere intercettato dalla polizia.
Non
chiedeva mai il perché dei suoi incarichi. Non aveva
importanza.
Lui
era famoso nel suo campo; il suo nome però, non lo sapeva
nessuno. Tutti lo conoscevano con lo pseudonimo di Black e Tiziano non
aveva intenzione di rivelare la sua vera identità a qualcuno.
Non
si poteva fidare di nessuno, mai.
Il
suo primo incarico fu un certo John Davidson.
Era
un grasso imprenditore sudato, con la testa rasata e gli occhi piccoli
e neri.
Vedendolo,
non aveva provato niente.
L'uomo
era in ufficio e Tiziano l'aveva aspettato appostato fuori dalla porta.
Appena
John aveva messo piede fuori, lui l'aveva preso e trascinanto nel
sottoscala, in modo che nessuno potesse vederli, la mano premuta con
forza sulla bocca.
Emanava
un odore ripugnante; Tiziano gli aveva applicato un taglio da un
orecchio all'altro, facendo scricchiolare le ossa e lo aveva buttato a
terra. Gli aveva tirato un calcio sotto al mento e la testa era
schizzata via dalla sua posizione, in un esplosione di sangue.
L'indifferenza
persisteva però nell'animo di Tiziano. Non gli importava
niente.
Gli incarichi dopo di questo si
susseguirono simili, colorati dall'indifferenza e dal sangue.
Poi gli fu affidata la
morte di una donna dai capelli scuri e lisci e gli occhi nocciola,
vivaci e sinceri. Si ricordava anche il suo nome, Naomi Puppinks.
Era bella, Naomi.
Profumava di cioccolato. Aveva un sorriso inebriante. Era divertente,
simpatica, brillante. Tiziano non riusciva a comprendere
perché dovesse essere uccisa. Ma non negò
quell'incarico.
Era agosto e Naomi stava
tornando dalla discoteca, sorridente nei suoi diciannove anni. Era
bellissima, quella sera più di ogni altra volta.
Tiziano si era finto uno
della compagnia e le aveva offerto un passaggio. Naomi aveva sorriso e
accettato con una voce tanto morbida che il ragazzo non aveva potuto
non sorriderle di rimando.
La giovane, fiduciosa,
si era quasi addormentata sul sedile della macchina. Tiziano aveva
spento l'auto e lei aveva aperto quegli occhi infantili, convita di
essere arrivata a casa. Ma davanti a lei c'erano solo gli alberi scuri
di un bosco.
Si era subito allarmata
e aveva spalancato la portiera, provando a scappare. Tiziano le aveva
afferrato il polso con presa forte, trascinandola dentro. Lei aveva
urlato e lui le aveva conficcato un pugnale nel petto.
I suoi occhi castani si
erano spalancati dal dolore e un urlo strozzato gli era uscito dalle
labbra, che si erano innondate di sangue.
Quella vista gli fece
male più di quanto avrebbe mai potuto ammettere. La bella
Naomi, sporca di sangue. Si era sentito un mostro. Era come se la
pugnalata al petto l'avesse ricevuta lui.
Le rimasto vicino,
sussurrandole all'orecchio dolci parole, come a volersi scusare, come a
volersi far perdonare. Lei era morta dissanguanta, stringendogli la
mano.
Le lacrime avevano
inumidito gli occhi di Tiziano. L'aveva guardata e aveva sentito densa
la voglia di baciarla. Era rimasto a fissare quelle labbra rosse dal
sangue per tanto tempo, poi si era alzato ed era andato via a piedi.
Aveva pianto.
Affondò
le mani fra le vispe ciocche di capelli bruni.
No,
i ricordi no. Andava bene qualunque tortura, ma ricordare gli faceva
troppo male.
Rimase
immobile, gli occhi celesti strizzati, nel vano tentativo di reprimere
l'onda di immagini che gli sovrastava la mente.
"Dovrei
andare a dormire" pensò, ma non lo fece. Perché
la tristezza di certe notti non si può cancellare
semplicemente chiudendo gli occhi.
Nelle
notti dei ricordi l'avversione al letto era incancellabile; eppure per
uno del suo mestiere passare notti insonne era una cosa stupida,
avrebbe dovuto essere riposato per il giorno dopo e invece no, non
poteva.
La
notte lo teneva stretto fra i suoi artigli arrugginiti. Era stanco,
stanco di ricordare. Gli occhi bruciavano e un filo di dolore bollente
gli stringeva la gola, facendola bruciare. E' che non andava bene,
è che non ce la faceva più, è che
aveva infranto ogni limite.
Aveva
superato la morte di Naomi. Quello che provava per lei non era amore.
Amore è bruciare vivo di passione. La sua era una
scottatura; bruciava comunque, ma non tanto, non troppo, solo se la
andava a sfiorare. Tiziano preferiva lasciare intoccata quella
scottatura e non gli dava fastidio. Però certe volte
qualcosa o qualcuno la toccava e riprendeva a bruciare come non mai. Ma
passava. Bastava aspettare e il dolore diventava sopportabile,
ignorabile.
Dopo
aver ucciso Naomi aveva traballato un po', ma aveva continuato la sua
carriera.
Adesso
però non ci riusciva. Adesso era a terra, troppo sconvolto
per potersi rialzare.
Anche
lui aveva una moralità. Niente donne incinte e bambini.
Eppure,
perchè l'aveva fatto?
Forse
perchè non lo sapeva. Forse perchè quando gli
avevano detto di sterminare la famiglia di quel Nicholas Haugen non
avevano precisato che avesse anche un figlio.
Tiziano
non lo sapeva. Non avrebbe potuto saperlo.
Ma
allora perchè quella notte, davanti all'angelico viso di
quel bambino addormentato, non si era fermato?
Perchè
non l'aveva lasciato lì, intoccato? Niente donne incinte e
bambini. Niente bambini. I bambini non si uccidono.
I
bambini non sono ancora la feccia del mondo. I bambini sono perle che
non si sono ancora tinte di nero. Diventeranno adulti e ripugnanti. Ma
ora sono solo innocenti bimbi che non hanno alcuna colpa.
Quel
bambino si chiama Lucian.
Tiziano
strinse i denti e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Sentiva
le mani sporche di sangue. Le guardò e ovviamente non c'era
traccia di quel liquido ferroso. Però lui lo sentiva. Era
come se le sue dita fossero immerse nel sangue denso e caldo.
Rabbrividì
e singhiozzò, mentre le lacrime iniziarono a scivolare
sfregiandogli le guance. Non poteva averlo fatto per davvero. Non
poteva aver ucciso quel bambino.
Si
alzò in piedi e corse fino al bagnasciuga. Immerse la mani
nell'acqua salata e iniziò a sfregarle, come a voler
togliere tutte le morti che aveva causato.
Cadde
e si graffiò le ginocchia sui sassi. Rimase fermo,
continuando a piangere silenziosamente.
Quando
aveva iniziato ad uccidere su commissione, mai una persona si sarebbe
permessa di dargli l'incarico di far fuori un bambino.
Ne
aveva uccisi di uomini, nei suoi quarantacinque anni. Però
mai aveva sentito tanto dolore. Un bambino. Lo aveva ucciso.
Tutto
stava cambiando, ormai. Ormai la gente non si faceva più
scrupolo a uccidere persino un bambino.
Tiziano
alzò lo sguardo. -Mi dispiace, Lucian...- mormorò
a fior di labbra e fu un sussurro tanto flebile che non fu nemmeno
sicuro di averlo pronunciato.
Abbassò
gli occhi e cercò di cogliere il proprio riflesso nel mare.
La
sua immagine era spezzata; l'acqua sembrava uno specchio che continuava
a frantumarsi, ancora, ancora, ancora, per ogni onda che si infrangeva.
Uno
specchio che si rifiutava di riflettere la sua immagine. L'immagine di
uno sporco assassino che ha ucciso un bambino.
Non
era più in tempo per tornare indietro, per ricominciare
tutto da capo.
Il
suo riflesso nello specchio era macchiato di sangue e sarebbe rimasto
così.
Però
forse avrebbe potuto guardarsi con occhi diversi. Non sapeva in che
modo, ma avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare da Lucian.
"Già.
Il mondo non cambia solo a parole."
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