Ehm...
immagino sia un po' fuori luogo domandarvi scusa dopo che *eh-ehm*
avevo promesso di non svanire nuovamente per dei mesi. Ho avuto
l'ansia da prestazione, l'ansia da università, l'ansia da
trasloco,
l'ansia da estate, l'ansia da computer, e, la peggiore di tutte,
l'ansia da ansia. Ad ogni modo, sono – dopo ben sette mesi
che
questa povera fic sostava senza scopo fra i miei files, riuscita a
concludere. Mancano diversi personaggi importanti, ne sono al
corrente (qualcuno ha visto Fred? Uh? Dov'è Dobby?).
Probabilmente
il ''secondo atto'' arriverà dopo.
Be',
buona lettura a tutti, con la speranza di farmi perdonare per
quest'ennesima, irritante, assenza.
Trick
*
Dona
eis Requiem
*
L'aria
non è mai stata tanto rancida e pesante come in questo
momento,
pensi. Elegantemente appoggiato alla balaustra di pietra del balcone,
hai osservato il lento morire del sole, l'inarrestabile avanzare
dell'oscurità. Della morte.
È
un biglietto d'invito fin troppo esplicito.
L'ultimo
accordo della tua esistenza corrotta, Rodolphus, risuonerà
questa
notte.
Il
sorriso che ti incrina le labbra sottili è decisamente
inappropriato.
«Sei
pensieroso».
Inesorabile,
la sua flebile voce ti arpiona con ferocia le viscere, ti costringe a
riemergere dal dolce oblio nel quale ti eri lasciato scivolare e ti
ricorda, con la sua macabra musicalità, che ancora respiri.
Sul
tuo volto, tuttavia, non un'ombra tradisce il tuo turbamento.
«Guarda
il cielo, Bella».
Si
accosta al tuo fianco e incrocia le braccia al petto, indispettita.
Le lanci un'occhiata labile.
Con
le labbra arricciate in un broncio e i sopraccigli aggrottati in
un'espressione di impazienza, ti illudi di essere dinanzi alla
ragazzina che conoscesti a tredici anni.
«Cosa
dovrei vedere, Rodolphus?»
Distogli
lo sguardo e ti concedi un sorriso malinconico.
Lei
non ha ancora capito.
Questo
è anche il vostro tramonto.
L'ultimo
accordo risuonerà per entrambi.
Quantus
tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte
discurrus.
[Quanto
terrore ci sarà, quando verrà il giudice, per
giudicare ogni cosa.]
Guardi
il lento ondeggiare del fumo delle braci svanire fra i primi raggi
dell'alba e ti lasci sfuggire un sospiro. Si alza il sipario dinanzi
ad un nuovo giorno, Ted, e sei ancora vivo, pensi. Dovresti esserne
sollevato. Dovresti essere felice di sapere che hai un'altra nuova
occasione per sopravvivere. Affondi le mani nei capelli biondi e ti
domandi, ancora, per quanto dovrai farlo.
Non
sei mai stato un eroe, Ted.
Lo
hai sempre saputo.
Lo
hai sempre dimostrato.
Non
fu tua l'idea di far fuggire Andromeda dalla sua tenuta estiva nello
Yorkshire.
«Preferirei
non scappassi, Andromeda» avevi confidato al viso
latteo e agli
occhi gentili della secondogenita Black. «Non
voglio essere la
causa della rottura con la tua famiglia».
''Scappa
con me'', avresti voluto gridarle. ''Fuggi da quell'inferno'', ma non
trovasti il coraggio.
«Non
dire sciocchezze» ti aveva ammonito lei. «Il
mio posto non è
fra loro».
Capisti
dalla fierezza del suo sguardo che non mentiva.
Ti
chiedi se non sia il caso di tornare a casa, ma pochi attimi di
razionalità sono sufficienti a farti rinsavire.
Non
puoi, ti troverebbero subito.
Non
puoi permetterlo.
«Promettimi
che tornerai presto, Ted».
L'hai
promesso a tua moglie.
«Ci
sarai quando nascerà il bambino, non è
vero?»
L'hai
promesso a tua figlia.
Un
boato alle tue spalle ti fa sussultare.
Balzi
in piedi, afferri la bacchetta, ma non sei abbastanza veloce.
Non
sei mai stato un eroe, Ted.
«Fine
della corsa, Mezzosangue».
La
voce metallica di Bellatrix Lestrange ti fa sgranare gli occhi.
«È
ora di ripulire l'albero dei Black».
E
capisci, così come avevi capito che tua moglie non era fatta
per
essere una di loro, che il tuo sipario sta per calare.
«Avada
Kedavra».
Davanti
ai tuoi occhi scorrono effimere e distorte immagini, ma più
tenti di
afferrarle, più queste si mescolano le une con le altre,
fondendosi
in un unico torbido flusso di colori.
Un
ragazzino dai capelli chiari attraversa con un sorriso il tuo
offuscato campo visivo. Alza la mano, ti saluta, ride, storce il naso
in un'espressione concentrata e la sua chioma si tinge di turchino.
Gli
sorridi a tua volta e ti abbandoni alla terra bruna con un tonfo
sordo.
L'albero
dei Black resterà macchiato.
Il
sipario non è ancora chiuso.
Requiem
aetarnam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis.
[L'eterno
riposa dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.]
Il
tuo indice sfiora distrattamente il tessuto porpora della poltrona
del tuo ufficio, tracciando invisibili arabeschi mai disegnati.
Allunghi la mano verso il treppiedi di noce, serri le dita attorno al
calice e lo ondeggi lievemente davanti al tuo sguardo indagatore.
Silenzioso e concentrato, osservi il brio con il quale la
scoppiettante luce del caminetto gioca fra le onde del vino.
Rosso.
Come
il fuoco che sta scaldando una stanza che non dovrebbe appartenerti.
Rosso.
Come
i rubini incastonati nell'elsa della spada che potrebbe decidere le
sorti del mondo.
Rosso.
Come
la chioma che vedevi brillare sotto il sole novembrino quando, appena
adolescente, non avevi altro desiderio se non di sfiorare le sue
spalle candide.
Rosso.
Come
gli occhi di chi ti eri convinto potesse renderla tua.
Rosso.
Come
il vino che lasci scivolare in gola, sorso dopo sorso, rimpianto dopo
rimpianto.
«So
chi è il bambino, mio Signore».
La
tua condanna a morte risuonò con la tua stessa voce tremante.
«È
il figlio di James Potter».
La
tua vendetta sibilò nella notte come una sciabolata.
Lasciasti
che il sapore agrodolce di quella vittoria intorpidisse i tuoi sensi,
esattamente come il vino che stai degustando.
Troppo
tardi, desiderasti averla sputata.
Mentre
osservavi gli Auror aggirarsi per i vicoli bui di Godric's Hollow.
Mentre
indietreggiavi terrificato nel vedere il tetro candore del suo viso
brillare alla luce della luna.
Mentre
fissavi lo sguardo sulla mano affusolata che, ribelle, era scivolata
dal lenzuolo immacolato nel quale era stata avvolta.
«Resterai
al mio fianco per sempre, non è così, Sev?»
Ingenue
promesse infantili.
Frammenti
di un giuramento infranto, ma mai dimenticato.
L'hai
uccisa.
L'hai
uccisa.
L'hai
uccisa.
Un
lamento funebre che iniziasti a suonare quella notte lontana.
«Aiutami
a proteggere suo figlio, Severus».
Accettasti
senza considerare la redenzione verso la quale avresti marciato.
Sei
macchiato di una colpa, Severus, che nessun sacrificio può
cancellare.
Indelebile.
Scolpita.
Maledetta.
Assassina.
«Guar...da...mi».
Flebile,
indistinta, l'ultima tua nota si perde nell'aria fatiscente di quella
vecchia Stamberga.
L'hai
uccisa.
L'hai
uccisa.
L'hai
uccisa.
Tuttavia,
è nell'ultima pausa che precede l'applauso che echeggia il suo
sussurro.
L'hai
salvato.
In
memoria aeterna erit iustus ab auditione mala non timebit.
[Il
giusto sarà sempre ricordato, non temerà annunzio
di sventura].
Sfiori
con la punta della bacchetta le stelle appese alla giostra che pende
sulla culla di Teddy e quelle, come mosse da invisibili mano,
iniziano a rincorrersi l'una con l'altra, mutando forme e colori, e
accendendo il riso divertito di tuo figlio. Ti appoggi alla sponda di
ciliegio e rimani a fissarlo sognante, incantato da come le punte dei
suoi capelli si tingano improvvisamente di turchese. Tenta invano di
allungare le braccia per afferrare le stelle che volano sul suo capo,
storcendo il naso per il disappunto e mugugnando fra sé.
È
mio figlio.
Sorridi.
Lo
sollevi fra le tue braccia, beandoti dell'inebriante contatto di quel
corpicino con il tuo petto. Una volta entrata nel campo di azione di
Teddy, la stellina viene subito acciuffata e infilata in bocca.
Sorridi,
mentre gliela sfili con delicatezza dalle manine paffute.
«Non
metterla in bocca, Teddy. È sporca».
Sanguesporco.
Mannaro.
È
tuo figlio.
Sporco.
Come
te.
Come
lei.
Condannato.
Alza
il viso su di te, lanciandoti uno sguardo confuso.
E
tu non puoi fare a meno di immaginartelo, fra undici anni, seduto
sotto al Cappello Magico, con la sua prima bacchetta stretta fra le
mani tremanti, con le labbra strette fra loro per l'agitazione e i
piedi incrociati l'uno sull'altro con forza.
O,
forse, si sarebbe precipitato su quel vecchio sgabello, inciampando
nell'orlo della veste troppo lunga e scivolando davanti alla punta
delle scarpe della McGranitt. Avrebbe alzato le spalle abbozzando un
sorriso di scuse e il capello gli sarebbe scivolato fino alla punta
del naso.
Ha
il tuo viso, ha affermato tua moglie qualche ora fa.
Ma
– e te ne rallegri – ha il suo sorriso.
Sicuramente
avrà il tuo talento, aveva continuato Tonks, ma
ascolterà
sicuramente rock.
Hai
riso.
L'ultima
risata.
E
ancora non lo sapevi.
Non
lo sai ancora.
E,
di nuovo, ti chiedi se passeggerà per i corridoi di Hogwarts
con il
volto immerso fra le pagine di un libro, tentando di rendersi
invisibile, o se zampetterà da una persona all'altro
distribuendo la
propria allegria a destra e a manca.
«Questa
è una notte importante, Teddy» sussurri.
«La più importante della
nostra vita».
Ti
guarda, sorride.
«È
la tua vita, piccolo, che mi gioco stanotte».
Teddy
china il capo e aggrotta la fronte. Scorgi una ciocca dei suoi
capelli scurirsi improvvisamente.
«Non
ho intenzione di morire» mormori a te stesso. «Non
oggi».
L'ultima
risata è già scoccata.
Il
conto alla rovescia appena iniziato.
«Sono
sopravvissuto a più battaglie di quante non si
direbbe».
Convinciti,
coraggio.
«Sarebbe
da folli morire nell'ultima».
Non
sei convinto abbastanza.
Teddy
si aggrappa al bavero della tua giacca e stringe con forza i piccoli
pugni. Socchiude gli occhi, mentre gli accarezzi con delicatezza la
guancia rotonda.
«Da
domani mattina» lo saluti con un bacio leggero,
«cambierà tutto,
bambino mio».
Te
lo giuro.
Diavolo,
se sarebbe cambiato tutto.
Come
uno spartito senza note, l'armonia distorta nel antico concerto della
morte.
Improvviso.
Stridente.
Non
te la aspettavi, Remus, non è vero?
Non
credevi sarebbe finita in questo modo.
Eppure,
è così che è andata.
Improvvisa.
Stridente.
Ingiusta.
A
pochi metri da dove stai scivolando a terra, il Cappello Parlante
sarebbe calato sul capo di tuo figlio.
Tuo
figlio.
Calmo.
Pacato.
Suo
padre.
Grifondoro.
Si
alza, si strofina il naso e inciampa nell'orlo della veste.
Pochi
piani più in alto di dove ora hai lasciato cadere la
bacchetta, tuo
figlio avrebbe camminato con le braccia incrociate dietro la nuca e
un sorriso allegro sul volto. La cravatta allentata, la camicia
sgualcita, un paio di anfibi sotto la divisa scolastica. E, nella
tracolla, riposto con estrema cura, un disco di Chopin e il Macbeth
di Shakespeare.
Tuo
figlio.
La
tua sonata è giunta all'atto finale, Remus.
Non
rammaricartene troppo.
Puoi
ascoltare la sua, adesso.
Rex
tremendaqe maiestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, fons
pietatis.
[Re
di tremenda maestà, tu che salvi per tua grazia, salva me, o
fonte
di pietà].
«Qualunque
cosa accada, Tonks» ribadisci per l'ennesima volta,
sottolineando
con un movimento deciso dell'indice ogni parola, «non dovete
lasciare che prendano Potter».
Tonks
china il capo e ti rivolge un sorriso stanco.
«Andrà
tutto bene. È un piano geniale».
«Lo
potremmo dire con certezza solo una volta ultimato con
successo»
tagli corto.
Non
hai voglia di approfondire il discorso.
Sai
perfettamente che in guerra non esistono garanzie.
La
vedi scuotere il capo e tentare di issarsi sul muricciolo bianco che
circonda la Tana, ma posiziona male il piede destro –
benedetta
ragazza- rischiando di cadere.
Allunghi
un braccio e la raddrizzi con un unico movimento seccato.
«Scusa»
mormora lei, mentre una ciocca sbarazzina di capelli vira ad un rosa
più intenso.
«Parola
mia, Tonks, sei una recluta irrecuperabile» dici.
«È
il motivo per il quale mi hai addestrato, ricordi?» sentenzia
con un
sorrisetto. «Ti piacciono i casi disperati».
Sbuffi
e ti fingi contrariato.
Sono
le regole del vostro gioco.
Lei
fa parte dell'irriverente. Tu fai la parte del bacchettone.
E,
insieme, fingete di essere i poli opposti della guerra stessa.
Lei
recita la parte della sognatrice. Dell'ingenuità.
Della
speranza.
E
a te, rovinata colonna della giustizia, spetta il copione del dramma.
Della durezza.
Della
paura. Della morte.
Entrambi,
tuttavia, siete consci di quanto siate simili.
Determinazione.
Lealtà. Sacrificio.
Il
trinomio dell'essere Auror.
«Andrà
alla grande» ripete convinta Tonks, colpendoti leggermente
alla
spalla con un pugno. «Un po' di ottimismo, capo».
«Lo
sapevo che Lupin doveva aspettare a sposarti» rimbrotti
scorbutico.
«Voi novelle spose tendete a vedere rose e fiori
ovunque».
Scoppia
a ridere.
E
per un attimo fugace, pensi al canto del cigno.
Il
più bel suono del mondo, dicono, è l'ultimo che
fugge dal becco del
cigno.
L'ultimo
a disperdersi nell'acre odore della morte.
L'eco
della sua risata, calda e inafferrabile allo stesso tempo, ti pare
l'equivalente umano del canto del cigno.
L'ultimo
inno alla vita.
L'ultima
nota del pentagramma.
«Pensa»
ribatte, «a quando ti toccherà fare da padrino per
i nostri
marmocchi».
Fai
una faccia schifata.
Fingi
disgusto e tornate a giocare.
Cerchi
di immaginartela senza la divisa e gli stivali d'ordinanza addosso,
circondata da due o tre ragazzini dai capelli multicolore.
E
preghi.
Preghi
solo che non sia l'illusione momentanea di un vecchio visionario.
Preghi
solo che possa essere vero.
«Sei
unico, Malocchio!»
Fa
per alzarsi, ma tu non hai finito e le blocchi un polso.
«Seriamente»
continui. «Qualunque cosa dovesse succedere...»
«...non
dovete lasciare che prendano Potter» ti fa il verso
lei.
Annuisci
e non la rimproveri.
Sai
che avresti dovuto farlo.
È
nelle regole del vostro gioco.
Ma,
ti ripeti, il tempo di giocare è finito.
«E
stai vigile. L'ultimo atto arriva sempre quando meno te lo aspetti.
Quando credi di essere felice. Quando ti convinci di essere
invincibile. Quando ti illudi di essere immortale».
«Perché
mi dici questo, Malocchio?»
«Il
mondo puzza, Tonks, e gira solo come pare a lui. Presta attenzione
nel voltargli le spalle».
Lei
socchiude gli occhi e stringe le labbra.
«Non
parlare come se non dovessimo tornare dalla missione».
«Parlo
come uno che di missioni del genere ne ha viste fin troppe»
la
correggi. «Parlo come chi ha visto decine di ottimisti come
te
stramazzarmi davanti».
Fabian
e Gideon Prewett non vedevano l'ora di vedere nascere l'ultimo dei
loro nipotini, il piccolo Percy.
Due
sorrisi. Due risate.
La
morte del cigno che risuonò nell'aria.
Benjy
Fenwick desiderava girare il mondo.
Dorcas
Meadowes sognava il giorno del suo matrimonio.
Caradoc
Dearborn voleva compare una casa nelle praterie irlandesi.
Tre
sorrisi. Tre illusioni.
E
la morte del cigno che, di nuovo, risuonò nell'aria.
Frank
e Alice Paciock avrebbero tanto voluto un altro bambino. E un cane,
magari.
Avrebbero
voluto riempire la loro casa di vita e speranza.
Due
sorrisi. Due sogni.
James
e Lily Potter sapevano che la guerra sarebbe finita.
Sapevano
che, in modo o nell'altro, avrebbero vinto.
Non
immaginavano, tuttavia, a quale prezzo.
Due
sorrisi. Due sogni.
L'inesorabile
canto del cigno che li ha infranti tutti.
Non
senti più la risata di Tonks.
Non
senti più il cigno cantare, quando tutto accade.
Troppo
in fretta perché tu possa reagire.
Troppo
inesorabile perché tu possa arrestarlo.
Ti
eri convinto che la sua risata sarebbe diventata la sua marcia
funebre.
Non
avevi capito che sarebbe stata la tua.
Nella
tua testa, mentre scivoli dalla scopa, la senti ridere.
È
il tuo canto del cigno a rintoccare quell'ultima preghiera lasciata
sfuggire nel vento:
Merlino,
salva almeno lei.
Troppo
tardi, perché tu potessi sentirla, arrivò la
risposta.
No.
Exaudi
orationem meam; ad te omnis caro veniet
[Esaudisci
la mia preghiera, a te viene ogni mortale.]
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