Calore, respiro e battiti di Ambaraba (/viewuser.php?uid=219272)
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BUONANOTTE BUONANOTTE FIORELLINO
Magnus arrivava sempre come un turbine.
Aveva passato tutta la giornata fuori con dei clienti difficili - sono uno stregone: faccio magie, non miracoli, ma
quelli proprio non volevano capirlo, - e si materializzò, come
un vortice imipetuoso di brillantini e capelli dritti, nel soggiorno, seminando in
giro vestiti, carte e libri. Un lungo cappotto rosso finì sopra
al Presidente Miao, che sonnecchiava sul divano. Il felino emise un
soffio seccato e sgattaiolò in cerca di un luogo più
tranquillo per riposare, stizzito e rassegnato. Si era abituato al
fatto che il suo padrone fosse un inguaribile scocciatore, ormai, e la
sua superiorità di gatto - nonché una certa dose di
opportunismo - gli impediva di attaccare briga.
Magnus, nonostante la stanchezza accumulata, aveva attaccato a
cianciare ininterrottamente delle cose che aveva fatto, mentre si
aggirava per la stanza schioccando le dita per rimettere ogni cosa al
suo posto.
- -- E poi, Presidente, sai qual è la cosa assurda? Ehi, dove
vai? Ti sto parlando, maleducato! - Lo stregone seguì le morbide
onde impertinenti che la coda del micio disegnava, camminando; lo vide
dileguarsi in camera da letto, e solo quando lo seguì vide che
questa era già occupata.
Improvvisamente fece silenzio, osservando il gatto che andava ad
acciambellarsi al fianco di Alec, profondamente addormentato. Lo
stregone rimase a guardarlo per qualche secondo, bloccato sulla soglia,
come rapito.
Doveva averlo aspettato a lungo, dedusse, perché era sdraiato
sulle coperte ancora del tutto vestito, come uno che aveva promesso a
sé stesso: "Solo cinque minuti; mi riposo solo un attimo..." e poi era inevitabilmente crollato. Stava
sdraiato a pancia in giù, con un braccio che spariva sotto il
cuscino e l'altro leggermente piegato, la mano aperta distesa poco
distante dal viso. Lo stregone si sfilò le scarpe per non fare
rumore, prima di avvicinarsi. Diamine, era così bello. I suoi
capelli neri erano leggermente in disordine, segno che aveva impiegato un
po' di tempo a trovare la posizione più comoda. La sua pelle
bianchissima quasi brillava, alla luce chiara della lampada accesa,
posata sul comodino accanto a lui. Il Presidente Miao si
strusciò contro il suo fianco, ma il ragazzo sembrò non
sentirlo.
Che gatto ruffiano, pensò
Magnus, ma come poteva dargli torto? Anche lui moriva dalla voglia di
addormentarsi insieme ad Alec. Vederlo così gli aveva fatto un
certo effetto. C'era un abisso, tra l'Alec che tutti conoscevano e
l'Alec che era semplicemente sé stesso, quello che lo stregone
conosceva. Il primo era un guerriero dai nervi d'acciaio, con il
ghiaccio nelle vene, il protettore, il responsabile, quello che si
prendeva sempre cura di tutti gli altri prima ancora che di sé
stesso. Ma era quasi congelato, non
lasciava trasparire ciò che provava. Il secondo, invece, era
spontaneo e scoperto e timido e un po' infantile, sincero, dolce.
Magnus non poté fare a meno di pensare a quanto gli ricordasse
un bambino, così addormentato sul suo letto.
Nel loro letto, si corresse mentalmente lo stregone.
Aveva solo diciotto anni. Eppure il suo corpo era coperto di cicatrici
e i suoi occhi avevano visto già tanti orrori. Lo stregone
sentì qualcosa nel petto, una punta di disagio, pensando a
quanto la vita fosse ingiusta, a volte. Se il ragazzo non avesse avuto
sangue di Nephilim, avrebbe potuto vivere una vita più
tranquilla, al riparo dai pericoli e dal male. Ma così non lo avrebbe
nemmeno mai incontrato, rifletté.
Magnus sospirò, sedendosi sul bordo del materasso. Se vuoi avere qualcosa, devi cederne un'altra, pensò.
Si sdraiò accanto a lui cercando di non svegliarlo con i
suoi movimenti. Gli circondò la vita e ripassò pigramente
i contorni di una runa che spuntava dalla manica corta della sua
maglietta nera, uno sbuffo d'inchiostro che gli avvolgeva il bicipite.
Non riuscì a trattenersi, e finì ad accarezzargli il
fianco. Il Presidente Miao, intanto, risscaldava lo stomaco del ragazzo con il
proprio corpo raggomitolato, e si leccava una zampina.
Il calore della mano di Magnus, nonostante il contatto fosse leggero,
bastò a risvegliare Alec. Il cacciatore mugolò
leggermente prima di aprire gli occhi. Lo stregone gli accarezzò
con delicatezza i capelli, spostandogli una ciocca dietro l'orecchio.
- Sei tornato... - sussurrò il più piccolo, con il tono
incerto e sfumato di chi è ancora nel dormiveglia. Magnus si
sollevò leggermente per baciarlo sulla tempia.
- Certo, fiorellino - rispose, a voce bassa, - non vedevo l'ora di
vederti... - e così dicendo lo attirò a sé, e gli
posò un bacio sulla nuca. Il cacciatore doveva essere proprio
stanco, perché a un certo punto disse: - Magnus..., e quando
l'altro rispose: - Sì?, ottenne in risposta solo il suono del
suo respiro, segno che il sonno aveva avuto la meglio e lo aveva
trascinato di nuovo nel mondo dei sogni prima che potesse aggiungere qualcosa.
Lo stregone lo lasciò dormire. Non aveva cuore di svegliarlo;
l'indomani avrebbero avuto tutto il tempo per raccontarsi quello che
avevano fatto.
Guardò ancora una volta l'espressione serena di Alec, circondato
dal calore del micio e quello dello stregone, e pensò che non lo
aveva mai visto così tranquillo. Forse era la prima volta che si
sentiva al sicuro, lui che prendeva sempre le difese di tutti senza mai
aspettarsi che qualcuno prendesse le sue, lui che non pretendeva di
essere amato, lui che non chiedeva mai nulla, che non si preoccupava
mai per sé.
Lo stregone promise a sé stesso che l'avrebbe abituato a sentirsi protetto. Perché ne aveva bisogno.
Perché era solo un ragazzo. E perché Magnus lo amava e voleva dargli tutto quello che gli era mancato.
In un battito di ciglia, lo stregone spense la luce. Lo tenne stretto, al buio. Solo calore, respiro e battiti.
E promesse da mantenere.
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