Warnings
Warnings: Slash, Angst (accennato)
Crew&Ship: James Potter, Sirius Black | James/Sirius, Lily/James (accennato)
Note: nata come James/Lily comico-demenziale, finita per essere Sirius/James ai limiti dell'angst e del demenziale. Non chiedetemi come; non ne ho la più pallida idea.
Comunque, è un regalo di compleanno, quindi spero che la festeggiata possa gradirla ugualmente. ♥
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A te,
mio miracolo
quotidiano;
mia Nuvola
Bianca;
mio Respiro.
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“Grazie per
essere venuto.”
Il viso di
Sirius si contrasse in una smorfia vagamente annoiata.
“Ringrazi troppo
spesso, ultimamente.”
James rise,
rassettando il bavero storto della tutina di Harry, che, come un’anguilla,
si divincolava tra le braccia del suo padrino, reclamando il pavimento.
“Sto diventando
grande, Sirius.”
“No, stai
diventando noioso, James,” rimbeccò velocemente, sistemandosi meglio il
bambino tra le braccia.
James si strinse
nelle spalle, come a lasciar intendere che lui non poteva farci nulla.
“Be’, allora
ciao,” salutò l’altro, spalancando la porta.
“Non stai
dimenticando nulla?”
Un bagliore
malizioso illuminò gli occhi di Sirius, mentre allungava le dita per posarle
sotto al mento dell’amico.
“Vuoi il bacio
della buonanotte?” sussurrò, sensuale e suadente, così vicino che James
riuscì a sentire il suo respiro scivolare sulle proprie labbra.
Rise ancora,
tirandosi indietro.
“No, idiota,
voglio mio figlio.”
“Frigido. Noioso
e frigido. Un tempo avresti pagato fior di galeoni per un mio bacio.”
James si
riappropriò di Harry, che prese a divincolarsi in una maniera tale da
costringerlo a posarlo sul pavimento, dove voleva essere libero di
scorazzare per la casa, esplorandola anfratto ad anfratto, alla ricerca di
posticini nuovi in cui nascondersi.
“Vai a casa,
Sirius; sei ubriaco,” lo spinse giocosamente e l’altro replicò con un pugno
morbido sul petto, sventolando poi la mano mentre l’altra s’infilava sotto
al mantello, serrandosi sulla bacchetta. Gli indirizzò un ultimo cenno del
mento prima che uno schiocco secco lo portasse via, scaraventandolo a
centinaia di chilometri da lì.
La solitudine,
che per tutto il tempo se ne era rimasta a debita distanza di sicurezza,
tornò ad abbarbicarsi alla sua schiena, pesante e viscida e collosa; un peso
di cui diventava sempre più difficile liberarsi.
Come ogni volta,
decise di focalizzarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse la costrizione
dell’Incanto, che era calata sulla loro vita come una patina collosa,
opprimente, che soffocava ogni movimento, ogni buona intenzione, ogni
arbitrio.
Un’occhiata
all’orologio che portava al polso gli ricordò che per Harry era ora del
bagnetto serale prima della lunga dormita notturna.
Sollevando le
braccia sulla testa per sgranchirle, tornò in salotto, chiamando suo figlio
a gran voce. Harry tollerava la solitudine ancor meno di lui e non capitava
mai che si nascondesse per più di qualche minuto, spuntando poi fuori con
uno strilletto eccitato mentre cercava di arrampicarsi sulle gambe del
genitore di turno.
“Harry,”
cantilenò, passandosi la mano tra i capelli. “La vuoi vedere una nuova
magia? Harry? Vieni fuori, piccolo Potter,” continuò, scrutando dietro al
divano, sotto al tavolo e dietro le tende – controllando, in definitiva,
quelli che erano i suoi nascondigli preferiti.
Trovò solo
spazio vuoto.
Aggrottando la
fronte, si guardò intorno, focalizzandosi, per qualche ragione, sullo
schienale del divano. C’era qualcosa di profondamente sbagliato, che gli
strinse le viscere, torcendole dolorosamente. Ma cosa? Strinse gli occhi,
massaggiandosi la fronte. Quando realizzò cosa ci fosse di sbagliato, cosa
mancasse, si sentì quasi svenire.
Era stato così
impegnato a fare l’imbecille con Sirius che non aveva prestato la dovuta
attenzione, disobbedendo al primo imperativo di Lily: mai lasciare oggetti
potenzialmente pericolosi in luoghi facilmente accessibili al bambino.
Oggetti come la
sua bacchetta, per esempio. O il suo Mantello dell’Invisibilità.
Affondando le
dita tra i capelli, chiuse gli occhi, scuotendo piano la testa.
Era nella merda
fino al collo.
I due oggetti
mancavano entrambi all’appello.
“Harry? Harry,
vieni qui; papà ti fa vedere una cosa,” gridò, faticando a simulare un tono
allettante. Riusciva solo a pensare al dramma che si sarebbe consumato se
Lily fosse rientrata prima di aver rintracciato il bambino.
“Harry,”
cantilenò ancora, ma la sua voce tradiva una nota di nervosismo, accentuata
dai denti stretti o dal nome che venne fuori come in un ringhio.
Se solo avesse
trovato la sua bacchetta. Se solo anche quella sera Sirius avesse
dimenticato qualcosa. Se solo avesse potuto contattare Remus, sempre così
buono, così comprensivo e così intelligente...
“Ma io posso,”
sbottò, sorridendo incredulo. Pregando tutti gli dèi babbani che Harry non
combinasse qualche guaio, qualche grosso guaio, salì tre gradini alla
volta, spalancando la porta dello stanzino in cui solevano tenere i loro due
gufi.
Lady, che gli
era stata regalata da suo padre anni prima, chiurlava nervosamente. Strappò
un pezzo di carta da un blocco posato su un tavolo e scribacchiò
furiosamente una richiesta d’aiuto, che infine appuntò alla zampa del suo
uccello, aprendo la gabbia, sussurrando il nome di Sirius e permettendole di
prendere il volo oltre la finestra.
Aveva pensato di
contattare Remus, ma aveva ricordato che, oltre ad essere buono, comprensivo
e intelligente, era anche un inguaribile sincero, geneticamente incapace di
mentire.
E se James aveva
bisogno di una menzogna ben costruita e dell’annesso silenzio cameratesco,
il destinatario della sua missiva poteva allora essere solo Sirius.
Quando Sirius
prese a premere furiosamente il campanello di casa Potter, James aveva già
ispezionato l’abitazione palmo a palmo, arrivando perfino a scoprire posti
ai quali non aveva mai fatto caso, o trovando cose che credeva perdute per
sempre.
(Come gli slip
gialli di Lily, che avevano cercato invano quella volta dopo aver fatto
l’amore sul divano e che solo adesso aveva rinvenuto sotto i cuscini del
divano).
James ebbe
appena il tempo di ruotare la maniglia che la porta quasi lo investì, tanto
forte Sirius la spalancò, mandandola a sbattere contro il muro. Lo afferrò
per le spalle, scrutandolo con occhi febbrili, quasi folli, come in cerca di
qualche ferita sanguinante o altre gravi lesioni. Le sue dita non smettevano
di saggiargli il collo, il viso, le tempie.
“Cosa? Cosa? Che
succede?” gridò, allarmato, affannato.
Le spalle di
James si afflosciarono un poco. Ammetterlo ad alta voce lo avrebbe fatto
sentire ancora più inetto, più inadeguato. Il peggior padre di sempre, che
era riuscito a perdersi il figlio di un anno e che non era ancora riuscito a trovarlo.
Inoltre, poteva
capire l’agitazione di Sirius. Il biglietto che gli aveva spedito via gufo
diceva solo, «È successa una tragedia una catastrofe vieni subito adesso».
Stringendogli i
polsi, riuscì a riacquistare la calma necessaria a spiegargli che Harry,
mentre loro facevano «gli imbecilli» e si salutavano, si era
impadronito del suo Mantello e della sua bacchetta, nascondendosi chissà
dove. Lasciandosi sfuggire un sospiro sollevato, le spalle di Sirius si
afflosciarono un po’, accompagnate da un sorriso carico di divertita
disapprovazione.
“Sei un
coglione,” lo punzecchiò, spintonandolo giocosamente per poi estrarre la
propria bacchetta ed effettuare un Homenum Revelio; la punta
dell’oggetto sfarfallò piano, acquistando maggiore intensità quando Sirius
la puntò verso il soggiorno, come una bussola che puntasse a nord.
Lasciandosi guidare dal bagliore provvidenziale, misero insieme i passi
necessari a raggiungere una nicchia stretta e ombrosa dove Lily, qualche
tempo prima, vi aveva sistemato una pianta artificiale. La bacchetta emise
come un sibilo, prima di spegnersi. Fatto il suo lavoro, a James non restò
che allungare cautamente la mano, tastando l’aria apparentemente vuota e
immobile, fino a toccare quella che doveva essere la testa di Harry,
riuscendo a percepire sotto la pelle la stoffa come acquosa del Mantello.
Lo sollevò
lentamente e quello che videro li portò a scambiarsi un’occhiata di intesa e
un sorriso intenerito. Harry dormiva seduto contro il muro, le manine
raccolte in grembo e la bacchetta di James tra le gambine divaricate. La
testa posava su una spalla e i capelli gli erano scivolati sulla fronte,
disordinati come la sua tutina, tutta spiegazzata e storta.
“Ma guardalo,”
mormorò Sirius, allungando istintivamente le dita per scostargli i capelli
dalla fronte; c’era così tanto insolito amore, in quel gesto, che James lo
fissò stranito, come se gli fosse appena spuntata una seconda testa. Perfino
i suoi occhi grigi erano illuminati da un bagliore morbido, pregno di
dolcezza. James provò, e non per la prima volta, l’impulso di carezzargli la
guancia, di spingere via le ciocche nere che se ne stavano sugli occhi,
senza dargli apparentemente alcun fastidio.
E, altrettanto
non per la prima volta, provò l’annessa fitta di paura e imbarazzo,
sentendosi un traditore nei confronti di Lily. Non era lecito né giusto
provare quel genere di sentimenti verso il suo migliore amico, chiedendosi,
però, se esistesse poi qualcosa di lecito e giusto nei sentimenti stessi.
Sirius dovette
realizzare la fissità del suo sguardo, perché volse lentamente la testa,
riservandogli un’occhiata perplessa alla quale James replicò con un sorriso
abbozzato.
Aveva sempre
paura che Sirius potesse leggergli dentro e disprezzarlo per quelle emozioni
guaste che gli ribollivano nello stomaco. E James avrebbe accettato di
perdere ogni cosa, ma non Sirius. Mai Sirius.
“Lo porto nella
culla,” bisbigliò, più per rompere quella strana atmosfera che per reale
volere, passando le braccia attorno al corpicino addormentato di suo figlio,
che si agitò un poco, senza tuttavia svegliarsi.
Si attardò più
del necessario e non fu affatto un caso, ma quando esaurì le cose inutili da
controllare – come il pannolino, controllato tre volte, e le copertine, e il
cuscino, e i peluche, e la quantità di borotalco rimasto nel barattolo
azzurro – non ebbe altra scelta che tornare dabbasso, dove Sirius lo
attendeva sul divano, con i piedi sfacciatamente posati sul tavolino di
vetro dal quale Lily era ossessionata – e guai a scorgervi anche solo
un’impronta, una macchia o una patina di polvere: era guerra aperta contro
l’incuria e ogni atomo di sporcizia.
Ma Sirius, che
godeva di un perverso divertimento nel far arrabbiare Lily, mantenne la
posizione, nonostante l’occhiata di disapprovazione di James, che si lasciò
cadere accanto a lui, posando la testa contro lo schienale e chiudendo gli
occhi.
“James, sul
serio, sei di una sbadataggine tale che–”
“Oh, taci; è
stata colpa tua. Tu, con le tue stronzate sui baci e sui galeoni,” tagliò
corto James, lamentandosi un poco della gomitata non poi così delicata che
Sirius gli rifilò nelle costole.
“Ho detto un
sacco di stronzate, ma tu ricordi solo quella del bacio. C’è qualcosa che
vorresti dirmi, James?” lo provocò, colpendolo nuovamente, ma non meno foga.
Fu una battuta,
fu chiaramente una battuta, ma James avvertì ugualmente un rivolo di
sudore colare lungo la schiena, accompagnandosi ad un brivido freddo. Sirius
era così pericolosamente vicino alla verità che James non sapeva come
venirne fuori senza risultare falso o bugiardo.
“Sei stato tu a
tirare fuori la cosa, forse sei tu che vorresti dirmi qualcosa,”
replicò con disinvoltura, sforzandosi di scoccargli un’occhiata in tralice
che fosse naturale e credibile abbastanza.
Sirius aggrottò
la fronte, fissandolo con aria pensierosa, come se fosse impegnato a
risolvere un’importante equazione matematica.
“Amico,” sbottò
infine, flettendo le labbra in quel suo sorriso furbesco, “se vuoi un mio
bacio, non hai che da dirlo. Lo sai che non dico mai no alle nuove
esperienze,” buttò là, ammiccando verso di lui e strappandogli la prima,
vera risata della serata.
James sollevò la
mano sinistra, sventolandogliela davanti al viso.
“Sono leggermente impegnato, tu dovresti ricordarlo meglio di chiunque altro.”
La fede nuziale
riverberò, catturando la luce del lampadario, ma Sirius ne sminuì
l’importanza con una scrollata di spalle. Per lui, ogni cosa seria o
cattiva, si risolveva in una scrollata di spalle, una patina di rammarico
spazzata via con un movimento secco; molti lo biasimavano, ma James lo
invidiava, riscoprendosi smanioso di poter anche liquidare una situazione
difficile con un gesto così blando.
“È quello il
problema?” domandò e strinse la mano nella sua, sfilando l’anello. “Adesso
non lo è più.”
Sorrise sornione
prima di stringere la fede in pugno e scaraventarsi su James, una mano sotto
al mento per tenerlo fermo e le labbra premute con forza sulle sue.
James sentì gli
occhiali scivolare via e cadere sul pavimento e improvvisamente fu
consapevole di Sirius, di tutto Sirius: del suo corpo premuto al proprio,
della cedevolezza della sua bocca, modellata alla sua, delle dita che
allentarono la presa e cambiarono soggetto, adagiandosi al lato del suo
collo, il pollice dietro l’orecchio e l’unghia che incideva piano una
mezzaluna nella pelle morbida.
Ma fu parimenti
consapevole di se stesso, del suo braccio che raggiungeva le spalle di
Sirius, non per allontanarlo, ma per tenerlo più vicino; della sua bocca che
si schiuse con esitazione, incerta se prolungare il bacio o stroncarlo con
una protesta; del suo respiro che suonava rotto e irregolare contro le
labbra di Sirius; della sua mano incastrata tra i loro corpi che tremava
incontrollata.
E poi, veloce e
rapido come era iniziato, finì.
Sirius si tirò
un po’ indietro, si leccò le labbra e sorrise compiaciuto, recuperando gli
occhiali dal pavimento per rimetterli delicatamente al suo posto.
“È stato
interessante,” si limitò a dire, ridendo infine dell’espressione sconvolta
di James, delle sue guance arrossate e della nuca che sembrava sul punto di
avvampare.
James si
raddrizzò, sistemando gli occhiali e stropicciandosi il viso con le mani.
“Sei un–”
“Modernista?”
“–coglione,”
terminò, e per qualche motivo il solo guardarlo lo fece ridere, mentre i
rimasugli del bacio ribollivano nella pancia.
“È stato un
piacere anche per me, James,” sussurrò con voce roca e sensuale,
chinandosi per mormorarglielo all’orecchio. Gli costò un cuscino
scaraventato sul viso e il relativo gemito di dolore – James non aveva
bisogno di essere torturato ulteriormente.
“Colpisci
l’avversario nel momento di vulnerabilità, giochi sporco!” protestò,
elargendogli un calcio non troppo amichevole.
“Ma senti un
po’,” lo derise. “Il piccolo Sirius si è forse fatto male? Vuole forse un
bacetto sulla bua?” continuò, allungando la mano per toccargli il naso, che
Sirius schiaffeggiò immediatamente.
Fece per dire
qualcosa – qualcosa che sarebbe suonato come un insulto, a giudicare
dall’aria torva – ma la porta si spalancò e la voce melodiosa di Lily giunse
sino a loro, anticipandone la figura snella e pesantemente avvolta nel
mantello spruzzato di neve.
Il sorriso
vacillò d’incertezza e perplessità quando realizzò Sirius inginocchiato sul
divano, il cuscino ancora tra le mani.
“Sirius? Sei
ancora qui?”
“Ah, Evans,”
balzò in piedi, raggiungendola per cingerle le spalle con un braccio. Lily
non notò la mano serrata.
“Ci sei mancata,
splendore. Sono successe tante di quelle cose!”
Lily rise,
lasciando una carezza automatica tra i capelli di Sirius; era un gesto
meccanico e affettuoso, che ormai compiva senza pensarci, ma che a James
bruciava dentro, innescando una bomba di gelosia che lo terrorizzò, perché
proprio non avrebbe saputo dire a chi fosse indirizzata.
“Ah sì?” domandò
Lily, scostandosi dal mezzo abbraccio di Sirius per liberarsi del mantello e
della sciarpa. “Tipo?”
“Ci siamo persi
Harry sotto il Mantello dell’Invisibilità e poi ci siamo baciati, proprio
lì, sul divano.”
Il viso di James
impallidì istantaneamente e i suoi occhi si sgranarono.
Lily, al
contrario, sbottò in una risata divertita.
“Wow, avrei
voluto esserci,” replicò, nel tentativo di appoggiare lo scherzo di Sirius –
almeno, quello che lei riteneva essere uno scherzo. James aveva scelto di chiamare Sirius per poter contare sulla sua arte della
menzogna; aveva però dimenticato che Sirius era abituato a mentire dicendo
la verità con un tono tale da svalorizzarla e sminuirla, sino a renderla una
falsità.
E sebbene Lily
avesse abboccato senza indugio, sentì comunque un rivolo di sudore gelido
colare sulla schiena.
“Harry?” domandò
lei, guardandosi attorno.
“Dorme come un
angioletto,” rispose James frettolosamente, prima che Sirius potesse
prendere parola. “Sirius, non te ne stavi andando?” domandò eloquentemente,
piegando un poco la testa.
“No.”
Lily rise
nuovamente, salutando Sirius con un bacio sulla guancia per congedarsi e
andare a dormire, perché era davvero «esausta oltre ogni dire». James attese
che anche l’ultimo scalino scricchiolasse come di consuetudine prima di
afferrare Sirius per un braccio e trascinarlo nell’ingresso, guardandosi
cautamente indietro.
“Ti sei fottuto
il cervello?!” sibilò inviperito, scuotendolo un poco.
“Ah, rilassati.
È stato tutto così assurdo che è difficile crederci davvero,” lo blandì,
battendogli una pacca sulla spalla. James scosse la testa, sfregandosi la
fronte con le dita e infossandole poi tra i capelli spettinati.
La verità era
che si era aspettato qualcosa, ma non aveva idea di cosa.
Restava,
acquattato sullo stomaco, un senso di aspettativa delusa, come un desiderio
mancato.
Una candelina
sulla torta di compleanno che qualcun altro aveva spento per lui.
“Piuttosto,”
sussurrò Sirius, restituendolo al presente. A quell’ingresso in penombra,
che adesso a James sembrava troppo stretto, che li costringeva a stare
troppo vicini. Non era sicuro di volerlo.
Non era sicuro
di non volerlo.
“Questo è tuo,”
e schiuse il pugno, rivelando la vera nuziale. Così come gliel’aveva tolta,
allo stesso modo la infilò all’anulare. I suoi occhi la fissarono a lungo e
la sua stretta durò più del necessario.
“Forse è così
che sarebbe dovuta andare,” borbottò e il cuore di James si produsse in un
movimento rigido e disarticolato, dolente e bruciante.
Eppure, quando
Sirius sollevò la testa, c’era un sorriso tagliente e ironico sulle sue
labbra.
“Animo, animo!
Stavo solo scherzando,” rise, battendogli un pugno sul petto mentre apriva
la porta e scendeva i gradini quel tanto che bastava ad eludere l’Incanto
Fidelius.
Esitò per
qualche secondo, voltandosi lentamente. Anche se si affrettò a
Smaterializzarsi, a James non sfuggì l’espressione seria e vagamente ferita
sul suo viso.
Aprì la bocca
per chiamarlo, o anche solo respirare – era diventato così complicato
– ma una sferzata di neve lo schiaffeggiò in pieno viso, costringendolo alla
ritirata, al calore confortante della casa.
Chiudendo la
porta, sollevò la mano sinistra, fissando l’anello.
Per la prima
volta da che lo indossava, sembrava risplendere con minor intensità, come
appannato da una patina che non venne via neppure dopo che vi sfregò sopra
l’indice.
Per la prima
volta da che si era sposato, quella notte si finse addormentato e si
sottrasse alle attenzioni di Lily, che si accoccolò contro la sua schiena,
al sicuro dai pensieri che ronzavano e pulsavano nella mente di James e che,
per la prima volta da anni, non la riguardavano affatto.
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