Darkness

di Mercuria_
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Buio. Sempre buio. Ovunque buio. Fuori di lui. Dentro di lui.
Si sedette. Dove? Non lo sapeva.
Tanto era buio.
Sangue, grida, cadaveri. Lacrime miste a risa incontrollate. Qualcosa di freddo nella mano destra, la sinistra illuminata da un'abbacinante luce azzurra. Le guance erano bagnate, o era soltanto una sua impressione? Eppure sentiva il corpo scosso dalle risate...
Un liquido caldo e vischioso gli colava fra le dita, rendendo difficile mantenere salda la presa sull'oggetto che stringevano. Chissà cos'erano, quella fredda lama e quel calore viscido. Sapeva solo che non si era mai sentito così bene, o era malessere quello che gli fluiva nelle vene? Dove si trovava? E lui, chi era?

Gridò. Poco a poco i sensi ripresero a funzionare. La testa gli stava esplodendo. Si staccò le mani dalle tempie, e il dolore svanì, come se non fosse mai esistito. Aveva freddo. Si strinse nella tunica, ma con stupore notò che era quella la causa dei brividi che lo scuotevano. Era bagnata. Completamente madida di sudore.
Si portò una mano alla guancia, e ne grattò via qualcosa; leccò il dito, e un sapore salato gli si spanse sulla lingua. Lacrime. Aveva pianto.
Restò seduto nel punto in cui si trovava, senza osare spostarsi di un millimetro, gli occhi sgranati, il respiro affannoso.
 
Rosso.
Rosso ovunque.
Un rosso vischioso, scuro.
Sangue.
Sangue ad imbrattare il pavimento, le pareti altrimenti immacolate.
Lo fissava rapito, incapace di distogliere lo sguardo da tutta quella perfezione.
E lui ne era l’artista, il bisturi il pennello che aveva eseguito quella danza aggraziata.
Non comprendeva l’arte, ma in quell’unico istante credette di essere riuscito a carpirne il senso, l’effimera essenza.
Il bello che trasudava da un mero colore.
 
Ebbe ancora voglia di ridere – o di piangere? –
Non lo sapeva. Ma, del resto, non era abituato a quelle emozioni contrastanti che lo aggredivano con la medesima, prepotente intensità, quasi se lo contendessero in una guerra infinita?
A quale cedere? A quale abbandonarsi completamente, finché non si fosse sentito un guscio vuoto, derubato del suo Essere?
E rise, mentre le lacrime tornavano a rotolargli per le guance, tracciando nuove scie roventi sulla pelle fredda, la vista già debole ulteriormente annebbiata dal loro velo sottile, che distorceva la realtà attorno a lui.
Basta. Basta.
La mente gli urlava incessantemente di ricomporsi.
Era un grido penetrante, che gli perforava le meningi. Forse se l'avesse assecondato tutto sarebbe finito.
O no? Magari avrebbe continuato a tormentarlo.
No, no, no.
Ti prego, smettila, smettila, smettila, smettila!
Si afferrò di nuovo il capo con le mani, premendo le tempie così forte da dargli l'impressione che l'avrebbe sfondato.
Io non volevo... oh, sì che volevo!
Scoppiò a ridere sguaiatamente, di nuovo, allentando la stretta ai lati della testa fino ad annullarla.
Sì, sì che volevo! Se lo meritavano, tutti, tutti!
Non gli era piaciuto, scavare le carni di quelle persone senza volto né nome? Non lo aveva desiderato al pari di una necessità fisica?
E allora perché quel malessere subdolo, insidioso, gli occludeva la gola, spezzandogli il respiro?
Si odiò. E la punta del bisturi scattò ad incidergli la pelle bianca del braccio.


 
~ Angolo autrice ~
Premetto che questo piccolo esperimento risale ad un paio d’anni fa, dunque si tratta di uno stile estremamente acerbo. Ma l’ho ritrovato nei recessi del pc (?) e ho pensato fosse un modo carino di inaugurare il nuovo account. Grazie per l’attenzione. ~




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