mi racconti qualcosa
- Mi racconti qualcosa?
La domanda era così vasta che Magnus tutte le volte doveva fare
uno sforzo immenso per scartabellare tra i ricordi alla ricerca di
quello giusto.
La prima volta che Alec glielo aveva chiesto, erano abbracciati a letto
e il cacciatore proprio non riusciva a chiudere occhio. Magnus sapeva
bene come a volte gli incubi lo seguissero, quando cercava di dormire,
senza dargli tregua neanche il tempo necessario per riposare; lo aveva
sentito parlare nel sonno più di una volta, e aveva avuto
l'impressione che anche i suoi sogni fossero popolati di demoni e altre
creature orribili... Come la vita reale.
- Non sei un po' grande per le favole? - gli aveva risposto lo
stregone, quasi ridendo. Lo aveva visto tornare a casa stravolto, anche
se cercava di non darlo a vedere: era più pallido del solito - e
considerato il livello di pallore abituale di Alexander Lightwood,
c'era da preoccuparsi - e aveva un paio di segni scuri sotto gli occhi
che rivelavano quanto fosse stanco. Senza contare il modo in cui si
tormentava le maniche del maglione - troppo lunghe, gli arrivavano fino
al palmo, e aveva trovato il modo di farci due buchi per infilare i
pollici. Magnus gli aveva rivolto qualche domanda e aveva ascoltato il
racconto della nottata di Alec. Con molte omissioni, lo sapeva,
perché il cacciatore cercava di minimizzare tutto per non farlo
preoccupare. Se diceva: "abbiamo combattuto un po'", probabilmente
avevano combattuto un bel po'. Se diceva: "abbiamo ucciso un demone non troppo potente", probabilmente ne aveva ucciso uno molto potente.
Magnus sorrideva fra sé e sé per la premura del ragazzo -
anche perché era una frana a raccontare stupidaggini, ma lo
stregone faceva finta di crederci, - perché sapeva che Alec non
voleva dargli delle preoccupazioni in più. Quella sera gli aveva
curato un paio di ferite sulla schiena - "Perché non hai usato un iratze?", "Andavamo di fretta" (leggi:
"Siamo dovuti scappare, e di corsa anche") - e poi si erano rintanati
sotto le coperte. Il Presidente Miao aveva molestato Alec finché
non era riuscito a ottenere la sua attenzione e i suoi grattini. E poi
Alec gli aveva chiesto di raccontargli qualcosa.
- Ma non voglio sentire le favole, infatti, - aveva risposto il Nephilim. - Raccontami qualcosa tu, qualunque cosa, ti prego...
Era arrivato a supplicarlo. Non sarebbe riuscito a chiudere occhio, lo
sapeva. Se non fosse stato per la parte razionale del suo cervello che
gli diceva che ora era al sicuro, starebbe ancora tremando per la
tensione. Cercava di concentrarsi su Magnus, sulla sensazione morbida
del pelo del Presidente sotto la mano, sul calore delle coperte, sul
gradevole profumo di sandalo che aleggiava nella casa. Cercava qualcosa
per ricordarsi che la caccia era finita, era tornato a casa e poteva
dormire il sonno dei giusti. Cercava qualcosa per distrarsi dalla
sensazione di malessere che ancora si portava dentro dopo la nottata
trascorsa a cacciare.
Magnus lo strinse a sé, gli fece posare il capo sulla propria
spalla. Aveva capito benissimo di cosa l'altro aveva bisogno, cosa
c'era dietro la sua richiesta, e vagò nei recessi della memoria
per scovare qualcosa di carino e leggero da raccontargli, per
distrarlo, per portarlo abbastanza lontano, con le parole, da
rilassarlo e aiutarlo ad addormentarsi. Cercò e trovò.
Accadde una sera, poi due, poi tre. Alla fine, era diventata
un'abitudine. Quasi mai però Magnus riusciva a raccontare una
storia fino alla fine, perché Alec dopo poco cedeva.
Gli raccontò dei viaggi che aveva compiuto, delle persone che
aveva conosciuto. Gli disse che Napoleone era un nano spocchioso e lo
sentì ridere, contro la stoffa della sua maglietta - con una splendida fantasia a fiori glitterati, dettaglio importantissimo per Magnus.
Gli raccontò di quando New York era ancora una manciata di
capanne e i bufali scorrazzavano liberi là dove ora c'è
Times Square. Gli raccontò tante, tantissime cose, e la scena si
ripeteva sempre uguale: per i primi due minuti, Alec era vispo e gli
faceva anche qualche domanda. Poi, la sua attenzione cominciava a
scendere, e si limitava a mugolare in segno affermativo quando riusciva
a cogliere il senso di una frase. Infine, il sonno lo stordiva del
tutto e si addormentava.
A Magnus non dispiaceva affatto farlo, anzi. Era diventata una consuetudine tutta loro, qualcosa che condividevano.
E se raccontargli qualcosa fosse bastato a cacciare i suoi incubi, allora lo avrebbe fatto tutte le sere.
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