Tempo
al tempo
Aveva creduto che sarebbe
riuscito a
dichiararsi subito dopo aver vinto la Winter Cup per la prima volta,
sfruttando
l’euforia del momento. Non aveva pensato a come sarebbe andata, ma
soltanto al
fatto che finalmente gliel’avrebbe detto, che si sarebbe liberato di
quel gran
peso.
L’euforia che si era
atteso, però, non era
riuscito a spingerlo a tanto: improvvisamente erano rimasti soli, con
le gambe
che gli pesavano sempre di più, aveva
allungato una mano verso di lei, ma non aveva avuto il coraggio di
afferrarla,
e le sue dita erano corse a sistemare gli occhiali con un mormorio
sordo.
Mentre tornava a casa
fianco a fianco con lei,
che non riusciva a smettere di sorridere, gli era venuto da piangere
per la
rabbia, ma neanche una lacrima era uscita dai suoi occhi: non vi
avrebbe mai
ceduto, perché un uomo non piangeva mai. Poteva sopportare tutto quanto
senza
dire una parola.
Tutti
avevano notato che, da qualche tempo a quella parte, era più
strano del solito. Non parlava mai, e se qualcuno osava rivolgergli la
parola
se ne pentiva all’istante: era un toro furioso pronto ad incornare con
gli
occhi. Qualunque tiro era sbagliato, anche se andava a segno; qualunque
schema
stupido e inutile. Si tratteneva sempre dopo gli allenamenti a sfondare
il
canestro a colpi di tiri da tre, a provare il suo fisico fino allo
svenimento
per poi arrancare fino a casa. Lo stesso stava facendo in quel momento,
circondato da decine di palloni arancioni.
“Mitobe
crede che ci sia
qualcosa che non va in Hyuga, ultimamente.” sussurrò Koganei con la
voce più
bassa possibile, coprendosi la bocca con le mani per paura di farsi
scoprire, e
Izuki annuì con un aria insolitamente grave sul viso: la situazione era
talmente sfuggita di mano se persino Mitobe, che non parlava mai, aveva
avuto
voglia di dire la sua.
“È
da qualche tempo che le
cose non fanno che andare peggio, lo vedo sempre più nervoso...”
Tsuchida si
guardò furtivamente alle spalle, dove Hyuga continuava a tirare da tre
senza
sosta, e continuò a voce più bassa: “Non l'ho mai visto così.”
“Neppure
io.” Koganei li
guardò uno a uno, poi fermò lo sguardo su Mitobe e tutti annuirono
nello stesso
momento. “Solo Kiyoshi può fare qualcosa! Ieri, dopo quella sfuriata,
le
matricole sono andate via tremando! Persino Kagami...”
Mentre
sospiravano, un ordine
li fece sobbalzare: “Se avete ancora forza per chiacchierare,
continuate ad
allenarvi!”
Hyuga
li fulminò con lo
sguardo e si voltò come avvolto da una strana aura.
I
ragazzi si strinsero nelle
spalle, spaventati: era il coach; era diventato sadico come il coach.
Koganei
si precipitò nello spogliatoio urlando, quasi con la lacrime agli occhi.
“Kiyoshi,
Kiyoshi!”
“Che
succede?” Le matricole
lo fissarono con il terrore negli occhi. “Il capitano ha...?”
“È
il coach, è sadico come il coach!”
Kiyoshi
uscì dalle docce
grondando acqua, l'espressione inquieta. Lanciò uno sguardo tutto
intorno, non
incontrando che volti preoccupati ed impauriti, e si lasciò scivolare
sulla
panca con un sospiro: era proprio il coach, il problema.
“Sapete,
Riko...” azzardò
portandosi una mano tra i capelli, cercando di trovare le parole
adatte, ma la
voce di Kuroko, bassa come chi sta sussurrando un segreto, lo
interruppe: “Credo
che al capitano piaccia il coach.”
“Ma
cosa cavolo dici? È impossibile!” sbottò Kagami
incredulo,
rabbrividendo al solo pensiero: insieme,sarebbero stati una perfetta e
terribile macchina da guerra.
“È
impossibile!” ripeté
qualcun altro, e tutti annuirono, tranquillizzati, ma Kiyoshi scosse la
testa,
l'espressione grave.
Era
davvero Riko, il problema
di Hyuga. Un problema anche piuttosto spinoso, dato l'immenso orgoglio
del suo
compagno.
Hyuga aveva provato a correre per
lasciare che l'adrenalina si abbassasse, che quel pensiero opprimente
scomparisse, ma non era riuscito a scrollarselo più dalla testa. Allora
si era
fermato ad un playground minuscolo e, incapace di tranquillizzarsi,
aveva preso
a tirare come un forsennato: non un canestro era stato sbagliato, e più
ne
segnava, più la sua rabbia cresceva: era in grado di giocare, di
vincere, ma
non era riuscito a dire nulla davanti a Riko.
“Non
posso chiamarmi uomo!” strillò lanciando per l'ennesima
volta il pallone a canestro. Tre punti. Cominciò a correre tutt'intorno
velocemente, palleggiando.
“Non
sono degno di possedere il generale Masamune!”
Ripensò
a tutti i modellini che Riko aveva lasciato
accidentalmente cadere per spronarlo a dare di più: aveva fatto tanto
per lui,
gli aveva impedito di compiere il più grande errore della sua vita,
lasciare il
basket, ma, di fronte a lei, le sue labbra non avevano proprio voluto
saperne.
Tirò ancora.
“Non
riuscirò mai a dirlo a Riko!”
Il
pallone rigirò più volte su se stesso, poi si infilò
perfettamente nel canestro: un altro tiro da manuale. Corse verso di
esso, lo
afferrò e si asciugò il sudore sul viso con le mani: erano piene di
lacrime.
Pieno di rabbia, cercò di asciugarle, ma adesso che le aveva scoperte,
non
sembrava volessero più fermarsi.
Si
accovacciò su se stesso, stanco, deluso, arrabbiato, e
abbassò lo sguardo al suolo: ormai non riusciva più a scorgere bene i
dettagli.
“Non
riuscirò mai a dire a a Riko che la amo.” sibilò,
furibondo, senza paura di essere udito da qualcuno. Sarebbe rimasto in
quel
luogo ancora per ore, sentendosi solo al mondo, ma vegliato da Kiyoshi
che mai,
come quella volta, non aveva saputo cosa fare, bloccato, nascosto a
qualche
metro da lui, incapace di andare via: l'aveva seguito per convincerlo a
festeggiare la vittoria, ma Hyuga non avrebbe potuto avere meno voglia
di
festeggiare, quel giorno: non era riuscito a dimostrarsi uomo nella
vita come
tante volte aveva fatto nel basket.
“Ehi,
Hyuga, che ne dici di fermarti e di andare a mangiare qualcosa?”
“Non
ho voglia di mangiare
con te, Kiyoshi.”
Il
ragazzo sorrise
amaramente, ma non si diede per vinto: lo superò per poterlo guardare
negli
occhi e allargò le braccia per ostacolarlo sotto canestro.
“Ultimamente
ti stai
allenando troppo, sono tutti preoccupati per te!”
Hyuga
fece una smorfia e
sollevò le braccia senza saltare.
“Non
dire stupidaggini!
Diventare vice-coach ti ha fatto credere di poter dire ciò che vuoi di
tutti?
Io sono il capitano, devo allenarmi il triplo, anzi il quadruplo degli
altri!”
“Vedo
una certa influenza di
Riko più su di te che su di me, mi pare!”
Il
tono di Kiyoshi era
scherzoso, ma l'altro non poté fare a meno di accigliarsi e scurirsi in
volto.
Senza dire nulla, finalmente saltò e lanciò il pallone a canestro.
Kiyoshi
saltò con lui e allungò le braccia verso l'alto, ma non riuscì a
fermarlo. Tre
punti.
“Il
tuo ginocchio! Ma dico,
sei impazzito, dopo tutto quello che hai passato? Vai via, voglio
allenarmi da
solo.”
“Stai
esagerando. Questa
tensione, questa rabbia non servono a nulla. Se non glielo
dici, Riko non capirà, lo sai.”
“RIKO? Cosa c'entra Riko adesso?!” Hyuga sobbalzò,
sconvolto, e
Kiyoshi gli sorrise in silenzio: lui sapeva. L'altro lo guardò,
furioso. “Come
fai a...?!”
“Kuroko
è molto perspicace,”
replicò Kiyoshi con sincerità, stringendosi nelle spalle “e, comunque,
ormai
tutti hanno capito che qualcosa non va.”
“Va
tutto benissimo!” esclamò
Hyuga raccogliendo il pallone a testa bassa “Lei non lo sa, io non lo
dico, voi
tacete e tutto andrà benone!”
Suonava
come una minaccia.
Kiyoshi gli si avvicinò e lo afferrò con forza per una spalla,
costringendolo a
prestargli attenzione.
“Devi
dirglielo!”
“Che
utilità c’è? Tutto va
benissimo così!”
“No!
Tu non stai bene, siamo
preoccupati per te! Sei sempre nervoso, di cattivo umore, ti alleni
fino a
stare male... Si sta ripercuotendo sulla squadra. Non possiamo
continuare così,
non puoi continuare così. Devi solo dimostrare di essere il capitano,
quell'uomo che...”
Hyuga
lo guardò, amareggiato,
e si liberò della sua presa bruscamente.
“Tu
non puoi capire, io non posso!”
Gli
diede le spalle e si
avviò verso lo spogliatoio quasi correndo, senza voler mai più tornare
sull'argomento, ma udì comunque chiaramente la voce di Kiyoshi.
“Non
puoi per colpa del tuo
orgoglio? A volte un uomo deve sapere quando metterlo da parte, io lo so!”
Per
colpa del suo ginocchio, a causa sua, due anni prima aveva rischiato di
perderlo molto spesso, anzi, forse gli aveva del tutto detto addio, ma
non ne
sentiva affatto la mancanza.
Schierati
in fila uno accanto all'altro alla fine dell'allenamento, stavano
ascoltando il coach dar loro gli ultimi appunti. Tra giochi di gambe
troppo
intricati, gomiti troppo alti nei salti e schemi non rispettati a
dovere ce
n'era per tutti i gusti, poi all'improvviso la ragazza si fermò davanti
a Hyuga
e lo guardò accigliata, le mani sui fianchi.
“Anche
tu, Hyuga-kun, ti stai
allenando troppo! Sai bene che il corpo ha bisogno anche di riposo e...”
Investito
dalle sue parole come se lo stessero schiaffeggiando, il ragazzo
continuava a tenere lo sguardo rivolto in avanti puntato nel nulla per
non
cedere. Agli occhi dei compagni era come il fiero Masamune che
attendeva da un
momento all'altro la morte, impettito, ma ormai arresosi dentro. Il suo
viso
contratto, i suoi occhi fissi mostravano il suo sforzo. Persino Kagami
se ne
accorse e fece d'istinto un passo in avanti per attirare l'attenzione
del
coach, ma Kiyoshi lo respinse indietro con uno sguardo irreprensibile:
Hyuga
non gliel'avrebbe mai perdonato. Potevano soltanto restare a guardare
fino a
che lui non avesse sbloccato la situazione.
“...
Per cui, oggi niente
allenamenti extra e subito a casa!”
“Ma
coach...!”
“Non
accetto repliche!
Teppei, diglielo anche tu, il fisico...”
Non
appena udì quel nome,
Hyuga annuì con la testa e si allontanò senza più dire una parola.
Qualche
secondo dopo lo videro dirigersi verso l'uscita con la borsa a tracolla
e la
felpa abbottonata fino al mento.
“Non
ti lavi qui con noi?”
gli chiese Koganei.
“No,
vado a casa.” replicò lui
laconico, poi uscì. Riko incrociò le braccia, inquieta, e sussurrò:
“Ultimamente
si comporta in modo strano...”, ma Kiyoshi negò con un sorriso.
“Sarà
soltanto nervoso per il
torneo!”
Non
poteva permettere a Hyuga
di apparire debole davanti a lei, lui non gliel'avrebbe mai perdonato.
“Io
glielo dico!”
L’affermazione
coraggiosa di Kagami fu accolta da occhi spalancati ed
impauriti.
“Al
capitano?”
“Ne
sei sicuro?”
“Kagami-kun,
non credo che sia la cosa migliore da fare.” tentò di
dissuaderlo Kuroko sollevando lo sguardo dalle scarpe da ginnastica che
si
stava allacciando. I suoi occhi lo infilzarono come uno spiedino,
provocandogli
una spiacevole sensazione di fallimento che
però durò soltanto qualche secondo, perché la scacciò subito
dalla mente
battendosi un pugno contro l’altro. “Cosa vorresti dirgli, poi?”
“Gli
farò capire che il coach non è una ragazza adatta a lui! Insomma,
è una pazza sadica che non pensa ad altro che-”
“Siete
ancora qui a chiacchierare?” La voce aspra di Hyuga lo fece
sobbalzare, morto di paura. Kagami si voltò fingendo un sorriso più
simile ad
una smorfia e mormorò: “Ecco, capitano, noi, io…”
“Fila
ad allenarti.”
Ormai
Hyuga aveva l’abitudine di arrivare in palestra ad orari in cui
non avrebbe incontrato nessuno negli spogliatoi, e lo stesso faceva
quando
doveva andare via. Anche in classe non parlava più con nessuno, cercava
di
starsene sempre da solo. Kagami annuì di malavoglia e si avviò verso la
porta;
anche Kuroko lo seguì. Hyuga si tolse la felpa; la porta dello
spogliatoio si
chiuse. Il tempo di un solo respiro, e si spalancò di nuoco di scatto,
sbattendo contro il muro: Kagami entrò di nuovo con gli occhi
infuocati,
strisciando i piedi.
“Non
possiamo più continuare così,” esclamò “devo parlarti!”
“In America non ti hanno
insegnato l'educazione?”
Il
ragazzo emise un verso sordo, più irritato che mai: Hyuga era
completamente impazzito.
“Oh,
insomma!” esclamò
allargando le braccia, spazientito “È che le donne sono così... ritardate!”
Le
sue parole risuonarono come amplificate nello spogliatoio vuoto,
stampandosi perfettamente nelle teste di entrambi. Ritardate... Kagami abbassò le braccia lentamente,
prendendo consapevolezza. Forse aveva esagerato. Non voleva affatto
offendere
il coach, ma...
Hyuga
lo guardò, perentorio.
“Cosa intendi dire?”
“Non
mi riferivo specificatamente al
coach, e non volevo affatto offenderla, ma...”
“Maledizione!” Il sibilo di
Hyuga lo zittì di scatto. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non gli
uscì più
voce, allora allungò le mani verso di lui per fermarlo, ma il ragazzo
afferrò
il pallone che era sopra la panca e corse fuori dallo spogliatoio
stringendolo
a sé più forte che mai.
Kiyoshi
sapeva, Kuroko sapeva, Kagami sapeva... Chi altro sapeva,
ancora? Certamente ormai tutto lo spogliatoio non ne era a conoscenza.
Soltanto
Riko non riusciva a capirlo. Se solo lei non fosse stata così ritardata... Mai Kagami aveva avuto
ragione come in quel momento. Accolse quel pensiero con una certa
irritazione,
arrabbiandosi con se stesso perché non era stato in grado di arrivarci
da solo.
Conosceva Riko meglio di chiunque altro, perché la osservava da anni,
ne aveva
studiato ogni singola mossa, ogni parola, ogni espressione, perché la
amava, ma
non l’aveva mai vista rendersene conto. Riko all’amore non pensava
proprio. Non
pensava ad avere un ragazzo, ad uscire, a rendersi carina. Il suo unico
interesse era pensare a come distruggerli fisicamente e
psicologicamente ogni
giorno.
Alla
fine, era una battaglia persa in partenza: aveva creduto che
avrebbe potuto vincere la partita con l’impegno, con la dedizione,
senza mai
indietreggiare, sopportando, ma era stato tutto inutile, perché nulla
era
andato come in una partita di basket del Seirin. Quella volta non
avrebbe vinto
la Winter Cup.
Cosa
si provava ad avere due campionati vinti all’attivo e a non
riuscire comunque a parlare quando era importante farlo?
Hyuga
avrebbe avuto materiale per parlarne per ore, se avesse voluto,
ma ormai non parlava quasi più per non sentirsi ripetere sempre le
stesse cose.
Già riusciva a stento a sopportare le occhiate pietose dei suoi
compagni di
squadra e tutte le scuse più stupide con cui Kiyoshi tentava ogni volta
di potergli
parlare. Riko, invece, cercava di non considerarla affatto, evitandola,
facendo
in modo di non trovarsi mai solo con lei: non le aveva neppure sorriso
quando
lei l’aveva guardato, fiera, mentre sollevava
l’ultimo trofeo della scuola superiore. Niente era andato come
aveva
desiderato, sin da quando si era iscritto al liceo: aveva tentato di
lasciare
il basket e per colpa di Kiyoshi non ci era riuscito, aveva sognato di
non
farsi prendere dai suoi nuovi compagni di squadra, invece teneva a loro
talmente
tanto che si sarebbe fatto staccare le braccia, aveva giurato che,
prima o poi,
Riko l’avrebbe guardato in modo diverso. Cercò di non pensare ancora a
quella
questione per la centesima volta in due secondi lottando contro le
maniche
della sua maglietta. Stava cercando di infilare la testa al posto delle
braccia. Digrignando i denti, roteò la maglietta intorno al collo per
addrizzarla e la tirò con forza verso il basso.
Strap.
Il
rumore che non voleva sentire.
“Senpai?”
Sobbalzò,
voltandosi di scatto e gli occhi chiari di Kuroko lo
infilzarono togliendogli il fiato: erano trascorsi due anni, ma quando
Kuroko
compariva all’improvviso faceva morire ancora tutti di paura. Cercò di
lisciarsi la maglietta strappata, più tranquillo, e lo spronò: “Sì?”
“Tra
un po’ c’è la cerimonia del diploma.”
“Lo
so.” Intuizione perfetta, se non fosse che la data era pubblica
già da mesi. “Hai per caso bisogno di qualcosa?”
“Tra
un poco cesserai di essere uno studente del Seirin, come il
senpai Kiyoshi, come i senpai Izuki, Mitobe, Koganei e Tsuchida… Come il coach.”
Non
anche lui. Hyuga sospirò, più spazientito che arrabbiato, e tentò
di tagliare corto: “Certo. Infatti sono in ritardo, se non hai bisogno
di-”
“Le
nostre strade si divideranno. Non sappiamo se riusciremo a vederci
di nuovo.”
Irrigidito,
il capitano si tolse la maglietta e la lanciò sulla panca.
Lo guardò negli occhi, duro.
“Stai forse cercando di dirmi qualcosa? State forse cercando di rendermi la vita ancora più difficile?
Ho
deciso di darci un taglio, con lei. È
talmente ritardata che-”
“Io
non credo che il coach lo sia.” Kuroko finalmente si mosse dalla
porta, vicino alla quale era rimasto immobile fino a quel momento, e
gli si
avvicinò. A differenza sua, indossava già la divisa, anche se non era
in
ritardo per la sua cerimonia di consegna dei diplomi. “Lei è un ottimo
coach,
lavora tanto, vuol fare tutto da sola… Senpai, lei è davvero molto
simile a te,
vi somigliate, non vi arrendete. Per
questo, anche adesso, a pochi minuti dalla cerimonia di diploma, eri
ancora
fuori ad allenarti.” Gli sorrise con sincerità. “Senpai, in realtà tu
non vuoi
darti per vinto. A te il coach piace ancora, non è vero?”
Hyuga
lo guardò senza dire nulla, ma in cuor suo conosceva già la
risposta. Afferrò la giacca della divisa e se la gettò addosso in malo
modo,
poi si diresse a passo di marcia verso la porta per dirigersi alla
cerimonia di
consegna dei diplomi. Era già uscito dallo spogliatoio, quando fece
velocemente
dietrofront e si affacciò di nuovo dalla porta per esclamare, irritato:
“Fatti
pagare per bene da quel maledetto Kiyoshi!”
Vide
Kuroko spalancare gli occhi, sorpreso, e ne gioì segretamente:
non era ancora nato chi avrebbe fregato Junpei Hyuga, non se quel
qualcuno si
chiamava Teppei Kiyoshi e cercava a tutti i costi di ficcanasare nelle
faccende
altrui.
Corse
senza più fiato fuori dalla palestra, quel giorno
irriconoscibile per via della cerimonia del diploma che li aveva
accomiatati
tutti dalla scuola, e si diresse verso l’esterno. Non sapeva dove stava
andando, dove fosse lei, ma sentiva
che quella era la direzione giusta da seguire.
Aveva
sempre pensato che ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo per
parlarle, ma ormai, di tempo, non ce n’era quasi più.
Durante la cerimonia aveva continuato a
fissare Riko come non faceva da molto tempo, senza sentire una parola
del
presidente del consiglio studentesco, senza sentire il diploma
frusciare sotto
le dita, e proprio in quel momento si era accorto, come gli aveva detto
Kuroko,
che ormai era davvero tutto finito.
Non
si sarebbero più visti. Non sapeva se lei sarebbe andata
all’università o se avrebbe lavorato con suo padre, perché non aveva
mai avuto
il coraggio di chiederglielo. Kiyoshi
certamente lo sapeva, ma non aveva il coraggio di chiederlo
neppure a
lui, perché il suo orgoglio non voleva ancora cedere. Eppure continuava
a
correre alla ricerca di Riko come se fosse l’ultima cosa che avrebbe
potuto
fare nella sua vita. Non pensava neppure
a cosa avrebbe dovuto dirle per convincerla a starlo a sentire,
non al
fatto che fosse molto probabile che tutti i suoi compagni di squadra
sarebbero
stati con lei, anzi, cercava di non pensarci, sperando con tutto se
stesso che
si fosse aperto un fosso che li avesse risucchiati tutti o che fossero
scomparsi all’improvviso, avvolti da una nuvoletta di fumo. Ma la
parola
d’ordine per la partita di quel giorno era comunque resistere, con
impegno, con
dedizione, senza mai indietreggiare, forzando la difesa come non aveva
mia
avuto il coraggio di fare con lei. Doveva cercare di essere un capitano
a tutto
tondo. Doveva dimostrare di essere degno del suo titolo.
Sapeva
che sarebbe finita in quel modo. Scorse Riko da lontano
circondata da Kiyoshi, Izuki, Koganei, Mitobe, Tsuchida, dalle
matricole,
insomma, proprio da tutti. Il panico che sperava l’avrebbe presto
abbandonato
ricominciò a farsi strada nel suo corpo partendo dalle gambe e
rendendogli
estremamente faticoso ogni singolo passo. Sconvolto, senza più essere
in grado
di respirare, si fermò di botto davanti a loro non rispondendo neppure
ad un
saluto: puntò i suoi occhi soltanto su Riko, ma non appena i loro
sguardi si
incontrarono, li abbassò di scatto, incapace di non arrossire. Come era
stato
in grado di fissarla senza problemi per tutto quel tempo? Forse era
dipeso
dalla sua mancanza di consapevolezza di non stare ottemperando alla
promessa
fatta tre anni prima: aveva rischiato di farsi espellere per gridare
dal tetto
della scuola che non si sarebbe mai arreso. Era giunta l’ora di
ricordarselo.
“Tre anni fa ho fatto una
promessa.” sussurrò senza più fiato. Cominciò a sfilarsi la giacca
a testa
bassa, così la canottiera, velocemente, per evitare che qualcuno
potesse
fermarlo. Poi le scarpe, e i pantaloni. Posò le mani sull'elastico dei
boxer e
sollevò leggermente lo sguardo. Il volto di Riko aveva preso a cambiare
colore,
diventando improvvisamente più rosso. Finalmente aveva capito cosa
voleva fare.
“Riko,
io...!”
Finalmente,
dopo due anni, poteva smettere di chiamarla coach,
annullando la distanza tra di loro. Le confessò ogni cosa, dicendole
che era
innamorato di lei, e non s'interessò di Koganei e Kiyoshi che fecero
scrosciare
un applauso, al fatto di essere quasi nudo, di tutta la gente che si
era
voltata verso di loro, di quelli che si stavano avvicinando,
incuriositi, per
vedere cosa fosse successo. Cominciò a ritornare in sé qualche secondo
dopo, senza
staccare gli occhi da Riko, che sembrava ancora in stato di shock,
immobile di
fronte a lui. Non si aspettava che lei gli lanciasse le braccia intorno
al
collo, perché non ne era il tipo e perché l’aveva appena messa in
imbarazzo di
fronte a tutti. Con ansia si accorse che non sapeva proprio cosa
aspettarsi:
forse, quella volta, per schiacciare il suo orgoglio l’aveva fatta
davvero
troppo grossa.
Forse
lui e Riko non erano adatti e basta per alcune questioni.
Sconsolato, si chinò a raccogliere la divisa sparsa ai suoi piedi e
quando si
rialzò una mano immensa gli diede una pacca sulla spalla che quasi lo
sotterrò.
“Sei
stato grande, amico.” gli disse Kiyoshi con un sorriso ammirato e
gli venne voglia di strozzarlo, perché era tutta colpa sua, ma qualcuno
spinse
Riko verso di loro, impedendogli di ribattere
e ritrovandosela accanto più
imbarazzata che mai.
“Coach,
io...” mormorò impacciato quanto lei, cercando di riacquistare
almeno un briciolo della dignità appena perduta, ma ella
respirò profondamente e sollevò la testa,
guardandolo con un misto tra la sua solita fermezza e l’imbarazzo.
“Cosa
diavolo hai bevuto
stamattina, Hyuga-kun? Rivestiti e vieni con me.”
La
sua voce sembrava proprio la stessa, dispotica di sempre. Aveva
ragione Kagami: Riko era davvero ritardata, non c’era nulla da fare.
Con un
sospiro, il ragazzo annuì e la segui, facendo il giro dell’edificio.
Riko
si fermò dietro la palestra, dove nessuno avrebbe potuto vederli,
poi si voltò per dargli una parvenza di intimità nel rivestirsi. Hyuga
cominciava a sentire caldo, più caldo di quello che c’era davvero. Non
si
infilò neppure la giacca, sperando che un freddo gelido cadesse su di
lui per
eliminare il sovraccarico del suo cervello pronto a lasciarlo
completamente in
blackout.
“Davvero,
cosa hai bevuto stamattina?”
Riko
lo guardò a fatica, imbarazzata, continuando a far saettare gli
occhi da una parte all’altra per non posarli su di lui. Il ragazzo
sospirò,
sconfortato, e mormorò: “Sai, Kagami dice che le donne sono ritardate
e forse…”
“Cosa ne sa Kagami delle donne?”
Riko
sollevò gli occhi e lo guardò sostenendo il suo sguardo con
coraggio, le guance manifestamente rosse d’imbarazzo, e Hyuga si sentì
improvvisamente
uno stupido per aver avuto paura, tutti quegli anni, di parlarle dei
suoi
sentimenti. Lei era forte abbastanza da resistere a qualunque cosa, non
avrebbe
mai potuto avere paura di due parole.
Era stato uno stupido, era stato lui l'unico
ad essere davvero anormale.
“
Proprio nulla. Si sbagliava.”
Sentendosi
le gambe piene di piombo dopo quel sussurro, fece un passo
verso di lei, allungando un braccio. Incerto, le prese una mano e la
strinse
tra le sue come avrebbe fatto con un pallone da basket, ma in modo più
attento,
più dolce. Era un ritardato, aveva
paura persino di stringerle le mani e farle male. Le ripeté ancora
quelle due
parole che lo tartassavano sin da quando l’aveva conosciuta ogni volta
che
pensava a lei, e Riko arrossì ancora, ma in più sorrise, quasi rise
stringendogli la mano a sua volta. Anche la ragazza, allora, era
felice. Non
appena l’ebbe realizzato, Hyuga smise di respirare. Gli era bastato;
per
fortuna il tempo che aveva a disposizione gli era bastato.
Note:
Ogni
tanto ritornano. Eh sì, rieccomi di nuovo in questo fandom, a
pubblicare una storia sul mio OTP! *sparge cuori*
Avevo
scritto questa fic per un altro contest sullo scambio di
citazioni (quella che mi era capitata l’ho messa in bocca a Kagami, “Le donne sono proprio… ritardate” da Ano
Hana), ma non ho mai avuto il coraggio di spedirla, anche se mi piace
molto
come è uscita. Questa volta, però, mi sono decisa, l’ho riguardata ed
eccola
qua, partecipa addirittura ad un altro contest!
Credo
di essere impazzita del tutto! XD Speriamo bene! >.<
La
prima idea che ho avuto per questa fic è stata quella di Hyuga che
corre per trovare Riko e che si spoglia per ottemperare alla sua
promessa (la
scena finale, insomma) e mi è piaciuta talmente tanto che ho deciso di
ricamarci tutto il resto intorno. Hyuga è un personaggio che adoro,
perché
riesce ad essere complesso quasi come una persona reale, ed io adoro
scavare
nelle personalità complesse. Queste storie di inner action
sono proprio pane per i miei denti, per cui spero di
aver mantenuto il personaggio IC. Mi sono basata sul fatto che per
portare
avanti i suoi ideali farebbe cose impossibili (tipo tingersi i capelli
come un
teppista), quindi speriamo bene anche per la caratterizzazione!
>.<
In
ogni caso, comunque vada, sono soddisfatta di questa fic e sento di
aver fatto un grande passo in avanti dalla mia ultima Hyuga/Riko.
Spero,
quindi, che possa piacere anche a chi legge! ^^
Vi
sarei grata se vorresti lasciarmi un parere, dirmi cosa ne pensate,
se non vi piace, se vi piace, se devo darmi all’ippica e così via! XD
Grazie anticipatamente
se deciderete di dedicare a questa fic un po’ del vostro tempo e alla
prossima,
sperando che sia una KagaKuro! ;)
PS: avevo
dimenticato una cosa! XD In realtà, quando Kuroko fa “prendere
coscienza” a Hyuga della sua situazione e lui colpevolizza Kiyoshi per
questo,
Kuroko è sorpreso non perché l’abbia davvero convinto Kiyoshi a parlare
con
Hyuga, ma perché non capisce ciò che il capitano gli dice! XD Insomma,
ha
parlato a Hyuga per sua volontà e basta! :)
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