Gone, gone, gone

di Azzurrina1926
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Ero fisso davanti allo specchio ad osservare il mio completo da lavoro. Diciamo che sembravo un damerino, camicia bianca abbottonata dal primo all'ultimo bottone, papillon nero e pantaloni neri. Ammetto che sembravo un carcerato in forma elegante ma era esagerato che un cameriere dovesse indossare quella tenuta alla James Bond in un baretto da quattro soldi, non ci ero mai entrato ma per essere il bar di un amico di mio padre doveva essere per forza un bar di poca classe. 
« Sei pronto Leon ? » sentì mia madre reclamare la mia presenza dalla sala da pranzo così mi sistemai i capelli e la raggiunsi. 
« Sono fiera di te » storsi la faccia a quelle parole « Sei fiera di me perché vado a lavorare ». 
« No perché sei l'unico uomo in questa famiglia che sa allacciarsi un papillon ». In effetti mi madre aveva ragione, papà non indossava mai cravatte e papillon per la sua " non abilità " ad allacciarli. « Come mai tutta quest'eleganza per un bar di un amico di papà » domandai, 
« è qui che ti sbagli tesoro, non è un amico di papà è L'amico di papà. Vedi è un gran imprenditore. Possiede: ristoranti, hotel, sale da gioco e bar ». 
E chi lo avrebbe mai detto, mio padre aveva delle buone conoscenze. Ma questo non cambiava comunque quello che pensavo su quell'lavoro. Più persone equivalevano a più impegno, più impegno equivaleva a più fatica e più fatica equivaleva a tornare più distrutto a casa, l'unica cosa vantaggiosa era doversi svegliare alle nove invece che alle sette ma questi erano dettagli. 
« Sei così carino » disse mia madre stropicciandomi la faccia come era suo solito fare. 
Finì di salutare mia madre come sempre con un modo esagerato « Sta calma mamma non vado mica in Iraq » una reazione talmente esagerata che scapparono le lacrime naturalmente pianse solo mia madre. 
« Leon sei pronto ? » mi domandò mio padre « Portami via ! » esclamai cercando di scollarmi da dosso mia madre. 
Dopo varie storie mia madre mi lasciò andare, con l'aiuto di mio padre ma mi lasciò.
Ero fisso davanti allo specchio ad osservare il mio completo da lavoro. Diciamo che sembravo un damerino, camicia bianca abbottonata dal primo all'ultimo bottone, papillon nero e pantaloni neri. Ammetto che sembravo un carcerato in forma elegante ma era esagerato che un cameriere dovesse indossare quella tenuta alla James Bond in un baretto da quattro soldi, non ci ero mai entrato ma per essere il bar di un amico di mio padre doveva essere per forza un bar di poca classe. 
« Sei pronto Leon ? » sentì mia madre reclamare la mia presenza dalla sala da pranzo così mi sistemai i capelli e la raggiunsi. 
« Sono fiera di te » storsi la faccia a quelle parole « Sei fiera di me perché vado a lavorare ». 
« No perché sei l'unico uomo in questa famiglia che sa allacciarsi un papillon ». In effetti mi madre aveva ragione, papà non indossava mai cravatte e papillon per la sua " non abilità " ad allacciarli. « Come mai tutta quest'eleganza per un bar di un amico di papà » domandai, 
« è qui che ti sbagli tesoro, non è un amico di papà è L'amico di papà. Vedi è un gran imprenditore. Possiede: ristoranti, hotel, sale da gioco e bar ». 
E chi lo avrebbe mai detto, mio padre aveva delle buone conoscenze. Ma questo non cambiava comunque quello che pensavo su quell'lavoro. Più persone equivalevano a più impegno, più impegno equivaleva a più fatica e più fatica equivaleva a tornare più distrutto a casa, l'unica cosa vantaggiosa era doversi svegliare alle nove invece che alle sette ma questi erano dettagli. 
« Sei così carino » disse mia madre stropicciandomi la faccia come era suo solito fare. 
Finì di salutare mia madre come sempre con un modo esagerato « Sta calma mamma non vado mica in Iraq » una reazione talmente esagerata che scapparono le lacrime naturalmente pianse solo mia madre. 
« Leon sei pronto ? » mi domandò mio padre « Portami via ! » esclamai cercando di scollarmi da dosso mia madre. 
Dopo varie storie mia madre mi lasciò andare, con l'aiuto di mio padre ma mi lasciò. 

 

 

Erano più o meno due ore che pulivo e ripulivo lo stesso bancone, gli occhi quasi mi si chiudevano e i clienti non finivano mai. Una noia mortale in più ci si mettevano la musica classica molto apprezzata da questo tipo di gente e Tomàs un mio collega diciamo affemminato che non faceva altro che parlare di " Sex and the
city ". 
« Ehy Leon » girai lo sguardo e mi ritrovai Alex a due centimetri dal mio viso. 
« Alex ? Che ci fai qui ? » domandai. « Sto aspettando una persona molto importante » annuì alle sue parole « e in più il padre della persona che sto aspettando è il proprietario del bar ». « Ordini qualcosa ? ».« Un bicchiere d'acqua ». Presi un bicchiere e aprì il rubinetto dell'acqua e gli porsi il bicchiere. « Leon ? ».« Si ? ». « Perché quel ragazzo ti sta fissando da mezz'ora ? » mi voltai verso Tomàs e storsi la faccia « Grazie a te la mia paura che mi possa saltare a dosso è aumentata a dismisura ». Possibile che al posto delle ragazze i ragazzi sbavino per me ? Ho paura, non sono omofobo ma Tomàs è strano e io sono già inquietato per conto mio. Solo questa ci mancava un collega di lavoro gay che per di più sbava quando ti guarda, il mio secondo nome è " Fortunello ". 
« Oh Violetta finalmente sei arrivata » mi voltai e notai che la persona tanto attesa da Alex era arrivata. Una ragazzina di più o meno quindici anni, piuttosto bassa rispetto a lui, capelli biondi e occhi castani, abbigliamento a bambolina e un sorriso magnetico. 
Una bellissima ragazza senza dubbio mi ricordava tanto una persona, una persona importante di cui non ho mai raccontato a nessuno. Drizzle. Pioggerellina. Quel fulmine a ciel sereno che aveva illuminato la mia vita. Raccontare di lei mi faceva troppo male, pensare a lei mi distruggeva e parlare di lei mi faceva soffrire come un cane. Mi distolsi dai miei pensieri e ritornai alla realtà. 
« Lei è Violetta » disse Alex scostando uno sgabbellino per farla sedere, la ragazza mi osservò con aria timida e io al suo stesso modo. Quegli occhi così profondi mi facevano ricordare lei, le labbra sottili e carnose solo a guardarle mi davano la sensazione di poter toccare di nuovo le sue labbra. 
« P-piacere Leon » dissi per poi porgerle la mano, lei con delicatezza me la strinse.  
Le sue mani erano morbide e lisce, avevo sempre avuto un debole per le mani morbide. 
« Violetta » si presentò per poi ritirarsi la mano. « B-bene che ordinate ? ». La giornata proseguì. Tra Tomàs, la musica classica, e il clienti un pochino scoccianti andò bene. 
Solo dopo aver pulito l'ultimo bicchiere mi venne in mente mia madre. Si sarà calmata ? Non oso pensare a cosa sia successo dopo e cosa sia successo a mio padre per averla staccata dal mio corpo e avermi portato via. 
Una cosa era certa Tomàs mi faceva paura. So che non c'entrava niente con il discorso di prima ma era seduto difronte a me bevendo un frullato come se stesse girando un film porno, la cosa peggiore fu quando finì il frullato e si leccò l'indice sporco di cioccolato, rimasi scioccato peggio di quando la chiattona della scuola Loren Laren ( premio Oscar ai genitori per il nome ) mi disse: « Questa sera sono sola a casa » e io le risposi « E chiudi bene la porta». Me la immaginai ballare su un palo e la mia mente realizzò solo una Porchetta mentre cuoceva, un immagine rivoltante, quella di lei non quella della porchetta. 
La cosa più intusiasmante di quella giornata fu la conoscenza di Violetta. Una ragazza anzi no La ragazza purtroppo di Alex. Quella ragazza mi ricordava così tanto Drizzle, la mia Drizzle. La mia gioia e il mio dolore. Feci un sospiro e continuai a pulire il bancone.





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