post coming out
Alec era lì, seduto sul divano con le ginocchia al petto e la
faccia nascosta tra le braccia conserte. Ogni tanto le sue spalle
sussultavano, e nemmeno le richieste di coccole del Presidente Miao
sembravano aiutarlo.
Magnus si sedette accanto a lui e lo abbracciò.
- Hai fatto la cosa giusta, - gli disse. Qualche ora prima, Alec aveva
parlato con i suoi genitori di ciò che era, e a quanto
pare non ne erano stati molto entusiasti. Sua madre sembrava
sprofondata in uno stato catatonico, mentre suo padre gli era tuonato
contro riversandogli addosso parole orrende. Sei il fallimento di questa famiglia, mi hai deluso, non sei più mio figlio, e
via dicendo. Il ragazzo aveva incassato tutto, serrando i pugni, e si
era trattenuto finché aveva potuto. Poi si era precipitato per
strada ed era corso dallo stregone, nonostante fosse notte fonda. Si
era incollato al citofono e quando Magnus aveva aperto la porta ed era
comparso in cima alle scale, lo aveva trovato in lacrime che cercava di
spiegargli cosa era successo. Non lo aveva mai visto così, e
provò una breve, ma intensissima scarica di odio per quei
rincoglioniti dei Lightwood che lo avevano ridotto in quel modo. Si era
ripreso subito però. Non era il momento di odiare, era il momento di aiutare. Lo aveva condotto in casa, lo aveva fatto sedere, gli aveva fatto una camomilla. Alec era a pezzi.
- Ti... Ti dispiace se resto u-un po' da te? - aveva chiesto, esitando,
come se temesse di disturbare. Si era appena visto voltare le spalle
dai propri genitori, e Magnus capiva benissimo quanto potesse sentirsi
perso.
- No, non mi dispiace affatto, anzi. Avevo intenzione di chiedertelo,
prima o poi. Alexander, voglio che questa sia anche casa tua, - gli
aveva detto lo stregone, abbracciandolo forte. Il cacciatore aveva
preso volentieri quella stretta. Si sentiva nell'occhio del ciclone e
Magnus era l'unico punto fermo in mezzo a quel disastro. Si
lasciò andare, si sfogò fino a non avere più
forze. Le parole di suo padre ancora gli rimbombavano in testa.
Era riuscito a farlo sentire sporco, sbagliato, difettoso. Non
bastava che avesse passato tutta la vita sentendosi insignificante, no,
suo padre ci aveva messo il carico da undici. Alec pensò a come
si era sempre sentito prima di incontrare Magnus e a come si era
sentito dopo. Magnus lo considerava, lo accettava, lo voleva
così com'era. Non aveva mai cercato di cambiarlo, non lo aveva
mai fatto sentire a disagio.
Magnus lo aveva reso felice.
E ora, suo padre gli veniva a dire che quella felicità era
sbagliata. Che, piuttosto che un figlio felice, ne avrebbe preferito
uno infelice ma bravo a fingere, intrappolato in una vita che non gli
apparteneva.
Alec si sentiva uno schifo. Non voleva permettere alla voce insistente
di suo padre di rovinare quello che aveva costruito. Sentì
Magnus accarezzarlo, e gli fu grato per la dolcezza con cui lo aveva
accolto. Non avrebbe saputo dove altro andare. E poi, era proprio di
Magnus che aveva bisogno. Magnus che lo sosteneva e lo avrebbe
sostenuto sempre.
- Hai fatto la cosa giusta, - gli ripeté il più grande, baciandolo sulla testa.
Alec si asciugò le guance con due dita. - Lo so, - rispose, - ma fa male...
Lo stregone cercò il suo sguardo. E sentì una fitta da
qualche parte, quando lo trovò. Le uniche lacrime che gli occhi
bellissimi di Alexander dovevano conoscere, pensò, erano quelle
di gioia. Non meritava affatto una tortura simile.
- Passerà, fiorellino, te lo prometto, - gli disse, con un tono
dolce che lo calmò immediatamente. - Ci vorrà del tempo,
magari, ma passerà. Voglio che tu sappia una cosa, però,
qualcosa che rimarrà per sempre immutata, qualunque cosa accada.
Alec tirò su col naso. - E cioè? - chiese timidamente.
Lo stregone gli sfiorò la guancia. - Che io sarò sempre
dalla tua parte. E che ti amo con tutta l'anima, Alexander Lightwood.
Magnus vide gli occhi del suo Nephilim riempirsi di nuove lacrime.
- ... Ti amo anch'io, Magnus Bane... Non sai quanto... - singhiozzò appena, stringendosi nelle spalle, come a dire: "Non posso farci nulla, sono fatto così". Lo
stregone lo attirò verso di sé e insieme si distesero sul
divano. Alec gli sembrava così fragile, in quel momento, che
aveva paura di fargli male semplicemente stringendolo troppo. Lo
accarezzò e gli parlò finché non fu troppo stanco
persino per piangere.
- Aku cinta kamu, - gli disse all'orecchio. - Non te lo scordare mai, fiorellino.
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