L’ADEPTO
DEL
SIGNORE DELLA LUCE
Quella
notte faceva freddo perfino per Agnus. Troppo freddo.
Agnus
veniva dal continente occidentale, oltre il Mare Stretto, e di inverni
ne aveva
visti pochi, ma su nel Nord anche le estati rischiavano di ghiacciare
il culo
anche a mezzogiorno – o perlomeno così diceva suo
fratello Rickon. Agnus
sorrise mestamente al ricordo di quelle parole, pensando a quanto
ghiaccio
fosse invece penetrato nella testa del secondogenito di lord Robin
Tallhart per
fargli prendere le armi contro la sua stessa famiglia nella rivolta di
Balon
Greyjoy; per fortuna gli altri figli del defunto lord Robin si erano
dimostrati
più assennati di lui, impedendo che Rickon prendesse il
potere che sarebbe
spettato al maggiore Hellman e regnando rettamente su Piazza di Torrhen.
Rabbrividendo
per quel gelido vento improvviso, Agnus si chiese se
nell’albero genealogico
della famiglia fosse rimasto il suo nome accanto a quello di Hellman e
del
terzogenito Leobald o se invece avesse subito la stessa sorte di
Rickon.
“Orgoglio e libertà” recitava lo stemma
della famiglia, ma Agnus era abbastanza
certo che nel tempo i Tallhart avessero dimenticato le parole che
seguivano la
prima.
Nella
sala grande del tempio erano stati accesi i bracieri come ogni notte,
in
sostituzione ai grossi fuochi che ardevano ogni tramonto tra quelle
pareti e
che ormai si erano sopiti. Le fiamme risplendevano donando alle pallide
pareti
di pietra liscia un riflesso dorato e le colonne poste al centro della
sala si
innalzavano verso l’alto soffitto rosse come roghi offerti in
sacrificio al
Signore della Luce che in quel tempio veniva venerato.
Non
era il solo dio per il quale nella cosmopolita Braavos erano sorti
templi e
altari. Oltre al Tempio Rosso in cui pregava Argus, c’erano
la Casa del Bianco
e del Nero, eretta per il Dio dai Mille Volti, e il santuario dedicato
ai
Cantori della Luna, coloro che spinsero la popolazione a costruire la
città in
quel punto che in futuro si sarebbe rilevato di grande importanza ed
efficacia
per le rotte commerciali.
Per
un secolo l’esistenza della città di Braavos
– denominata Città Segreta – fu
mantenuta
nascosta al popolo del continente orientale e per tre ne fu celata la
posizione, fino a quando la caduta di Valyria non convinse la gente di
Braavos
a uscire dalla riservatezza. Si diceva, un tempo, che il gigantesco
Titano
posto all’entrata della baia che univa al Mare Stretto le
cento isole di cui
era composta la città prendesse vita per proteggere i
braavosiani da attacchi
nemici; ancora adesso c’era chi raccontava che, durante le
notti di plenilunio,
il Titano di pietra si nutriva della carne delle giovani vergini. Agnus
era fin
troppo abituato a sentire certe frottole per spaventarsi, ma Prymus
sosteneva
che fosse quella leggenda il motivo per cui nella città
c’erano così tante
puttane.
Prymus
gli ricordava suo fratello Rickon: entrambi trovavano da ridere per
ogni
aspetto della vita, dalle donne partorienti che urlavano più
di un soldato sul
campo di battaglia alle grasse oche ricoperte di mele e noci che
venivano
servite a cena, dai bambini che mendicavano per strada ai precetti che
i
maestri avevano cercato di inculcare loro; la sola differenza tra i due
risiedeva nel modo di reagire. Prymus lanciava una monetina ai poveri
orfanelli
e, quando possibile, li portava con sé al tempio del Dio
Rosso per farne nuovi
adepti, mentre Rickon avrebbe continuato a ridere loro in faccia.
Entrambi,
però, avevano barba nera e lunghi capelli folti, a
differenza di Agnus che
teneva la testa ben rasata e un ordinato pizzetto sul mento –
che gli aveva
fatto guadagnare da parte di Prymus il nomignolo di Caprone Nero. A lui
non
dispiaceva.
Gettò
un’occhiata al braciere più vicino e si accorse
che il fuoco si stava
esaurendo. Raggiunse in fretta la sottile porticina di legno a un lato
della
sala, tolse il chiavistello e raccolse dei rametti secchi, stringendosi
nella
veste rossa e pregando R’hllor che lo salvasse da un
raffreddore proprio in
quei giorni decisivi. Si portò una mano sulla fronte, ma era
difficile
stabilire se fosse calda con tutto il calore a cui era esposto.
Già,
pensò, tutto quel calore e nemmeno un soffio di vento: da
dove proveniva il
freddo che lo attanagliava?
Al
mattino la piazza di Braavos brulicava di mercanti, acquirenti, marinai
appena
approdati al porto e capitani in partenza, e dovevano esserci anche
prostitute
e schiavi tatuati, ma Agnus non vide niente di tutto questo:
udì solo il loro
vociare incessante, le urla dei venditori, le imprecazioni nelle lingue
orientali dei passanti che venivano derubati.
Dopo
il turno di guardia notturno ai bracieri, agli adepti del tempio
– qualunque
ruolo essi intendessero ricoprire in futuro – era permesso
riposare nei
dormitori comuni fino a quando il sole non si fosse completamente
levato in
cielo; in quel momento il Signore della Luce avrebbe vegliato su tutti
ed era
giusto che i suoi fedeli lo ringraziassero con preghiere e lavoro.
Quando
quell’ora arrivò, Agnus avvertì il
tocco poco delicato di Prymus sulle spalle,
seguito un istante dopo dalla sua voce roca.
«Il
Signore della Luce è giunto a salvarci dalle tenebre della
notte.»
«Perché
la notte è buia e piena di terrori»
recitò Agnus, dischiudendo lentamente gli
occhi impastati dal sonno.
Il
Signore della Luce era la sua divinità, eppure doveva ancora
abituarsi ad
accettare di buon grado i raggi del sole che investivano i suoi occhi
al
risveglio.
«Cosa
si dice nelle strade?» chiese, camminando verso la latrina e
slacciandosi le
brache.
Prymus
gli rispose dalla camera. «Il pesce è troppo caro,
Mathis continua a truffare i
suoi clienti, il porto è stracolmo di navi viola e sembra
che non ci sia nessun
commercio all’orizzonte. C’è perfino chi
sostiene che la Banca di Braavos sia
in debito con i Sette Regni. Ma nessuno parla del suo arrivo, se
è questo che
vuoi sapere.»
Era
quello che Agnus voleva sapere e tuttavia ancora non comprendeva il
motivo
della riservatezza che i sacerdoti del Tempio Rosso stavano mantenendo:
la
notizia di un visitatore di una tale fama come quello che sarebbe
giunto di lì
a pochi giorni avrebbe richiamato fedeli da tutte le Città
Libere, eppure i
seguaci del Signore della Luce si ostinavano a tenere il silenzio.
Indossò
la tunica rossa del suo sacerdozio e si sistemò il pizzetto,
radendo i pochi
millimetri di barba cresciuti nelle ultime ore. Sentiva Prymus parlare
da solo
nell’altra stanza, forse credendo che lui lo stesse
ascoltando, ma Agnus aveva
imparato da anni come rivolgere i pensieri a questioni più
importanti invece di
farsi riempire la testa dalle ciance dell’amico. Questioni
come i preparativi
per gli ospiti in arrivo, l’istruzione dei nuovi adepti, cosa
avrebbe trovato
sui tavoli della mensa quando sarebbe sceso a mangiare. I suoi occhi
piccoli e
stretti e la bocca sottile contribuivano, oltre al pizzetto, a dargli
un
aspetto morigerato, ma il ventre gonfio non diceva lo stesso: Agnus
amava
mangiare sopra ogni altra attività, eccetto venerare il Dio
Rosso. Per la sua
famiglia, evidentemente, questa eccezione rappresentava un male.
“Avrebbero
preferito che mi imbottissi la pancia di montone e birra, pur di
vedermi poi
prostrare di fronte ai loro dei.”
«Sei
pronto, Caprone Nero?» lo chiamò Prymus.
«L’agnello non aspetta.»
Quelle
parole sovrastarono i pensieri di Agnus e lo colpirono allo stomaco,
che sentì
gorgogliare. Riordinò il letto e le proprie cose e,
intrecciando le braccia
sotto le lunghe maniche della tunica rossa, lasciò insieme a
Prymus il
dormitorio per raggiungere la mensa. Avvertiva ancora quella sensazione
di
freddo.
«Ti
senti bene?»
«Sì,
sono solo stanco.» Si sfregò la fronte.
«Detesto passare la notte a vegliare
sul fuoco.»
Prymus
gli diede una pacca sulla spalla. «Questa sera il tuo morale
raggiungerà le
stelle!» gli promise. «Faremo visita ad Aislin,
sono settimane che non la
vedo.»
Agnus
storse il naso, mentre attraversarono la sala grande e i bracieri
accesi. Un
altro prete rosso lo salutò con un cenno del capo e lui
rispose meccanicamente:
«Che il Signore della Luce ti protegga. Prymus, non so se ne
ho voglia.»
Non
ne aveva mai voglia e Prymus lo sapeva bene. Forse,
ipotizzò, continuava a
proporgli quelle uscite per ridere della sua reazione, come stava
facendo in
quel momento. Erano passati anni da quanto Agnus aveva deciso di
lasciare i
Sette Regni per unirsi al credo del Signore della Luce nelle
Città Libere, dove
era maggiormente venerato, tuttavia stentava ancora a comprendere la
scelta del
tempio di formare prostitute e guerrieri, oltre a preti rossi.
«Chiede
di te, lo sai?» lo punzecchiò Prymus.
«“Non l’hai portato con te, il Caprone
Nero? Mi manca accarezzare il suo pizzetto.” Avanti, Agnus,
quella non vede
l’ora di vedere come stai messo là
sotto!»
«Prymus.»
Agnus si bloccò per guardarlo negli occhi. «Non
sono parole che dovrebbero
uscire dalla bocca di un prete rosso.»
«Alcuni
di noi si ubriacano, altri scopano. Altri ancora sacrificano vittime
innocenti.
E sì, sto parlando del nostro futuro ospite.»
Prymus gli puntò l’indice contro
il volto per impedirgli di interromperlo. «La sola cosa che
conta è la lealtà
verso il Signore della Luce, che combatte le tenebre e
l’oscurità.»
«Perché
la notte è buia e piena di terrori»
recitò Agnus, arrendendosi. Non sarebbe mai
riuscito a fare capire a Prymus il suo punto di vista, ma
d’altra parte era
difficile anche per lui comprendere quello dell’amico.
Superarono
le cucine ed entrarono nella mensa, dove gli altri adepti al culto del
Dio
Rosso stavano desinando. Lo sguardo di Agnus fu immediatamente
catturato dai
vassoi di pollo all’arancia, dalle scodelle di zuppa al latte
di mandorle che i
preti rossi si stavano passando, dalle uova ripiene contornate da
purè di
lenticchie, dalla ciotola di salsa di prugne e dallo sformato verde
ripieno di
spinaci e menta fresca. Il suo stomaco cominciò a brontolare
più sonoramente.
Nel
prendere posto tra gli adepti del tempio Agnus dovette ammettere a se
stesso
che Prymus aveva ragione. I suoi occhi neri furono catturati da Benjen,
un uomo
sulla quarantina che aveva le guance già tinte di rosso e
innalzava gioviale il
bicchiere pieno di vino rosso per brindare a qualcosa che Agnus non
riuscì a
sentire, ma immaginò essere una scusa per potere bere un
altro sorso. Accanto a
lui sedeva il vecchio e austero Dwight, intento a tagliare il pollo in
fette
sottili e ad assaporarlo lentamente, godendo di un piacere che, dopo i
decenni
passati nel tempio, ancora doveva sembrargli effimero rispetto ai gatti
sporchi
che catturava nelle vie di Braavos da ragazzo. Gleen di Lys era ben
diverso da
lui, con i suoi denti bianchi sempre in mostra e la battuta pronta,
almeno
quanto lo era Faron il Nero, un giovanotto proveniente dalle Isole
dell’Estate
che mangiava il suo pasto in fondo al tavolo, apparentemente affetto da
una
straordinaria dose di timidezza e riservatezza, ma che la notte, a
sentire le
giovani prostitute che frequentava Prymus, era in grado di soddisfare
anche
l’appetito più fine.
I
seguaci del Signore della Luce erano vari e ciascuno era dotato di un
particolare vizio, però quello che importava era la
devozione che mostravano al
dio. Nessuno di loro avrebbe rinunciato alla propria passione per
l’ordine di
un chissà quale signore dell’est o
dell’ovest; allo stesso tempo tutti
l’avrebbero fatto senza neanche rimuginarci in un baleno se a
chiederlo fosse
stato il Signore della Luce o un suo alto sacerdote.
“Chissà,
domani potrebbe anche succedere.”
I
canali svincolavano tra le abitazioni di Braavos, che si allungavano
verso il
cielo fino al quinto piano. Pur nel buio della sera, Agnus riusciva a
distinguere i tetti di tegole e a ricordare il chiarore della mura:
avrebbe
potuto dire quale sfumatura di colore avesse la casa
dell’anziana Gretta o
quando sarebbe apparso il palazzo galleggiante di Denzil
l’Usuraio, che
praticava il suo mestiere nelle piazze, alla luce del sole, e al calare
della
notte si spostava nei bordelli e nelle locande. Ormai Agnus viveva a
Braavos da
un tempo abbastanza lungo da permettergli di riconoscere ogni canale e
ogni
stradina, di scivolare nelle tenebre come uno degli uomini senza volto
addestrati nella Casa del Bianco e del Nero e di tornare al tempio con
le
proprie gambe anche quando alzava un po’ il gomito.
Quella
città sapeva di casa. E di pesce, del miagolio di gatti,
delle navi viola dei
mercanti.
Il
bordello in cui la giovane Aislin esercitava, come si divertiva a
chiamarla
Prymus, la sua “sacra professione” era noto a ogni
braavosiano e, nonostante la
varietà di templi e religioni presenti sulle isole, reputato
un’ottima fonte di
guadagno per la città e quindi meritevole di essere
collocato all’interno di
una delle più rinomate taverne del luogo.
Quando
Prymus spalancò la porta del Veliero Viola,
perciò, Agnus non si stupì di
trovare allegre e voluttuose prostitute aggirarsi tra i tavoli dove
sedevano
rispettosi maestri e septon, banchieri con il solo vizio del gioco
d’azzardo,
bardi dalle preferenze sessuali note a tutti. In fondo alla sala Benjen
agitò
goffamente un braccio per indicare la sua posizione e i due preti rossi
si
mossero tra la folla per raggiungere il suo tavolo.
«Che
il Signore della Luce vi ringrazi» esclamò mentre
Agnus e Prymus si sedevano.
«Pensavo che avrei passato la sera a bere da solo.»
«Non
c’erano Glenn e Faron con te?» chiese Prymus,
ammiccando nel frattempo a una
prostituta dalla pelle color ebano.
«Aye,
ma ora sono in piacevole compagnia di due onorevoli ragazze.»
Benjen mandò giù
un lungo sorso di birra scura, poi alzò di nuovo la mano per
far cenno al
locandiere dalla faccia butterata di venire a prendere le loro
ordinazioni. «E
mi hanno lasciato qui a ubriacarmi e grattarmi le palle mentre loro se
le fanno
leccare da quelle puttane.»
«Pensavo
ti piacesse farlo.»
«Cosa?
Ubriacarmi o grattarmi le palle?»
«Entrambe.»
La
risata di Benjen fu roca e interrotta da colpi di tosse che lo
costrinsero a
sputare residui del suo pasto. Il locandiere, che aveva un nome troppo
complicato
perché gli avventori del suo locale potessero ricordarlo e
che tutti chiamavano
Rospo, si avvicinò al tavolo e posò uno straccio
bagnato sul legno.
«Birra?»
«Vino
dorniano per me e birra scura per il mio amico» rispose
Agnus. «Che c’è per
cena?»
Rospo
si grattò il brutto mento. «Merluzzo in agliata,
fave fresche con brodo di
carne e pere allo sciroppo.»
«Il
merluzzo e le pere andranno bene.»
«Io
prendo una porzione di fave» ordinò Prymus.
«Portamele insieme alla birra.»
Il
locandiere li lasciò con un rigido cenno del capo e al suo
posto comparve il
sorriso smagliante di Glenn, che stringeva tra le braccia una
prostituta dalla
fluente chioma corvina. Si sedette accanto a loro e la
adagiò sulle proprie
gambe, ridendo a qualche battuta che lei aveva appena sussurrato al suo
orecchio.
«Non
ci crederò mai, lo sai» le disse, dandole una
pacca sulla coscia nuda. La gonna
si apriva a metà, lasciando interamente scoperta una delle
gambe sottili. «Alla
fine sei venuto anche tu, Caprone Nero! Aislin sarà felice
di saperlo.»
Agnus
fece una smorfia divertita, ma decise di non affrontare la questione.
Ogni
volta che si recava al Veliero Viola con gli altri adepti del suo
tempio, lo
attraversava come aveva fatto quella mattina il dubbio che nessuno di
loro
avesse preso i voti sul serio. Rimuginò sulla questione per
un’altra manciata
di minuti, mentre Prymus, Benjen e Glenn discutevano di una nave del
continente
occidentale attraccata solo un’ora prima al porto di Braavos,
finché Rospo non
tornò con merluzzo, pere e fave e lui dovette ricordare a se
stesso di essere a
sua volta preda dei vizi.
«Ehi!»
gridò Prymus, contrariato. «Ti avevo detto di
portarmele insieme alla birra,
perché qui non c’è niente? Vuoi che mi
strozzi con le tue fave?»
«La
birra è qui» rispose una voce musicale alle spalle
di Agnus, allungando il
boccale schiumoso sul tavolo. Pochi istanti dopo anche davanti a lui
apparve un
braccio pallido e lentigginoso che poggiò una brocca di vino
rosso. Un leggero
bacio si posò sulla guancia del prete rosso. «Sono
felice che siate venuti a
trovarmi. E sono in particolar modo felice di vedere te, mio bel
Caprone Nero.»
Aislin
aveva solo diciassette anni, ma nel Tempio Rosso era stata educata ai
piaceri
della carne così bene da diventare una delle più
richieste prostitute del
Veliero Viola. Oltre agli insegnamenti ricevuti, che la rendevano in
grado di
effettuare contorsioni che le altre donne del bordello avevano tentato
invano
di emulare, a renderla famosa erano anche il corpo snello e la cascata
di
capelli rossi; le lentiggini sulle braccia e tra i seni erano appena
accennate,
ma diventavano più evidenti sul volto, creando una striscia
lungo le guance e
il piccolo naso. I suoi occhi verdi penetravano Agnus e gli altri
avventori
della taverna come se lei fosse in grado di scrutare ogni segreto
nascosto all’interno
delle loro menti e il modo in cui si mordicchiava le labbra carnose
faceva
diventare duro il pene del prete rosso, che dovette distogliere in
fretta lo
sguardo da lei.
«Aislin,
tesoro!» esclamò Prymus, dandole una giocosa pacca
sul sedere.
«Tieni
a posto le mani, Prymus, il Rospo sarebbe capace di tagliartele se non
paghi»
replicò lei con una risatina. Si sedette accanto ad Agnus e
rubò una fetta di
pera dal suo piatto, gli occhi verdi illuminati come quelli di una
bambina; era
più facile per lui ricordarla al tempio, quando smetteva per
un momento il suo
ruolo di prostituta e riprendeva a comportarsi come la ragazzina
spensierata e
golosa che lui aveva conosciuto. «Avete sentito la
novità?»
I
preti rossi si scambiarono un’occhiata incerta. Possibile che
la notizia fosse
trapelata oltre le mura del Tempio Rosso? Aislin aveva vissuto
lì, ma aveva
smesso di far parte di quel mondo e di certo la prostituta che
insinuava la
mano sotto le brache di Glenn non avrebbe dovuto annuire, ma aspettare
che
l’altra concludesse il discorso.
“Sarà
stato Faron a rivelare della sacerdotessa?” si chiese Agnus.
Scosse comunque il
capo, attendendo il resto.
Aislin
si sporse sul tavolo, lanciò uno sguardo divertito e
sensuale a tutti i presenti
e sussurrò: «L’ho saputo dalla nave che
è arrivata stasera. Da uno dei marinai,
un gran bell’uomo che ho avuto il piacere di conoscere
abbastanza a fondo.»
Fece una pausa, poi continuò: «La regina ha avuto
un altro figlio.»
Agnus
tirò un sospiro di sollievo e notò che la
tensione si era alleggerita anche
negli altri adepti seduti al tavolo; Glenn si tranquillizzò
così tanto che
cominciò a ricambiare le attenzioni della sua prostituta,
giocando con uno dei
suoi seni.
«È
il terzo, se non sbaglio» osservò Agnus.
«Già,
e so anche come si chiama! Tommas, o qualcosa giù di
lì.»
«Tommen»
la corresse l’altra prostituta prima di emettere un gemito di
piacere.
«Cybele,
per il Dio Rosso, prendete una stanza!» la sgridò
ridendo Aislin. «Sono così
felice di saperlo! Non mi cambia la vita, ma ora ben due
possibilità di
diventare regina dei Sette Regni.»
«Aislin,
questo Tommen ha diciassette anni meno di te!» gli fece
notare Prymus. «Per
quando ti sarai fatta strada fino in occidente, ti reputerà
una vecchia
decrepita.»
«Allora
vorrà dire che le darò in sposa mia figlia. Se la
concepirò stanotte, per età
andrà bene sia per Tommen che per Joffrey.»
Guardò Agnus, posò una mano sulla
sua coscia e gli ammiccò. «Vuoi darmi una
mano?»
Il
tramonto illuminava l’intera città di Braavos, ma
il rosso che si stagliava nel
cielo dal tempio del Signore della Luce era originato da un fuoco
perenne posto
in cima al torrione. Le fiamme avevano lo stesso colore della pietra
del tempio
e di quelle che bruciavano ai lati del portone principale, tuttavia
ardevano
più splendenti, rendendo omaggio al sole che stava
tramontando. Allo stesso
modo i preti rossi stavano accendendo dei roghi di legna secca che
facessero
sentire al sicuro dalle tenebre della notte i fedeli del Dio Rosso.
Agnus
era agitato. Una Mano di Fuoco, uno dei guerrieri istruiti presso il
tempio con
il compito di vegliare su di esso, era arrivato al galoppo di uno
stallone nero
pochi minuti prima, recendo con sé la notizia
dell’arrivo della visitatrice e
della sua scorta. Non era l’unico prete rosso in visibile
stato di nervosismo:
Prymus si stava torcendo le mani e Benjen tentava di allentare la
stretta
dell’abito intorno al collo.
Nessuno
di loro aveva mai visto la sacerdotessa di Asshai, ma tutti ne avevano
sentito
parlare.
Quando
la sua scorta apparve, la donna fu visibile anche se la sua cavalla
procedeva
dietro gli altri destrieri. Era l’unica a indossare una lunga
veste rossa e a
portare sul collo un grosso rubino simbolo del sacerdozio. Con la coda
dell’occhio, Agnus vide le ginocchia di Benjen tremare.
La
giumenta si fermò di fronte al sacerdote di Braavos,
l’anziano e canuto
Thorburn, e ad un cenno della donna la sua scorta si
allontanò di qualche
metro. Solo un cavaliere rimase indietro per aiutarla a scendere da
cavallo.
«Il
Signore della Luce vegli su tutti noi» esordì la
sacerdotessa.
Thorburn
chinò il capo in segno di reverenza.
«Perché la notte è buia e piena di
terrori.»
Melisandre
di Asshai aveva un aspetto minaccioso e magnifico. I suoi capelli erano
rossi
come quelli di Aislin, ma del colore del rame, e il suo volto privo di
imperfezioni era molto meno rassicurante di quello della giovane
prostituta,
sebbene avrebbe attirato gli sguardi di molti uomini oltre che quelli
dei seguaci
del dio. Gli abiti erano larghi, ma rivelavano che sotto doveva esserci
una
figura alta e snella, dal petto e i fianchi formosi; i suoi occhi, che
brillavano sul viso pallido a forma di cuore, erano scarlatti come le
vesti e
il rubino. Quando parlò, la sua voce parve provenire da un
altro luogo, un posto
a cui solo pochi era concesso di accedere.
«Spero
che sia stato un buon viaggio» riprese Thorburn. La sua voce,
al confronto,
parve quella di un bambino.
«La
strada da Asshai delle Ombre è molto lunga, ma il Signore
della Luce ha reso il
nostro cammino meno impervio. Stavate pregando?»
«Eravamo
in procinto di farlo. Ti unisci a noi o preferisci riposare un
poco?»
«Ti
ringrazio, ho bisogno di rinfrescarmi. Pregherò
più tardi nella sala grande.»
«Uno
dei miei adepti ti scorterà nelle stanze che ho fatto
preparare per te. Tu.»
Agnus sussultò vedendosi indicare da Thorburn di Braavos, ma
riuscì a
controllare la propria agitazione. «Accompagnala nel tempio e
assicurati che
abbia ciò di cui ha bisogno.»
Agnus
annuì e attese che Melisandre si avvicinasse. La donna si
rivolse allora a
tutti i presenti.
«Ringraziate
il Signore della Luce per la giornata trascorsa e pregatelo di inviare
al
mattino la splendente lancia del sole che sconfiggerà le
tenebre.»
«Perché
la notte è buia e piena di terrori» recitarono
insieme i preti rossi.
Melisandre
li superò, camminando a fianco di Agnus. Ora che era accanto
a lui, si rendeva
conto che avevano quasi la stessa altezza; quando lei voltò
il capo per
parlargli, però, Agnus dovette sollevarlo perché
si sentì improvvisamente più
piccolo della sacerdotessa.
«Il
tuo nome?»
«Agnus,
per servirla. Agnus di Piazza di Torrhen.»
«Vieni
dai Sette Regni, quindi.»
«Mio
padre era alfiere di lord Eddard Stark, protettore del Nord. Ora
è mio fratello
a occuparsi del castello.»
Melisandre
lo penetrò con lo sguardo allo stesso modo in cui Aislin
amava fare con tutti,
ma il brivido che percorse la schiena di Agnus gli rese evidente che
lei aveva
visto più di quanto avesse mai fatto la giovane. Il restante
tragitto verso le
stanze destinate alla sacerdotessa trascorse in silenzio e lui
poté udire la
sua voce altisonante solo quando furono all’interno della
camera.
«Aspetta
un momento» gli disse prima che Agnus potesse congedarsi per
unirsi agli altri
preti rossi in preghiera. Lasciò che due servitrici
l’aiutassero a disfarsi
della cappa e del mantello e che le riempissero un recipiente di acqua
con cui
lavarsi, poi chiese loro di lasciarla sola con lui.
«Agnus
Tallhart.» Sembrò un’osservazione
più che una domanda. Il rubino sul suo collo
brillò di luce propria e Agnus dovette sbattere le palpebre
per essere certo di
non avere avuto una visione. «Quarto e ultimo figlio di lord
Robin Tallhart,
secondo a disonorarlo.»
Quelle
parole lo infastidirono, ma non aveva il coraggio necessario per dirlo
a una
persona dalla tale autorità. Melisandre fece scorrere la
punta delle dita sulle
sue spalle, camminando dietro di lui per raggiungere il braciere acceso
in un
angolo.
«Sei
molto devoto al Signore della Luce. In passato lo sei stato tanto da
rifiutare
il credo della tua famiglia e prendere il rosso.»
«È
così» confermò Agnus. Le fiamme del
braciere parvero danzare davanti ai suoi
occhi.
«Eppure
il Signore della Luce non ti ha mai ricompensato, è questo
che pensi. Non ti ha
mai concesso l’onore di vedere la vita tornare nel corpo di
chi ha ricevuto da
te l’ultimo bacio, non hai mai potuto scrutare nelle
menzogne, non sei stato in
grado di conoscere il futuro.»
“Come
fa a saperlo?”
Forse
erano parole che rivolgeva a tutti i preti rossi che aveva incontrato
sul suo
cammino: Agnus poteva facilmente immaginare che gran parte degli adepti
del
Signore della Luce ardeva dal desiderio di possedere i poteri che un
tempo si
manifestavano in ogni prete rosso e che, nel passato, aveva portato
alla morte
alcuni di loro perché accusati di praticare stregonerie.
Tuttavia la
sacerdotessa gli dava la sensazione di sapere più di quanto
lui credeva
possibile.
«Avvicinati.»
Agnus
fece un passo avanti e raggiunse il braciere che Melisandre stava
fissando
intensamente. La sua fronte era attraversata da una sottile ruga di
concentrazione, ma non c’era in lei alcun altro segno di
sforzo: si limitava a
osservare il fuoco come se vi vedesse altro oltre le fiamme.
«Guarda.»
Anche
gli occhi neri di Agnus si puntarono sul fuoco. E quello che vide dopo
qualche
secondo lo fece indietreggiare.
«Non
è possibile» mormorò.
Melisandre
gli rivolse un sorriso denso di mistero. «Lo è,
Agnus di Piazza di Torrhen. E
il Signore della Luce ti ha appena concesso di scrutare nel
futuro.»
«Quello…
quello era…»
«“Verrà
un giorno dopo una lunga estate, in cui le stelle sanguineranno e
l’alito
freddo delle tenebre calerà pesantemente sul mondo. In
queste ore terribili, un
guerriero dovrà trarre dal fuoco una spada ardente e quella
spada sarà la
Portatrice di luce, la Spada Rossa degli eroi e colui che la
stringerà sarà
Azor Ahai tornato al mondo e le tenebre fuggiranno davanti a
lui.”» Lo guardò
di nuovo e il suo sorriso si allargò. «Porta
sempre con te il ricordo di questo
dono: Azor Ahai sta per risorgere dal buio.»
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