- Signore...
Ken non rispose. Quella notizia aveva confermato tutte le sue
preoccupazioni. Tutte le supposizioni si erano rivelate esatte. E la
colpa era tutta sua. Era lui il responsabile del reparto tecnologico
dell'azienda, e ciò che era successo era una sua
responsabilità. Ma era qualcosa di troppo grande per poterlo
sopportare da solo.
- Signore?
Ken si riscosse dal torpore nel quale era caduto, ricordandosi
finalmente che non era solo.
- Vuole che le porti qualcosa?
- No no, puoi andare Takami, grazie.
- Mi faccia sapere se ha bisogno di qualcosa, signor Sugimori.
Takami uscì dalla stanza, lasciando Ken da solo con i suoi
pensieri. Se quello che l'assistente gli aveva riferito era vero,
doveva assolutamente discuterne con Satoshi. Ma Satoshi odiava parlare
di quella cosa. D'altro canto era un problema grave, ed era solo e
unicamente colpa loro.
L'uomo si alzò, deciso. Che fosse volente o nolente, Satoshi
lo avrebbe ascoltato. Uscì dal suo ufficio, e si diresse a
passo spedito verso quello dell'amico. Appena aprì la porta,
si stupì di quello che vide. Satoshi gli dava le spalle,
stando fermo e immobile, rivolto verso la finestra. Apparentemente
stava guardando lontano, ma Ken capì subito cosa stava
facendo. Stava pensando. Sicuramente anche a lui era stata comunicata
la notizia.
- Ken...
Quindi Satoshi si era accorto della sua presenza. Era strano,
perché quando era assorto nei suoi pensieri niente e nessuno
lo potevano distogliere dalle sue idee. Si girò, e nei suoi
occhi c'era incertezza. Molta incertezza. La cosa era molto
più grave di quanto Ken pensasse.
- Quindi hai saputo.
Satoshi non rispose, ma annuì. Rimasero zitti entrambi per
un po', finché Ken decise di rompere il silenzio.
- Satoshi, questo è un problema grave. Non possiamo non far
nulla come ci siamo limitati a fare (o a non fare) fino ad adesso.
Bisogna prendere provvedimenti.
- Hai perfettamente ragione, Ken. Ma la colpa non è nostra.
Chi è che produce quegli apparecchi? La Nintendo. Noi non
c'entriamo nulla. Non è colpa nostra.
Quella riflessione colpì molto Ken. Non era da Satoshi. Lui
non avrebbe mai detto una cosa del genere, persino se ne fosse andata
della sua stessa vita. Ma si sa, la paura fa diventare l'uomo l'ombra
di quel che realmente è.
Ken non la prese bene.
- Non è colpa nostra?! Chi è che inventa i
"mostriciattoli", come li chiamano i produttori? Chi è che
nel '96 ha lanciato quello che oggi è uno dei più
grandi marchi che siano mai esistiti? E chi è... che ha
causato tutto?
Satoshi abbassò lo sguardo. Ken aveva assolutamente ragione,
ma non era solo ed unicamente una loro colpa. Certo, avevano creato
egli stessi quel target, ma non erano i responsabili della messa in
elettronica.
- A-anche la Nintendo ha delle responsabilità.
- Su questo hai ragione, ma la colpa è anche nostra.
Satoshi abbassò di nuovo lo sguardo, ma solo per un attimo.
- E quindi? Che vorresti fare? Uscire fuori e dire al mondo che cento
bambini sono scomparsi per colpa nostra? E poi che dovremmo fare?
Chiudere?
Stavolta fu Ken ad abbassare la testa. Satoshi aveva ragione. Sarebbero
stati rovinati se la gente avesse scoperto la verità. Ma poi
chi mai gli avrebbe creduto? Chi avrebbe dato credito alla storia di
bambini scomparsi all'interno di un videogame? "Nessuno",
sperò Ken.
- E quindi? - chiese - Che dovremmo fare?
- Aspettare e vedere, come abbiamo sempre fatto. - rispose calmo
Satoshi.
Ken non rispose, e si limitò ad uscire dall'ufficio.
- Ken...
Il richiamo dell'amico lo fece bloccare un attimo sulla soglia, ma alla
fine si decise ad andarsene. Puntò direttamente verso la sua
stanza, evitando gli altri colleghi. Non voleva parlare con nessuno.
Fece un brusco cenno a Takami, che nel suo vocabolario voleva dire "Non
voglio essere disturbato", e si chiuse a chiave dentro il suo ufficio.
Doveva pensare. Doveva pensare a ciò che aveva portato a
tutto questo. Dal 1996, ovvero dalla vendita delle prime cartucce dei
primi due giochi, erano cominciate le sparizioni. Non molte, circa
cinque o sei all'anno, ma erano comunque abbastanza da finire sotto
l'attenzione dei giornalisti. L'ultimo caso era avvenuto in Canada
appena due giorni prima. Ed era colpa loro.
La polizia trovava le scuse più varie: scappati di casa,
rapiti, oppure semplicemente stavano giocando un brutto scherzo. Ma
nessuno di loro tornava. Nessuno lo avrebbe fatto. Bastava un cavo
difettoso, un filo scoperto, una connessione scalibrata, un file
corrotto, un bug ad un punto nevralgico, ed era fatta. Bastava
intromettere una materia organica, e venivi preso. Da allora non venivi
più visto.
Fin dal 1997, quando i bambini scomparsi erano più di una
dozzina, era stata costituita un equipe segreta formata da staff della
Game Freak e della Nintendo, con l'intento di chiarire questa faccenda.
Era stato esaminato un esemplare di GameBoy Advance, ed erano stati
riscontrati tutti questi sintomi. Era per questo che l'apparecchio dopo
poco andò fuori produzione.
Le versioni nel corso degli anni si erano evolute, ma i problemi
persistevano, e le sparizioni continuavano. E nessuno degli scomparsi
avrebbe mai fatto ritorno. Tutti all'interno delle due aziende erano a
conoscenza della loro destinazione, ma non avevano né la
forza né il coraggio per dichiararlo pubblicamente. E poi
nessuno gli avrebbe creduto.
Era appena arrivata la conferma che i bambini erano arrivati a cento, e
a Ken faceva male questa cosa. La squadra esaminava le sparizioni caso
per caso, ed il verdetto era sempre lo stesso: preso dal gioco. Alcune
volte riuscivano a recuperare qualche cartuccia, e facevano dei test.
C'erano personaggi prima assenti, oppure mostri con comportamenti
anomali. Dovevano essere loro, per forza. I presi continuavano a
vivere, anche se non erano più salvabili. Erano condannati a
vivere lì dentro. Per sempre.
Da un idea dello stesso Ken alcuni anni prima era stata inventata una
nuova serie. Nei suoi progetti avrebbe dovuto onorare la memoria di
coloro che erano stati presi, ma nel corso del tempo si era andata a
perdere notevolmente. Era rimasto deluso anche da questo. Ed anche dal
comportamento tenuto dall'amico.
"E allora aspetteremo" pensò "Ma fino a quando? Col passare
degli anni da cento i bambini diventeranno duecento, trecento,
cinquecento, mille. Per quanto tempo dovremo tacere?".
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