.too
bright
Ushiromiya
Jessica non disprezzava l'idea di vivere su un'isola in sé,
ma non
tollerava proprio, entrando nello specifico, quella di vivere su
un'isola isolata, per l'appunto, come
Rokkenjima: minuscola, lasciata nella sua quasi totalità
allo stato
selvatico, fatta eccezione solamente per la villa di famiglia.
Per
una ragazza di diciassette anni, con tanti amici sulla terra ferma,
dotata della volontà di essere indipendente e libera negli
spostamenti, del forte desiderio di godere di tutte le
comodità
della città quali negozi, ristoranti, e di poter raggiungere
facilmente tutti i luoghi di ritrovo dei suoi coetanei, il fatto di
dover vivere su un'isola con un perimetro di soli dieci chilometri
circa, occupata quasi interamente dalla fitta foresta e distante
trenta minuti di barca a motore dalla città più
vicina, costituiva
un impedimento non irrilevante.
In circostanze simili, le era
preclusa quasi ogni possibilità di svago.
L'unica conseguenza di
quella situazione che - per fortuna e suo gran sollievo - non aveva
da temere, era il rischio concreto di non riuscire ad integrarsi con
gli altri ragazzi della sua età, che magari avrebbero potuto
vedere
in lei una ragazza schifosamente ricca destinata a succedere al capo
di una famiglia i cui componenti si erano completamente estraniati
dalla società civile formata dalle persone comuni
– se non dal
mondo intero! come il vecchio Padrone della villa, che sì,
si
vociferava passasse ore ed ore in un cupo studio praticando lugubri
riti di magia nera... -. Ma in fin dei conti, i membri del ramo
principale della gloriosa e nobile famiglia Ushiromiya vivevano da
soli su un'isola dalla
singolare
bellezza, interamente di loro proprietà esclusiva.
E si sa che l'eccessiva solitudine, talvolta...
Guardandola da
questa prospettiva, si sarebbe detto che Jessica, destinata ad
occupare il posto di capofamiglia al momento opportuno, fosse una
persona praticamente inavvicinabile. Il suo non era di certo un bel
biglietto da visita.
E di certo, i suoi compagni di scuola non
avrebbero potuto nemmeno immaginare lontanamente delle tremende
pressioni che questa realtà, sicuramente invidiabile dal
loro punto
di vista, le metteva addosso.
Jessica in quel momento non era
sicuramente la persona adatta a ereditare "la gloria e le
ricchezze della famiglia", perché giustamente presa dalle
cose
della sua adolescenza, alla quale non aveva assolutamente intenzione
di rinunciare per farsi gravo delle immense responsabilità
previste
dalla successione.
Eppure, sebbene sin dalla nascita tutto nella
vita sembrava remare contro il suo sincero desiderio di viverla in
maniera normale e spensierata – o almeno nella norma -, lei
ce
l'aveva fatta ugualmente ad inserirsi nell'ambiente scolastico, tra
gli altri ragazzi.
A farsi, sì, degli amici.
In fondo glielo
si leggeva negli occhi limpidi che era ben lontana dall'essere
viziata od arrogante, e se ne aveva conferma appena
apriva
bocca.
Jessie – come
usavano chiamarla i suoi amici -, era
riuscita nonostante tutto a farsi adorare subito, non appena entrata
al liceo. Una ragazza talmente energica, vivace, esuberante –
a
volte troppo -, sempre sorridente, nonché bella –
come la madre,
ripetevano tutti -, e talvolta tanto spontanea
da risultare non esattamente educata
(specie nel linguaggio), difficilmente poteva non ispirare una certa
simpatia ai suoi coetanei, e presto aveva acquisito una buona
popolarità.
Malgrado i modi poco femminili e di molto
dubbia
eleganza che facevano
storcere il naso ai suoi genitori, aveva sviluppato un fascino
proprio, per merito del quale era sicura che chi si avvicinava a lei
non lo faceva perché a conoscenza delle ricchezze possedute
dalla
sua famiglia.
Ma nonostante avesse ovviato con la sua spontaneità
a molti dei problemi che derivavano dalla sua condizione fuori dal
comune, ad altri sembrava impossibile trovare una soluzione.
Partendo
dal fatto di dover svegliarsi quasi all'alba per poter arrivare in
tempo a scuola, proseguendo con i rientri parecchio
anticipati
il sabato sera e tutti gli inviti declinati per forza di cose, e
terminando con il disagio di rischiare di rimaner bloccati da una
parte o dall'altra per più giorni di fila quando le
imbarcazioni
erano ferme per il mal tempo, si poteva dire che gli spostamenti, a
Jessica, risultassero tutto meno che comodi.
L'ultimo dei casi
citati era sicuramente quello che dava più grane alla
giovane.
Era
impensabile che perdesse un numero elevato di lezioni, lei che un
giorno avrebbe dovuto prendere in mano le redini della nobile
famiglia e che, pertanto, necessitava un'istruzione di alto livello;
dunque la soluzione era una: studiare sotto la guida di un insegnante
privato, da sola, quando rimaneva bloccata su Rokkenjima, cosa
frequente nella stagione delle piogge.
Il che non solo era triste,
ma le dava anche problemi a livello di apprendimento. In camera sua
le risultava difficile concentrarsi sui libri, con il richiamo
costante del lettore di nastri, del televisore, dei libri, dei
fumetti e delle riviste, che comunque la si guardasse, non sembravano
suggerirle esattamente di studiare.
...O almeno, non di
studiare materiale scolastico.
Così spendeva una consistente
percentuale del tempo che avrebbe dovuto dedicare allo studio, in una
lotta interiore per resistere alle mille tentazioni da cui era
circondata.
Jessica la viveva quasi con rassegnazione, ormai, e
faceva del suo meglio, anche se con risultati molto mediocri che non
rendevano per nulla soddisfatti i suoi genitori.
Non che i suoi
insuccessi scolastici fossero dovuti solo a quella difficile
situazione di semi-isolamento, per carità: Ushiromiya
Jessica era
una di quelle persone che prima o poi, inevitabilmente, durante lo
studio si perdono in pensieri frivoli o comunque di dubbia
utilità,
che con i libri di scuola non hanno molto a che vedere.
La mente
di una giovane della sua età, propensa alle fantasticherie,
risultava praticamente impossibile da imbrigliare per più di
quarantacinque minuti contati di orologio.
Che erano ovviamente
pochi, per una studentessa sotto esami.
Per quanto si rimpoverasse
da sé – in aggiunta alle lamentele degli
insegnanti e dei suoi
vecchi,
come usava chiamarli
-, e talvolta tentasse quasi di farsi letteralmente il lavaggio del
cervello da sola per darsi la determinazione necessaria, la
capacità
di concentrazione non era proprio una delle sue doti più
sviluppate.
Per ottenere risultati soddisfacenti, doveva impiegare
il doppio, in tempo ed energie, dei suoi compagni.
E come se tutto
questo non fosse difficile da gestire, alla già precaria
condizione
di equilibrio che aveva trovato negli anni delle medie, una volta
giunta al liceo, si era aggiunto lui.
...Il dolce
motivo dei frequenti rifiuti ai suoi ammiratori.
La distrazione
preferita di Jessica abitava con lei su Rokkenjima, ed era l'unico
elemento della sua vita sull'isola per per il quale non era ancora
fuggita da quel posto verso cui era tanto insofferente. Una
distrazione che richiedeva tempo e che di conseguenza ne toglieva
allo studio, anche se in questo caso Jessica non riusciva proprio a
provare rammarico.
Kanon era un membro della servitù silenzioso e
poco socievole, dall'aspetto delicato,
più giovane di lei di un paio d'anni. Si occupava, in
particolar
modo, del vasto giardino e del meraviglioso roseto che accoglieva i
visitatori che si recavano alla residenza di famiglia.
Dopo essere
stato cresciuto e istruito alla Fukuin House, l'orfanotrofio a cui
gli Ushiromiya versavano ormai da decenni ingenti somme di denaro in
beneficienza e che Kinzo Ushiromiya in persona dirigeva, aveva
iniziato a lavorare presso la ricca famiglia, come molti altri dei
ragazzi in uscita dalla Fukuin House. Questa prima esperienza
lavorativa su Rokkenjima era parte della loro educazione,
nonché il
primo passo per inserirli nella società, dal momento che per
quanto
si trattasse di un lavoro impegnativo, la paga era più che
ottima.
Probabilmente non appena Kanon avesse racimolato la somma necessaria
per andare avanti nel mondo del lavoro con le sue forze, anche lui si
sarebbe dimesso e avrebbe lasciato l'isola.
Sarà stato il fatto
che fosse l'unico suo coetaneo di sesso opposto sull'isola, o il suo
modo di fare scontroso e totalmente apatico ma in qualche modo
affascinante,
o ancora, i
lineamenti raffinati e non ancora del tutto virili, il tono di voce
lieve e pacato, i liscissimi capelli corvini e i profondi occhi
blu...
Fatto sta che anche una persona solare come Jessica aveva
letteralmente perso la testa per
il giardiniere introverso.
Non sarebbe stata una storia d'amore
incantevole, quella tra una lady e il suo misterioso nonché
bellissimo domestico,
in fondo?
Persino Jessica che, per quanto romantica e sognatrice
come tutte le giovani di quell'età, prima di allora non
aveva mai
pensato sul serio all'amore, e che di certo non aveva mai provato
qualcosa di neanche lontanamente simile, si ritrovava ad arrossire
facendo considerazioni simili.
...si può anche pensare che dopo
aver tanto vagheggiato il sentimento amoroso, a diciassette anni
compiuti, anche lei avesse forte curiosità di viverlo.
Anche
Jessica, insomma, voleva innamorarsi.
Vedendo poi le sue coetanee
alle prese con le loro prime, dolci relazioni, aveva avuto come la
sensazione di essere rimasta in qualche modo... indietro.
Non era
banale invidia, quella nel cuore di Jessica, nei loro confronti.
E
di certo non le importava che un ragazzo qualsiasi
notasse
le sue qualità; non avrebbe mai commesso l'errore di
alimentare le
speranze di chi non aveva fatto sbocciare in lei il sentimento
dell'amore pur di avere il fidanzato adorante di cui vantarsi in ogni
fantastica occasione mondana. Non le importava davvero di cosa la
gente pensasse di lei, finché il pensiero altrui riguardava
la sua
persona e non il suo denaro, dunque non avrebbe mai potuto nemmeno
concepire l'idea di trovarsi un ragazzo solo per essere meglio vista
dalle sue amiche ed avere qualcosa in più di cui parlare con
loro.
Ma se non fosse stata lei stessa fortemente innamorata di
qualcuno, guardando le altre ragazze insieme ai loro fidanzati, non
avrebbe sentito quella strana, nuova necessità...
...e quella
dolce e dolorosa fitta al cuore, al pensiero di voler il più
presto
ricevere le stesse attenzioni da...
Da un ragazzo di quindici
anni, bello, mite e affascinante come il mare di notte, di cui
portava il colore negli occhi.
Kanon-kun – aveva da subito
iniziato a chiamarlo con quel suffisso confidenziale -, era...
gentile con lei. Ma non come una ragazza innamorata vorrebbe. Forse
la parola giusta per definire il suo atteggiamento nei confronti di
Jessica era "garbato".
Alla giovane, Kanon-kun sembrava
così triste a volte, come se non solo non fosse in grado di
realizzare i propri sogni, ma nemmeno di dar loro voce...!
Jessica,
in quei due anni in cui Kanon aveva lavorato per la sua famiglia, si
era fatta moltissime domande su di lui.
Aveva qualche amico?
Magari dai tempi in cui frequentava la Fukuin House?
Non sembrava
aver legato con gli altri domestici, eccetto che con la vecchia
Kumasawa baa-chan, che doveva essere come una mamma chioccia per lui
e Shannon-chan, che considerava sua sorella; mentre a Genji-san
portava molto rispetto, ed era ben visibile dagli sguardi di
ammirazione che Kanon gli rivolgeva ed il tono più morbido e
quasi
docile con cui gli parlava.
Per il resto...
Sembrava molto
solo.
Jessica aveva dato per scontato che non gli piacesse poi
così tanto stare sulle sue – a chi mai potrebbe
piacere, in fondo?
-, così aveva provato più volte a colmare quella
solitudine, con
affetto sincero, e continuava ostinatamente a tentare, sebbene alle
volte i risultati... non fossero quelli sperati.
Quindi aveva
provato a condividere con lui la sua passione segreta per la musica,
prestandogli numerosi CD e cercando di commentarli con lui al momento
della restituzione, salutandolo ogni mattina e recandosi spesso a
trovarlo durante il lavoro, pensando che una chiacchierata piacevole
avrebbe potuto almeno mentalmente farlo riposare. E trovava sempre un
modo per passare da lui, la mattina appena sveglia, al ritorno da
scuola, dopo pranzo, nel pomeriggio, la sera, dopo cena, anche nel
periodo degli esami, con molta discrezione perché la cosa
non
saltasse all'occhio, facendole sembrare delle coincidenze. Anche
perché sua madre e suo padre sarebbero sicuramente rimasti
contrariati dal vederla tanto spesso in compagnia di un domestico.
In
tutto scambiavano poche parole ma Jessica le accompagnava con caldi
sorrisi e gesti amichevoli. La formalità da parte sua non
era mai
esistita, e trattava ogni domestico come suo pari senza farsi troppi
problemi. Sperava che quel suo atteggiamento avrebbe prima o poi
fatto sentire Kanon... a suo agio. Che avrebbe distrutto la scorza
dura che sembrava nascondere al mondo un cuore buono.
Non le
importava che i suoi sentimenti lo raggiungessero o meno, voleva
solo... conoscere il vero Kanon - a partire dal suo nome, magari,
visto che quello che usava era solo lo pseudonimo lavorativo da
domestico affibbiatogli appena uscito dall'orfanotrofio.
Forse poi
un giorno... il suo amore sarebbe stato ricambiato. Non... non c'era
niente di sbagliato in un sogno simile, giusto? Se fosse stato
necessario per piacergli di più, Jessica aveva anche pensato
di
poter rendersi più, sì, femminile. Per lui.
Quel giorno sembrava
tanto lontano, ma un cuore innamorato sa aspettare.
Kanon non
aveva mai abbandonato i modi formali, non aveva tolto il suffisso
d'onore dopo il nome di Jessica, nonostante lei gliel'avesse
ripetutamente chiesto, come a voler mettere in risalto la differenza
di rango tra loro. Non era di molto più loquace con lei che
con
altri, ma malgrado sembrasse determinato nel voler mantenere le
distanze, appariva qualcosa di vagamente dolce nel suo sguardo quando
le parlava. Qualcosa di talmente piccolo che nessuno al mondo avrebbe
mai potuto notare e che Kanon con tutte le proprie forze cercava di
nascondere, con successo.
Jessica aveva avuto una buona
intuizione: Kanon non era sincero con i suoi sentimenti, e non dava
voce ai propri sogni. Li ignorava entrambi aspettando che svanissero,
semplicemente.
Un domestico
non avrebbe mai potuto ambire alla radiosa
– come il domestico spesso la definiva nei suoi
più segreti
pensieri - figlia dei suoi padroni, ma finché si parla di
cuori
giovani, non esiste la posizione sociale.
Esisteva qualcos'altro,
però, di più profondo: una differenza di classe
ancor più marcata
nella mente di Kanon, che Jessica non riusciva a comprendere.
Era
come se Kanon svalutasse sé stesso definendosi "mobile",
cosa che usava tra i domestici, ma che Kanon intendeva in una maniera
assolutamente particolare.
A Jessica sembrava abbastanza brutto da
dire dal momento che sicuramente lui era un essere umano e
ovviamente, come persona, non aveva niente in meno rispetto a lei.
Che poi era quello che contava davvero, a differenza dell'estrazione
sociale.
Ma Kanon parlava sempre di sé come umanamente
inferiore,
come se a lui fosse
preclusa la possibilità di scegliere da sé e
realizzare un futuro
che gli piacesse, e questo faceva arrabbiare Jessica, che invece
sapeva che le possibilità di Kanon di avere successo nella
vita non
erano inferiori a quelle di nessuno. Che avesse subito qualche trauma
in passato, al riguardo, che non era ancora riuscito a superare?
Nessuna delle spiegazioni che era riuscita a darsi la convinceva del
tutto. Ma del resto, sapeva talmente poco di lui...
Avrebbe voluto
così tanto conoscere il giovane che si celava dietro quel
servo
dimesso.
Kanon non viveva la sua età, anzi, non viveva e basta, e
nonostante gli sforzi, lei non riusciva a trascinarlo con sé
attraverso il suo entusiasmo.
Perché quella parete di vetro
infrangibile che Kanon aveva costruito intorno a sé lo
rendeva
eternamente distante. Era un modo per proteggersi...?
Jessica non
capiva, non capiva perché, né da cosa...
Ma non si arrendeva, ed
era sicura che un giorno in quel cuore che sembrava di ghiaccio
sarebbe riuscita a smuovere qualcosa. La tenacia di Jessica era forse
il suo più grande pregio ma, era risaputo, quando diventava
ostinazione iniziavano
i problemi per lei e chi le stava attorno.
E poi era
successo quello.
La dolce
Shannon aveva capito i sentimenti di Milady,
e senza nessuna malizia ne aveva messo al corrente il fratello
minore.
Solo Shannon sapeva quel che Kanon coltivava nel cuore,
quando nemmeno lo stesso ragazzo arrivava a comprenderlo. Shannon
aveva pensato di renderlo felice dandogli una simile notizia, ed in
fondo andò così. Del resto, lei stessa aveva
rifiutato la sua
condizione di mobile
per amore di un uomo, commettendo un azzardo che ancora non sapeva
dove avrebbe potuto condurla.
Tuttavia...
Kanon, a differenza
della sciocca e avventata sorella, non avrebbe mai creduto di poter
amare ed essere amato a sua volta, ma per via dell'insistenza di
Shannon, aveva accettato quell'invito al Festival scolastico di
Milady Jessica. Aveva accettato di passare l'intera giornata insieme
a lei. Aveva accettato di camminare stringendole la mano. Si era
sentito felice di fronte a quella richiesta. Non lo era mai stato
tanto in tutta la sua vita.
Non avrebbe mai neppure potuto - o
dovuto - sognare di
avere intrecciate alle proprie quelle sottili, lisce e morbide dita,
dal punto più basso del mondo dal quale guardava la vita
scorrere
senza mai prendervi parte. Era stata una splendida, dolorosa
eccezione, quella di quel giorno.
Ma quando dall'imbarcazione, di
ritorno da Nijima, a fine giornata, aveva scorto in lontananza il
profilo di Rokkenjima, Kanon aveva ricordato.
Aveva ricordato
quale fosse il suo posto, la sua funzione.
La sua misera
funzione.
Non poteva parlarne a Jessica, lei... non avrebbe
capito. E se avesse capito, la verità le avrebbe solamente
fatto del
male.
La cosa migliore che potesse fare per entrambi era mentire
ancora una volta a se stesso, e a lei.
E calpestò subito il
miracolo d'amore, destinato a svanire come un'illusione, facendo
scempio di tutti i sogni e lasciandone i cocci taglienti nelle loro
mani. Perché
adesso avrebbe fatto
meno male che poi.
"Un
mobile ed un umano non possono stare insieme
"Tra un mobile
ed un umano non può esservi amore
"Anche se un umano può
provare amore per un mobile... un mobile non può provare
amore per
un umano
"Non dire mai più cose talmente crudeli
"Mi
dispiace, Milady
"Grazie. Grazie per aver pensato a me come
ad un umano. Era più di quanto chiedessi, più di
quanto
meritassi
"Kanon-kun
non è un mobile...!" aveva continuato a singhiozzare quella
notte Jessica stringendo a sé il cuscino.
Agli occhi di chiunque
altro sarebbe risultato chiaro: semplicemente, quei sentimenti non
erano ricambiati, ed evidentemente, non lo sarebbero mai
stati.
...Non che agli occhi di Jessica non lo fosse. Kanon aveva
parlato in modo da non poter essere frainteso.
Ma aveva dato come
la colpa di ciò ad una differenza di fondo tra loro che
Jessica non
comprendeva. Se avesse parlato un po' più chiaramente a quel
proposito... non avrebbe fatto meno male, ma almeno le avrebbe dato
la certezza, la certezza di cui adesso aveva bisogno per placare
prima e successivamente estinguere definitivamente la sua prima,
dolce fiamma, che ancor più di prima le stava ardendo nel
petto. Per
mettere il cuore in pace.
La certezza che non ci fosse un odioso
impedimento proveniente dall'esterno a proibire l'amore tra di loro
mentre Kanon ricambiava i suoi sentimenti. Jessica si rendeva conto
di quanto fosse improbabile ma si sarebbe aggrappata a qualsiasi
speranza...
La notte non confortò quei cuori infranti.
Quello
di lui non aveva speranza di essere consolato. Sapeva di aver fatto
la cosa più giusta, che anche tornando indietro non avebbe
potuto
agire altrimenti, e che tutto ciò che poteva fare era
reprimere quel
dolore dentro di sé, insieme a tutto
il resto,
continuando la sua vita in funzione di altri. Non aveva per natura
neanche il diritto di rimpiangere.
(Eppure c'era
qualcosa... qualcosa che avrebbe potuto fare. In un futuro non molto
vicino. Una piccola remota - dorata - possibilità di
felicità per
loro a cui non avrebbe nemmeno dovuto pensare...)
Senza
saperlo, si ritrovarono a guardare la stessa pallida luna, come se
lei avesse potuto dare loro sollievo o risposte, e con quella lieve e
candida luce negli occhi filtrata da un velo di lacrime, lentamente,
si addormentarono.
La notte passò troppo in fretta. Poi il
mattino arrivò inclemente, costringendoli ad iniziare una
nuova
giornata e a fare davvero i conti con quanto avvenuto il giorno
prima, che entrambi avrebbero invece voluto dimenticare per sempre.
Persino lo stesso Kanon aveva espresso quel desiderio. Persino lui,
che se avesse davvero agito con coerenza e convinzione, non avrebbe
dovuto dare importanza a niente di quello che era successo fra loro.
Anche il cielo sembrava non aver voglia di collaborare a rendere
quella giornata almeno sotto qualche aspetto lievemente più
gradevole, ricoperto com'era di grigi nuvoloni.
Fortunatamente
Jessica non aveva lezione, ma doveva aiutare a smontare le
decorazioni del Festival del giorno prima. Con quali energie, non lo
sapeva ancora.
Si presentò a colazione bianca in volto come un
lenzuolo, con gli occhi gonfi, di un azzurro spento, la divisa
scolastica invernale già addosso, e i lunghi boccoli biondi
perfettamente in ordine,
cosa preoccupante vista la sua eterna passione per le acconciature
originali e pratiche.
A servire la colazione era Shannon.
Kanon doveva essere di già ad innaffiare il
roseto - "per fortuna", pensò Jessica mentre le tornava
una di quelle fitte al petto della notte prima.
"Sei
pallida", notò sua madre Natsuhi mentre Shannon le serviva
un
infuso che avrebbe dovuto lievemente attenuare la tremenda emicrania
cronica della donna.
"Sto bene. Ho sentito il telefono
squillare stamattina, era papà?" domandò Jessica
prendendo
posto a tavola dopo averla liquidata in fretta. Natsuhi non era una
madre particolarmente affettuosa, o meglio, non lo era affatto, ma
quando la vedeva stare male, almeno, sembrava ricordarsi di averla
ospitata nell'utero nove mesi e diventava di un apprensivo terribile.
Ogni genitore è fatto a modo suo,
pensava in questi casi Jessica. Ma avrebbe preferito che i suoi due
insopportabili vecchi
fossero tipi un po' più alla mano, detto francamente.
Krauss le
piaceva ancora meno di Natsuhi, possibilmente. Dopo cena, la sera
prima, era partito da solo per Hokkaido. Questioni di affari.
Sembrava che vivesse in funzione di quei maledetti soldi.
"Dovresti
misurare la pressione prima di uscire, fare una colazione
più
abbondante se serve, e... Sì, era tuo padre" fece a bassa
voce
la donna, passandosi una mano sulla fronte, con espressione
sofferente. "Dice di essere arrivato in albergo solo stamattina,
era molto stanco."
"Immagino..." commentò Jessica
distratta, rigirando inutilmente il cucchiaino nella sua tisana, con
lo sguardo rivolto alla finestra, in direzione del roseto. Non aveva
fame. E neanche intenzione di stare ferma a pensare, terrorizzata di
cadere moralmente più in basso di quanto già non
fosse; inoltre,
doveva sbrigarsi: voleva correre lontano da Rokkenjima, il
più
possibile, incontrare persone, parlare con loro, pensare ad altro (ne
aveva maledettamente bisogno oggi più che mai), e sapeva che
se la
pioggia l'avesse bloccata lì la conversazione più
interessante
della giornata sarebbe stata con la vecchia Kumasawa a proposito di
sgombri.
"Il tempo lo vedo malissimo. Corro per non...
arrivare tardi a scuola."
"M-milady...!" intervenne
timidamente Shannon, prima che Natsuhi l'ammonisse con un gesto
deciso, "L-la sua colazione..."
La giovane non rispose.
Semplicemente, si alzò, prese la cartella che aveva
appoggiato a
terra e uscì dalla stanza, assente.
Natsuhi, per quanto il
comportamento della figlia l'avesse impensierita non poco, notando
l'espressione dispiaciuta sul volto della domestica, cercò
di
sminuire la cosa, con evidente irritazione e gelosia. "È
l'età.
Non preoccupartene. Piuttosto, vai in cucina e chiedi a Gohda-san di
prepararmi un altro infuso. Più forte, magari. Il tempo
è pessimo e
quest'emicrania non sembra voler darmi tregua.", la congedò
quasi con tono perentorio, come a volerle intimare di non impicciarsi
nella vita privata dei membri della famiglia.
Lei ubbidì
docilmente, non avendo colto l'astio rivoltole nelle parole di
Natsuhi, portando con sé il carrello.
Una volta sola, la donna
sospirò e si sentì finalmente libera di assumere
un'espressione
preoccupata, prima che l'ennesima fitta alla testa la distorcesse in
una smorfia di dolore.
...Shannon aveva parlato poco a Kanon la
sera prima, ma da quel poco aveva capito come fossero andate le cose,
e il comportamento di quella mattina di Jessica ne era la
conferma.
Povera, povera Milady...!,
la ragazza non trattenne un singhiozzo una volta uscita dal salotto,
sicura che non sarebbe arrivato alle orecchie di Madame.
Forse
passarono diversi minuti, mentre lei, appoggiata con la schiena
contro il muro e lo sguardo vacuo, rifletteva sulla situazione che si
era venuta a creare. E un dubbio terribile s'insinuò per un
solo
secondo nel suo cuore, il dubbio che quella di Kanon, per quanto
dolorosa, fosse la scelta più saggia per un mobile.
Ma lei in
fondo...
Grazie a George-sama...no.
Grazie a George-san, lei
non lo
era. Non più. Lei riusciva a vedere il colore blu del mare
anche
sotto un cielo ricoperto di nubi.
Asciugò in fretta le lacrime
dal suo viso con il dorso della mano.
Se si fosse voltata, avrebbe
potuto vedere due sagome dal vetro delle finestre nel corridoio
punteggiate dalle prime gocce di pioggia, in piedi al centro del
roseto, immobili per qualche secondo, indecise se augurarsi o meno il
buongiorno o perse in chissà quale altro pensiero, prima una
delle
due corresse via in direzione del molo.
~
"Quindi
quello era il tuo ragazzo? Aw, era così carino Jessie, sono
quasi
gelosa!"
Volente o nolente, la conversazione non poteva che
cadere su quell'argomento che il giorno prima aveva tanto catturato
l'interesse di tutti. I ragazzi aspettavano trepidanti una qualsiasi
risposta di Jessica, mentre lei si limitava a sorridere in maniera
quasi innaturale e a sospirare di tanto in tanto. Le forze per
mentire le erano venute a mancare ma di vuotare il sacco dopo la
recita del Festival non se ne parlava neppure.
"Passami lo
striscione, Yuu-san, e ricordati di mettere tutti gli altri nello
scatolone rosso. I palloncini non c'è bisogno di
conservarli."
La
presidentessa del consiglio studentesco per una volta dava istruzioni
con una serietà che gli altri faticavano a riconoscere.
Diverse
ragazze ridacchiavano in disparte, guardandola al lavoro, alcune
intenerite ed altre con malizia. Che quello fosse l'effetto
dell'amore su Jessie? O forse era così giù di
tono perché
avevano... dormito poco? O chissà invece se non avessero
litigato!
E
Jessica faceva finta di non sentire.
In che guaio si era cacciata?
Avrebbe dovuto sospettare che le cose sarebbero andate a finire
così,
e adesso che non chiedeva che di non pensare a Kanon-kun giusto per
qualche ora, sembrava che quella storia la perseguitasse ancora di
più.
La pioggerellina della mattina si era fatta più fitta, ed
ovviamente tutte le imbarcazioni che conducevano alle altre isole
dell'arcipelago si erano bloccate.
Ironicamente, il tempo sembrava
peggiorare man mano che il malumore e lo sconforto di Jessica
aumentavano.
Di lavoro da fare ce n'era, ce n'era così tanto che
non avrebbe fatto male a pensare che sarebbe stata assorbita
completamente da quell'attività per tutta la giornata, se
non fosse
stato per quei tremendi mormorii nei corridoi che inevitabilmente la
distraevano e allargavano la ferita nel suo animo.
Non era da lei
abbattersi in quel modo, ma allo stesso tempo, sapendo quanto
facilmente sapesse lasciarsi travolgere dall'intensità
impetuosa dei
sentimenti, si potrebbe dire che la sua reazione non fosse proprio
insospettabile.
Quel giorno, le nuvole nel cielo di Jessica non
sembravano volersi diradare in fretta come al solito.
Le persone
parlavano, parlavano tanto, continuamente, e volevano sapere altro
per poter parlare ancora di più, per nulla sensibili di
fronte al
turbamento nel cuore di Jessica.
Durante la pausa, spinta dalla
voglia di allontanarsi da quegli esseri umani che proprio non
volevano capire il suo stato d'animo, la giovane uscì a
prendere una
boccata d'aria, rimanendo sotto la tettoia davanti al cortile. Dentro
di sé giurava di non poterne più.
"Stupido, stupido
Kanon-kun".
...no. Era stata lei la stupida. Fin
dall'inizio...
Con il pranzo sulle ginocchia e uno strano tappo
alla bocca dello stomaco che le impediva anche di ingoiare, si mise a
giocherellare con le bacchette facendo dei disegnini con i chicchi di
riso. Era talmente raro vederla da sola, e così tranquilla.
Non
si rendeva neanche conto di quanto tutto ciò sembrasse
strano ai
suoi compagni, alcuni dei quali iniziavano sinceramente a
preoccuparsi per lei, anche se tardi.
Un gruppetto la guardava
dall'interno dell'edificio, e brulicava interdetto.
"Vacci
tu." "No, vai tu." "E se preferisce stare così?"
"È Jessie, ovvio che non preferisce stare così!"
"Ma
può sentire il bisogno per una volta di..." "Di cosa?"
"...silenzio?" "Non farmi ridere!" "...E se
invece avesse bisogno di conforto?" "Dio, ma stiamo proprio
parlando di Jessie...? Che angoscia." "Sarà grave?"
"Qualcuno ci va per favore?" "Hey ma sta piangendo?"
"No che non sta piangendo, idiota!" "Non dirlo neanche
per scherzo!" "Ahio!" "Spostatevi, voglio vedere anch'io!"
Una studentessa che sembrava
essere più giovane si era allontanata dal gruppo, mentre i
ragazzi
erano così impegnati a discutere tra loro, per andare in
direzione
di Jessica, con una certa sicurezza.
Con estrema naturalezza, poi,
senza dire nulla, le prese posto accanto, gesto che sorprese gli
altri e mise fine al loro brusio.
"Finalmente"
pensò la bionda sollevata dal fatto che quel chiacchiericcio
su di
lei fosse stato interrotto, nonostante Jessica per prima si fosse
meravigliata di quel comportamento inaspettato da parte di...
La
ragazza era una matricola delle scuole medie che più volte
aveva
ricevuto aiuto da Jessica per integrarsi, all'inizio, timida com'era.
Jessica la ricordava bene. Come dimenticare quel simpaticissimo
spazio fra i due incisivi che la moretta sfoggiava ad ogni
sorriso?
"Ren-san...?~" salutò incerta con sguardo
affettuoso, per rispondere a quello dolcissimo che le aveva rivolto
la più piccola.
"Jessica-senpai è preoccupata per la
pioggia?" chiese con finta ma credibile ingenuità
l'altra.
Finalmente, finalmente qualcuno con cui potersi
distrarre...! ...forse.
"Beh,
sai..." iniziò lei cercando di riacquistare un po' della sua
reattività e sorridendo lievemente con più
convinzione "Io
vivo su quell'isola, ricordi? Rokkenjima. E se non smette di piovere
devo iniziare a pensare a come sistemarmi negli alloggi qui."
Le
parole, in realtà, erano uscite inizialmente con molta,
molta
fatica.
"Anche io vivo in un'isola dell'arcipelago!"
batté le mani Ren, contenta "Jessica-senpai ha sempre tante
persone che le fanno compagnia, ma magari potrò anch'io
stare con
lei oggi?"
Jessica sbatté le palpebre, piacevolmente
sorpresa da quell'entusiasmo, e incrociò le gambe per
sedersi in una
posizione meno composta ma più spontanea e comoda per poter
parlare
meglio con la kouhai, sistemandosi la gonna. "Ma certo che
potrai! Sai, stare agli alloggi spesso è noioso ma se non
smette di
piovere faremo quello che potremo per rendere tutto più
divertente!"
Jessica le fece l'occhiolino e abbassò il tono di voce
"...l'importante è che non ci facciamo beccare, o ci
rimprovereranno!"
"Come
un pigiama-party?" sgranò gli occhi la più
piccola, al che
l'altra ridacchiò e annuì. "Esattamente come un
pigiama-party!"
Poi, Ren, furbamente, tirò fuori il proprio
pranzo e fece come per iniziare a mangiare, quando poi con un sorriso
indicò il bento di Jessica e chiese "...è ora di
pranzo, non
mangi niente? Ti senti... poco bene?"
Jessica, come ripresasi
da un lungo sonno, guardò il suo pranzo e, senza pensarci
due volte
batté le mani e gli si scagliò addosso con fare
quasi bellico
"Scherfi! Non ho nemmeno faffo colaffione ffftamaffina! Mh. Oh,
cielo, quell'uomo è dio.", esclamò a bocca piena,
sputacchiando involontariamente chicchi di riso, riferendosi a
Gohda-san, l'abilissimo cuoco che lavorava alla villa sotto la
supervisione di Natsuhi, l'autore di quell'ennesimo capolavoro
culinario.
Qualcuno tirò un sospiro di sollievo, guardando la
scena da lontano. Certo che bastava davvero poco a risollevare il
morale di Jessie, ma era certamente meglio così. Anche chi
fino a
poco prima aveva fatto ipotesi maligne sulle cause del suo malessere,
smise e tornò alla propria mansione come rincuorato.
Alla
ragazzina, però, non sfuggirono le due lacrime che avevano
rigato il
volto di una Jessica tanto affamata quanto afflitta, e mentre il
cortiletto si svuotava, Ren si sporse in avanti ed impacciatamente la
strinse in un abbraccio.
Jessica le scacciò in fretta con il
dorso della mano, e ridacchiò visibilmente in imbarazzo: non
le
piaceva che le persone vedessero questo lato di lei, ma quel gesto le
aveva comunicato un affetto sincero che non poteva non farla
sorridere. Probabilmente, da quella mattina il suo cuore non chiedeva
altro, ma né sua madre con la sua freddezza, né
Shannon con la sua
ingenuità, né Kumasawa e la sua parlantina vuota
o Gohda e la sua
gentilezza impeccabile e formale avevano saputo darle un po' di
semplice calore umano.
Sarà che più si è grandi,
più
difficilmente si capiscono i bisogni più semplici. E quello
di
Jessica era il più semplice in assoluto.
I suoi occhi adesso
avevano parzialmente recuperato la loro luminosità, ma Ren
percepì
quanto fosse doloroso e profondo il motivo della sua tristezza, e
temendo che quella luce si spegnesse ancora si ripromise di
continuare ad alimentarla almeno per tutto il giorno e quello
successivo. Senza permetterle di pensare a niente di diverso dalle
cose più sciocche e piacevoli della loro età.
...lo stesso
fecero in seguito le altre compagne, senza chiedere alcuna
spiegazione, avendo forse compreso anche loro cosa avrebbero dovuto
fare sin dall'inizio per rincuorare l'amica – d'altronde
Jessica,
quando loro ne avevano avuto la necessità, aveva sempre
fatto qualcosa per aiutarle a sentirsi meglio -, e finalmente nel suo
cielo comparve una macchia azzurra, nonostante fuori continuasse a
piovere come prima.
Nessuno parlò più del ragazzo di Jessie, o
del Festival.
Da lì in poi, fino a fine giornata, tutto ebbe un
ritmo frenetico e incalzante. Il lavoro non finiva mai, così
come
neppure le risate delle ragazze, le battute e gli scherzi.
...Il
cuore di Jessica non aveva scordato l'origine del suo dolore o la
presenza del dolore stesso, ma tutti quegli sforzi da parte degli
altri per farla stare bene erano talmente commoventi che proprio non
ce la faceva a non essere un po' sinceramente felice. Stava provando
una
gratitudine immensa nei confronti di tutti loro, loro che stavano
trasformando quel giorno grigio in uno dei più divertenti in
assoluto da quando era entrata al liceo.
"Non piove mica per
sempre, Jessica-senpai~" cinguettò la matricola felice
tenendole la mano, mentre con un braccio soltanto, forse per
dimostrare quanto fosse fisicamente forte, Jessica sosteneva a fatica
uno degli scatoloni per andarlo a riportare nel magazzino in
palestra.
"Ah, perché, piove ancora fuori~?" chiese
Jessica distrattamente, fischiettando.
La più giovane emise una
risata cristallina. "Beh, non per molto ancora secondo
me..."
L'importante, pensava Ren, era che il sole fosse
presente all'interno dell'edificio scolastico, da quando Jessica era
di nuovo sorridente.
- Lo stesso sole che un servo codardo
non poteva fare a meno di amare, e della cui luce un po' tutti
avevano bisogno.
-
Ma proprio
quella preziosa luce negli occhi della sua dolce senpai, Ren la vide
tremare, divampare e spegnersi all'improvviso, e tutto questo nel
momento in cui...
Lo scatolone finì a terra, per fortuna
sigillato, e il sorriso sulle sue labbra si spense, per lasciare il
posto ad uno tesissimo.
"Kanon-kun..." sussurrò. "Cosa
ci fai qui...?"
Alle spalle del giovane, delle ragazze
bisbigliavano tra di loro. Ancora.
"è persino
venuto fin qui, con questo tempo, per vederla! Jessie è
proprio
fortunata!"
"Scusami,
Jessica-sama," si sforzò di usare la seconda persona, il
giovane avvolto nel pesante cappotto nero, a qualche metro di
distanza da loro nel corridoio "ma Madame stamattina una volta
visto il tempo ha voluto che ti raggiungessi qui per darti una mano
all'alloggio. Infatti poco dopo è peggiorato. Ho preso
l'ultima
imbarcazione dopo la tua, ma adesso sono ferme da almeno un paio
d'ore."
Kanon - la voce bassa e appena incerta, un nodo alla
gola, ma lo sguardo fermo come sempre- nascose lievemente il proprio
viso dietro la spessa sciarpa di lana.
"...Perché non
Shannon?" rise lei nervosamente, con voce debole e quello che
sembrava essere un principio di mal di testa.
"Ha detto che
preferiva restare alla villa per aiutare con le pulizie."
rispose lui seccamente. Quella di Shannon era ovviamente una pessima
scusa per dar loro un'altra occasione per parlare, Kanon l'aveva
capito subito così come anche Jessica, venendolo a sapere. A
questo
pensiero sospirarono all'unisono, cosa che accrebbe l'imbarazzo fra
di loro.
"...le altre domestiche di turno...?" osò
chiedere ancora, ma quando il ragazzo scrollò le spalle,
Jessica si
rese conto di essere stata forse scortese - no che non era carino
palesare tanto di non voler trascorrere del tempo con lui dopo che
Kanon era venuto fin lì, con quel tempaccio, e per lavoro -
quindi
gonfiò le guance e alzando timidamente lo sguardo,
mormorò un
"...Immagino di doverti ringraziare molto, Kanon-kun".
Il
ragazzo si limitò a scrollare nuovamente le spalle, e solo
allora,
cercando un punto dove andarsi a rifugiare con lo sguardo, Jessica si
rese conto del pesante borsone posato sul pavimento che il ragazzo
evidentemente aveva dovuto trascinare con sé lungo il
tragitto,
pieno dei suoi effetti personali. Kanon era ancora abbastanza esile,
e non si era certamente trattato di una passeggiata per lui. Sul suo
volto si fece strada un'espressione vagamente preoccupata, mentre
contemporaneamente, per qualcosa di diverso, anche lo stesso Kanon
venne assalito dal rimorso.
Lui... l'aveva vista, prima, ridere
con le altre ragazze. Notando questo cambiamento d'umore si
sentì
per l'ennesima volta responsabile della sua infelicità. E
anche la
matricola di fianco a Jessica non poté che in cuor suo
attribuirgliene la colpa.
Ren le strinse la mano come per
richiamare la sua attenzione, una stretta che in realtà
voleva
infonderle forza, mentre sperava che almeno un po' avrebbe potuto
recuperare il suo buon umore ricordandole di quanto bene era stata
fino a poco prima.
"Senpai...? Se c'è questo signore agli
alloggi non potremo fare il nostro pigiama-party...?" le
sussurrò all'orecchio fingendo di non percepire la tensione
della
situazione.
"...O...vvio che lo faremo, Ren-chan!"
rispose Jessica con i residui della vivacità di poco prima.
"E...
E Kanon-kun ci aiuterà a non farci scoprire, no?" si
voltò poi
verso di lui, rivolgendogli un lieve ma sincero sorriso. È
che
nonostante tutto i suoi occhi non potevano fare a meno di brillare,
quando era con Kanon.
E Kanon ignorò il fremito del suo cuore di
fronte a quel sorriso che aveva temuto non gli sarebbe stato mai
più
rivolto. Le guardò senza capire, ma annuì
meccanicamente,
ricambiando con aria mite lo sguardo di Jessica.
~
...se
solo l'avesse saputo prima, di certo non avrebbe acconsentito a
quella follia.
"Pigiama-party" sapeva tanto di uno di
quegli svaghi sedentari per ragazze, ma a quanto pareva la
sedentarietà e Jessica non andavano per nulla d'accordo.
Kanon
non seppe neppure nascondere un lieve balbettio, seguendo la ragazza
giù dalla finestra, "M-milady, con questa pioggia ti
prenderai
un malanno, e poi qui ci sono degli orari, non potete entrare ed
uscire sen-", provò a farla ragionare, ma venne zittito da
Ren.
"Se è la tua ragazza perché la chiami Milady,
Kanon-chan?" fece la matricola già dall'altra parte, avvolta
nel suo impermeabile, a braccia conserte e tono pedante.
Ormai era
ovvio agli occhi della più giovane che quei due non stessero
affatto
insieme, com'era altrettanto ovvio che ci fosse ugualmente una luce
speciale negli sguardi che si scambiavano.
"Kanon-kun scherza
sempre, vero Kanon-kun?" ansimò Jessica dopo aver fatto quel
salto di due metri circa, lanciando un'occhiata ironica a Kanon.
Pessima, senpai, pensò Ren. Quantomeno l'imbarazzo di poco
prima
sembrava essere svanito, nonostante né lui né lei
sembrassero
esattamente di buon umore o a proprio agio.
"...certamente,
Jessica-sama." sospirò il ragazzo, abbassando lo sguardo
come
vergognandosi.
La ragazza invece si voltò verso Ren, e scrollò
le spalle, mentre Kanon saltava agilmente giù –
rassegnato -, per
unirsi a loro.
"Hai capito, immagino, che noi non...",
iniziò la bionda mentre le gote, sia per il freddo che per
l'imbarazzante argomento, si tingevano di rosso.
"Non vi
siete tenuti per mano. Al Festival lo facevate. E siete stati lontani
tutto il tempo. E sembra che abbiate paura di guardarvi in faccia. E
ti chiama "-sama". Non serve un genio a capire che non
siete una coppia." attaccò la piccola Kanon con aria di
rimprovero. Il ragazzo rimase impassibile, ma deglutì non
del tutto
silenziosamente.
Jessica rise, con una punta di amarezza di fondo,
e aprì l'ampio ombrello, permettendo a tutti di ripararvisi
sotto.
La senpai era evidentemente innamorata di Kanon-san, e
Kanon-san doveva esserlo per forza di lei, siccome la senpai era la
senpai, pensava Ren.
"...forse è solo un po'
ritardato" si
ritrovò a
ipotizzare. E sembrava proprio essere così ai suoi occhi, a
giudicare da come si comportava.
Beh, in quel caso, chissà se lei
non potesse dare una mano.
"Ren-chan, potresti tenere il
segreto con gli altri a scuola, per favore...?" chiese Jessica
congiungendo le mani come a pregarla, ignara dei pensieri della
più
giovane.
"Bocca cucita", e mimò di chiuderla con una
cerniera invisibile.
Jessica sorrise sollevata.
"Bene,
allora~ abbiamo tutta la notte per fare follie e dato che domani con
l'allerta-meteo salta la scuola possiamo permetterci anche di fare le
ore piccole... Andiamo nella capanna abbandonata sulla spiaggia
sabbiosa, vi va? Potremo sentire il rumore delle onde, vedere i lampi
e sentire i tuoni da vicino e poi..." iniziò a proporre
eccitata, mentre Kanon la guardava con una certa preoccupazione e Ren
batteva le mani entusiasta.
Al giovane sembrò assurdo. Con quel
tempo, avvicinarsi al mare era stupido, insensato e pericoloso,
così
per una volta espresse completamente il suo dissenso, e si rivolse a
Jessica interrompendola.
"È ridicolo. Non posso lasciarvi
correre un rischio simile. Madame mi ha mandato qui appositamente per
questo."
"Di male in peggio", lo interruppe ancora
Ren, borbottando. "Le dà anche del voi."
La bionda si
schiaffò una mano sulla guancia e, non senza arrossire,
sbottò
nervosamente contro il domestico "...anche se io gli ho detto e
ripetuto di non farlo."
"Parlavo con entrambe",
replicò impassibile e perfettamente composto Kanon, per poi
farsi
pensieroso "...anche se sarebbe più giusto se, anche fuori
dalla villa, usassi..."
"NO." scattò Jessica
allarmata. "No, almeno qui, va bene così..."
Kanon
abbassò lo sguardo, serio e rigido come un burattino.
"...ad
ogni modo, permettimi di rifiutare la proposta di andare sulla
spiaggia adesso."
"D'accordo allora, perché non proponi
qualcosa tu? Qualcosa di più sicuro e che ti piaccia."
sorrise
titubante Jessica, dopo aver parlato con tono gentile.
A Kanon
venne da rispondere di tornare su e dormire come tutti, ma le parole
gli morirono in gola di fronte a quell'ennesimo sorriso.
"Non
posso scegliere per voi, un posto interessante per me potrebbe non
essere nulla di speciale per te. Anzi, sicuramente non lo
sarebbe..."
Non poteva scegliere, eh? A Jessica tremò
l'angolo della bocca per l'irritazione, per via del ricordo della
sera prima. Quel copione lo conosceva a memoria.
"E
immagino di conoscere il motivo di questo", borbottò lei a
bassa voce. "Stai per dire che una papera domestica" iniziò
a scimmiottarlo riprendendo le parole che lui stesso aveva utilizzato
il giorno prima nel suo monologo autodistruttivo "potrebbe solo
portarmi a fare un bagnetto nella fontanella pubblica?".
Una
reazione simile non era molto da Jessica, e se da un lato Kanon
riusciva comunque a gustificarla, dall'altro lato le sue parole
sarcastiche ebbero il potere di farlo alterare.
"Come fai a
non capire che si tratta di qualcosa di davvero importante?",
scattò quindi immediatamente, serrando le mani in due pugni.
"Come
fai a non capire che di qualsiasi cosa si tratti sei più
importante
tu?"
Jessica lo congelò con uno sguardo che non ammetteva
repliche di alcun tipo – mentre il suo animo ancora una volta
veniva sovrastato dalla tristezza - ma questo non bastò a
fermare
Kanon o a distoglierlo dalle sue idee. Egli ricambiò lo
sguardo
della ragazza con altrettanta severità, ed una punta di
afflizione
che per una volta non riuscì a nasconderle.
"Non è così."
la condraddisse il domestico ancora una volta.
"...è davvero
più importante di te?" chiese ancora. Sapeva che la risposta
sarebbe stata certamente "sì", ma non l'avrebbe ugualmente
fatta rassegnare.
Jessica prese un respiro profondo, abbassando le
spalle e coprendo il viso con una mano, mentre con un filo di voce
sussurrava ancora, con dolcezza, senza in realtà pensare di
farsi
sentire da lui "...è più importante di noi...?"
Kanon,
di fronte a qualcosa di talmente inaspettato, sussultò, e
quella
punta di amore nel suo sguardo sempre presente e sempre nascosta
mentre era in compagnia di Jessica, per un istante emerse
completamente da sotto gli strati di apatia con i quali Kanon si
proteggeva da se stesso e dai suoi sentimenti.
Jessica gli
piaceva, gli piaceva da sempre.
Gli piaceva la sua luce, così
bella e intensa. Gli piaceva il dolce tepore che gli regalava.
Perché
la vita era stata talmente crudele con lui da fargli provare qualcosa
di simile, pur sapendo che avrebbe dovuto rinunciarvi...?
"Se
le cose stessero davvero nel modo in cui sostieni che stiano, credimi
Jessica-sama, quando dico che oggi io...".
Oggi
lui...
Jessica trattenne il respiro.
Kanon si fermò di botto.
Non aveva prestato attenzione e qualcosa di pericoloso stava
rischiando di sfuggirgli poco prima dalle labbra. Per non parlare del
fatto che avesse usato una forma assolutamente irriverente.
Le
lanciò un'occhiata truce, interdetto, giusto per evitare per
qualche
secondo che gli chiedesse di continuare la frase –
perché
l'avrebbe fatto di certo, leggeva la sorpresa e la curiosità
nei
suoi occhi. Si guardò intorno cercando qualche via di fuga e
si
accorse subito di qualcosa.
Fino a poco prima, non erano in
tre...?
"...La tua kouhai", cambiò repentinamente
discorso.
Jessica, che stava per dire qualcosa, si bloccò di
colpo, inarcò le sopracciglia e lo guardò con
aria interrogativa,
senza capire.
"La tua kouhai", ripeté Kanon, per poi
continuare la frase "L'avremmo annoiata. Non è
più
qui."
Insomma, la scappatoia gli era stata servita su un
piatto d'argento, ma era la pura verità. Ren non era
lì.
"...impossibile", rise Jessica nervosamente
compiendo un giro su se stessa per controllare con i suoi stessi
occhi e scattando subito dopo verso il viale principale. Non c'era
nessun posto in cui si sarebbe potuta nascondere alla loro vista, in
quel punto dello spiazzo. Sembrava davvero scomparsa nel nulla, ma si
sa che una cosa del genere era del tutto impossibile. Dove poteva
essere andata con quelle gambine corte?
E con quella pioggia...
La
chiamarono per una decina di minuti all'esterno dell'edificio,
persino nei bagni all'aperto, ma non ricevettero alcuna risposta. Era
tutto statico, silenzioso. Non vi erano tracce del passaggio di
qualcuno. Jessica non poté fare a meno di allarmarsi.
Pensarono
di risalire a controllare se per caso non avesse fatto ritorno agli
alloggi. Sarebbe stato abbastanza sensato, visto il tempo.
Inutile
dire che anche lì, di lei, neanche l'ombra. Era talmente...
ridicolo.
Non li aveva avvisati del fatto che si stesse
allontanando, ma vista la conversazione che stavano tenendo prima, in
quel momento anche se l'avesse fatto probabilmente non avrebbero
prestato orecchio.
Jessica non avrebbe saputo dire se i brividi
che le salivano per la schiena fossero dovuti più al freddo
o
all'inquietudine. Eppure si erano distratti e l'avevano persa di
vista solo per poche decine di secondi! Erano rimasti tutti e tre
sotto lo stesso ombrello fino a poco prima...
Fuori, da sola, con
quel tempo, poteva persino esserle capitato qualcosa di
spiacevole...! La bionda si sforzò di non pensarci, o
sarebbe
entrata nel panico.
Malgrado Kanon l'avesse continuamente rincorsa
con l'ombrello tentando di non farla bagnare troppo mentre correva di
qua e di là in preda all'agitazione, Jessica non aveva
badato alle
gocce di pioggia che avevano incessantemente continuato a colpirla, e
adesso era zuppa d'acqua fino ai calzini. Presto fu costretta a
fermarsi e ad accasciarsi sul marciapiede, il respiro affannato,
qualche secco colpo di tosse. Jessica era sull'orlo della crisi
respiratoria, ormai Kanon era in grado di riconoscerne una dopo tre
anni al suo fianco.
Il ragazzo la raggiunse qualche secondo
dopo.
L'espressione della ragazza avrebbe fatto preoccupare
chiunque: era affaticata, infreddolita, tremante e bagnata come un
pulcino, e i colpi di tosse sembravano procurarle un forte dolore
fisico, eppure i suoi occhi apprensivamente continuavano a guardarsi
intorno alla ricerca della ragazzina. Kanon, senza pensarci due
volte, sbottonò il suo cappotto e se lo sfilò
velocemente. Posò
l'indumento dolcemente sulle spalle di Jessica e raccolse l'ombrello
cercando poi di usarlo per coprirla e di non farla bagnare
ulteriormente.
Sebbene Jessica si fosse dimenata per scrollarsi il
cappotto del ragazzo di dosso, preoccupata che lui potesse prendere
freddo al suo posto, i colpi di tosse progressivamente avevano perso
di intensità e frequenza, da quando il braccio di Kanon
aveva
avvolto le sue spalle, silenziosamente ma con vigore, come per
intimarle di restare ferma lasciando che il pesante tessuto del
cappotto la coprisse per bene.
Ma Jessica lo percepì.
...c'era
molto più di questo in quell'abbraccio, e sarebbe stato
inutile
tentare di nasconderlo. C'era premura, estrema dolcezza e
preoccupazione. C'era un calore diverso da quello fisico, il calore
che avevano a lungo desiderato di scambiarsi, senza mai
dirlo.
Jessica, tremante, si abbandonò con la testa sul suo
petto. Era tiepido, e si alzava e abbassava regolarmente. Inutile
dire che proprio nulla avrebbe mai potuto turbare Kanon al punto da
farlo ansimare o a quello di fargli trattenere il respiro.
Ma se
solo Jessica avesse spostato il capo giusto un po' più verso
la
sinistra del ragazzo, avrebbe potuto sentire il battito alterato del
cuore pulsare insieme al suo. Il battito che non mentiva,
perché
Kanon non l'avrebbe mai potuto nascondere o camuffare.
"...continuerò
io a cercarla. Per favore Milady, non protestare adesso. Ti
riaccompagnerò nella struttura, sarebbe un bene se...
dormissi,
adesso."
Jessica non se lo fece ripetere due volte.
Ipnotizzata dai movimenti del petto di Kanon, riscaldata dal suo
calore corporeo e in parte dal fiato del giovane che le arrivava
sulla nuca, rilassò i muscoli e chiuse gli occhi, cadendo in
un
sonno profondissimo.
Kanon adesso osò accarezzare la testolina
della figlia dei suoi padroni, un gesto che lei non avrebbe di certo
potuto percepire e il cui ricordo lui avrebbe custodito segretamente
insieme agli altri suoi peccati.
Perché l'amore era un
peccato, per quelli come Kanon.
Raccolse
il corpo privo di sensi di Milady Jessica e con un certo sforzo
fisico, vista la sua statura non proprio possente, che tuttavia non
gli impedì di essere estremamente delicato in ogni movimento
in modo
da non turbare il sonno della ragazza, la riportò nella sua
stanza
all'interno dell'edificio. Avrebbe dovuto svegliarla per dirle di
cambiarsi prima di andare a dormire, o con quei vestiti bagnati
avrebbe preso un malanno, ma lei in viso aveva un'espressione tanto
serena adesso...
Erano stati due giorni impegnativi sotto ogni
punto di vista. Lei aveva sicuramente bisogno di riposare.
Kanon
la coprì con diverse coperte meglio che poté.
"Milady..."
mimò con le labbra, pensieroso, senza distogliere lo sguardo
da
Jessica, per poi continuare sussurrando appena percettibilmente
"Sapete, io... non sono abituato alla luce del sole, ma la trovo
bella comunque. Forse non vedrò mai il blu di cui mia
sorella parla
rivolgendo il mio sguardo verso il mare, tuttavia lo sto ammirando in
questo preciso effimero istante. E, sapete, aveva ragione. È
un
colore unico. Ma anche io avevo ragione, poiché nelle mie
condizioni
attuali è uno spettacolo proibito per me
"Ma se voi... Ma se
tu aspettassi il giorno in cui io sarò pronto a combattere
per
modificare il mio destino, esiste una possibilità che...
"Potrei
anche perdere, perdermi e perderti, ma se questa fragile pianta
crescesse e divenisse una possente quercia, resisterebbe al vento
"Ma
io non posso chiedervelo, e non posso farvi promesse
"Quindi
resisterò da solo, fino al giorno in cui mobili e umani
saranno
uguali, e mi sarà concesso passare l'eternità
insieme a voi"
Kanon
sentì qualcosa opprimerlo all'altezza del petto e si
allontanò dal
letto sul quale Jessica continuava a dormire serenamente. Calde
lacrime lottavano per uscire, ma Kanon non poteva concedersi il lusso
di piangere. Distolse lo sguardo da quella figura che tanto amava,
perché la sua vista faceva crescere in lui il desiderio ed
esso
iniziava a procurargli dolore. Si accovacciò sul pavimento,
sotto la
finestra, prendendo respiri profondi.
La stanchezza iniziava
proprio a farsi sentire, sentiva gli occhi pesanti e le palpebre
chiudersi, ma aveva promesso a Milady che avrebbe ritrovato la
ragazzina.
Solo un attimo, solo un attimo per svuotare la mente e
sarebbe ripartito.
Però avrebbe dovuto svegliarla, non è vero?
Non poteva lasciarla dormire così, avrebbe preso un... Oh,
adesso
non riusciva a capire l'importanza di pensieri come quello, tuttavia
andava bene qualsiasi cosa purché non pensasse a tutto il
resto. E
poi la salute di Jessica era un problema in primo piano.
Comprese
ancora una volta come dovesse sentirsi Natsuhi nei giorni in cui
l'emicrania non voleva abbandonarla. Che casino.
Kanon
si passò una mano sulla fronte, gli occhi lucidi dopo un
piccolo
sbadiglio, quando...
"Tu non mi sei piaciuto dall'inizio."
La
porta della stanza era stata aperta e da una fessura entrava uno
spicchio di luce calda insieme alla voce di quella pestifera
mocciosa.
Kanon si strofinò gli occhi e scosse la testa
sconfortato. Da dove sbucava? Doveva proprio mentre stava cercando di
mettere insieme poche forze per arrivare alla fine della
giornata?
Balzò in piedi prontamente e la tirò in corridoio
richiudendo la porta.
"Dov'era finita? Jessica-sama sta
dormendo profondamente adesso."
"Non mi piaci."
sentenziò seccamente, con tono durissimo.
"Non mi
interessa." rispose lui altrettanto duramente.
La ragazzina
ammorbidì la sua espressione leggermente, continuando "Spero
che tu abbia avuto sufficiente tempo. Non lo spero per te, ma per
lei."
"Non si immischi in faccende che non la
riguardano."
"Non lo farò, ma se non stai attento ti
ritroverai ad andare in giro con una dentiera damerino."
...di
fronte ad una minaccia talmente ridicola Kanon non seppe se ridere,
schiaffarsi una mano in viso o sbuffare ed andarsene.
Lei
continuò.
"...La sua luce non riscalda solo te. Dunque la
prossima volta non maneggiarla con tanta noncuranza, o finirai per
farla spegnere di nuovo. Dire ad una persona con il tuo sguardo di
non essere egoista sarebbe come sprecare ossigeno, me ne rendo conto,
dunque formulo la richiesta in modo diverso: se non vuoi aprirle il
tuo cuore, evita di far chiudere il suo."
Dopodiché
la ragazzina si avvicinò alla porta e fece per entrare nella
stanza
dove lei e l'amica avrebbero pernottato, mentre Kanon rimase fermo
nel corridoio. Le sue parole pacate fecero appena in tempo a
raggiungere le orecchie e l'anima della più giovane, la
quale
tuttavia non si voltò, ma sorrise tristemente richiudendosi
la porta
alle spalle.
"...è troppo abbagliante per
me".
Spazio
inutile a fine pagina.
*SPARA CORIANDOLI*
È FINITA.
CONGRATULAZIONI, SIETE SOPRAVVISSUTI A XX PAGINE DI PURA
INUTILITA'.
Siete bimbi coraggiosi.
Meritate un pat sulla testa
e una granita con brioche -si muore di caldo.
Sono tornata a
pubblicare qui -purtroppo-. Ma dovevo. Troppa poca roba su questi
due.
...ho parlato troppo di loro, mi sa. Che cavolo, potevo dividerla in
due capitoli.
Io... spero che non sia sgradevolissima. Ma... non
sono sicura che potrò leggere un vostro parere. Uno ci spera
lo
stesso, però, anche perché ho capito che da sola
non sarà per
nulla facile migliorare. Quindi ho bisogno di pareri, critiche e
consigli.
Ringrazio tuuuutti coloro che hanno letto e che sono
arrivati coraggiosamente a fine pagina♥ davvero, nella
scorsa shot
ogni visualizzazione mi ha resa... felice. Ma felice felice. Siete
fantastici. E se commenterete mi renderete ancora più felice.
Come
ho già detto una volta nonmiricordodove: 1 visualizzazione =
1 testa
pensante che ha letto quello che ho scritto = 1 persona che ha una
certa opinione di quello che ho scritto.
Fatemele conoscere queste
benedette opinioni, siamo qui per questo. 3 ANCHE SE SONO
OPINIONI DI UN RIGO. (...facciamo due♥)
...Per quei pochi
visitatori del fandom... Beh...
...Grazie sul serio~ *blush
-D.B.
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