So che dovrei aggiornare le storie già in corso, invece di
postare cose nuove, ma sono un po’ in crisi… per la fine delle ferie e per la
fine di due storie che mi hanno tenuta impegnata per
anni.
Così, mi dispiace, oggi ho preferito caricare una nuova storia
piuttosto che star lì a piagnucolare.
È
composta di soli due capitoli, una ‘what if’ merthur senza collocazione
precisa rispetto al telefilm, dove la magia di Merlin assume sembianze umane e
animali.
Dedicata a chi mi
segue con costanza e affetto.
A chi si entusiasma
per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene.
Merlin’s Magic Loves Arthur
(Parte 1 di 2)
C’erano state volte in cui Merlin aveva scherzato sul fatto
che la sua magia amasse Arthur come (e forse più di) lui.
Erano le volte in cui il suo servo combinava qualche
romantica sciocchezza, o si lasciava andare a qualche gesto un po’ troppo
sentimentale per non incolpare qualcun altro – o qualcos’altro, nella fattispecie – per scagionarsi.
In quei momenti, il re di Camelot aveva sempre accantonato la faccenda con uno
sbuffo accondiscendente, catalogandola come una delle tante stranezze del suo
amante.
Tutto questo, fino a
quando Merlin non si ammalò.
L’inverno, nelle terre dei Pendragon,
non era mai stato clemente. Lo stregone se ne lamentava di continuo dicendo
che, quantomeno, l’umile vita a Ealdor aveva avuto
almeno un vantaggio: inverni freddi sì, ma mai così lunghi e tanto rigidi.
I rigori – da che mondo era mondo –
avevano sempre avuto come compagni i malanni di stagione: morbi transitori come
geloni, tossi, raffreddori e febbri.
E Merlin, in qualità di assistente
del medico di corte, aveva curato un’infinità di persone, restando
eccezionalmente sano, pur essendo rimasto a contatto con le più disparate
indisposizioni.
Arthur diceva sempre
che il suo servo era così sciocco che pure le malattie – per dignità –
evitavano di avere a che fare con lui.
Poi, una mattina di fine febbraio, quando ormai il disgelo
era alle porte e l’ultima epidemia di febbri era stata debellata da quasi una
luna, Arthur non fu svegliato – come sempre – dal suo valletto, ma da uno degli
altri servitori del palazzo.
Con un inchino deferente, il giovane Malcom
lo avvisò che Merlin era indisposto e che lo avrebbe sostituito nell’assolvere
ai suoi doveri.
Indisposto, un
accidente!,
aveva considerato il re, arpionando una salsiccia con troppa foga, dopo essersi
fatto aiutare nel vestirsi per partecipare ad una riunione del Consiglio.
Aveva congedato definitivamente il servo, chiarendogli che
non sarebbero stato richiesti ulteriori servigi. Poi
fece mente locale di preparare una bella ramanzina per quello scansafatiche.
D’accordo, forse la
battuta di caccia del dì addietro non era stata la scelta più azzeccata, ma
fingersi malato per ripicca gli sembrava un tantino puerile e Merlin avrebbe
dovuto fare i conti con lui!
Fu così che, dopo un interminabile, noiosissimo incontro con
i Nobili Consiglieri, re Pendragon – anziché tornare
nei propri appartamenti per pranzare – deviò verso la torre che ospitava il cerusico
reale e il suo maldestro assistente magico.
Merlin sapeva fingere
bene, considerò, sentendolo tossire – non appena varcata la soglia
dell’ambulatorio – fin dalla sua stanzetta. O
forse no, si corresse, con un rigurgito di sensi di colpa, allorché raggiunse il suo valletto incosciente,
febbricitante e visibilmente malandato.
“Merlin, ma cosa…?” Si ritrovò a dire, incredulo,
sfiorandogli la fronte bollente.
“È un morbo influenzale piuttosto aggressivo”, gli rispose
Gaius, comparendogli alle spalle a tradimento, facendolo sussultare.
Il vecchio ebbe il buon cuore di non infierire, mentre
posava una bacinella colma d’acqua e delle bende intrise che poi adagiò sulla
pelle rovente del suo figlioccio.
“È… lui… voglio dire… non è niente di serio, vero?” domandò
allora il monarca, mentre lo stomaco gli si torceva per l’ansia.
“La sua vita non è in pericolo, se è ciò che temete. Ma credo ci vorrà una settimana perché raggiunga il culmine e possa
guarire”.
Arthur si limitò ad annuire, segno che aveva inteso.
“C’è qualcosa che posso fare per lui?”
“Forse avreste dovuto impedirgli un’infreddatura ieri
pomeriggio”, spiegò il vecchio medico, nella sua voce pacata
c’era tutto il suo austero rimprovero. “Ma oramai è
tardi per pentirsene”, lo scagionò poi, con senso pratico. “Ad ogni modo sì, Sire,
c’è qualcosa che potete – anzi, che dovete, fare: rimanetegli lontano. Ho ragione di credere che la sua febbre potrebbe essere
contagiosa e non potete ammalarvi anche voi, soprattutto non ora, con la
delegazione di Mercia in arrivo domani…”
Arthur comprese le parole infuse di buonsenso dell’anziano
archiatra, tuttavia il suo cuore gli diceva che il suo posto era lì, lì con l’idiota che amava.
Eppure, essere il re gli ricordava
ogni giorno che le scelte che compiva – il più delle volte – non erano quello
che voleva fare, ma quello che andava
fatto.
“Potrei avere qualche istante con lui?”
Gaius accondiscese, uscendo da lì,
chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.
Il nobile sospirò, sedendosi sul piccolo sgabello davanti al
letto.
“Servo inutile e idiota, che mi combini?”
soffiò poi, sottovoce, per non disturbare il sonno agitato del mago.
Con mano leggera, gli carezzò uno zigomo appuntito,
infondendo in quel gesto d’affetto tutto l’amore che in quel momento non poteva
dimostrargli.
“Cerca di rimetterti in fretta, d’accordo? Ho già licenziato
Malcom, quindi non c’è nessuno a pulire le mie
camere, a lavare i miei abiti, a lucidare la mia armatura… Chi credi mi
scriverà il discorso che devo fare domani al re di Mercia?”
Arthur afferrò il panno intiepidito e lo intinse nuovamente
nell’acqua fresca per dargli sollievo.
“Il mago più potente al mondo… ridotto ad
uno straccio! Dov’è la tua magia quando serve?!” lo
pungolò, per spronarlo a reagire e non per infierire sulla sua condizione. “Non importa quale astruso incanto devi adoperare… Ti rivoglio al
mio fianco, intesi? Se non ti fosse chiaro, ho bisogno di te”, gli confessò,
chinandosi per sfiorargli le labbra con le proprie.
Fu un lieve bussare alla porta a farlo ricomporre, prima che
Gaius apparisse avvisandolo che era richiesto da Geoffrey, lo scrivano di
corte, per discutere sul trattato da presentare l’indomani.
Arthur lasciò la stanzetta a malincuore, sentendo già un
piccolo vuoto dentro al petto.
***
L’ora del pranzo era passata da un bel po’, quando Arthur
fece ritorno negli appartamenti reali.
Appena varcata la soglia, rammentò di non aver comandato ad
alcun servo il proprio pasto né una sostituzione per i giorni a venire.
Grande fu il suo stupore, quindi, allorché
vide il focolare ben avviato, il letto rifatto, le stanze riordinate e un
fumante vassoio colmo di cibo pronto per essere divorato.
Ringraziando l’anima pia che aveva provveduto
a ciò, si sedette a tavola, pronto a divorare il più gustoso cosciotto
d’agnello della sua vita.
Dio, quanto gli era
mancato questo sapore negli ultimi mesi!
Se Arthur fosse stato meno distratto dal succulento cibo,
avrebbe capito che febbraio non rientrava ancora nella stagione giusta per
sacrificare gli agnelli… e che, quindi, quel pasto aveva qualcosa di inusuale.
Ma a caval donato non si guardava in bocca, e Sua Maestà divorò
con gusto ogni portata.
Fu solo verso la fine, quando cioè il suo stomaco era
finalmente sazio, ch’egli s’accorse di qualche altra stranezza.
Nascosta sotto ad un canovaccio
v’era la sua torta preferita, ancora tiepida, come appena sfornata.
Crostata di fragole,
in febbraio? Ma come era poss-
Il rumore di un pezzo d’armatura che sbatteva contro il
pavimento lo fece trasalire spaventato. Ma forse era solo un caso; chi l’aveva
pulita in precedenza, poteva aver posizionato male
alcune parti…
Tuttavia, un istante dopo, un altro suono metallico si
ripeté, e successivamente l’anta del suo armadio
cigolò sinistramente – anche se non vi erano correnti d’aria né finestre aperte
– e… Buon Dio! Era il suo elmo, quello
che stava rotolando sopra il tappeto?
“Chi va là!” strepitò, rovesciando nella foga lo scranno su
cui era seduto, per impugnare una forchetta come arma e correre nella stanza
attigua.
Arthur non era pronto
a vedere ciò che si trovò davanti, ma probabilmente non lo era neppure lo
spazzolone che, poverino, spaventato com’era dal suo urlo, tremava a mezz’aria
come segno di resa.
Accanto ad esso, un gambale fluttuante faceva una specie di pomposo
inchino e uno spallaccio roteava su se stesso, accarezzato da uno strofinaccio,
e tutto il resto della sua armatura penzolava ovunque, nel bel mezzo di
un’ipotetica pulizia.
“Ma che diamine succede?!” esclamò,
sconcertato, e tutto cade a terra con un fragoroso tonfo.
Che… che ci fossero i
fantasmi?,
ipotizzò re Pendragon, grattandosi la nuca mentre
scrutava guardingo i pezzi ora immobili. No,
doveva esserci di mezzo Merlin. In qualche modo. Anche se non sapeva come, visto che, poco fa, versava incosciente a letto.
Arthur rilasciò un lungo sospiro.
“Ehm…” ritentò, valutando quale risultato avrebbe sortito. A
quel punto, la vecchia spazzola si risollevò da terra, sembrando in ascolto.
“C’entrate qualcosa con la magia
del mio servo?” tirò a indovinare, anche se parlare con un bruschino
spelacchiato non rientrava esattamente fra i doveri di un re.
Lo spazzolone sembrò annuire, con un mezzo inchino
deferente.
“È stato lui a comandare… a comandare
tutto questo?” rifece, allargando le braccia per indicare la sistemazione della
stanza.
Lo spazzolone fece un gesto ingarbugliato in
risposta.
“Non riesco a capirti”, ammise il monarca, strofinandosi una
tempia.
Fu allora che un grande bagliore illuminò l’ambiente, e dove
un istante prima v’era il nulla, ora sostava una
bellissima fanciulla, eterea ed evanescente come uno spirito – quello che
probabilmente era – anche se vestita con gli stessi abiti del suo servo.
“E tu chi saresti?!” l’interrogò
Arthur, incredulo. “E perché diamine sei abbigliata come Merl-”
L’intuizione corretta gli venne d’istinto, perfettamente precisa pur nella sua
completa follia. “Sei la magia di Merlin?!”
La donna spirito annuì, con sguardo devoto e una riverenza
autenticamente ossequiosa. E Arthur deglutì a vuoto.
L’unica volta in cui aveva veduto la magia del suo servo,
questa si era materializzata come una sfera di luce incandescente, una palla
pulsante davanti a Merlin, che gli aveva detto che quella era la sua forma più
pura: energia impossibile da plasmare.
Ed ora eccolo lì, lo stesso Potere,
ma con sembianze umane.
La cosa più sconcertante, però, era che, sotto sotto, Arthur sapeva che era vero. Da quel nucleo di forma
umana poteva percepire lo stesso calore benevolo, lo stesso agglomerato di
sentimenti positivi e amore incondizionato che percepiva stando accanto al suo
compagno. Lo sentiva familiare.
“Sei qui per sostituirti al tuo padrone?” chiese quindi, e
la magia storse il nasino in una smorfia infastidita.
“D’accordo, perdonami. Merlin non è il tuo padrone, siete un tutt’uno, vero?” riconsiderò,
facendola sorridere e arrossire. “Tu sei parte di lui, come lui è parte di te…” le disse, ricordando le parole che tante volte
aveva usato lo stregone, per spiegargli il suo dono.
“Ma non dovresti essere accanto a Merlin, per aiutarlo a
guarire?” l’interrogò un momento dopo, pensieroso, ma
la magia, ancora una volta, scosse il capo come diniego.
“Non puoi fare niente per lui?”
Di nuovo, ricevette un contrito no come risposta.
“Beh, d’accordo. Puoi…
puoi restare qui, se vuoi…” le accordò. Perché – che diamine – cos’altro poteva dire?
La magia sorrise incantata e non perse tempo; con un
bagliore molto più piccolo del primo, scomparve nel nulla. Un istante dopo,
Arthur vide che tutti i pezzi dell’armatura si stavano pulendo e lucidando da
sé, mentre un piumino spolverava le mensole e un ciocco di legna volava da solo
verso il focolare.
Dalla cesta degli abiti lavati e stirati, in lenta
processione, si levarono le sue camicie e i pantaloni, come soldati in marcia,
diretti verso l’armadio.
Da dietro il paravento, il re poteva sentire lo strofinio
della scopa contro il pavimento.
Beh, d’accordo. Che
male poteva fare?
Si sedette allora alla propria scrivania, ad affrontare ciò
che aveva evitato fino a quel momento: l’odioso discorso che non sapeva da che
parte incominciare.
Per un po’ lasciò vagare lo sguardo sui tanti piccoli
incantesimi che scorrazzavano davanti a lui, dando loro la
colpa per la sua mancanza di concentrazione, ma poi, con spirito di
sacrificio, decise di concentrarsi per buttare giù almeno qualche riga decente.
***
Un’intera veglia dopo, e un’infinità di fogli cestinati a
terra, Arthur stava ancora a rosicchiare la punta della sua penna d’oca,
rimpiangendo la mancanza del suo scudiero.
Merlin poteva essere un pasticcione su mille cose, ma il re
doveva riconoscere che i discorsi che il suo valletto gli scriveva lo avevano
salvato da un sacco di figuracce.
Oh, e come avrebbe
fatto, adesso?
Persino la magia pareva averlo abbandonato, perché da almeno
due tacche di candela non si udiva più nessun suono o nessuno spostamento
soprannaturale.
Arthur era praticamente certo di
essere rimasto solo. Solo con i propri
crucci.
Ma proprio quando stava per cedere,
sbattendo la fronte contro il legno del tavolo, si accorse della penna accanto
alla sua mano, che si muoveva da sola, scivolando con maestria sulla pergamena,
senza neppure una sbavatura.
Arthur rimase affascinato da quel movimento sinuoso, dal
lieve grattare della punta contro la carta ruvida e, quando sbatté le palpebre,
s’accorse che era passato un terzo di veglia. Il
documento vergato restava lì, davanti a lui, l’inchiostro pronto ad asciugare.
Dopo averlo letto – e,
caspita, era a dir poco perfetto! – lasciò un sentito ringraziamento alla magia,
anche se non sapeva dove indirizzare esattamente la sua riconoscenza.
Poi, giusto mentre stava considerando di andare a vedere come
stesse Merlin, arrivò Gwen, inviata dall’archiatra
reale, per un aggiornamento sulle sue condizioni. Ah, quella vecchia volpe di Gaius…
Purtroppo, Sua Maestà dovette reprimere il desiderio di
rivedere l’altra metà della sua medaglia e fu costretto ad accontentarsi di
sapere che, nel complesso, la situazione rimaneva invariata.
Arthur ringraziò Guinevere per lo
zelante ragguaglio e per la premura con cui lei aveva predisposto la sua cena:
la serva si era infatti presentata sull’uscio degli
appartamenti reali con tanto di vassoio colmo di ogni prelibatezza, che il
sovrano, in realtà, una volta rimasto solo, spiluccò appena.
I pasti serali erano un momento di pace che lui e Merlin
avevano imparato a condividere da tempo; quando non
era richiesta la loro presenza ai banchetti, godevano della quiete del tramonto
e di una porzione divisa a metà, rubandosi il cibo o imboccandosi a vicenda.
Poi, pigri e sazi, chiacchieravano di tutto e di niente fino
all’ora di coricarsi e si sarebbero amati mentre la luna faceva il suo percorso
in cielo.
Arthur sospirò tristemente. Sarebbe stata una lunga notte solitaria…
Quindi raccattò un po’ di energia per dirigersi nel
corridoio esterno e comandare alla guardia di turno di reperire
un servo e una tinozza da riempire per il suo bagno. Forse rimanere in ammollo l’avrebbe rilassato un po’.
Sua Maestà non fece neppure in tempo a formulare pienamente
quel pensiero, che la magia di Merlin comparve, ancora una volta dal nulla, con
uno sguardo adorante e un inchino servizievole.
Ma allora… come mai Merlin era sempre stato
così irriverente e screanzato?,
si domandò d’istinto.
Con un battito di mani, tre paia di secchi
d’acqua fumante comparvero all’istante e, da soli, si diressero verso la
tinozza oltre il paravento, rovesciandosi in essa con fragoroso scrosciare.
Arthur osservò la magia rimboccarsi le maniche della tunica evanescente
e muovere le lunghe dita esili in direzione dello strofinaccio con cui,
solitamente, Merlin gli lavava la schiena. Il pezzo di stoffa raggiunse
ubbidiente le mani incantate.
“Ehm… Lo apprezzo davvero, e… e non intendo mancarti di
rispetto… Ma non mi sento a mio agio con una serva, e…”
Ancora una volta, il re non riuscì nemmeno a terminare la
frase, che la magia cambiò aspetto, diventando un giovane servo aitante, ma
assolutamente diverso da Merlin sotto ogni foggia, tranne che per i vestiti.
D’accordo, dovette
ammettere, forse non era tanto la questione femminile a turbarlo, quanto più il
fatto che fosse qualcun altro, e non Merlin, a mettergli le mani addosso. Il
bagno era diventato qualcosa di intimo per loro, e…
…E come avrebbe fatto
a deludere la magia del suo stregone, dopo tanta abnegazione e sollecitudine
che stava dimostrando nei suoi confronti?
Merlin non gli diceva
sempre che il suo Dono aveva un debole per lui?
Non volendo contrariarlo, Arthur fece un cenno assertivo del
capo verso il valletto soprannaturale, ma per buona misura andò a spogliarsi
dietro il divisorio e, solo una volta che fu in ammollo – l’acqua era deliziosamente perfetta, d’accordo –, gli diede il permesso di comparire.
***
Magia aveva delle mani
fantastiche.
Re Pendragon represse a stento un
gemito di piacere per come i suoi muscoli stanchi venivano
sciolti con lenti, meravigliosi massaggi. Il suo collo e le spalle sembravano
ringiovaniti di un secolo almeno e il Dono del suo stregone pareva sapere
esattamente quali punti premere e le zone da trattare.
Forse aveva
memorizzato questo particolare spiando Merlin, ma… al diavolo! Per un
trattamento così, avrebbe perdonato a Magia qualunque cosa…
E poi l’acqua rimaneva gradevolmente al punto giusto, senza
raffreddarsi mai.
E lui si stava appisolando, lì, in ammollo. Poteva rimanere così per sempre…
Fu proprio quando considerò di assopirsi un pochino, che il
suo valletto magico smise la manipolazione e gli porse un telo con cui doveva coprirsi.
Poi, con un inchino riverente, si smaterializzò da lui e Sua
Maestà, tutto sommato, fu felice di quella garbata gentilezza.
Probabilmente Magia si
era congedata per la notte, pensò (domandandosi quando aveva iniziato a
chiamarla con un nome proprio nella sua testa), vedendo gli abiti per dormire
ben disposti davanti al suo armadio.
Arthur si prese il tempo di asciugarsi con cura,
rivestendosi pigramente, perché non c’era nessuna testaccia dura ad aspettarlo
nudo nel letto a baldacchino.
Successivamente deviò verso il
tavolo e si versò un generoso calice di vino speziato per conciliarsi il sonno
e si diresse, scalzo, verso lo scranno imbottito.
Per poco non rovesciò la coppa, tale era il suo stupore.
Re Pendragon non si aspettava
proprio ciò che vide: un grosso gatto evanescente era addormentato sul tappeto
davanti al fuoco del camino.
Arthur sorrise intenerito. Anche Merlin si accoccolava sempre su quel punto per leggere i suoi
libri di incantesimi.
Lentamente, per non destarlo, il sovrano si accomodò al suo
fianco, lasciandosi affascinare dalle braci roventi e dalle lingue di fuoco che
danzavano seducenti dinanzi a lui.
Le fusa di Magia gli giunsero inattese, ma non sgradite. Non
si era neppure accorto del fatto che le stava accarezzando il pelo folto della
schiena… Ma concentrandosi, si meravigliò
di quando fosse morbido e setoso.
“Non pensi che sia ora di andare a letto?” domandò ad un certo punto, forse retoricamente.
Da un lato, non si aspettava di ricevere una vera risposta,
tuttavia… era un essere senziente quello che gli sostava accanto, quindi non
era da escludere.
Nelle veglie precedenti, benché muta, Magia era riuscita a comunicare con lui, perciò il cavaliere non
sapeva cosa aspettarsi.
I mugolii d’apprezzamento del gatto crebbero di intensità e Arthur si sentì in dovere di grattargli
dietro le orecchie, indugiando per qualche momento ancora, e poi – quasi di
colpo – il suono cessò.
Il felino si risollevò dal comodo giaciglio, stiracchiandosi
indolente. Gli si strusciò addosso con gratitudine e poi fece qualche passo per
distanziarsi e si sedette sulle zampe posteriori, fissando il monarca in
attesa.
Anche il nobile lo imitò, rialzandosi dal pavimento per
sgusciare sotto alle coltri del suo letto,
sbadigliando.
L’ora in cui di solito si coricava era passata da un bel
po’, senza che lui se ne rendesse conto.
E tutto questo perché Magia l’aveva distratto.
L’aveva fatto per tenergli
compagnia?
Forse si era
trasformata in animale per apparirgli meno invadente, e il re si sentì
scaldare il cuore per quella delicata gentilezza.
Stava per invitarla a rimanere lì, al calduccio, quando il
pensiero del suo compagno, solo e sofferente, lo fece rabbuiare.
“Devi andare da Merlin”, le disse. Non era una domanda o un
comando. Era una semplice constatazione.
“Meoww…” ribatté il gatto magico,
dopo essersi leccato il pelo con dovizia.
“Vorrei essere lì con lui, ma non posso”, gli spiegò.
“Potresti vegliarlo per me?”
“Meoww…” replicò Magia, spiccando
un balzo verso il letto.
Come il grosso felino si acciambellò a lato del re, il suo
mantello si mise a brillare e una sfera di luce dorata si separò dal corpo
soprannaturale dirigendosi verso la porta e oltrepassando il legno magicamente.
“Grazie”, le disse il nobile, accarezzandola un’ultima
volta, prima di soffiare sull’unica candela accesa.
“Meo”, rispose infine lei, traghettandolo
nel mondo dei sogni…
Continua...
Disclaimer: I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Oh,
d’accordo. Penso l’abbiate capito: Magia è fondamentalmente una merthur fangirl. ^_=
Non starò ad ammorbarvi sui cicli di accoppiamento delle
pecore. Posso dirvi però che mi sono documentata e a febbraio di solito non ci
sono agnelli. XD
La parte in cui Magia pulisce le camere e l’armamentario di
Arthur, rimanendo invisibile, è un chiaro omaggio a “Fantasia” della Disney e
alla “Spada nella roccia”.
Dal telefilm, sappiamo che è Merlin a scrivere i discorsi di
Arthur, da quando questi è diventato re.
Come detto nel capitolo, ad un
certo punto ‘la magia’ è diventata ‘Magia’, perché Arthur si rivolge a lei come
se questo fosse il suo nome proprio.
Anticipazione del
prossimo capitolo:
Arthur osservò, impotente, i rapaci girare in tondo in
cielo, liberi di cavalcare le correnti d’aria e di gridare la loro stridula
felicità, e pregò qualunque divinità in ascolto affinché Cenred
non si accorgesse del piccolo ricordino
che era atterrato, con assoluta precisione, sulla sua testa.
In alternativa, andava anche bene che non capisse – o non
immaginasse – che la colpa era di Magia, perché Merlin sarebbe morto di
crepacuore, vedendola impagliata come trofeo dentro al
maniero del re di Mercia.
Re Pendragon cercò di distogliere
gli occhi dal guano che gocciolava tra i capelli del sovrano davanti a lui, e
sperò ardentemente che nessuno avrebbe osato fiatare
sull’argomento.
Giusto in quel mentre, Magia planò in picchiata, afferrando
con gli artigli ferali una piccola lepre selvatica, uccidendola, per poi
portargliela in dono.
Arthur, suo malgrado, accettò
l’offerta e le accarezzò il capo, facendole arruffare le piume di soddisfazione,
sotto lo sguardo seccato dell’altro regnante.
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie): Qualche giorno fa, ho postato una flash-fic spoiler 5x13 “The morning after” (ed eventuali pareri sarebbero apprezzati).
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elyxyz