Cap 1
N/A Hey dudes!!! Che si dice?
Lara Pink è tornata!!! Ehm…, come sarebbe a dire “e chi se ne frega” @.@
Cof cof, allora… Eccomi, finalmente pubblico la mia nuova
storia, come al solito incrociando tutte e venti le mie dita sperando che vi
piaccia e che vi faccia divertite almeno un pochino pochino (io a scriverla mi
son divertita tanto tanto!!! ^_^)
Questo lungo racconto è il seguito della mia storia “Aria”,
ma anche in questo caso chi non avesse letto la mia fanfiction precedente non
si preoccupi: va benissimo come storia a sé, poiché se faccio piccoli richiami
li esplicito in modo che tutti possano seguire.
Anche questa storia è completa; cercherò (lavoro
permettendo! >_< ) di pubblicare
un capitolo al giorno, massimo ogni due o tre giorni. Penso sia qualcosa a metà
strada tra il thriller, il family drama ed il medical drama (insomma tutta robetta
allegra XD ). Ci saranno realismo, introspezione, fluff, azione ed un bel po’
di violenza… Non credo sia adatta a chi ha meno di 14 anni :(
La storia era finita da un po’, poi è venuta l’estate con i
suoi piacevoli impegni a tenermi lontana da questo posto magico, fatto di
tartarughe ninja e di fantastiche lettrici/autrici (lettori/autori? ci sono
anche maschietti tra di voi, giusto?). Inoltre si è verificato nel frattempo un
evento di cronaca che ha attinenza con la mia finzione, e sono stata un po’ in
dubbio sulla sua pubblicazione (si vedrà tra qualche capitolo).
Ho seguito i preziosi suggerimenti di alcune amiche di
questo sito, ed ho scritto la maggior parte dei capitoli più lunghi rispetto
alle mie storie precedenti; ho però continuato ad usare un tempo narrativo poco
consueto (il passato prossimo per una storia in terza persona) e lo stile un
po’ brusco, pieno di scarti improvvisi e frasi nominali: informatemi se ritenete
che questo vi renda faticosa la lettura, mi impegnerò a cambiare. Scrivere è
divertente, ma mi fa piacere se posso anche far divertire gli altri. Io stessa
mi immergo con gioia in bellissime ff. Quindi grazie fin d’ora per suggerimenti
e consigli.
Che dire altro? Disclaimer, va beh: non possiedo le
tartarughe, purtroppo, che appartengono alla Nickelodeon; se appartenessero a
me, Mikey sarebbe in cucina a prepararmi le lasagne, Raph mi tinteggerebbe la
casetta, Donnie mi sistemerebbe la caldaia e Leo risolverebbe tutti i miei
problemi al lavoro.
Ok, ho finito. Ah no, un’ultima cosa: GRAZIE PER ESSERE
QUI!!! ^_^ Buona lettura!
***
(flashforward)
“Io… io ero felice, April. Sono un ibrido umano-tartaruga
cresciuto nelle fogne da un maestro ninja che è un ibrido umano-ratto. Per chi
vive là fuori può sembrare strano, bizzarro, mostruoso, ma per me è la mia
vita, è normale. Ero felice di praticare il ninjutsu, studiare, inventare,
mangiare la pizza con i miei fratelli. Di stare con la mia famiglia. Ero
felice, dio mio, ero felice... Perché ci è successo questo? Perché nel mondo ci
sono uomini come Shredder, come Tucker? Perché ci sono le guerre, perché c’è
tanta violenza? Sarò così intelligente, ma proprio non capisco, April, non
capisco… Noi non abbiamo mai fatto del male a nessuno, anzi utilizzavamo
l’insegnamento del nostro maestro per rendere il mondo un posto più sicuro, un
posto migliore. Noi aiutavamo la gente, April. Lui, lui aiutava la gente.
Perché allora è su quel lettino, inerte? Perché?”
***
Febbre
“And freedom will find me
The
satellites will catch me
And when the
world turns against me
I will push
until I break free”
Edisun, Ready
To Believe
“Booyakasha!”
L’urlo di battaglia è risuonato acuto e squillante nella
notte.
La voce era giovane, l’intonazione divertita. Chi lo
conosceva bene avrebbe potuto notare che durante la tensione per la lotta, la
voce assumeva un tono appena appena più basso.
Uno slancio, e con un piede ha usato il muro della piccola
rimessa sul terrazzo per darsi una spinta in aria e lanciarsi su due bot ninja.
Come un funambolo, è rimasto in equilibrio qualche secondo sulle nere teste
meccaniche, ruotando veloci i suoi nunchaku, per poi colpire preciso e potente
mentre con un balzo già volava via.
Michelangelo era così rapido che l’occhio faticava a
seguirlo. Un salto mortale, per arrivare con una mano a terra, una gamba tesa
di lato ed una leggermente piegata. L’altra mano ha continuato a ruotare un nunchaku che ha fracassato una
gamba meccanica. Legno contro ferro e materiale sintetico. Un rumore secco.
L’adrenalina riempiva il suo giovane corpo nell’euforica
ebbrezza della battaglia. Poteva dimostrare agli altri ed a sé stesso la
propria bravura, poteva mettere in atto le tecniche che aveva studiato da una
vita, poteva divertirsi a battere dei robot senza provare il minimo senza di
colpa, poiché non si trattava di esseri che sentivano dolore, o mostravano sentimenti.
Ed infine, perché no, poteva godere di quel piccolo brivido
di paura che il pericolo iniettava nelle sue vene, una sensazione che pulsava
dentro di lui e lo faceva sentire vivo, giovane, potente.
In questo era molto simile a suo fratello Raph, che combatteva
al suo fianco. Raffaello sembrava essere sempre, in ogni momento della sua
vita, pronto per la battaglia. Era come se ne avesse fisicamente bisogno, come
se solo nell’affrontare i nemici avrebbe potuto combattere insieme a loro anche
i suoi demoni interni, che fin da piccolo turbavano il suo sguardo ed ai quali
nessuno aveva mai saputo dare un nome, o un perché.
Mentre con un calcio al busto ha allontanato un avversario,
dalla gola di Raffaello è sfuggito il solito ringhio furente, basso e
minaccioso, a metà strada tra l’auto-incitamento di un atleta ed il ruggito di
una fiera: la battaglia era per lui passione e sofferenza, gioia e fatica. Ciò
che mancava alla sua vita, lo riempiva con questo. Non lo avrebbe mai ammesso,
ma amava questa sensazione di assoluta vitalità che solo il momento
dell’indeterminatezza sapeva dargli.
Ha schivato un colpo, con un veloce movimento del busto, per
poi assestare un altro calcio al robot che l’aveva aggredito; un rapido giro su
sé stesso, ed affrontando il nuovo pericolo che giungeva da dietro, ha
affondato il sai nel torace meccanico: piccole scintille hanno pizzicato la
pelle verde delle grandi dita della sua mano. Con una torsione, forte della sua
massa muscolare, ancora acerba per la giovane età ma già forgiata da intense
ore di allenamento giornaliero, è riuscito ad alzare in aria il bot trafitto, e
l’ha scaraventato lontano, sull’altro lato del tetto.
Donatello ha fatto un salto per schivare quel bot ninja che
era arrivato ai suoi piedi. Ruotando il suo bo sulla testa, a differenza di
Mikey lui non rideva, a differenza di Raph lui non ringhiava. Per lui la
battaglia era un incidente che bisognava risolvere nel modo più veloce ed
efficace possibile. Un problema da estinguere in modo scientifico. Il minor
numero di danni subiti ed il maggior numero di danni inflitti. Stop. Risolvere
l’inconveniente di percorso nel quale statisticamente purtroppo era sempre più
facile incappare, e tornare ad occuparsi delle altre faccende che lo
riguardavano. Gli studi sul mutageno, per esempio.
Non poteva negare, certo, che ogni qual volta un colpo
perfetto andasse a segno, un piccolo compiacimento lo coglieva; non disprezzava
la bellezza e la maestria di un gesto preciso ed efficace: ne proiettava nella
sua mente la matematica armonia in termine di scontro tra forze ed equazioni dalle
infinite variabili. Poteva in un certo senso capire la soddisfazione che
provava suo fratello Leo ad eseguire le sue figure come da manuale.
Leonardo rasentava la perfezione. Anno dopo anno, mese dopo
mese, le sue tecniche si erano affinate sempre più, fino a pensare di poter
competere, un giorno non molto lontano, in bravura addirittura con il loro
maestro Splinter. Ogni scontro era per lui un appuntamento per il quale si era
preparato fin dall’infanzia; il ninjutsu era un’arte, e lui era l’artista che
vi aveva dedicato tutta la sua giovane vita.
Nei kata perfetti proiettava la sua insaziabile sete di
equilibrio; nell’onore del combattimento si esplicava la sua aspirazione ad
essere il leader, la guida, l’esempio, il risultato. Affondi precisi, colpi possenti:
una danza veloce e letale, una fluidità di movimenti senza pari; le sue katana
erano strisce di luce nella notte newyorkese che tranciavano di netto a metà le
antropomorfe figure robotiche.
…
“Quale devo colpire?”
“Uno qualsiasi, tranne quello con la maschera rossa.” Quello è mio.
L’uomo con la divisa nera ha annuito. Ce la poteva fare
anche da quell’enorme distanza, e con i nemici che si muovevano in
continuazione. Era il più bravo in quel lavoro non solo di tutto lo squadrone,
ma probabilmente di tutto il mondo.
Aveva tre aghi a disposizione. Ce la poteva fare. Anzi, ce
la doveva fare. Perché anche se lui era il migliore nel suo campo, anche se un soldato
altrettanto abile nell’utilizzo di quella particolare arma sperimentale non
sarebbe stato facile da trovare, l’uomo che gli stava dando i comandi non
avrebbe esitato un attimo a ucciderlo in caso di un suo fallimento.
Impugnando con maestria quello speciale fucile a lunghissima
gittata, ha stretto un occhio per mettere a fuoco attraverso il minuscolo
mirino; poi il colpo è partito.
Il primo ago si è rotto contro il colpo metallico di un bot
che rapido si è intromesso davanti alla tartaruga mascherata in arancione. La
battaglia continuava, a diversi tetti di distanza, ma il numero dei bot piano
piano andava scemando. Come sempre, quei mutanti stavano avendo la meglio.
Miriamo a quello con
la maschera viola.
Un altro ago ha sibilato nell’aria. Ma la tartaruga più alta
ha roteato il bo proprio nella sua traiettoria.
Dannazione.
“È l’ultimo ago. Non serve che ti ripeta che non puoi
sbagliare, soldato”. Come per rafforzare con il gesto le sue parole, il suo
superiore ha accarezzato il pugnale che portava al fianco.
Era la sua ultima chance. La sua vita dipendeva da un soffio
di vento.
L’ago sottilissimo ha lasciato la canna. È volato nella
notte, fra i tetti. Ha riflesso per una piccola frazione di secondo nella sua
minuscola superficie il bagliore delle luci multicolori che come puntini
tremolanti si irradiavano flebili giù in basso. È passato tra due bot ninja, ha
sfiorano il nunchaku vorticante della tartaruga mascherata in arancio, ha superato
il guscio dell’altro guerriero, quello con la maschera viola.
Si è immerso di appena pochi millimetri nella pelle verde, per
poi cadere a terra con un tintinnio così debole che non sarebbe stato udito
neppure se su quel tetto non stesse infuriando una feroce battaglia.
Leonardo si è toccato il collo. Cos’era stato? Una
sensazione dimenticata subito nella concitazione del momento. Ha trafitto da
dietro uno dei bot che stavano accerchiando Donatello.
Un minuto, ed era già tutto finito. I quattro fratelli
ansimavano un po’ mentre riponevano le armi. Si sono riavvicinati, portandosi
verso il mutante in blu. Intorno a loro, una dozzina di bot ninja giacevano
distrutti, i corpi robotici distesi in forme scomposte.
“Ottimo lavoro, ragazzi.” Leonardo ha assunto una posa
fiera, pugni sui fianchi, petto in fuori. Tra il serio ed il faceto, ha imitato
il capitano Ryan del suo amato Space Heroes.
“Ma finiscila.” Raffaello gli ha dato una spinta che per
poco non l’ha fatto finire a terra.
“Uh uh, me la posso tenere?” Michelangelo ha preso in mano
la testa di un bot, rigirandola affascinato.
“Per sostituire la tua? Non è così che funziona.” Il
fratello mascherato in rosso gli ha appioppato uno schiaffo sulla nuca. “E poi
basta il nerd a riempirci la tana di bot-spazzatura.”
“Non è spazzatura, pezzo d’asino, ma materiale che posso
utilizzare per le mie invenzioni.”
“Come mi hai chiamato?”
“Ehm… Leo? Torniamo a casa?” Donatello è indietreggiato
davanti al fratello che aveva appena risfoderato i sai. Affibbiargli epiteti
mentre era ancora pieno di adrenalina per la battaglia non era una grande idea.
“Torniamo ragazzi. Mikey, posa quella testa.” Il leader in
blu è saltato sul tetto di fronte, riprendendo la strada di casa. Dopo di lui,
gli altri tre ninja l’hanno seguito balzando agili, nere silhouette nella notte.
Ignari degli occhi grigi che hanno guardato da lontano tutta
la scena.
…
(Tre giorni dopo.)
“Leo? Leo?”
Leonardo si è sentito chiamare da qualcuno. Ha aperto gli
occhi a fatica. Ha impiegato un paio di secondi per scacciare gli ultimi
brandelli di sonno ed ha messo a fuoco la figura china sopra di lui, che lo
stava scuotendo delicatamente per una spalla.
Verde. Arancione. Lentiggini.
“M… Mikey? Che vuoi?” Infastidito si è girato dall’altra
parte sul suo letto. Perché suo fratello lo disturbava nel bel mezzo della
notte? Lui era così stanco…
“Alzati fratello! Ti stai perdendo la colazione.”
Alzarsi? Colazione? Ma che ore erano?
Leonardo è balzato a sedere sul letto ed ha preso tra le
mani la sveglia. Era tardissimo! Lui solitamente a quell’ora era già in piedi
da tempo. Si alzava sempre prima dei suoi fratelli.
“Muoviti, o Raph si pappa tutto!”
Michelangelo è uscito dalla stanza lasciando un Leonardo
stordito e confuso. Come mai non si era svegliato? E come mai gli sembrava di
aver dormito solo un paio d’ore? Eppure ricordava di essere andato a letto per
primo la sera precedente: dopo la ronda era tornato a casa insolitamente
stanco…
Si è fatto forza, ha stiracchiato le braccia, sbadigliando. Ha
preso la sua maschera blu dal comodino e l’ha allacciata con cura. Ha indossato
le fasce e le protezioni ed è sceso in cucina.
“Uh! Il grande Leonardo che si alza per ultimo! Da scrivere
negli annali!” ha iniziato Raffaello mentre addentava un toast.
“Ben svegliato, figliolo. Tutto bene?”
“Buongiorno Sensei. Sì, tutto a posto, grazie.” Leonardo ha
odorato disgustato gli odori della cucina. Un conato di vomito gli è salito
alla gola. Sì è seduto tra il padre che sorseggiava il suo tè e Donatello che
con una tazza di caffè in una mano digitava sull’inseparabile portatile con
l’altra.
“Donatello, figlio mio, non puoi mettere da parte il
computer mentre facciamo colazione?” Quello di suo padre non era un semplice
invito, e Donatello ha immediatamente riposto su uno sgabello il portatile.
Senza spegnerlo, però.
“Et voilà!” Michelangelo ha poggiato davanti a Leonardo un
piatto di pancetta ed uova strapazzate.
Alla vista del cibo, la tartaruga mascherata in blu si è
sentita rivoltare lo stomaco.
Ha allontanato il piatto.
“Scusa Mikey, non ne voglio.”
Michelangelo ha guardato il fratello come se lo avesse
appena pugnalato al cuore. Leonardo si è affrettato ad aggiungere: “Si vede che
è tutto ottimo, come sempre, ma stamattina proprio non ho fame. Scusa.”
“Non c’è problema, fratello.” La tartaruga mascherata in
arancione gli ha rivolto un caldo sorriso ed ha iniziato a togliere il piatto,
per essere fermato al volo da Raffaello, tutto chino a mangiare voracemente come
se non vedesse cibo da mesi.
“Lascia a me.”
Michelangelo ha annuito compiaciuto. Con Raph raramente si
sprecava qualcosa.
Splinter e Donatello hanno guardato Leonardo.
“Va tutto bene, ok? A voi non capita mai di non aver fame?”
Leonardo ha fatto un sorriso di circostanza mentre appoggiando entrambe le mani
sul bordo del tavolo si è alzato per andare in bagno.
…
“Hajime!”
Splinter come di consueto ha dato inizio alla sezione di
allenamento.
Quella mattina, Raffaello doveva gareggiare contro
Donatello, Leonardo contro Michelangelo. Solitamente, in queste situazioni non
c’era storia: i due fratelli maggiori battevano sistematicamente i minori.
Donatello ha ruotato il suo bo mentre è avanzato, non molto
convinto, contro il fratello. Stava pensando chi gliela facesse fare a provarci
ancora, dopo tanti anni, quando non era riuscito a batterlo neanche una volta.
Con l’espressione rassegnata di chi è consapevole di andare
incontro all’inevitabile, ha abbassato il bo in posizione difensiva sperando di
riuscire almeno a non farsi male. Raffaello con un ghigno satanico gli si è
lanciato contro; Donatello ha deviato l’assalto facendo leva sul bastone per
ruotare di lato, ed ha tentato di assestare un calcio da dietro al fratello.
Questi ha fatto una capriola per rimettersi di fronte a Donatello e, mentre era
ancora giù, l’ha colpito sui polpacci, piano per non fargli male ma abbastanza
forte da sbilanciarlo.
Meno di trenta secondi e Donatello era già al tappeto con in
piede del fratello mascherato in rosso sul piastrone.
Ha girato la testa di lato a cercare la comprensione di
Michelangelo che sicuramente aveva subito la stessa sorte.
Invece ha visto Leonardo inginocchiato che si teneva il
volto ed un mortificato Michelangelo accanto a lui.
Splinter si è avvicinato al figlio mascherato in blu, gli ha
tolto le mani dal volto per controllare eventuali danni. Solo un piccolo segno
rosso sulla guancia, ed un taglietto a lato della bocca.
“Io… io… mi dispiace, Leo! Ma pensavo che l’avresti parato!”
Michelangelo era contrito, si è rivolto verso il maestro allargando le braccia:
“Sensei, hai visto? Era una mossa elementare! Come ha fatto a non pararla! Mi
dispiace tanto! Io…”
“Va tutto bene, Mikey. Colpa mia, mi sono distratto. Scusa
Sensei.” Leonardo si è alzato in piedi e rivolto al maestro ha chinato il capo
in un rispettoso gesto di scusa.
“È pericoloso distrarsi durante l’allenamento, Leonardo.
Quando si usano le armi anche una piccola disattenzione può provocare gravi
danni. Te la senti di proseguire?”
“Certamente Sensei, non è niente.”
“Bene. Ricominciamo.”
Ma dopo un po’, Splinter ha capito che qualcosa non andava.
Leonardo combatteva male, si muoveva in modo insolito, e si era fatto battere
praticamente da tutti i fratelli. Adesso era in evidente difficoltà a parare la
gragnola di colpi di Donatello.
“Yame.”
Al comando, Donatello si è bloccato col bo a mezz’aria una
frazione di secondo prima di centrare ancora il fratello.
Splinter si è avvicinato a Leonardo, che ansimava
leggermente.
“Tu non stai bene, oggi, figlio mio.”
“No Sensei, io…”
“Leonardo.”
Leonardo ha abbassato lo sguardo. “Sì, Sensei, non mi sento
molto bene.”
I fratelli si sono guardati l’un l’altro, in colpa. Avrebbero
voluto sprofondare, lì dove si trovavano: ognuno di loro aveva gioito in cuor
proprio, orgoglioso di aver battuto il fratello.
Donatello ha mollato il suo bo ed ha guardato Leonardo con
fare clinico. Il blu aveva gli occhi insolitamente rossi e lucidi. Gli ha messo
una mano sulla fronte.
“Hai la febbre.” La tartaruga mascherata in viola si è
sentita un verme. Stava prendendo a colpi suo fratello che aveva la febbre.
Per la loro conformazione particolare, avere la febbre
poteva essere solo di per sé un problema abbastanza serio. Essi avevano un
sistema di termoregolazione imperfetto ed imprevedibile; per il loro miscuglio
genetico il corpo non reagiva a questi normali fenomeni di autodifesa come ci
si sarebbe aspettati.
Né rettili, né mammiferi, erano delle creature singolari, e
per loro la medicina umana aveva dei limiti.
In parole povere, anche pochi gradi di febbre non potevano
essere sottovalutati. E Donatello ha sentito la fronte del fratello che
letteralmente scottava.
“Perché non ci hai detto niente?” Adesso Donatello era non
solo in modalità medico, ma in modalità fratello medico che iniziava ad
incazzarsi.
“Ma sto bene! Ho solo un po’ di febbre!” Leonardo ha
abbassato il capo, arrossendo.
Splinter ha sorriso. Questo suo figlio fin troppo
orgoglioso. Gli ha poggiato una mano sulla spalla.“Non c’è niente di cui
vergognarsi a stare male, Leonardo. Capita a tutti.”
“Cos’altro ti senti?” Donatello ha preso il viso del
fratello con una mano continuando a scrutarlo come se fosse un esperimento di
laboratorio. Raffaello ha incrociato le braccia ed ha scambiato uno sguardo
divertito con Michelangelo. Faticavano a trattenere le risate di fronte alla
scena dell’accorato medico e dell’imbarazzatissimo paziente.
“Ehm, vomito e… devo andare spesso in bagno.” Ha intravisto
con la coda dell’occhio Raffaello e Michelangelo ed è diventato ancora più
paonazzo.
“Va bene, figlio mio. Vai in infermeria con Donatello e
fatti visitare. Per oggi sei esentato da ogni attività.”
“Uh uh! Ed io ti farò da infermierina per tutto il giorno!”
Michelangelo è balzato addosso al fratello e l’ha abbracciato fino a
strizzarlo. “Non ti preoccupare di niente! Penserò a tutto io! Ogni tuo
desiderio sarà un ordine e starò tutto il giorno vicino a te!”
Leonardo ha allargato gli occhi. Sarebbe stata una lunga
giornata.
|