The Boy Who Waited 6
Advertisement
E' l'ultimo capitolo.
Cosa c'entra questo? Beh, intanto volevo ricordarvelo -ouch!- e poi...
direi che sintetizza abbastanza qualsiasi altra scusa. Insomma, ho
ritardato, lo so. Ho un esame il 17, ed è di vitale importanza
passarlo. Ho sistemato questo capitolo ieri notte, fino alle tre -sono
una vampira notturna, I KNOW- perché la notte è l'unico
momento in cui non studio e posso concedermi qualche distrazione. E poi
avevo davvero bisogno di... insomma, di non farvi aspettare troppo per
l'epilogo.
Non voglio dilungarmi ulteriormente perché mi sfogherò
meglio nelle note finali, non vorrei rischiare adesso qualche spoiler.
Ma voglio aggiungere delle piccole cosette prima di lasciarvi: innanzitutto, che molti di voi forse avranno immaginato un
finale del genere. Molti di voi avevano già immaginato la morte
di Dean nello scorso, e mi dispiace per quelli che hanno indovinato.
Tuttavia, nonostante le vostre convinzioni, nessuno ha davvero azzeccato
l'idea che avevo in mente per il finale. Alcuni si sono avvicinati ma... ma non hanno
indovinato del tutto. Non so quanto sentirmi fiera. Piuttosto, mi
auguro di non deludervi. Davvero. Ci tengo tantissimo a questa storia,
e che abbia un... un senso.
Spero di essere rimasta in tema. E per il resto, a livello emotivo
questa fanfiction mi ha scombussolato, ed è per questo che le
prossime penso, spero, saranno delle AU, e possibilmente un filino
meno angst. Anche se continuerò a ricordare questa come forse
una delle mie preferite. Vorrei dirvi troppe cose ma non posso. Non
adesso. So solo che mi dispiace per tutte le lacrime, e per quelle che
forse verranno anche leggendo questo, ma sappiate che era necessario.
Forse alla fine invocherete la mia morte, forse mi ringrazierete, non
lo so. So solo che mi dispiace, e buona fortuna per la lettura
ç_ç
[p.s: per le risposte alle recensioni... non mi sono scordata di voi,
è che voglio rispondervi con calma come sempre e il tempo mi
manca D: se stanotte non sono troppo impegnata a studiare vi rispondo
<3]
Soundtracks
che ho
ascoltato scrivendo il capitolo:
Questa volta... questa volta non ho variato. Ho ascoltato la stessa
colonna sonora ad oltranza, che è la stessa dello scorso
capitolo. Potrei proporvene altre, anche per variare, ma che senso
avrebbe? Io ho scritto questo capitolo facendola partire a ripetizione,
ma... appunto perché è l'ultimo capitolo, e questa storia
è come un cerchio che ritorna alle origini, ho deciso di
concedere un piccolo cameo alle themes più importanti :')
troverete il solito "Qui" con la canzone nel testo. Ho deciso di
scegliere una soundtrack per ogni pezzo... o quasi xD ovviamente non
potevo riutilizzare tutte le
soundtrack precedenti, perchè il tono del capitolo è
comunque relativamente triste. E la più recente ve l'ho postata
due volte. Ooh non voglio anticiparvi nulla, ma l'ultima vi farà
un certo effetto perché ricorderete tanti altri momenti di
questa ff. Anyway... https://www.youtube.com/watch?v=h3lWwMHFhnA
The Boy who Waited
Too
late
Castiel camminava.
Un passo dopo l'altro, col trench che si gonfiava dietro di lui. Le
braccia pesanti lungo i fianchi, i capelli scossi dal vento, le gambe
che tremavano e facevano fatica a reggerlo.
Fuori il sole stava per tramontare. Cas si fermò e
voltò piano lo sguardo in direzione del rosso disco scolare
che stava morendo, lì dietro le montagne.
Rimase a fissarlo forse per un tempo infinito.
Non provava più nulla.
L'avevano cacciato dalla stanza di Dean, Jane gli aveva proposto un
caffè per riprendersi ma Cas... non era stato nemmeno in
grado di dire "no".
Non riusciva più a parlare. Aveva un groppo in gola che non
voleva saperne di andare giù, e ogni parola gli sembrava
futile al momento. La sua mente era un vortice indistinto di pensieri,
sensazioni, emozioni e soprattutto di dolore. Un dolore totalizzante e
cieco che non aveva mai provato prima.
Era così intenso che nemmeno lo percepiva. Era come se si
sentisse svuotato. Come se la sua anima l'avesse abbandonato, la sua
grazia avesse lasciato il suo corpo in un ultimo, vibrante respiro.
E invece era lì. Ancora vivo.
Aveva lasciato l'ospedale senza sapere dove andare, camminando senza
meta, senza una direzione precisa, con il solo scopo di continuare a
camminare.
Temeva che, se si fosse fermato, sarebbe potuto crollare, e nessuno
sarebbe stato pronto lì a porgergli la mano ed aiutarlo ad
alzarsi.
Non più.
E invece eccolo, si era fermato. Non aveva idea di dove si trovasse,
accanto a lui c'era qualche casa spaurita e sconosciuta, nessuna
insegna, nessun indizio che potesse attirare la sua attenzione se non
quella palla rossa che stava per coricarsi tra i monti.
Cas si fermò.
Smise di camminare.
E fissò il sole. Lo fissò anche quando gli occhi
iniziarono a bruciargli, pregandolo di distogliere lo sguardo.
Lo fissò anche quando divenne consapevole che poteva
accecarsi, perché si trovava ancora in un vessel umano.
Lo fissò fin quando non scomparve dietro i monti, mentre un
unico raggio si allungava come per cercare un appiglio... per non
abbandonare questa terra.
Proprio come il braccio di Dean poco dopo che i medici l'avevano
trascinato via da lui di peso.
E come in risposta a quel ricordo, gli tornò in mente pure
la voce del suo cacciatore.
Come le stelle...
continuano a splendere anche dopo che sono morte, sai? Nel momento
successivo alla loro morte brillano ancora di più, quasi a
non voler far sapere al mondo che sono morte.
«NO!» urlò con disperazione, non si sa
bene a chi.
Il raggio di sole però scomparve.
Cas iniziò a guardarsi intorno freneticamente, col battito
accelerato, il respiro corto. Un medico avrebbe detto che stava avendo
un attacco di panico, ma vale lo stesso per gli angeli?
Ricominciò a camminare, e poi ad aumentare il
passo senza nemmeno accorgersene mentre il cielo si imbruniva, e poi si tingeva di blu, e iniziavano a brillare le prime stelle.
La camminata si trasformò in corsa, e Cas sapeva solo che
voleva andare via, da tutto e da tutti.
Da quella città che all'improvviso era diventata troppo vasta,
da quel cielo che pareva una gabbia opprimente che gli toglieva il respiro.
E gli angeli nemmeno ne avrebbero bisogno, di respirare...
Continuò a correre col respiro affannoso e gli occhi in
fiamme, fin quando il piede non cadde in fallo e Cas si
ritrovò catapultato a terra.
Lo scontro col terreno erboso lo risvegliò per un attimo. Il
dolore gli ricordò che era vivo, e ciò
contribuì a fargliene provare ancora di più
perché non era giusto, non
era giusto che lui fosse ancora vivo, che potesse ancora sentire, quando
Dean non poteva più farlo.
Quando Dean non era ormai più nulla, forse nemmeno
più un'anima.
Quando Dean aveva smesso di esistere, e lui, che nemmeno la voleva
questa vita, era ancora lì e respirava.
Come poteva il sole continuare il suo corso, e le stelle continuare a
brillare, quando Dean non poteva più guardarle?
Come faceva l'ossigeno ad avere importanza, ora che Dean non se ne
serviva più?
Cas si ripiegò sulla schiena, le guance fradicie di lacrime,
il pianto ancora tra i denti, e si ritrovò a fissare quelle
stelle.
Quelle stelle crudeli che continuavano a splendere, forse
più del solito.
Non si era mai fermato a guardarle da solo. Non per davvero.
Ed era così strano...
Deglutì le lacrime e si perse a fissare il cielo: era
così immenso e infinito da laggiù. Era...
irraggiungibile.
Non l'aveva mai guardato da quella prospettiva... lui che dal cielo si
affacciava, per spiare la terra dall'alto.
E solo in quell'istante si rese conto, davvero, dei sentimenti che
aveva provato Dean. Di cosa significava davvero essere umano, e
mortale.
Agli occhi del cacciatore, probabilmente, Cas era come quel cielo:
distante e impossibile da raggiungere.
Si sentì morire.
Nascose gli occhi dietro il palmo, in un vano tentativo di asciugare le
lacrime, e ripensò a Dean, e alle sue parole.
E tutte le stelle...
continuano a brillare. Anche dopo milioni di anni, sono sempre
lì, nello stesso posto. Sai quante generazioni si sono
rincorse sotto di loro? Gli antichi romani guardavano le stesse stelle
che guardiamo noi. Ti fa pensare a quanto il tempo sia relativo, a
quanto noi umani siamo piccoli e insignificanti, e a quanto sia breve
la nostra vita.
Dean l'aveva sempre saputo che sarebbe finita così.
Cas si rese conto di essere stato troppo stupido per capirlo con la
stessa velocità.
Perché sai...
basta che ci pensi... chiunque, alzando lo sguardo, scorge il cielo.
Che ti trovi in America, o in Europa, o in Australia, o perfino in
Antartide... o in Paradiso... comunque alzi gli occhi e il cielo e le
stelle son sempre lì, uguali per tutti. E' come stare sotto
lo stesso tetto, sai? Come essere protetti, in un certo senso. E
collegati. Ti fa... sentire meno solo.
Cas si alzò a sedere di scatto.
In paradiso... forse Dean era in paradiso?
Stava per alzarsi in piedi quando un odore familiare gli
stuzzicò le narici.
Giacca di pelle e crostata...
Ebbe un tuffo al cuore.
Dean!
Col cuore impazzito Cas scattò in piedi e iniziò
a correre verso la fonte dell'odore: si trovava in una strada di
campagna, una di quelle distese di erba secca che si dipanano tra uno
stato e l'altro degli USA.
Corse fino a quando le gambe del suo vessel non reclamarono
pietà, e finalmente intravide un cespuglio piuttosto folto.
Lì l'odore era intensissimo.
Girò l'angolo col cuore che batteva come un tamburo e...
Rilasciò il fiato, deluso.
Come ho potuto illudermi
che potesse essere ancora vivo... pensò,
stringendo i pugni.
Lì, sotto la luna piena, l'Impala faceva bella mostra di
sé.
O meglio, ciò che restava dell'Impala.
Forse Dean aveva avuto un incidente, moltissimi anni prima. Un
incidente che aveva fatto impantanare la macchina in mezzo al... al
nulla più totale.
Cas non aveva un grande senso dell'orientamento terrestre, ma era
sicuro che quella prateria non fosse un luogo memorabile, o comunque un
posto dove normalmente si posteggiano le macchine.
Si avvicinò cauto all'Impala, senza fare rumore, quasi
avesse timore di poter risvegliare un Dean dormiente al suo interno.
La Chevy del 67 non era come Cas la ricordava: era impolverata e
ricoperta di sterpi. Il vetro posteriore era spaccato e un rampicante
ne aveva approfittato per scavalcarlo e penetrare all'interno del
veicolo.
Uno degli sportelli era divelto: mancava uno dei vetri davanti e
l'altro era rotto. Vi erano nella carrozzeria numerose scheggiature e
ammaccature.
Cas avvertì un improvviso e irrefrenabile turbamento.
Quella visione era disturbante.
Era tutto così sbagliato.
L'Impala non sarebbe dovuta essere così. Dean amava la sua
Impala. Se n'era preso cura.
Cas digrignò i denti mentre una rabbia cieca si impossessava
di lui: un attimo dopo si era scagliato sul veicolo, iniziando a
strappare con urgenza tutti quei rampicanti, quei parassiti che avevano
osato entrare nello spazio personale di Dean e della sua adorata
macchina.
Scagliò lontano tutte le pietruzze che erano entrate,
cacciò bruscamente una faina che si era fatta la tana
là dentro, e cercò di ripulire in tutti i modi la
macchina dalle schegge e la sporcizia. Tanto fu l'ardore con cui
tentò di strappare tutti i rami -nessuno toccava quell'auto
da almeno vent'anni- che si tagliò più di una
volta col vetro e le spine.
Ma non gli importò.
In un certo modo distorto si compiacque di quel dolore,
pensò di meritarselo... era un giusto pagamento.
Si sarebbe sacrificato per Dean.
Quando terminò il lavoro era completamente sudato ed
esausto, la rabbia evaporata, e la macchina ripulita -alla bell'e
meglio-.
Ma non era servito a niente.
Dean non l'avrebbe ringraziato. Nessuno avrebbe ammirato il suo lavoro.
Attanagliato da un nuovo senso di angoscia Cas si mise al posto di
guida e provò ad accendere il motore.
Non successe niente.
«Oh, andiamo...» gemette, innervosito, e
riprovò. La macchina emetteva un tenue lamento, ma poi si
spegneva.
Era troppo debole, non ce la faceva a mettersi in moto.
«Forza, forza...» pregò ancora Cas, tra
i denti, stringendo le dita sul volante e girando con ancora
più energia la chiave.
Per un attimo il motore ruggì. Poi tacque di nuovo.
«PORCA PUTTANA!*» Cas si lasciò andare
furioso contro il sedile, dando uno scossone rabbioso al manubrio e
attivando per sbaglio il clacson.
Risvegliato dal trambusto, un gatto selvatico spelacchiato
saltò in aria e sgusciò lontano.
Con un solo faro acceso nella notte, e la macchina spenta, Cas si
addormentò, col profumo di Dean ancora addosso e il corpo
stanco abbandonato sul sedile che per tanto tempo aveva ospitato la
persona più importante della sua vita.
Quando si risvegliò, fu perché qualcuno aveva
bussato al finestrino accanto a lui.
Sussultò riaprendo gli occhi, e cercando meccanicamente la
sua spada angelica all'interno della tasca del trench.
Poi scorse il poliziotto che l'aveva chiamato e si calmò.
Abbassò il finestrino e aspettò che il poliziotto si
sporgesse.
«Buongiorno» lo saluto l'ufficiale.
«Buon...giorno» rispose Cas ancora confuso, e con
la voce impastata dal sonno. Si voltò verso l'orizzonte e
strizzò gli occhi per non farsi accecare dal sole.
Quanto aveva dormito? E da quando gli angeli dormono?
Si era fatto giorno e nemmeno se n'era accorto.
«Mi dispiace disturbarla, ma lei qui non può
stare.»
«Oh» rispose Cas, ancora non del tutto lucido.
«Mi dispiace, non ne ero al corrente. Mi dia un attimo che
sposto la macchina...»
«No, forse non ha capito. E' nella macchina che non
può stare.»
Cas si risvegliò completamente.
Batté le palpebre e cercò gli occhi
dell'ufficiale, sicuro di non aver sentito bene.
«Cosa?»
«Chevrolet Impala, classe 1967, acquistata nell'anno 1973 dal
signor John Winchester e poi proprietà del figlio Dean
Winchester?»
«Sì...?»
«Questa macchina adesso è sotto sequestro. Lei
è pregato di scendere.»
Il poliziotto aprì lo sportello, ma Cas non si mosse.
«Mi scusi, ci deve essere stato un errore. Posso assicurarle
che non l'ho rubata, io... io sono un amico del figlio. Lo ero... la prego, le
giuro che... volevo solo...»
«Non la sto accusando di furto» lo
tranquillizzò il poliziotto, trascinandolo gentilmente fuori
dal veicolo.
«Avrà sicuramente saputo del decesso dell'ultimo
proprietario, giusto? Nel testamento, la seguente proprietà
non è attribuita a nessuno. Il signor Winchester, a quanto
pare, era molto protettivo nei confronti della sua auto, e ha scelto di
non lasciarla a nessun parente o amico ancora in vita.»
Cas era così irrigidito che non riusciva a processare il
discorso.
«Che cosa ne farete allora?» si informò,
con un filo di voce.
Ma lo comprese da solo quando vide un carroattrezzi dietro l'Impala.
«Rottamazione» rispose l'ufficiale.
«No, voi non potete farlo!» tentò di
spiegare Cas, ma il poliziotto lo allontanò in modo che il
braccio metallico del veicolo guidato dal suo compare potesse
agganciare l'Impala e poi sollevarla.
«NO, NO, ASPETTATE!»
Cas provò un senso di deja vu mentre il poliziotto lo teneva
fermo.
«Non potete distruggerla! E' tutto ciò che resta
di... che mi resta...»
«Mi dispiace, signore. E' la legge.»
«No...» Cas seguì l'Impala sollevarsi e
fargli ombra per un attimo, stagliandosi come una sagoma appuntita
contro il sole.
«No, no, un momento, deve esserci un modo...»
«Non c'è.»
«Posso acquistarla io! Non ho problemi di soldi!»
Il poliziotto ribatté con una risatina sarcastica
«E perché mai vorrebbe comprarsi questo catorcio?
E' un rottame, ormai, se ne faccia una ragione. Non
camminerà mai più.»
E fu come una pugnalata.
«Non mi importa!» Cas sentì la tristezza
rimontargli insieme alla rabbia, mentre le lacrime combattevano per
uscire.
«Davvero, perché vorrebbe un'auto del genere?
Potrebbe comprarsi qualsiasi macchina preferisce, se i soldi non sono
un problema.»
«Io non...» Cas deglutì a vuoto, gli
occhi fissi sull'Impala, alla ricerca delle parole giuste
«non voglio un'altra
macchina. Voglio questa.»
Il poliziotto probabilmente capitolò, perché
scosse la testa, divertito. «Lei è completamente
matto, signore.»
«Lo so» sibilò Castiel, con voce
tremante.
Ma non poté fare niente. Qualsiasi cosa avrebbe detto,
quegli uomini non l'avrebbero ascoltato.
«Ian, procedi!» urlò il primo poliziotto
alzando una mano come segnale. Il suo collaboratore, seduto all'interno
della gru, sollevò il pollice e un attimo dopo l'Impala fu
lasciata andare nel retro del veicolo, all'interno di una bocca dentata.
Cas non poté far niente per salvarla.
Guardare la distruzione dell'Impala fu un po' come rivivere la morte di
Dean: ogni "morso" della mano metallica era come un morso nel suo
petto, ogni volta che i denti del macchinario affondavano nella
carrozzeria, era come se penetrassero nel suo cuore, e ogni gemito
dell'Impala gli faceva rizzare la pelle come se fossero di nuovo i
lamenti di Dean all'interno della stanza ospedaliera.
Più di una volta ebbe l'impulso di rimettere, più
di una volta provò ad obbligarsi a voltarsi,
perché quella visione era troppo straziante per lui, troppo
dolorosa, troppo... semplicemente troppo.
Ma non lo fece. Non lo fece nessuna volta. E rimase a guardare,
congelato sul posto, le gambe come atrofizzate, una lacrima solitaria a
solcargli le palpebre che nemmeno si curarono di battere.
E così Castiel perse anche l'ultima traccia del suo
cacciatore: dell'Impala non rimase più nulla, come del suo
proprietario. Solo un ammasso compatto di metallo, con alcune parti del
motore e i cerchioni ormai consumati, abbandonati nell'erba secca, come
tanti organi interni.
Ian e il suo amico rimontarono sul loro veicolo e se ne andarono veloci
e silenziosi come erano arrivati, a lavoro ultimato.
Chiesero a Cas se avesse bisogno di un passaggio, ma l'angelo nemmeno
si curò di rispondere, così si allontanarono col
piede a tavoletta, a tutta birra, senza voltarsi indietro.
Cas rimase lì, totalmente svuotato e lasciato a se stesso, e
camminò traballando tra quei lunghi e morbidi steli d'erba
secchi, che il vento faceva stormire e danzare come se fossero una
distesa di grano.
Rischiò di inciampare in qualcosa, e così
interruppe il suo incedere cercando di rintracciarne l'origine, e
scorse uno dei pezzi dell'Impala lasciati lì a mummificarsi.
Si inginocchiò di fronte ad esso e ne dissotterrò
la metà non visibile. Poi lo rivoltò, e con cura
ci soffiò sopra e ci passò una manica per
scacciare la sabbia e la polvere.
Era la targa dell'Impala.
Cas la strinse quasi spasmodicamente tra le dita, poi se la
avvicinò al petto, e rimase così, immobile,
singhiozzando, sotto il sole.
†
Gadreel era
già stato sulla terra: non troppo a lungo e solo attraverso
di occhi di Sam Winchester, e per pochissimo, quelli del tramite che
stava occupando adesso.
Ma i ricordi che aveva legati agli umani non erano felici: provava una
profonda vergogna per ciò che aveva fatto.
Aveva ucciso, sulla terra.
Aveva tradito, sulla terra.
Ed era diventato un mostro.
Ma poi aveva avuto l'accortezza di rendersi conto, in tempo, di aver
percorso un cammino sbagliato, spinto dalla disperazione.
Aveva avuto l'energia necessaria per redimersi, per ricominciare, per
farsi perdonare.
E Castiel era stato come una luce alla fine del tunnel: lui aveva reso
quei desideri delle possibilità concrete. Gadreel l'avrebbe
aiutato a costruire un mondo migliore.
Un paradiso migliore.
Ed era proprio lui che stava cercando.
Il suo radar angelico lo trasportò in un cimitero: lo
capì subito dalle piccole tombe disseminate ovunque.
Era un cimitero abbandonato, col cancello sgangherato, uno di quelli
poveri che probabilmente non vedeva una persona viva da un paio di
secoli.
Trovò Castiel poco più avanti.
Quel giorno pioveva, e Cas era fermo lì, a pochi metri da
lui, le spalle pesanti e ingobbite, il trench fradicio e inzuppato di
fango, la testa china e i capelli sgocciolanti, le mani lungo i
fianchi: ma per il resto, non sembrava curarsi di sembrare un pulcino
caduto nell'acqua.
«Castiel?» lo richiamò a voce alta,
preferendo non avvicinarsi troppo per rispettare la sua privacy.
L'altro non diede segno di averlo sentito.
Gadreel si schiarì la gola e si passò una mano
sulla fronte per allontanare i capelli bagnati.
«Castiel...?»
Finalmente l'altro angelo avvertì la sua presenza: l'angelo si
limitò a rialzare il volto, ma senza girarsi, né
muovere un passo.
«Gadreel» disse semplicemente, con la sua solita
voce cupa e roca.
Sentendosi autorizzato, Gadreel si concesse qualche passo, senza
tuttavia esagerare. Da quella distanza non era ancora in grado di
leggere il nome sulla tomba.
«In paradiso eravamo piuttosto preoccupati per te, Castiel.
Non sei tornato più...»
Castiel rimase in silenzio e Gadreel alzò un po'
più la voce, per contrastare il rumore della pioggia.
«Così mi hanno mandato a cercarti. Attendiamo
ancora il tuo permesso e il tuo segnale per distruggere il
portale.»
«Sì» rispose Castiel, ma le sue parole
furono portate via dal vento.
Gadreel notò come la pioggia ruscellava dalle spalle dell'amico
e dai suoi capelli, e come il moro sembrava non essersene accorto
nemmeno. O forse non gliene importava.
Gadreel si preoccupò un po'.
«Sei sicuro di stare bene?»
Castiel non rispose neanche stavolta, tuttavia fece un gesto.
Staccò la mano dal fianco, con un movimento lento e quasi
sofferente, e la poggiò sulla sommità della tomba.
Un attimo dopo si inginocchiò di fronte ad essa, e Gadreel
temette per un attimo che potesse essere ferito: stava per raggiungerlo
in fretta e soccorrerlo, che Cas parlò di nuovo.
«Promettimi una cosa, Gadreel.»
La sua voce era ferma e decisa, nessuna traccia che fosse ferito.
L'interlocutore, che si era quasi mobilitato per accorrere da lui, si
bloccò sul posto.
«C-certo» rispose, dopo un attimo di dubbio
«tutto quello che desideri.»
«Non innamorarti mai» spiegò Castiel,
come se fosse stato un ordine.
Gadreel fu sicuro di non aver sentito bene: forse la pioggia aveva
disturbato l'udito del suo tramite.
«Scusa?»
«Non affezionarti mai a qualcosa che è destinato a
finire.»
Gadreel azzardò qualche passo, sempre più
disorientato, e vide Castiel accarezzare con l'altra mano la foto sulla
tomba, la foto che ritraeva un uomo giovane e sorridente, con
tantissime lentiggini e gli occhi verdi.
«Le cose più belle sono destinate a
morire» continuò Castiel, con lo sguardo perso
nella foto, reclinando un po' il capo. Gadreel provò una
forte pena per lui, non l'aveva mai visto così.
Nonostante il tono fermo e apparentemente apatico, Castiel non sembrava
più lo stesso. Pareva... spento.
E quando Gadreel lesse il nome sulla tomba capì anche il
perché: Dean Winchester.
«Mi dispiace» ammise.
Castiel scosse la testa, e si rimise in piedi.
«No, non è vero.»
«Lo giuro, Castiel, mi dispiace davve-»
«Non sforzarti, va bene così» Castiel
non sembrava intenzionato a smuoversi di lì.
«Non lo conoscevo quanto te, ma... ho avuto modo di vivere
con lui per un po'. Era una brava persona...»
Castiel tacque.
«Era... so quanto ci tenevi a lui. Lo sapevano tutti,
lì in Paradiso.»
«No» lo interruppe Castiel, brusco «non
lo sapevate. Non l'avete mai capito. Nemmeno io l'avevo capito, fino a
poco tempo fa. Ma non importa... ormai è troppo
tardi.»
Il silenzio calò di nuovo tra i due, ma un silenzio
così teso che Gadreel avrebbe potuto tagliarlo col coltello.
Dal momento che Castiel non sembrava voler aggiungere altro, Gadreel
riprese le redini del discorso.
«In ogni caso, che risposta porto agli altri
angeli?»
«Nessuna» lo precedette Castiel, e finalmente si
voltò a guardarlo.
Gadreel, se possibile, era ancora più confuso. Qualcosa
pareva sfuggirgli.
«Credo di non aver capito... dobbiamo ancora distruggere il
portale, no?»
«Certo» Cas parlava con lui ma non lo guardava.
Sembrava evitare il suo sguardo, preferendo puntarlo sul vuoto.
«Non avrai bisogno di portare nessuna risposta agli angeli...
perché lo farò io personalmente.»
«Ma credevo... credevamo tutti che volessi restare qui. Sulla
terra... da umano.»
Castiel rise. Una risata spenta, priva di allegria, morta.
«Oh Gadreel» lo guardò per la prima
volta da quando era arrivato, ma non c'era alcuna gioia di rivederlo
nel suo sguardo.
Anzi, non c'era proprio più nulla.
«Lo volevo davvero. Non ho mai voluto qualcosa
così tanto in vita mia come poter restare qui.»
«E allora perché...»
«Perché ormai è troppo tardi. Troppo tardi.
L'umanità non ha più nulla da
offrirmi...» avanzò e lo superò senza
rivolgergli un'occhiata.
Gadreel ruotò il collo per poter seguire i suoi movimenti,
totalmente preso alla sprovvista, e si ritrovò a fissare
quell'angelo stanco muoversi sotto la pioggia.
Seppur Castiel non avesse ferite visibili, Gadreel era sicuro che, in
un modo o nell'altro, quell'ultima permanenza sulla terra l'avesse
ucciso.
Non c'era più alcuna traccia del Castiel che conosceva, di
quell'angelo imbranato e ribelle e felice
che aveva avuto modo di incontrare.
«Quindi... non vuoi restare qui?»
domandò ancora, cercando di chiarire una volta per tutte.
Castiel non interruppe la sua camminata strascicata.
«No... non voglio restare qui un attimo di più.
Torniamo a casa.»
Quelle furono le ultime parole che Castiel pronunciò sulla
Terra. E l'ultima volta che vi mise piede.
Un attimo dopo, infatti, era sparito.
*
L'ordine venne dato, il portale distrutto, e questa volta Castiel non
diede nemmeno un'ultima occhiata dall'altra parte.
Mentre gli altri angeli festeggiavano la pace ritrovata in Paradiso,
Gadreel cercò Castiel per congratularsi, e lo
trovò in disparte, con le mani in tasca e una collana
attorno al collo, una collana che non gli aveva mai visto addosso prima.
«Eih, Cas!»
«Ti prego, non chiamarmi più
così» lo accolse l'altro. «Il mio nome
è Castiel.»
«Scusami...» se anche Gadreel avesse creduto che
Castiel si fosse consolato con la chiusura del portale, si era
sbagliato.
«Allora... perché non vieni con gli altri? Hannah
ha portato una di quelle torte che agli umani piacciono
tanto.»
«Si chiamano crostate.
E poi che senso avrebbe? Non possiamo sentirne i sapori.»
«Però possiamo provarci» insistette
Gadreel.
Castiel sorrise un po', quasi commosso. Poi però strinse il
ciondolo tra le mani e gli rivolse uno sguardo carico di mille parole.
«Mi dispiace, non posso unirmi ai festeggiamenti.
C'è ancora una cosa che devo trovare.»
Gadreel non chiese spiegazioni, e del resto Castiel non gliene diede il
tempo. Gli voltò le spalle, e andò via: Gadreel
seguì le sue spalle allontanarsi, come prima sulla Terra.
Quella fu l'ultima volta che sentì la sua voce.
Di Castiel si persero le tracce, nessun angelo lo rivide mai
più.
Castiel stava percorrendo una lunga e ampia strada asfaltata che pareva
perdersi all'orizzonte, all'infinito.
Si concesse un profondo respiro, anche se non ne aveva bisogno, e
strinse le dita attorno all'amuleto che, ormai troppi anni prima, Sam
aveva regalato a Dean.
L'aveva recuperato dalla spazzatura subito dopo che Sam ce l'aveva
gettato, e l'aveva conservato nel suo trench per tutto quel tempo. Se
n'era preso cura.
E se in passato gli era servito per cercare Dio, ora l'avrebbe
utilizzato per cercare qualcun
altro.
Aveva un sacco di Paradisi da visitare, e l'eternità a
disposizione per farlo.
Ma sapeva che l'unico punto di partenza plausibile, nel suo caso, era
una strada.
Dean... ti
troverò. Fosse l'ultima cosa che faccio, ma ti
ritroverò. Forse non è ancora troppo tardi. Aspettami per l'ultima volta...
~•~Angolo
Autrice~•~
Vorrete uccidermi. Lo so. LO SO. (E LEGGETELE QUESTE NOTE CHE IN FONDO C'E' UNA SORPRESA!)
Non so se ripetervi ancora una volta che mi dispiace un mondo, o che
spero che questo finale aperto vi sia piaciuto perchè sì,
alcuni di voi avevano previsto -o sperato, o non sperato- che Dean e
Castiel potessero rincontrarsi in paradiso, ma tranquilli, ci avevo
pensato... nel senso... io nemmeno volevo scriverlo un epilogo,
all'inizio. La storia doveva concludersi con la scena di Gadreel che
incontra Cas in cimitero e gli chiede se vuole restare, e Cas fa il suo
discorsetto e tornano in paradiso e FINE.
Questa era l'idea iniziale della storia. Cruda, fredda, crudele. Ma poi ho pensato... non può finire così.
Non è giusto.
Ho devastato questi due personaggi in maniere inconcepibili, ho
ammazzato Dean e fatto soffrire Cas come un cane, non posso anche
condannarlo ad un'eternità di dolore, anche perché a
ripensarci, Cas non avrebbe potuto semplicemente andare avanti. Non so,
non riesco ad immaginarlo a gettare la spugna così, nonostante
il destino ripetutamente gli avesse urlato di lasciar perdere -tutta la
scena dell'Impala è una metafora di cui parlerò dopo- e
quindi mi son detta, perché no? Perché non chiudere
questa storia in modo vago?
Castiel ritroverà Dean? Non si sa.
Ma intanto non tornerà più in Paradiso, né sulla
terra: vuol dire che prima o poi lo troverà o continuerà
a vagare in eterno? Boh, datevi voi una risposta, io non me la sono
data, ma ho pensato che fosse il finale perfetto per questa storia. Una
storia sì triste e angosciante, ma con una morale. E
soprattutto, come ho sempre detto, questa storia è un cerchio:
la frase finale si collega al titolo e al tema della fan fiction. Ho
pensato davvero che fosse la frase perfetta per terminarla, ma mi
direte voi.
Non so nemmeno se state leggendo queste note, davvero, possibilmente vi
sarete già annoiati ma io ho bisogno di sfogarmi e di rivelare
tutti i simboli che si nascondono dietro a questa ff, dato che è
l'ultimo capitolo, e quando mai riavrò l'occasione per farlo?
E... e... e sono emotivamente ancora confusa, devo poter parlare con
qualcuno e quel qualcuno sarete voi. SCUSATE.
Parlando brevemente della scena dell'Impala, così come quella
finale, non era prevista: è stata un'aggiunta dell'ultimo
momento, proprio del momento in cui scrivevo. Una parola tirava l'altra
ed è uscita questa... roba. Ovviamente, spero che il senso sia
abbastanza ovvio.
L'Impala è l'ultimo avere di Dean, e come già nello show,
rappresenta un po' l'anima di Dean, anzi Dean stesso. Il discorso tra
Cas e il poliziotto sulla questione del "perchè vuoi questo
catorcio? Probabilmente non si metterà mai più in moto" e
Cas risponde "non mi importa. Non voglio un'altra macchina, voglio
questa". Ovviamente era un riferimento -CRUDELE, CRUDELISSIMO E
BASTARDISSIMO PERCHE' SONO UNA STRONZA LO SO- a Dean. A Cas non importa
che Dean sia morto, non riesce a dimenticarlo e ad andare avanti e
possibilmente ad innamorarsi di un altro umano -come Dean stesso
prospettava qualche capitolo fa, invece- semplicemente perché
è ancora innamorato di lui e probabilmente lo sarà
sempre. Perché non vuole qualcun altro, vuole lui, con i suoi
difetti, la sua vecchiaia, la sua voce burbera, i suoi modi bruschi, la
sua fissa per la birra. Insomma... Dean magari era anche un catorcio
per gli altri, probabilmente non si sarebbe mai più mosso, ma
Cas voleva stare con lui lo stesso -non vi ricorda qualche capitolo fa?
sì sono una stronza di merda, lo so-.
Non so cos'altro dire. In realtà vorrei dire miliardi di cose, e
sicuramente me ne starò scordando qualcuna, ma non c'ho proprio
la testa al momento. Ultime curiosità...
1) L'imprecazione che urla Cas
quando l'Impala non si mette in moto e cioè "porca puttana",
è una specie di traduzione/variante italiana del comune "son of
a bitch" che Dean usa sempre
2) La canzone "Saturn" degli
Sleeping At Last -ormai una theme deprimente tipica di questa storia
xD- ha un testo particolare che mi ha ispirato la scena in cui, nel
terzo capitolo, Dean e Cas guardano le stelle e Dean fa quel discorso
in stile Re Leone -di cui in questo epilogo sono riportate alcune
parti-. Ebbene, vi prego di leggere il testo della canzone,
perché descrive praticamente l'inizio di questo capitolo e i
pensieri di Cas: http://www.azlyrics.com/lyrics/sleepingatlast/saturn.html
3) Sulla penultima scena...
Castiel non vuole essere chiamato "Cas" perchè quel nomignolo
gliel'ha dato Dean e quindi gli ricorda lui... è come se Cas
dicesse "solo lui può chiamarmi così". In un certo senso,
volevo anche rappresentare una metafora, ovvero che Cas è la
parte di lui che ha conosciuto Dean -quella che vediamo nel telefilm-.
Prima di allora il nostro piccolino in trench era solo Castiel per
tutti. E ora che Dean è morto, è come se la parte "Cas"
fosse morta con lui, e il nostro angioletto è tornato ad essere
il Castiel in paradiso che era prima di salvare Dean dall'Inferno
4) Inutile spiegarvi la battuta
sulla crostata. Quanto vorrei aver scritto in inglese... ovviamente
Gadreel ha detto "cake" e Cas l'ha corretto con "it's called pie. It's
not the same thing" whateveeer
5) Ah ecco, importantissimo e
stavo per scordarlo! Tra parentesi le cose che vi ho scritto sopra
erano ovvie, invece questa un po' meno... l'Impala lasciata a se stessa
è IL MALE. Perché è come se... cioè non
è Cas che è andato nel futuro e ha trovato l'Impala
abbandonata. No. Era già così da almeno vent'anni, ergo
Dean non se ne curava più... e si sa che questo è il
MALE. DEAN NON LO FAREBBE MAI. Quindi vi lascio immaginare in che
condizioni era Dean, e non mi riferisco alla malattia fisica. Ma
proprio a livello psicologico e spirituale ç_ç "vi
dovrete preoccupare per Dean quando smetterà di preoccuparsi
della sua Impala". Plus, l'Impala era abbandonata nel nulla esattamente
come si è sentito per anni il suo proprietario.
6) Questa è
IMPORTANTISSIMA. Quando Cas vede i rampicanti sull'Impala e va a
strapparli, pensa -dal testo- "quei parassiti che avevano osato entrare
nello spazio personale di Dean e della sua adorata macchina". Okay
questa è cattiva. E' cattivissima. E' così cattiva che
vorrei non dovervela spiegare, ma penso non ce ne sarà
bisogno... beh Cas inconsciamente si colpevolizza per la morte di Dean
-e grazie al cazzo aggiungerei- e quindi si autodefinisce parassita.
Come se avesse rovinato la vita di Dean nel momento stesso in cui l'ha
salvato-toccato per la prima volta -entrando appunto nel suo "spazio
personale", frase così destiel che da sola avrebbe dovuto far
suonare un campanello
d'allarme ahahah-
E niente, se avete notato tutte queste cose sono fiera di voi e di me
che sono riuscita a farvele capire. Se le avete notate solo adesso...
non fa niente, dovevo dirvele lo stesso ^^
Non so cos'altro aggiungere... se avrete ancora qualche dubbio, o
qualcosa che vi frulla per la testa, fatemelo sapere per recensione o
messaggio personale.
Ci tengo davvero un casino a questa storia, quindi beh accetto tutto, anche critiche ovviamente!
E vi lascio con un'ultima immagine del nostro Cas in paradiso alla
ricerca di Dean.... incrociamo le dita e speriamo che si ritrovino,
prima o poi <3
E non per fare la Rowling ma... dedico questa storia a tutte le
persone che si sono sentite abbandonate almeno una volta, a quelle che
hanno aspettato un miracolo -o una persona- che non arrivava
più, a quelle che hanno perso una persona cara
e non sapevano come poter andare avanti, a quelle che sanno cosa vuol
dire innamorarsi di qualcuno contro ogni logica, a quelle che in un
particolare momento avrebbero voluto poter fermare il tempo, a quelle
che almeno una volta si sono fermate a guardare
le stelle,
E a te,
Che sei rimasto con Castiel fin proprio alla fine
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona
l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni
di scrittori.
(Chiunque
voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove
meglio crede)
|