Bastien fissava il foglio bianco da
circa due ore, la testa fra le
mani e un groviglio di idee informi a rendergliela pesante come un
macigno. Le aveva provate tutte: si era acceso una sigaretta, aveva
iniziato a camminare in tondo per la stanza ad occhi socchiusi, si
era versato da bere e aveva imprecato senza preoccuparsi di moderare
la voce, quando il lettore mp3 lo aveva abbandonato con un ultimo
lampo tremulo di vita sul display. Si era perfino disteso lasciando
che la testa gli cadesse penzoloni oltre il bracciolo della poltrona,
senza ottenere risultati rilevanti.
Bastien aveva sempre avuto questa bizzarra convinzione secondo la
quale, di tanto in tanto, le idee necessitassero di una sana
scrollata. E, sempre di tanto in tanto e per assurdo, rischiare di
farsi salire il sangue alla testa aveva funzionato. Così,
aveva
fumato con svogliatezza lasciando che la brace gli si spegnesse fra
le mani più volte, coltivando, a pulsargli fra le tempie, un
principio di emicrania vagamente preoccupante.
Se avesse potuto, avrebbe abbandonato quel monolocale per fermare
il primo passante che gli fosse capitato a tiro, solo per implorarlo
di vendergli una manciata di idee. Le avrebbe pagate a caro prezzo,
pur di averle.
“Don Giovanni Impunito” era stato la sua fortuna e
la sua
condanna. L'aveva scritto più di dieci anni prima,
nell'euforia
degli anni del college. Poi, dopo aver intascato una laurea
pressoché
inutile e tanta insoddisfazione, aveva tentato il tutto per tutto. E
aveva fatto centro. Così, grazie alla fervida immaginazione
di
Bastien Fisher, il burlatore di Siviglia era diventato un donnaiolo
milionario newyorchese. Senza contare il fatto che il suo magnanimo
autore avesse deciso di risparmiargli il castigo divino, alla fine
del romanzo.
A quasi tre anni dal suo esordio da quasi venti milioni di copie
vendute, Bastien Fisher aveva esaurito la fantasia. Era come se
l'avesse scolata assieme ad altri venti milioni di bicchieri di
vodka, l'avesse sparsa e calpestata sulle piste da ballo dei suoi
festini mondani o, peggio ancora, come se l'avesse persa fra le gambe
dell'ennesima sconosciuta accorsa a scaldargli il letto di una
costosissima suite nell'Upper East Side.
Conosciuto in molti più paesi di quanti avrebbe immaginato
sotto
lo pseudonimo di Bastien Idole, aveva trascorso mesi a calarsi nella
parte che il proprio agente aveva deciso di cucirgli addosso. Il
primo passo era stato quello di rimpiazzare il suo cognome -
apparentemente troppo banale - con uno che lui aveva sempre trovato a
dir poco ridicolo.
Nella tarda adolescenza, quando Bastien scriveva pagine e pagine
di avventure impudiche del proprio personaggio sognando la fama,
avrebbe potuto immaginare tutto, fuorché
l'eventualità di firmare
la propria opera con l'equivalente francese della parola
“rubacuori”.
Ricordava di aver riso a lungo, quando la cosa gli era stata
proposta. Sul momento, aveva anche rifiutato categoricamente di
coprirsi di ridicolo in un modo simile. Poi, era arrivato il lavaggio
del cervello: incontri su incontri e colloqui su colloqui, promesse
grandiose farcite dalla prospettiva dorata di poter essere qualcuno
che avrebbe lasciato il segno. Così, Bastien si era arreso
al fatto
che quel segno non l'avrebbe mai lasciato con il proprio vero nome.
Tre anni e molti più soldi del previsto dopo, Bastien Idole
era
diventato in tutto e per tutto il Dom
Juan del suo romanzo. La sua
immagine era stata studiata in ogni singolo dettaglio, allo scopo di
poter aderire il più possibile all'uomo che la sua penna
aveva
reinventato.
Così, col tempo, Bastien era riuscito non solo ad
abbracciare
quello stile di vita davvero poco salubre: lo aveva fatto proprio. E
la cosa sembrava piacergli molto più di quanto avesse
sperato.
Gradualmente, e senza che lui potesse accorgersene, l'estro era
stato spazzato via dalla bella vita, sfuggendogli di mano, pian
piano.
Pertanto, sempre quei maledetti tre anni dopo il suo esordio, a
Bastien Idole non erano rimasti che il proprio carico di cattive
abitudini, una grossa mole di frustrazione e una casa editrice che
pressava per un sequel. E, tragicamente, nemmeno lo straccio di
un'idea per poterne buttare giù una bozza.
***
«Jude, senti, non posso
farcela. Facciamola finita con questa
cazzata del luogo catartico. Sto per fare le valigie e tornarmene a
New York».
Bastien, ancora stravaccato sul divano e con i resti del defunto
lettore mp3 fra le mani fu categorico.
Il suo agente, dall'altro capo del ricevitore, purtroppo, lo fu di
più.
«Tu non vai da nessuna parte e scrivi quello stramaledetto
romanzo, Bastien» gli rispose Jude senza perifrasi,
seccatissima
anche attraverso il vivavoce dell'apparecchio abbandonato nell'angolo
apposto della stanza.
A quell'imposizione, lui non poté fare altro che ridere di
una
vaga esasperazione. Si passò una mano fra i capelli scuri
scompigliandoli, scosse la testa e fissò il nulla nel bianco
abbacinante di quel soffitto: concluse che quelle quattro mura,
accoglienti in modo sin troppo spartano, sarebbero state strette a
chiunque. Figurarsi al suo ego.
«Tu non hai idea di dove mi hai mandato, davvero. Altro che
angolo di paradiso, Jude; questo è l'inferno. Ed
è un cazzo di
inferno che pullula di pescatori. Ora, di grazia» trasse un
respiro
profondo, cercò di mettere assieme quanta più
cortesia gli fosse
possibile. Gli riuscì di ammorbidire il tono della voce, ma
il
sarcasmo sfiduciatissimo delle sue parole restò ben piantato
dov'era: «...dimmi: che diamine di ispirazione dovrei
trovare, tra i
pescatori?»
«Guarda il mare» fu l'unico consiglio della donna
al telefono,
sbrigativo a dir poco.
«Mi ci dovrete raccogliere dal fondo, di questo
passo» la avvisò
Bastien, cupo.
«Sono sicura che saprai nuotare che è una
meraviglia» ottenne
in risposta, da una Jude tutt'altro che impressionata. E dovette
prendere quella frase come un congedo bello e buono, considerando
l'inesorabile “click” a seguire, e a segnare la
fine di quella
conversazione.
«Stronza in crisi da pre-mestruo» si
preoccupò di definirla
quell'altro, tra i denti e senza mezzi termini, scagliando la
carcassa dell'mp3 contro la parete opposta. Centrò in pieno
la
cornice di un grosso quadro, mandandone tragicamente in frantumi un
intero angolo.
Era quasi l'ora di pranzo e l'uomo da venti milioni di copie, non
più abituato a una sveglia umana, si trovò a fare
i conti con il
vecchio amico di una vita: un terribile mal di testa cronico,
stavolta farcito da un brontolare di stomaco non indifferente. A New
York, a quell'ora, si sarebbe limitato a rigirarsi nel letto fino a
raccogliere le forze per raccattare il telefono e ordinarsi del cibo,
scontando i postumi di una recente sbornia.
Approdando in quel piccolo angolo di inferno, invece, Bastien
Fisher era stato costretto ad abbandonare tutte le carissime cattive
abitudini, compreso l'alzarsi a pomeriggio inoltrato. Era arrivato a
Rockport da appena due giorni, il tempo sufficiente per arrivare a
considerare quella piccola cittadina come il proprio carcere
personale. “Castigato”, a suo parere, sarebbe stato
il termine
più calzante per definire quel soggiorno, nonostante fosse
appena
agli inizi.
Appena una settimana prima, considerata la produzione
pressoché
nulla dell'ultimo anno, gli era stato caldamente consigliato di
moderare il proprio stile di vita. Lui, permaloso per natura e per
via di una presunzione ingrassata dal successo degli ultimi anni,
aveva preso la cosa come una sfida. Alla luce di qualche pubblica
insinuazione sul fatto che, considerata la lunga inattività,
la sua
carriera fosse oramai in declino, aveva preso la questione sul
personale. E, sullo slancio del momento, aveva rilanciato. Per poi
pentirsene. Erano trascorsi già tre mesi, da quando aveva
firmato il
comunicato stampa in cui annunciava che il suo prossimo romanzo,
già
in lavorazione, sarebbe uscito entro la fine dell'anno. Non contento,
aveva ben pensato di gonfiare la menzogna specificando che si sarebbe
trattato di una storia completamente nuova, originale e
rivoluzionaria.
Nulla, insomma, che avesse a che fare con le avventure del suo Dom
Juan urbano.
Giunto ai primi di Marzo, con null'altro che un pugno di mosche e
un'imminente perdita di credibilità in mano, Bastien aveva
dovuto
accettare quella reclusione forzata senza fiatare.
Così, infastidito, sfiduciato e con una gran voglia di
lasciarsi
alla nullafacenza una volta ancora, decise che riempirsi lo stomaco e
placare in qualche modo quel mal di testa insopportabile sarebbero
stati dei primi, piccoli passi.
***
«Un caffè, grazie».
Quattro anni, e il vecchio signor Champan si ostinava a ordinare
sempre la stessa cosa, con una puntualità sconvolgente, alle
due del
pomeriggio.
Emma non lo guardava affatto: meditava. Rimuginava da tempo,
asciugando meccanicamente bicchieri, con gli occhi scuri persi oltre
la vetrata che dava sul molo, a fissare qualche nube sporadica.
«E un piatto» riprese il vecchio, sollevando il
bastone e
scuotendolo blandamente a mezz'aria. Nel mentre, s'era appoggiato al
bancone curvandosi nell'imponente stazza del suo metro e sessanta
abbondante.
«...di pancakes. Ben caldi, sì»
completò la ragazza,
meccanicamente.
L'anziano sembrò sorpreso dal fatto che lei lo stesse
ascoltando.
Sgranò sue occhi piccoli e liquidi, si sporse maggiormente
oltre il
bancone e le agitò il palmo di una mano davanti agli occhi.
«Caspita, ma allora ci sei!»
«Certo che ci sono, signor Chapman, dove vuole che
vada?»
rispose svogliatamente quell'altra, impilando l'ennesimo bicchiere
che continuava a rigirarsi fra le mani, asciutto giù da un
pezzo.
Nonostante tutto, scuotendosi a malincuore dai propri pensieri, si
decise a guardarlo. E gli sorrise. Emma Lyons aveva un sorriso
semplice, genuino e pulito: sorrideva di frequente. Nel suo volto,
tuttavia, sul fondo di due grandi occhi nocciola, sostava una velo di
distacco che la rendeva vagamente bislacca. A Rockport, dov'era nata
e cresciuta, la gente aveva fatto l'abitudine a vederla immersa, il
più delle volte, in chissà quali congetture.
«Ma poi... Io vorrei sapere a cosa diavolo pensi, tutto il
giorno» borbottò il vecchio, allungando le mani
nodose verso la tazza
ancora vuota, che lei intanto aveva adagiato sul bancone.
«Se lei potesse camminare sul mare, signor Chapman»
esordì
Emma, stavolta con un fervore il pensionato trovò del tutto
immotivato,
«dove andrebbe?»
«Lontano, lontanissimo. A quante più miglia
possibili da questo
schifo di posto. E di corsa. Fa' un caffè anche per
me» interruppe
una voce sgarbatissima, alle spalle dell'ometto grinzoso al bancone.
Troppo presa dal proprio ragionare vaghissimo, Emma realizzò
di
non essersi mai accorta del suo ingresso. Lo vide per la prima volta
quando si sporse oltre la sagoma di Chapman, per indagare: seduto in
maniera assolutamente scomposta, con le gambe accavallate sul
tavolino, i capelli scuri e ricci stravolti e gli occhi cerchiati di
nero di chi non chiudesse occhio da almeno una settimana, Bastien
Idole non la guardava nemmeno. Era intento a sfogliare con un certo
accanimento una piccola agendina rilegata in pelle marrone, dall'aria
maledettamente familiare.
Il
suo diario onirico.
***
Quando
riaprì gli occhi, l'assenza di luce oltre le vetrate gli
diede l'immediata consapevolezza di essersi svegliato troppo presto.
Cercò a tentoni il cellulare sul comodino lì
accanto, continuando a
sorridere. A Lui capitava spesso di svegliarsi col sorriso. Era una
sensazione sublime e appagante quella di essere padrone dei propri
sogni. E non solo di quelli.
Le quattro del mattino. Sollevandosi a sedere sul letto, con le
dita ancora intorpidite, si affrettò a digitare un messaggio
brevissimo:
“Ti ho rincorsa, braccata e poi liberata, stanotte, in sogno.
-
Morfeo”
Angolo
autore: Ebbene, dopo aver lasciato EFP, ci riprovo. E
stavolta voglio mettermi alla prova con una storia semplice, che
piaccia e che non mi tolga il sonno. Ma che riesca a rubarne un po' del
vostro, perché no! Rispetto alle mie vecchie storie,
stavolta ho preso un impegno concreto: provare a scrivere capitoli
più lunghi, per non lasciarvi con l'amaro in bocca alla fine
di ciascuno. Ho scelto deliberatamente di non includere alcuna
sottocategoria rilevante nella storia (sì, trattandosi - in
parte - di un racconto onirico, l'introspettivo è d'obbligo)
perché deciderò man mano che piega far prendere
al racconto. A tale scopo, le vostre opinioni e i vostri pareri sono
imprescindibili, gente U_U Aiutatemi a tenere vivo l'interesse per
questo progetto, perché ho davvero voglia di portarlo avanti
a lungo. Le idee ci sono, e ce ne sono tante. E insomma: sono tornata a
lavorare per voi con piacere.
In
coda, vi lascio il link della playlist di Morfeo su Spotify. Ho voluto
fare un esperimento: creare una playlist aperta. Questo significa che
chiunque creda di avere una canzone adatta all'atmosfera è
caldamente invitato ad aggiungerla °_° proviamoci, dai!
(Playlist)
Inoltre,
il link al mio gruppo di facebook, per i soliti spoiler e
anticipazioni: (I
deliri di Malaria)
E,
in ultimo, la mia tendenza masochista ad espormi a domande di qualsiasi
sorta, a questo link: (Ask)
Grazie
a quella santa di Amartema: quella genialata di banner che avete
ammirato in cima è opera sua.
Un
abbraccio,
Mal