Sembra una bambola, di Lady Ligeia
Ciao
a tutte, sono tornata! Ho
trascorso alcuni mesi molto faticosi, e di tempo per me stessa e i miei
racconti ne ho avuto davvero ben poco. Spero di poter riprendere a
scrivere, e a leggere i commenti di voi tutte, e i vostri lavori...
Questo raccontino mi è venuto in mente una sera di tanti
anni fa in cui
facevo visita a mia madre, ricoverata in ospedale, e nel letto accanto
al suo avevano sistemato una bambina che giocava tranquilla (non so
perché non fosse in pediatria... forse non
avevano il reparto, non me lo sono chiesta al momento). Mi sono
immaginata i desideri di una bambina in un posto così
triste, tutta sola senz'altra compagnia oltre a quella delle sue
bambole.
A presto (questa volta lo giuro: sarà davvero presto!),
Lady Ligeia
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Era senza
dubbio la
donna più incantevole che avessi mai visto, anche se giaceva
svenuta su uno degli asettici lettini del reparto ed il suo
viso - o, meglio, quel poco che si riusciva a distinguerne, sotto la
massa scomposta dei capelli d'oro chiaro - era soffusa di un pallore
venato d'azzurro.
Toccava proprio a me occuparmene, perché non c'erano di
turno altri medici ed io ero appena entrato in servizio.
Mi accinsi, dunque, a visitarla, chiedendo alla
caposala che mi assisteva se sapesse chi fosse o che cosa le fosse
successo.
- L'hanno appena portata qui - mi spiegò lei. - Mi hanno
detto di averla trovata in stato di incoscienza nel corridoio di
pediatria, senza documenti addosso. Sembra che abbia battuto la testa,
e la spalla sinistra, proprio qui, vede, dottore? - Mi fece notare un
punto arrossato, proprio sopra la clavicola, che presto si sarebbe
trasformato in una brutta ecchimosi. - Pensavo che fosse una paziente
di un altro piano, oppure una parente... comunque, una in visita a quel
reparto, ma nessuna delle colleghe di pediatria l'ha mai vista prima di
adesso. E nemmeno in accettazione sanno chi sia. -
Le credetti immediatamente, benché quello fosse un ospedale
serio, non uno di quelli che si vedono nei film, dove i pazienti
possono scappare rubando i vestiti del loro compagno di stanza o gli
assassini possono infiltrarsi nel cuore della notte per scollegare i
respiratori delle loro vittime. O cose così.
Le credetti
soltanto perché, se avessi visto quella donna prima di quel
momento, l'avrei senza dubbio notata.
Si trattava di una splendida bionda, tra i venti e i venticinque anni,
alta e snella, delicatamente modellata. Indossava soltanto una
vestaglietta di seta blu, cortissima sulle lunghe gambe perfette, che
rivelava le sue forme da capogiro, appena coperte dalla biancheria
intima. Capi di pizzo di squisita fattura, adeguati al proprio prezioso
contenuto. Aveva la pelle dorata dal sole e le mani affusolate e
sottili. I lineamenti del suo viso erano più che graziosi,
con il nasino all'insù e le labbra morbide e piene.
Riprese conoscenza mentre la osservavo: trasse un debole respiro e
spalancò due occhioni azzurri e stupiti. - Dove sono? -
chiese subito. La domanda più ovvia che potesse porsi. La
sua voce era morbida come un panno di seta.
- Si trova in ospedale, signorina - le risposi, quasi balbettando come
un adolescente di fronte a tanta perfezione. Il colore le tornava sulle
guance e la vivacità negli occhi rotondi come monete,
rendendo la sua bellezza di momento in momento più
abbagliante.
- E che cosa ci faccio, in ospedale? - insistette, educata,
supplichevole.
- Deve essersi sentita male in corridoio, signorina -
interloquì la caposala, sbirciandomi divertita. Il mio
imbarazzo doveva essere evidente.
- Ma io non ero affatto in corridoio - replicò candidamente
la bella sconosciuta, sbattendo le palpebre.
- Beh, signorina, forse non se lo ricorda, deve avere battuto la testa,
ma è stata ritrovata a terra nel nostro corridoio di
pediatria. -
- Ma io non so come ho fatto a finirci, ve lo giuro! Io... io vivo in
America! Io stavo dormendo nel mio letto, nella mia villa! E Giulia...-
- Non si preoccupi, signorina, non è successo nulla di grave
- tentai di tranquillizzarla. La caposala, sempre divertita,
passò a domande più pratiche.
- Chi è Giulia? -
- Giulia è la mia sorella grande - rispose la paziente, con
il tono di una bimba imbronciata.
- Capisco. E lei come si chiama? -
- Oh... dipende. A volte Sophie, a volte Elenja. Ultimamente, Giulia mi
chiama Shaya, ma non mi piace molto. -
La caposala ed io ci guardammo, perplessi. Evidente stato confusionale.
- E il suo cognome? Il cognome, signorina, lo ricorda? -
- No, naturalmente, non credo di averne mai avuto uno -
replicò lei, sorpresa del fatto che noi fossimo sorpresi. -
Oh, la mia spalla...-
- Non si sente bene? - intervenni, preoccupato, sostenendola. Sembrava,
infatti, che stesse per svenire di nuovo. Per un istante, indugiai con
il palmo della mano sulla seta della sua vestaglia, mentre si
appoggiava a me. Tentò di gettare giù dal lettino
le lunghe gambe mozzafiato.
- No, signorina - protestai. - Lei deve aver subito un trauma cranico,
non credo proprio che possiamo lasciarla andare così...-
- Potrebbe essere grave - aggiunse la caposala.
- Ma mia sorella.... il mio fidanzato... era con me... che cosa
è successo a lui? -
- Il suo fidanzato? - ripeté la caposala. - Come si chiama? -
- Ultimamente, Greg. -
- Da quando lei si chiama Shaya? - non potei trattenermi dal chiederle.
La caposala mi lanciò un'occhiataccia.
- Sì, più o meno. Giulia...-
- Ma sua sorella Giulia, si è sempre chiamata Giulia? -
- Naturalmente. -
- Dottore, via, che senso hanno tutte queste domande? E' evidente che
la signorina non è in sé... Piuttosto, il
fidanzato della signorina... come potrebbe essere entrato anche lui in questo
ospedale senza che ne sappiamo niente? -
- Un "codice rosso",
magari... d'urgenza... sa com'è giù al pronto
soccorso...-
- Santo cielo, ma da quando li mandano qui senza avvisarci?! - La
caposala mi sbarrò in faccia i suoi occhi scuri, accigliati.
Era
già
nel panico, povera donna,
sconvolta all'idea che un paziente, magari in gravi condizioni, venisse
ricoverato a sua insaputa. Era caposala da molti anni.
Ci scervellavamo sulle
possibili ragioni di quei ricoveri ignoti, mentre la nostra paziente
sorrideva.
Non era un sorriso di compiacimento o di cortesia... sorrideva tra
sé, senza motivo, forse solo per il gusto di sorridere.
Trasognata, come se la nostra ansia per identificare lei, rintracciare
il perduto fidanzato, risolvere quel mistero, non la riguardassero
minimamente.
- La cosa migliore da fare, signorina - ripresi le redini della
situazione io - è che lei si distenda tranquilla. Penseremo
a tutto noi. Signora - proseguii rivolgendomi direttamente all'anziana
infermiera - qui occorre una lastra alla spalla, e tutte
le procedure di routine
per sospetto trauma cranico. Per il momento, nessun tranquillante,
naturalmente. -
- Come desidera, dottore. -
La ragazza si era ridistesa, obbediente, senza smettere quello
snervante sorriso assente. Iniziai a pensare che potesse trovarsi sotto
l'effetto di qualche stupefacente. Era calmissima, adesso, come se
fosse
abituata a ricevere ordini e la rilassasse avere accanto qualcuno che
sapesse che cosa fare. O che, almeno, sapesse fingere molto bene, come
me in quella circostanza. Rabbrividii. Una donna docile.
Forse era proprio quello che ci sarebbe voluto, per me, che uscivo
proprio in quei giorni dal naufragio dell'ennesima relazione di sesso
inconcludente.
Lasciammo la stanzetta insieme. Prima di andare ad adempiere le mie
prescrizioni - cosa che, sapevo, avrebbe fatto con competenza e
decisione esemplari - la caposala si soffermò ad osservare
la nostra bionda paziente, distesa sul lettino nella stessa posizione
piena di grazia e, insieme, di rigidezza in cui l'avevamo
lasciata. - Sembra proprio una
bambola - mormoró tra sé.
-
Ha ragione! - non potei fare a meno di convenire io.
Lei mi sorrise, come avrebbe sorriso mia madre: la
mia vulnerabilitá
al fascino femminile era la favola dell'intero ospedale. E, cosa ben
piú
lusinghiera, era altrettanto leggendaria anche la fama della
vulnerabilitá
delle donne al mio,
di fascino.
I miei pensieri erano trasparenti: ovviamente, speravo
che quella meravigliosa creatura diventasse la mia prossima
"vittima", fidanzato o non fidanzato... se nemmeno rammentava il
proprio nome, come avrebbe potuto rammentare quell'uomo?
Mi rimproverai, all'istante, per il mio cinismo: stavo già
pensando a come infilarmi nella vita, oltre che nel letto, di una
perfetta sconosciuta, probabilmente molto grave, che soffriva
sicuramente di una forte amnesia. Provai vergogna, oltre a un desiderio
talmente imperativo da indurmi a stringere i denti con violenza.
Era bella,
dolorosamente bella.
Pensai a lei per tutto il pomeriggio.
Verso sera esaminai i referti degli esami che avevo ordinato per lei:
non sembrava esservi nulla di rotto, né nulla che
giustificasse quell'amnesia.
Passai a trovarla e la
trovai attorniata
da un autentico sciame di maschi, intenta a chiacchierare e a ridere in
loro
compagnia. Riusciva a far apparire incredibilmente sexy anche
l'asettica
camiciola bianca che le avevamo
fatto indossare, si stava passando tra i lunghi capelli una spazzola
prestatale da chissà chi e raccontava sorridendo della sua
vita. Una
bella vita:
doveva essere ricchissima, dato che diceva di possedere una
quantitá di ville, di yacht, di auto d'epoca.
E aveva cavalli, piscine,
gioielli, vestiti,
domestici, un pianoforte, un campo da tennis... e
passava le giornate facendo sport,
sfilate, shopping...
era pazzesco starla ad ascoltare! La presenza più forte
nella sua vita, tuttavia, sembrava essere quella della sorella Giulia.
Ogni affermazione, ogni giudizio, ogni ricordo, sembrava filtrato
attraverso gli occhi di questa Giulia. L'accento di
sincerità, nella sua voce dolce ed ingenua, era talmente
spiccato che non si poteva non credere ad ogni parola... o, perlomeno,
alla sua convinzione che ogni singola parola fosse vera.
La realtà,
poi, è un altro paio di maniche, mi dissi
visitandola. Già sfiorare quel suo corpo stupendo nei
semplici contatti della mia professione - polso, battito cardiaco,
pressione...- mi annebbiava a sufficienza la mente. Le donne non mi
erano mai mancate, ma avrei voluto giocare al dottore, con lei, in
tutt'altra maniera.
- Bah - cominciò la caposala, davanti alla macchinetta del
caffè. Era ormai decisamente acida: si era verso la fine del
turno. - Se fosse vero che ha un fidanzato, e soprattutto questa
sorella con cui vive, non crede che si sarebbero già messi
in contatto con lei, dottore? -
- Bisogna vedere se sanno dove si trova - replicai io, vagamente. Ero
distratto da altri pensieri. Gettai uno sguardo nel corridoio, alle
luci abbassate per la notte, gustandomi quel momento di calma
così rara. Nessun campanello squillava, nessun monitor
emetteva toni di allarme, nessun gemito di dolore lacerava la
penombra... Proprio in quell'istante, arrivò a passo spedito
un'infermiera, che teneva per mano una bambina in lacrime.
Una bambina?
Uscii immediatamente dalla sala medica.
- Infermiera, che cosa significa questo? Chi è questa
bambina? -
La ragazza trasalì: le ero apparso proprio alle spalle. -
Oh, dottore, non ci si metta anche lei a farmi spaventare!
Già ho trovato questa creatura sulle scale che piangeva, e
non ho idea di chi sia...-
Osservai la creatura in questione, che, in pigiama e pantofole,
continuava silenziosamente a piangere. Poteva essere sui sei, otto anni
al massimo. Era bruna e ricciuta. Portava al polso una fascetta di
plastica: quella con cui identificavamo i nostri piccoli ospiti di
pediatria.
Le sorrisi. - Vede, infermiera... questa
è la signorina "Fumagalli G.", letto 12, del piano di sotto.
Posso sapere, principessa, che cosa ci fai qui? Ti sei forse perduta? -
Dentro di me, stavo già maledicendo l'incompetenza dei miei
colleghi dell'altro reparto.
Non bastava che dal pronto soccorso mi
mandassero in giro pazienti non identificati.
Non bastava non riuscire
a rintracciarne degli altri.
Anche i ragazzini in giro da soli, adesso.
Che cosa diavolo stava succedendo?
- Ho perso la mia Barbie - frignò la piccola, senza alzare
la voce. C'era sfinimento nelle sue parole, come se fosse impegnata da
ore in quella ricerca.
- Barbie?
E' una bambola, vero? -
La giovane infermiera mi guardò inorridita. La sua
espressione era trasparente.Come
potevo non sapere che cosa fosse una Barbie?! Dovevo
essere stato bambino ai tempi dei dinosauri,
suppergiù! O, forse, era lei che aveva
abbandonato la sua da troppo poco tempo...
- Sei proprio sicura di averla persa qui? - mormoró
dolcemente
la caposala.
Adorava i
bambini e, purtroppo, non aveva potuto
averne.
- Sí!
Credevo di averla messa nel suo lettino, e invece
lí non c'é. Voi non l'avete vista?
- Qui nessuno ha delle
Barbie, carissima, siamo tutti un po' troppo cresciuti per queste cose,
non
trovi? -
La
bambina ricominciò a piangere. L'infermiera giovane assunse
un'espressione molto meno burbera di prima, mentre le parlava. - Hai
visto,
tesorino? Te l'avevo detto! Adesso torniamo giù e la
cerchiamo insieme tra i tuoi
giocattoli,
va bene? -
- Ma lei è qui,
lo so! - protestó la bambina, tra
le
lacrime. - Non è con gli altri giocattoli, sono anzi tutti
molto preoccupati
per lei! Il mio Ken si sta disperando! Io credo che sia
uscita in
corridoio a fare una passeggiatina, a volte le piace farlo, e che le
sia
capitato qualcosa! Spero che non prenda freddo, senza
vestitini...-
Noi
adulti ci guardammo con indulgenza, senza
risponderle. Visto che non riusciva a convincerci, lei
scalpitó con
impazienza e corse fuori dalla stanza.
-
State tranquille che tornerà nella sua camera - dissi
alle due donne. - Ci sono abbastanza medici, in giro per il piano, da
impedirle
di cacciarsi nei guai. In ogni caso, chiamo il dottor Cenci del piano
di sotto, per avvertirlo della piccola... ehm... evasione. -
Erano trascorsi pochi minuti, quando la bambina bussò alla
porta della
sala medica.
La caposala corse ad aprirle, indignata. - Ancora qui, sei?
Non ti avevamo detto di tornare di sotto? Adesso arriva il dottor Cenci
e se non torni nel tuo letto ti farà una puntura, capito? -
sbottò, più per la preoccupazione che
perché fosse davvero adirata.
La bambina sorrideva, adesso, visibilmente rasserenato. Aveva in mano
una bambolina bionda, avvolta in un qualche straccetto
blu che
non distinguevo bene, a causa della distanza.
- L'ho
trovata, grazie.
Barbie vi saluta tutti e vi ringrazia di cuore per la vostra
gentilezza... soprattutto il dottore - annunciò compiaciuta.
- Ok, tesoro,
ma adesso torna a letto, ok? - borbottai
distratto. Stavo studiando l'esito di un esame e non volevo essere
disturbato.
Mi sorprese invece il sorriso indecifrabile della caposala, che rimase
a lungo
a fissare la porta a vetri della sala medica, dopo che la piccola se ne
fu andata.
Un quarto d'ora più tardi, altri passi concitati e un'altra
mano a picchiare sul vetro.
- Ma che serata movimentata - commentai. Era nuovamente la giovane
infermiera di prima, molto spaventata.
- Che cosa sta succedendo, questa volta? - le domandai aprendole la
porta.
- La paziente... la paziente sconosciuta... la bionda.... -
Ebbi un tuffo al cuore. - Sì? -
- E'... scomparsa!
- balbettò la ragazza.
- Si calmi, infermiera... non è nel bagno, o sul
pianerottolo, o da qualche altra parte? - replicai io, non meno agitato
di lei nonostante le parole che stavo pronunciando. Tutti quei fatti
inspiegabili cominciavano a darmi seriamente fastidio.
- Andrò a cercarla, dottore. Mi scusi se l'ho disturbata. -
L'orologio indicava mezzanotte. La caposala si alzò dalla
propria scrivania per andarsene, dal momento che il turno era finito. -
Non la troverà, lo sa, vero? -
- Perché non dovrebbe trovarla, signora? Dove pensa che sia
andata? -
La caposala non mi rispose. Aveva sempre lo stesso sorriso enigmatico
di prima. Sembrava che mi compatisse.
- Immagino che non la trovi, quantomeno - si degnò di
aggiungere, avviandosi verso lo spogliatoio del personale femminile. -
Sembrava troppo
una bambola. -
Non siamo mai riusciti a capire che cosa sia successo alla nostra
paziente misteriosa... eppure, a volte, quando ripenso alla sua
bellezza... mi chiedo se incontrerò mai un'altra donna come
lei.
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Ecco la fine dell'opera
d'arte... che non è affatto un capolavoro, ne sono
assolutamente cosciente, ma mi divertiva l'idea di scriverla e di
condividerla con voi. Aspetto commenti!!!
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