Tre passi, tre gradini, tre
chilometri
fino a casa. Tre minuti per alzarmi e rivestirmi, altri tre per
andarmene via. Tre. O trenta. Trecento, tremila. Mai più.
Come
faccio ad
andarmene sapendo che non ci sarà una prossima volta? Sento
il mio
corpo pesante, la mia anima aggrappata ad ogni singolo granello di
polvere che aleggia nell'aria. Se me ne andassi, lei rimarrebbe qui.
E io non posso vivere senza un'anima. Ma chi può?
In
molti,
probabilmente, ora che ci penso. Ma non io. L'anima mi serve, ne ho
bisogno per continuare a provare questo senso di colpa. Ormai
è
l'unica cosa che mi permette di definirmi viva. Il senso di colpa e
il desiderio che provo per lui. Ma che desiderio, a chi voglio darla
a bere? A me stessa? Non è un desiderio, è una
cieca ossessione.
Lui perseguita i miei pensieri il giorno, popola i miei sogni di
notte, sempre, senza darmi requie. È un pensiero fatto di
fuoco e
sangue e carne. Lo voglio, continuamente. Ed è ridicolo: non
c'è
altro modo di definire una cosa simile.
Quando
l'ho
conosciuto? Chi se lo ricorda. Mesi e mesi fa, durante una giornata
qualunque, probabilmente. Non lo dico perché me lo ricordo,
ma
perché ogni mia giornata è qualunque, sempre
uguali a loro stesse.
Ho smesso di vivere da anni e la mia esistenza è diventata
molto
simile ad una fotografia in bianco e nero. Ogni colore era svanito,
così come la profondità, la vivacità.
Ero
stata vivace,
una volta, da ragazza. Forse, se mi avesse conosciuta quella volta
gli sarei piaciuta. Probabilmente sì. Perché no,
in fondo? Ero una
bella ragazza, intelligente, simpatica.
Questo
pensiero un
po' mi tranquillizza. L'ho fatto tante volte prima d'ora proprio
perché placa il mio animo tormentato. Mi dico che se da
ragazza ero
bella e divertente, forse un po' lo sono ancora. Forse non tutto
è
andato perduto. Forse non sono solo i miei soldi e i miei regali che
mi hanno permesso di averlo per me fino ad ora.
Questo
nuovo
pensiero mi toglie il fiato. L'amore e la passione sono diversi,
giusto? L'amore brucia lentamente, come una lunga, infinita candela.
Invece la passione divora in un attimo, come la fiamma che consuma un
corto fiammifero. La passione ti scotta e pensandoci mi sono detta
che è proprio per questo che la gente fa un sacco di
stupidaggini,
quando viene ghermita dal desiderio. Dopotutto, quando la tua anima
è
fredda a cosa può giovare la fiamma di una candela? Mi viene
in
mente il cero pasquale: alto e sacro, distante, freddo. No, la gente
non desidera la sacralità, non desidera la freddezza. La
gente vuole
scottarsi, vuole godersi tutto il dolore e il piacere che il fuoco
provoca, e vuole farlo con qualunque mezzo. Così ho fatto
io. Forse
non avrei dovuto, ma l'ho fatto e ora ne pago le conseguenze.
Non
credevo
sarebbe andata così lontano. Lui è troppo bello e
troppo giovane.
Non ricordo chi ha avvicinato l'altro per primo. Forse io,
perché
lui è il figlio di qualcuno che conosco. O era lui? Non ha
importanza. Da quella volta sono passati mesi e una quantità
spropositata di denaro che non ho. Ma me lo sono procurato e
continuerei a farlo, se potessi, se non avessi contratto troppi
debiti.
I
debiti, che cosa
meschina. Che vincolo infame. Non avrei dovuto. Me lo diceva, mio
padre: -Mai essere in debito, mai!-. Grazie papà,
è un ottimo
consiglio. Ho provato a seguirlo. Ci ero pure riuscita. Pochi averi,
adeguati al magro stipendio. Pochi svaghi, pochi interessi. E lui
certo non mi ha aiutata in questo. Mio marito. Marito. Mi sembra una
parola così priva di significato. Mi domando se è
stato giovane
anche lui, una volta. Ma sì, lo è stato. Tutti lo
siamo stati,
quindi anche lui deve aver avuto vent'anni e tanta energia in corpo.
Sì, ora me lo ricordo. Era un ragazzo carino, intelligente,
testardo. Avevo pensato che sarebbe migliorato, col tempo. Avevo
pensato di migliorare io stessa. Invece, qualcosa dev'essersi perso
per strada. Uno sbandamento silenzioso, invisibile; una malattia
mortale, ma asintomatica, che ci ha divorati.
E io
che credevo
di essere felice e tranquilla. Addirittura credevo che fare l'amore
con lui non mi dispiacesse poi così tanto. Che ci si aspetta
dopo
vent'anni di matrimonio? Non andava poi così male, meglio
che ad
altri di certo.
E poi
eccolo. La
nuova fiammella che si accende scoppiettando, che consuma il
fiammifero e ti scotta le dita. Mi sono scottata. Dopo averlo
incontrato ho continuato a pensare a lui per giorni interi. Mi
nascondevo, mi accertavo che non ci fosse nessuno a guardarmi,
perché
avevo paura che qualcuno potesse leggere i miei pensieri proibiti sul
mio viso, nella piega del mio sorriso o direttamente dentro i miei
occhi, come fossero sfere di cristallo.
Se lo
incontravo,
non potevo fare a meno di guardarlo. Se lo pensavo, non potevo fare a
meno di arrossire. Avevo già indagato tutto il suo corpo con
la
mente prima ancora di finirci a letto. Quando è successo
– e non
riesco a ricordare la motivazione che mi spinse ad incontrarlo, o che
spinse lui ad incontrare me – la scena mi sfilò
davanti agli occhi
come un sogno. Era stato tutto uguale a come l'avevo immaginato.
Persino la sensazione del tocco delle sue mani sui mie fianchi, il
suo respiro, lo sguardo nei suoi occhi quando ha capito di avermi in
pugno.
Quel
giorno, lo
pagai. Non so perché lo feci. No, è falso, lo so
benissimo: perché
ho vent'anni più di lui e non è naturale che un
ragazzo bello e
giovane sia spontaneamente portato a desiderare una donna come me.
Quindi, i soldi mi sembravano una giustificazione adeguata, un
palliativo e anche un modo per scaricare la mia coscienza. Da quanto
gli uomini vanno a prostitute? Da sempre. Perché non potevo
farlo
anche io, con lui? Sesso a pagamento. Non era forse una delle cose
meno nobili e facili da dimenticare? Solo un passatempo.
Sono
mesi che
passo il tempo così. Ho prosciugato il mio conto personale,
ho
rubato a mio marito, ho venduto gioielli, ho contratto debiti a
destra e a manca. Lui non ha mai rifiutato i miei regali. Non lo
biasimo. È solo uno studente e i soldi facili gli fanno
comodo. Ma
io ora non posso dargliene più e questo significa che non
posso
averlo più.
Devo
tagliare
questa specie di legame. Devo troncare questa catena folle che lega
il desiderio della mia carne e la fredda realtà del denaro e
della
coscienza troppo debole.
Sento
il suono
della doccia, nell'altra stanza. Lui è lì sotto.
Immagino l'acqua
che gli scivola addosso e penso che vorrei essere quell'acqua. Mi
scuoto. Sono patetica, ridicola.
Avida.
Ecco come
potrei definirmi. Avida di quel doloroso brivido di vita che lui mi
regala. Avida del calore del suo corpo, della freschezza della sua
risata, dei suoi baci vigorosi non ancora abituati alle mie labbra.
Ma l'avidità non è forse un peccato mortale?
L'accumulo selvaggio e
senza scopo di oggetti? Visto che li pago, baci, carezze, orgasmi...
non sono forse oggetti? Che pensiero orribile.
Ma mi
fa sentire
meglio. Sto cercando di pensare con freddezza. Me ne devo andare, per
l'ultima volta, e devo farlo ora. Se lui tornasse, questo guizzo di
lucidità svanirebbe.
Mi
alzo e afferrò
i miei indumenti intimi, sparsi a terra. Li infilo velocemente. Sono
freddi e umidi e mi danno fastidio. Mi sento meglio nuda, tra quelle
lenzuola. Mi viene da sorridere. È strano, pensavo di avere
un corpo
ormai malandato e di sentirmi a disagio, nuda davanti a un estraneo,
ma non è così. Mi sento peggio di fronte a mio
marito, il cui
sguardo è sempre vuoto. Mi guarda nello stesso modo in cui
si guarda
la scrivania del proprio ufficio, sempre la stessa da vent'anni.
È
come se non mi vedesse nemmeno.
Infilo gli abiti, freddi
anche quelli.
È inverno, dentro la stanza non c'è il
riscaldamento. Estraggo
dalla borsa l'ultima busta contenente il denaro e la appoggio sul
letto, insieme ad una lettera. Nel bagno, lui è ancora sotto
la
doccia. Sospiro.
Tre passi, tre gradini, tre
chilometri
da percorrere. Infilo il cappotto e poso la mano sulla maniglia.
Credo di non aver mai fatto una cosa così difficile. Nemmeno
sposarmi o avere un figlio è stato così
difficile. Un figlio. Mi si
stringe lo stomaco. Mia figlia è più grande di
lui. Sì, ha due
anni in più di lui. Potrebbe conoscerla, potrebbero uscire
insieme,
potrebbe essersi innamorato di lei o farlo un giorno.
Per un momento abbasso lo
sguardo,
avvinta. Perché è così ingiusto,
così difficile? Perché gli
uomini da sempre hanno diritto ad avere spose più giovani,
molto più
giovani, ed invece una donna non è autorizzata a godere
dell'amore
di un ragazzo?
Spingo la maniglia, apro la
porta e
l'aria fresca proveniente dall'esterno mi riporta alla
realtà. Che
vado a pensare? Anche gli uomini con spose bambine sono ridicoli e
abbietti. Il dolce incubo è terminato. Non ho più
modo di
alimentarlo ancora. Lui non accetterebbe mai una relazione con me,
una relazione vera, senza il denaro a fare da tramite, e non
riuscirei a giustificarla nemmeno io. Sono debole, più di
quanto
pensassi. E sono sul punto di perdere tutto.
La saggezza del bravo
giocatore sta nel
sapere quando fermarsi. Io devo interrompere questo gioco ora.
Oltrepasso la soglia e mi
chiudo la
porta alle spalle.
Tre passi, tre gradini, tre
chilometri.
Nota dell'autrice:
Mi è stato fatto notare che questa mia storia somiglia ad una pubblicata dall'autrice Chara, la quale proprio con quella storia aveva partecipato ad un mio contest. Sia chiaro che non è mai stato nelle mie intenzioni plagiare qualcuno e che ho creato questa OS per partecipare ad un contest a pacchetti. Secondo l'admin, si è trattato di un caso di ispirazione involontaria. Sia quel che sia, io inserisco il link dell'altra storia come stabilito. Ecco qua: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2514066&i=1
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