Si stringeva nel suo cappotto
invernale e guardava davanti a sé, fisso.
Aveva il naso
rosso per il
freddo e per la troppa frizione del fazzoletto sulla pelle. Lo si
sentiva ogni
tanto starnutire, probabilmente aveva solo il raffreddore.
Era
così che lo vedevo ogni
giorno, appoggiato a quel muro e con lo sguardo fisso davanti a
sé che guardava
tutto e niente. Non mi ero mai avvicinata per chiedere come stava prima
di quel
giorno e ormai era diventato come una presenza costante nella nostra
viuzza di
esercizi commerciali.
Eravamo sempre
chiusi dietro
le nostre vetrate quando il gelo di quell’inverno in
particolare non ci faceva
mettere il naso fuori dalla porta. Non ricordo quante volte gli avevano
offerto
una bella tazza di tè fumante e lui, cortesemente,
l’aveva sempre chiesto senza
zucchero. Non un solo cucchiaino. Ma non c’era nulla di
strano poiché molti
nella via lo prendevano così.
Persa la
novità, poche persone
andavano da lui per offrirgli qualcosa, ma non perché
sembrasse un barbone o
cos’altro, ma perché se ne stava lì
fermo ad osservare il nulla e non dava
conto a nessuno.
Mi ero
interessata a lui,
chiedendogli da dove veniva, ma non mi aveva mai risposto
completamente, solo
delle parole appena accennate e quello sguardo azzurro che ogni tanto
si posava
su di me.
Era della zona e
si chiamava
Michael.
Non capivo
nemmeno perché non
andasse a casa, per scaldarsi un po’. Ma ora che ci penso ,
lo avevo visto
spesso anche nell’estate di quello stesso anno. In
pantaloncini ed infradito.
Portava un
berretto di lana
ogni volta che lo vedevo e sempre di un colore diverso che ben si
abbinavano al
colore del cappotto. Ogni tanto avevo anche visto una signora anziana
avvicinarsi e prenderlo sotto braccio e lui, riluttante,
l’aveva seguita.
Una
sola volta mi ero
avvicinata a quella signora e, con un sorriso sulle labbra, mi aveva
guardata.
Era una signora sulla settantina, con poche rughe sul volto e degli
occhi
grandi e sinceri. I capelli erano quasi tutti bianchi e sulla testa
portava
sempre un cappellino dalla foggia particolare.
Non erano
persone pericolose,
tutti li conoscevano e una volta il panettiere mi aveva raccontato un
po’ di
storie.
“Dimmi
John, visto che tu
conosci tutti da queste parti, chi è quell’uomo
che sta sempre poggiato al muro
dall’altra parte della strada?”
L’avevo
chiesto con una
particolare curiosità. Era il mio più grande
pregio e il mio peggiore difetto.
John mi aveva
guardata e poi
aveva guardato il signore dall’altra parte della strada.
“Parli
di Michael?”
Avevo annuito
con una certa agitazione
e l’avevo guardato con occhi pieni di aspettative.
John, mentre mi
porgeva un bel
panino alle olive appena sfornato (la mia passione), aveva osservato
Michael
con comprensione.
“Quello
è il figlio di Beatrice. Hai mai visto la madre
in giro?”
Me lo chiese con
una certa
dose di enfasi, come se mi stesse rivelando il segreto del secolo.
E visto che io e
la mia
curiosità volevamo sapere, avevo annuito ancora una volta.
“Beatrice”
e dicendo il nome,
John, aveva sospirato. “Una delle donne più belle
del quartiere, credimi. Anzi,
forse in assoluto la più avvenente. Aveva un fascino che ti
faceva cadere ai
suoi piedi anche se lei non ti guardava affatto. Ma è sempre
stata buona quella
donna, sempre.”
Io avevo annuito
a quelle
parole, ma c’era qualcosa in quella storia che non mi
piaceva. Una qualche
specie di segreto che dovevo assolutamente sapere e quindi continuai a
chiedere
a John sulla faccenda.
“Cos’è
successo?”
John mi
guardò e per qualche
istante non parlò. Il panettiere aveva spostato lo sguardo
verso destra e poi
verso sinistra e, con fare cospiratorio, si avvicinò a me.
“Beatrice
si è sposata con uno
di fuori che a quanto sembra l’ha lasciata per una
più giovane. Quando la sua
bellezza è sfiorita, quel malfattore ha deciso di lasciarla.
Di uomini ormai ne
sono rimasti davvero pochi.”
Lo aveva detto
con una certa
enfasi e scuotendo il capo da una parte all’altra in segno di
diniego.
Io continuai a
mangiucchiare
il pane alle olive, ormai rimasto a poco più di un boccone.
Infatti, il panino,
non arrivò alla fine della mia domanda.
“Sì,
ma a Michael cos’è
successo?”
Lo chiamavo per
nome, come se
fosse un mio vecchio amico che aveva bisogno di aiuto, ma mi ero
accorta da fin
troppo tempo che lui non ne aveva affatto bisogno. Era
proprio così.
John aveva
picchiato un palmo
della mano sulla fronte e sorrise appena in mia direzione, per poi
servire
l’ennesimo cliente e tornare da me.
“Sembra
che sia diventato così
da un momento all’altro. Nessuno sa che cosa gli è
successo e non sembra assolutamente
interessato a ciò che lo circonda.”
Io avevo
annuito, ma proprio
in quel momento era entrato mio padre. Aveva bisogno di me in negozio.
“Devo
andare” risposi. “Grazie
per le informazioni” e detto questo feci
l’occhiolino a John e andai ad aiutare
mio padre nel nostro negozio di fiori.
Dopo
quella chiacchierata, la
mia curiosità anziché affievolirsi si era acuita
ancora di più e nei giorni che
seguirono, aspettai la madre di Michael, Beatrice, per parlare
direttamente con
lei. Avrebbe potuto rispondermi che non erano fatti miei, ma speravo
che avesse
voglia di raccontare il problema. Sempre se di problema si doveva
parlare.
Non era passata
neanche una
settimana che vidi la signora Beatrice portare qualcosa di caldo per
Michael. Così
presi coraggio e mi avvicinai.
Appena arrivata
davanti alla
donna, con le nuvolette di vapore che si condensavano davanti alla mia
bocca
per il freddo, mi rivolsi alla signora porgendole un piccolo fiore del
negozio
di mio padre.
“Buonasera
signora. So che lei
non mi conosce e non voglio in alcun modo importunarla”.
Beatrice in un
primo momento
sembrava volesse tirarmi una borsettaia in faccia, poi alla fine si
rilassò e
mi fece un sorriso che solo quello avrebbe potuto sciogliere tutto il
gelo che
si era creato intorno alla piccola stradina, accettando infine il fiore
offertole.
“Cara
ragazza, dimmi pure”
Mi voltai per
qualche istante
verso Michael, ma lui non dava attenzione ne a me, ne alla madre.
“Posso
invitarla per un tè
caldo?”
Beatrice
guardò per qualche istante
il figlio e poi annuì mestamente verso di me.
Poco distante,
ci sedemmo a un
bar dove prendemmo un bel tè caldo e tutte le domande che
avevo bloccate nella
testa stavano premendo per uscire fuori. Bevvi un sorso senza
distogliere lo
sguardo dalla signora e infine presi un po’ di quel coraggio
che mi era rimasto
e parlai.
“Magari
le potrò sembrare
inopportuna e vede in me una persona che vuole ficcare il naso nei suoi
affari.
Se non vorrà rispondermi, lo capirò”
La signora
Beatrice mi guardò,
come se avesse già intuito cosa volessi chiederle.
“Vuoi
sapere perché Michael è
così, vero?” mi rispose sorseggiando anche lei il
suo tè. E con quella domanda
mi spiazzò completamente, perché avrei dovuto
rivedere tutte le domande che mi
ero preparata.
“Non
do la colpa al padre.
Assolutamente. Purtroppo pochi anni fa se n’è
andato per una grave malattia.
Anche se non ci vedevamo più io e lui, Michael continuava a
vederlo con il mio
personale consenso. Sembra che questo abbia fatto impazzire mio figlio
e da
quel giorno non è stato più lo stesso. Taciturno
e ossessionato.”
La guardai per
qualche istante
un po’ interdetta.
“Capisco
la tua sorpresa.” Mi
disse Beatrice con un sorriso triste sulle labbra. “Il padre
è morto per
diabete e Michael ha dato tutta la colpa a qualsiasi cosa avesse un
po’ di
zucchero”
“Ecco
perché non vuole niente
di zuccherato” annuì io.
Beatrice aveva
risposto anche
lei con un cenno del capo.
“Se
noti bene” disse
voltandosi prima verso Michael e poi verso il motivo per cui era sempre
li su
quella strada. “Lui è ossessionata dai dolci. Da
piccolo li adorava, ma chissà
cosa adesso gli passa per la testa. Purtroppo dando la colpa a questi
ultimi
per la morte del padre non ne mangia, ma li desidera.”
Rimasi per
qualche istante
senza parole e, avendo finito il tè, la signora Beatrice si
alzò dalla sedia
per tornare da suo figlio.
“Michael
è impazzito e non
sente ne freddo e ne caldo. Odia e ama i dolci nello stesso tempo e per
lui
questo è un pensiero costante, tanto che a volte dimentica
anche di mangiare o
di svolgere le normali necessità del corpo. Pensavo che
sarebbe diventato lui
il mio bastone per la vecchiaia e invece…”
Beatrice se ne
andò
salutandomi con un cenno della mano. Io rimasi seduta al tavolo del bar
per
qualche altro istante e ripensai a tutto quello che mi aveva detto la
madre di
Michael. Non potevo credere a questa storia tanto era inverosimile.
Mi alzai, pagai
e andai verso
il negozio di mio padre assicurandomi prima di una cosa.
Seguii lo
sguardo di Michael e
vidi ciò che non avevo notato per tutto quel tempo. Qualcosa
che nessuno,
credo, avesse mai notato come Michael la guardava.
Era la
pasticceria di Fred.
Angolo
dell'Autrice
Questa storia
l'ho scritta ispirandomi ad una canzone che forse avrebbe preteso una
vicenda un po' iù importanta, ma quando ho cominciato a
scrivere ecco cosa è venuto fuori.
Una storia che non ha bisogno di essere capita fino in fondo. Semplice
e senza pretese.
Infatti non vi annoierò con qualche strano saggio su come
è stata scritta o cosa. Semplicemente è uscita
d'impeto.
Grazie di essere arrivati fino a qui.
Partecipante al contest indetto dalla pagina facebook "La
crème della crème di EFP"----> "MUSA(CA)" con la
canzone scelta: "Hysteria"
dei Muse.
P.S. Intanto volevo informarvi che se c'è
qualcuno che sta seguendo le altre mie storie, sono in stallo a causa
trasloco e completo rinnovamento della mia vita.
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