cap9
“Mio amato
fratello”
Capitolo 9
[Ali d'oro e argento]
Loki camminò con
passo veloce attraverso il lungo corridoio che lo avrebbe condotto
nello studio di Odino.
Bussò
alla porta con pochi colpi di nocca e attese che gli fosse permesso di
entrare.
«Mi
hai fatto chiamare, padre?» chiese varcando la soglia.
Odino
sedeva al suo scrittoio con una moltitudine di carte e documenti; la
fronte aggrottata e qualche piccola macchia di inchiostro nero sulle
dita.
«Sì,
sì, entra.» Gli fece un gesto con la mano per
invitarlo a chiudere la porta.
Loki
eseguì l'ordine e raggiunse la scrivania da cui suo padre
non aveva ancora sollevato lo sguardo.
Attese che
parlasse.
«Vorrei
che andassi su Vanaheim, da Freyja» disse infine Odino,
poggiando la penna sul foglio e sollevando finalmente lo sguardo in
quello del figlio.
«Il
motivo, se è lecito chiederlo?» domandò
Loki.
Una smorfia
stanca piegò il viso di suo padre.
«Andrai
in semplice rappresentanza del Regno per rendere omaggio a Freyr per la
nascita di suo figlio» spiegò. «Io non
posso allontanarmi da Asgard e, come sai, tua madre non prova molta
simpatia per la nostra regina Vanr. Sarà una buona occasione
per salutare la tua amata mentore.»
Loki si
umettò le labbra e annuì.
«Allora
sono stato fortunato» sospirò.
Odino
lasciò trapelare il non aver compreso la sua espressione, ma
soprattutto il non averla apprezzata.
«Cosa
intendi dire?» gli chiese.
Loki
sorrise accarezzando con le dita la superficie della scrivania.
«Nulla,
pensavo solo che se invece di Vanaheim avessi acquisito la mia
istruzione altrove,
questi viaggi diplomatici sarebbero stati meno piacevoli.»
Odino
sbatté il pugnò sul legno ma Loki non fece
sfumare il sorriso che piegava le sue labbra.
Erano
trascorsi sei mesi. Era ormai estate inoltrata ad Asgard. Su Jotunheim
era ancora inverno, sarebbe stato sempre inverno, a dispetto delle
stagioni, dei giorni, dei mesi... degli anni.
«Per
quanto ancora vuoi continuare con questa storia? Perfino tua madre ha
accettato e tu ti ostini a tartassarmi con la tua fastidiosa
lagna?!» sbraitò suo padre ma Loki non
provò nulla a parte quella brace mai spentasi di rabbia e
dubbio.
«Potrebbe
già essere morto, di freddo se non di spada»
affermò atono.
«Non
lo è.»
«Come
puoi esserne sicuro?»
«Lo
sono e basta.»
«E
se ti sbagliassi?»
Odino
colpì ancora la scrivania prima di alzarsi con sguardo
furente.
«È
tempo di piantarla, Loki. Smettila con questa storia prima che la mia
pazienza si esaurisca» sibilò il re con gelida
calma. «Sono passato oltre le tue insinuazioni, le tue mai
velate accuse, perché comprendevo il tuo sentimento di
fratello, ma adesso ti ordino di non proferire più parola in
merito a tale questione. Agirò come re e non come padre e
ti pentirai di aver messo ancora in discussione le mie scelte. Hai
capito? Tu non hai il diritto di contraddirmi così come non
puoi rivendicare alcun diritto su quel bambino. È mio figlio
e come tale subordinato alle mie decisioni.»
Loki si
ritrovò a irrigidire la mascella fino a sentirla dolere. Le
unghie quasi graffiarono il legno dello scrittoio.
«Lo
hai condannato alla morte nelle mani di quel mostro. Nessun buon padre
avrebbe osato tanto.»
Sapeva che
con quelle parole avrebbe solo fomentato la sua rabbia ma Odino
sospirò tornando a sedere, poggiando stancamente il capo
contro lo schienale della sua seduta e passandosi le dita sulla fronte.
«Quando
decisi di inviarti su Vanaheim, tua madre mi ingiuriò come
non avrei mai pensato di udirle fare. “Mio figlio non
crescerà alla corte di una sgualdrina Vanr”,
diceva. “Lo irretirà e violerà la sua
innocenza”... così, così
diceva.»
Loki
abbassò lo sguardo e poi lo rialzò negli occhi di
suo padre.
«Adesso,
Loki, io ti chiedo: Freyja ha mai fatto nulla di tutto ciò?
Ti ha mai violato o ha mai usato le sue arti seduttrici per indurti in
situazioni disdicevoli per un fanciullo?»
Loki si
bagnò le labbra senza rispondere e palesando quella che era
ovviamente una risposta negativa. No, Freyja non aveva mai fatto nulla
a parte essere una maestra severa che aveva preteso da lui il massimo
che potesse dare.
Odino
sorrise debolmente.
«Io
ti concedo di dubitare, te lo concedo perché conosco il tuo
animo testardo e ostinato e non ti costringerò a credere
alla mia buona fede, perché so che non lo farai.
Ciò che ti chiedo è di serbare per te i dubbi e
le accuse e di lasciare Asgard libera dalla patina di miscredenza che
avvolge la tua mente. E quando giungerà quel dì
in cui Thor farà ritorno, voglio che tu venga da me, e in
ginocchio mi chieda perdono per la tua totale mancanza di fiducia nel
tuo re e soprattutto in tuo padre.»
Loki
osservò l'espressione di rigore di suo padre con una domanda
nella gola.
«E
se non tornerà?»
«Allora
dichiarerò guerra a Jotunheim e schiaccerò sotto
i piedi ogni singolo Jotun, fino all'ultimo bambino, finché
non sterminerò la loro intera razza e lascerò a
te l'onore di prendere la vita del loro re Laufey.» E con
queste parole Odino tornò ai suoi doveri, come non avesse
pronunziato il più forte di ogni giuramento. Riprese la sua
penna e tracciò altre scritte sulla pergamena.
Da quel
dì Loki non riaprì più il discorso.
*
*
*
Frigga
stava tessendo, guardando al di là della balconata il
tramonto che divorava il cielo di Asgard.
Passò
le dita sulla tela, sui ricami, sentendo una morsa afferrarle il cuore
e stringere.
Scorse
all'angolo destro della tessitura un piccolo difetto di cui non si era
resa conto. Lo guardò con attenzione, lo sfiorò e
la morsa si intensificò fino a rubarle il respiro.
Si
accasciò alla seggiola portando una mano al petto.
«Mia
regina!» La sostenne la sua ancella tenendola per un braccio.
Ma sul viso di Frigga non c'era l'espressione di dolore che la giovane
si aspettava di trovare. C'era una lacrima lucente e un sorriso a
piegarle le labbra; gli occhi fissi su un angolo della tela che
l'ancella, confusa, guardò a sua volta.
Sulla
pallida stoffa, fra fili rosa e arancio, una macchia nera, quasi un
graffio: il contorno perfetto di una saetta.
*
Il sole era
sorto da qualche ora, ma Loki non si era ancora sollevato dal letto. Fu
il lungo suono di un corno a svegliarlo. Aprì le palpebre e
si coprì con la mano gli occhi feriti dalla luce.
Sentì
un peso sul petto e scoprì la testa castana della giovane
che aveva incontrato la sera precedente.
Si
alzò non preoccupandosi che la ragazza fosse ridestata dal
suo gesto brusco e si avvicinò alla finestra.
«Cosa
succede, mio principe?» Si sentì chiedere dalla
sua voce assonnata.
Loki
scrutò l'orizzonte immerso nel giorno e udì
ancora il corno, poi i soldati in fermento. Ma non era un suono di
guerra, no, era un suono che aveva già udito prima, sette
lunghi anni prima.
Sentì
la gola stringersi come se una mano l'avvolgesse.
Sette anni...
Era oggi?
Era quello il giorno in cui avrebbe rivisto un bambino ormai uomo?
L'avrebbe
riconosciuto?
Avrebbe
ritrovato quel sentimento che aveva serbato nel petto per tutti quegli
anni?
Ripensava
spesso alle parole di Sigyn, ai suoi occhi, adesso che non li vedeva
più da tempo.
“Conserva sempre nel cuore la
luce bellissima di questo affetto, Loki. Nei giorni più bui
sarà la più cara delle compagnie.”
E lo era
stata, in tutte quelle notti di solitudini, nella malinconia e nella
nostalgia, mentre in un letto troppo grande e silenzioso, cercava di
ritrovare la sagoma addormentata al suo fianco di un fratello non
voluto ma che aveva imparato ad amare. Un fratello che gli era mancato
e che spesso si chiedeva se fosse mai realmente esistito o fosse stata
solo una proiezione della sua mente. Ma negli occhi di Frigga, nei
silenzi di Odino, in quel nome poche volte pronunciato ad alta voce, lui c'era sempre.
Thor era
sempre stato lì, e niente e nessuno erano riusciti a tenerlo
lontano dal cuore di suo fratello.
Loki si era
rimproverato quella debolezza, quella patetica affezione, ma non aveva
potuto farne a meno.
Camminò
lentamente verso la sedia su cui sostavano le vesti che aveva tolto la
sera precedente e prese a vestirsi con gesti meccanici. La ragazza gli
chiese ancora cosa stesse succedendo ma Loki non le rispose, perso
com'era nei suoi pensieri; troppo occupato a far rallentare il battito
del cuore.
Non la
invitò neanche, come di prassi, a lasciare la stanza prima
del suo ritorno. Semplicemente in quel momento neanche gli importava
della sua stessa esistenza.
Tirò
indietro i lunghi capelli neri e si avviò alla porta che
aprì senza neanche preoccuparsi di chiuderla alle spalle.
Camminò,
quasi marciò, come se le gambe non obbedissero
più alla sua volontà ma solo a un incontrollato
bisogno a cui neanche lui sapeva dare nome.
Attraversò
i corridoi, le sale, discese con passo pesante le scale fino a giungere
al grande portone.
Si
fermò sollevando le spalle in un profondo respiro.
“Ciò che ti ho
insegnato...”
“Lo ricorderò sempre,
fratello.”
Si era
chiesto tante volte se aveva tenuto fede alla sua parola.
Sette anni
erano stati lunghi, incredibilmente lunghi, eppure adesso, se si
voltava poteva vedere un bambino correre per quei gradini a
perdifiato, con una spada di legno in pugno e una determinazione senza
eguali negli occhi.
Un bambino
era ciò che ricordava, era chi ricordava.
Sette anni
insieme e sette distanti, quasi le Norne avessero voluto porre tutti i
suoi sentimenti su di una bilancia in perfetto equilibrio.
Si
avvicinò a passo lento verso la luce del portone e scorse in
breve la figura di sua madre: i suoi capelli accuratamente acconciati,
il suo vestito più bello in dosso.
L'affiancò
e si sistemò alla meglio quei ciuffi ribelli che gli
ricadevano sul viso.
«Di
buonora, figliolo» lo salutò sarcastica Frigga,
notando subito la sua insolita scompostezza.
«È
stata una serata movimentata» rispose Loki rinunciando a
domare la sua chioma.
Frigga
sorrise e si scambiarono un lungo sguardo.
«È
lui?» le chiese e la regina annuì.
«Thor
mi fece la stessa domanda quando tornasti tu»
ricordò a voce alta risvegliando nella memoria di Loki quei
giorni e quelle emozioni ora così lontane.
Poi
entrambi si volsero a guardare il lungo sentiero ancora privo di ombre,
in attesa.
«Non
ricordo che tu sia venuta ad accogliermi» mormorò
Loki con fare malizioso.
Frigga
sorrise nuovamente.
«Non
ricordo che tu ti sia fatto annunciare.»
Loki
lasciò andare una risata colpevole e Frigga gli
carezzò il dorso della mano.
Poi ci fu
ancora il suono di un corno mentre un soldato risaliva la lunga strada
fino al piazzale.
«Mia
regina! Mio principe!» salutò l'uomo con un cenno
del capo tenendo le briglie del suo cavallo. «Annuncio il
ritorno del principe Thor Odinson che giunge da nord in sella a un
bianco destriero.»
«Grazie,
soldato. Che le Norne ti benedicano per questa felice
notizia.» Fu Frigga a dover rispondere al soldato, dal
momento che Loki sentiva ogni parola morire nella gola.
Non voleva
mostrare quella sua incontrollata ansia, quella debolezza. Voleva
essere distaccato e moderato, voleva essere il fratello che aveva
lasciato.
Si
comandò di domare battito e affanno e prese un lungo respiro.
Gli occhi
fissi dinanzi, le labbra strette in una linea rigida.
Odino, suo
padre, attendeva nella Sala del Trono, come era suo compito. Loki non
aveva dimenticato il suo giuramento, la promessa che mai
pronunziò ma che lo aveva comunque legato.
“Quando giungerà quel
dì in cui Thor farà ritorno, voglio che tu venga
da me, e in ginocchio mi chieda perdono per la tua totale mancanza di
fiducia nel tuo re e soprattutto in tuo padre.”
Ognuna di
quelle parole batté nelle sue orecchie con la stessa cadenza
degli zoccoli del bianco cavallo che attraversava adesso di lontano i
cancelli.
A ogni
manciata di metri che divorava scorgeva più nitidamente la
chioma bionda, lunga e mossa, come la criniera di una fiera. In sella
un giovane uomo, con il corpo coperto da una pesante pelliccia bruna da
cui si intravedevano il petto possente e le braccia scolpite; massici
stivali di cuoio maltrattato dal tempo e le intemperie, e le gambe,
coperte da pantaloni di pelle nerissima, sembravano dipinte ai fianchi
del cavallo, mentre con andatura lenta e sinuosa faceva il suo
ingresso nello spiazzale.
Frigga si
portò le mani alla bocca per far tacere un gemito di
sollievo e Loki ancora una volta non riusciva a dire nulla, mentre
guardava quegli occhi azzurri, più azzurri di quel che
ricordava, e quel sorriso che invece era rimasto lo stesso impresso nei
suoi ricordi.
Il
cavaliere fermò il passo e ancora un corno suonò.
Saltò
poi giù dal cavallo e lasciò cadere a terra la
pelliccia che lo aveva coperto fino ad allora. La pelle ambrata del
dorso sembrò illuminarsi sotto i raggi del sole di
primavera, rendendo il giovane che si avvicinava, una statua d'oro in
movimento.
«Madre...»
Il tono
infantile era svanito per sempre per dar vita a una voce degna del
rombo di un tuono.
Loki
guardò il suo profilo, il viso che solo adesso che era
vicino vedeva coperto da una leggera barba dorata.
«Thor...
figlio mio.»
Frigga lo
abbracciò come aveva abbracciato lui al tempo, con la stessa
forza, la stessa intensità, con lo stesso amore. Ma Thor la
sollevò e ridendo la tenne stretta mentre volteggiava su se
stesso facendo volteggiare anche la lunga veste di Frigga.
Loki li
guardò, così simili, così belli,
così perfetti.
Un petalo
di malinconia cadde nella sua anima senza fare rumore.
«Thor,
il mio Thor, il mio piccolo Thor» sospirava Frigga
cospargendo il suo viso di baci, e Thor le baciò le mani e
le guance e disse che l'amava.
Frigga non
trattenne una lacrima che suo figlio portò via con un altro
bacio.
E poi
guardò lui.
Loki si
perse nell'azzurro del suo sguardo e sembrava riuscire a scorgere le
vette innevate di Jotunheim, il blu cobalto dei suoi cieli, il riflesso
argenteo delle nevi che ne governavano le terre.
Non si
chiese cosa mostrassero i suoi, cosa Thor stesse leggendo nel verde
delle sue iridi.
«Fratello»
disse Thor dolcemente, quasi con la stessa incertezza del bambino che
era stato, con lo stesso timore che aveva vestito le sue parole un
tempo.
Loki lo
osservò ancora, in silenzio, cercando l'eco di quel
fanciullo che era stato difficile amare ma impossibile odiare.
Adesso
aveva un uomo di fronte, così diverso eppure che rifletteva
quel bambino in ogni più piccolo dettaglio.
Allungò
la mano e piegò le labbra in un piccolo sorriso che non
aveva facoltà di ostentare le sue vere emozioni.
Attese che
l'altro l'afferrasse, come due uomini che adesso erano, con il bagaglio
culturale e di esperienza che aveva inevitabilmente cambiato entrambi.
E niente di
ciò che fu avrebbe potuto ancora essere.
Ma Thor
guardò quella mano tesa con un piglio incerto, poi
sollevò ancora lo sguardo nel suo e sorrise.
Loki si
ritrovò stretto fra le sue braccia, forti come una morsa,
mentre affondava il viso fra i suoi lunghi capelli biondi che
profumavano d'inverno.
«Fratello
mio» sospirò Thor al suo orecchio facendo battere
forte il cuore contro il petto di Loki che si chiese quale dei due
battiti fosse il suo. «Mio amato fratello» disse
ancora Thor affondando le dita fra le nere ciocche e respirando contro
il suo collo. «Mio amatissimo fratello...»
E Loki non
seppe se fosse più caldo il suo abbraccio o la sua voce, o
il riverbero di quell'affetto che urlava in ogni denso respiro che
sentiva contro la pelle.
Sollevò
a sua volta le braccia avvolgendole attorno a quel corpo e sentendo
sotto le mani le sottili linee delle cicatrici che disegnavano la sua
schiena nuda: il racconto silenzioso di una storia lunga sette anni.
Bentornato, fratello... Mi sei
mancato.
Non lo
disse ma lo strinse più forte.
*
La sera fu
grande festa, solo Asgard era presente perché
così voleva Odino: il principe doveva ritrovare la sua gente
prima, poi sarebbe venuto il resto.
Loki sedeva
al fianco di Frigga e guardava Thor fra la folla che brindava con
quelli che un tempo erano stati i suoi compagni di giochi. E li
abbracciava, li baciava, come se non fossero stati divisi un solo
giorno.
«A
Thor!» urlava Volstagg, con la sua lunga barba rossa e la sua
pancia imponente.
«A
Thor!» rispondeva Fandral, sorridente, carezzandosi la folta
chioma bionda.
Sif non
rispose, gettò solo le braccia attorno al collo di suo
fratello e gli baciò le guance.
Thor
sorrise e le tenne la mano.
Sif, adesso
bella come una valchiria e altrettanto letale. Sif, degna di sedere
accanto a un principe.
Loki si
accarezzò il mento studiando la scena e chiedendosi se lo
stesso pensiero avesse adesso attraversato anche la mente di Thor.
Non avevano
parlato molto. Odino aveva preteso la completa presenza di suo figlio
ed erano stati da soli nel suo studio per tutto il pomeriggio.
Quando
erano usciti Loki non aveva chiesto a nessuno dei due i discorsi
affrontati ma aveva seguito il padre nel suo studio, si era chiuso la
porta alle spalle e aveva chinato il capo, in silenzio.
Odino aveva
riso divertito, dicendo di ricordare una promessa diversa. Loki aveva
ribattuto che lui non ricordava neanche di averla fatta quella promessa
e suo padre aveva sospirato congedandolo.
Loki era
uscito con un sorriso vittorioso dipinto sulle labbra.
«Non
vai a brindare con tuo fratello?» gli chiese Frigga.
«Lascia
che i bambini giochino fra di loro, madre» mormorò
facendola ridere.
Tornò
poi con lo sguardo al gruppo di giovani. Thor rideva fino alle lacrime
con indosso una sottile maglia priva di maniche. Diceva di non
sopportare molto la temperatura così elevata, diceva che
doveva abituarsi, abituarsi nuovamente alla sua casa.
Volstagg
aveva bevuto un sorso di vino e rotto il calice a terra. Aveva poi
invitato Thor a fare lo stesso e suo fratello lo aveva imitato, ma il
calice rompendosi aveva bagnato la lunga veste di una nobildonna che li
aveva guardati con rimprovero.
«Mi
scusi, Milady» si era scusato Thor senza nascondere un
sorriso colpevole.
Fandral,
guardando la donna, aveva bisbigliato qualcosa all'orecchio di Thor che
sembrava essere arrossito d'improvviso.
Loki
mandò giù del vino e attese che suo padre
richiamasse tutti all'attenzione.
Invocò
un brindisi in onore di Thor, del suo ritorno, augurandogli di brillare
come la stella più sfavillante per ogni anno a venire.
Tutti
avevano urlato il suo nome alzando alto il bicchiere.
Loki
ritrovò gli occhi di suo fratello e alzò un
angolo delle labbra sollevando appena il suo boccale.
Thor gli
sorrise.
*
La festa
era stata stancante. Loki baciò ancora la giovane dama ma
non aveva interesse a proseguire quell'incontro.
La
lasciò nei corridoi con un ultimo bacio sul dorso della mano
e raggiunse le sue camere mentre la donna gli chiedeva se l'avrebbe
rincontrata la sera successiva.
«Ovviamente,
mia adorata» rispose Loki mentendo.
Aprì
la porta della sua camera massaggiandosi il collo indolenzito e se la
chiuse alle spalle.
Una figura
sedeva sul suo letto.
Una memoria
lontana che ritornava a galleggiare nella sua mente.
«Cosa
ci fai qui?» gli chiese volendo risultare atono ma non
potendo impedire alle labbra di piegarsi all'insù.
Thor
sollevò le spalle e si gettò sul letto tenendo le
gambe a penzoloni.
«Ti
aspettavo» mormorò in risposta mentre Loki
raggiungeva a sua volta il letto. Si sedette e guardò il
viso di Thor, i suoi occhi chiusi, il braccio piegato dietro la nuca.
«Non hai brindato con me, Loki» disse poi suo
fratello aprendo le palpebre stanche.
«Beh,
mi sembra che tu abbia brindato abbastanza con i tuoi compagni. Mi
sbaglio?» ribatté Loki e Thor sospirò.
«Sì,
ma loro non sono te...» affermò richiudendo
nuovamente le palpebre. Poi, in un gesto rapido, si mise a sedere e lo
guardò intensamente. «Fratello, l'hai ancora con
te?» gli chiese con tono solenne, come stesse parlando di
qualcosa di elevata importanza.
Loki
aggrottò la fonte credendo che il vino avesse vinto la sua
lucidità.
«La
mia farfalla» disse ancora Thor, chiarendo la sua confusione,
e Loki per poco non gli scoppiò a ridere in pieno viso.
Scosse il
capo ma non trattenne un sorriso divertito.
«Ma
guardati» disse. «Grande e grosso e sei ancora
la fanciulla con le lentiggini che inseguiva le farfalle.» E
picchiò l'indice sulla punta del suo naso.
Thor
scacciò la sua mano mostrando fastidio per quel commento.
«Non
prendermi in giro, Loki» brontolò con tono
troppo infantile per quella voce roca. «Avevi detto che non
l'avresti fatta morire.»
Loki
ricordò quelle parole, ricordò lo sguardo negli
occhi di Thor, la sua fiducia. Ricordò anche di non avergli
risposto.
«Non
era reale, Thor» confessò. «Era
un'illusione. Lo erano tutte.»
Thor
sbatté le palpebre e abbassò lo sguardo
mordendosi il labbro come un tempo.
«Sei
deluso?» gli chiese Loki ma suo fratello scosse il capo.
«No,
credo di averlo sempre saputo ma speravo di sbagliarmi»
rispose. «Sai, su Jotunheim, alle volte, la notte era
talmente buia che neppure le stelle davano luce, allora pensavo a
quella piccola farfalla e mi sembrava di vederla volare nella tua
stanza. La vedevo posarsi sulle tue mani, fra i tuoi capelli. Ti vedevo
ridere in sua compagnia mentre te ne prendevi cura per me... E la notte
sembrava meno buia.»
Loki
ascoltò le sue parole velate di tristezza e altri sentimenti
che tanto ricordavano i suoi. E gli sembrava a sua volta di vederlo,
quel piccolo bambino che fissava un cielo nero pensando alla sua casa,
a suo fratello, mentre si stringeva nelle pellicce per combattere il
freddo e la solitudine.
«Dammi
la mano» gli disse e gli porse la sua. Thor lo
guardò confuso e poi gli allungò la destra.
Loki la
prese e la chiuse in un pugno mormorando un piccolo incantesimo.
«Adesso
aprila» lo invitò e quando Thor lo fece dal suo
palmo volò via una farfalla d'oro e argento, la stessa che
gli aveva donato per il suo ultimo compleanno.
Thor rimase
a bocca aperta mentre la creatura volava attorno a lui, si posava sulle
dita della sua mano e fra i suoi capelli biondi.
Rise
incantato, con la stessa innocenza di un bambino
seppure conscio
che non fosse realtà.
«È
bellissima, fratello» disse felice, inseguendo con lo sguardo
la farfalla che librava leggiadra nella stanza.
Loki
piegò le labbra in un sorriso intenerito e divertito.
«Ah,
la mia piccola fanciulla...» mormorò con tono
falsamente sognante. «Potrei intrecciare i tuoi capelli con
tanti boccioli di rose. Ti donerebbero.»
Thor lo
guardò truce e lo spintonò sul petto.
«Sono
più grosso e forte adesso, fratello. Dovresti badare a cosa
esce dalla tua bocca» gli rimproverò e Loki
continuò a sorridere afferrando fra le dita una ciocca di
lunghi capelli color grano.
«O
magari potrei adornarli con nastri di raso e fermagli di gemme
e-»
Il pugno
che gli arrivò dritto sul braccio gli fece smorzare fiato e
parole.
«Va
bene, va bene, rettifico: non sei una fanciulla, sei un
troll» mormorò massaggiandosi la zona colpita.
Thor sedeva
sul suo fianco e lo guardava con un sorriso divertito che avrebbe
voluto fargli sparire all'istante ma...
«Mi
sei mancato tanto, Loki» gli disse con tono dolce.
«Più di chiunque altro.»
Loki si
tastò ancora il braccio con espressione dolente.
«A
madre non farebbe piacere sentirtelo dire.»
Thor rise.
«Lo
so, perciò ti chiedo di non dirle nulla.»
«Lo
prenderò in considerazione» sospirò
cercando di non badare al calore che aveva attraversato il suo petto
nell'udirgli fare quella confessione. «Era così
terribile?» gli chiese poi, quando l'ilarità era
passata lasciando il posto al silenzio della notte.
La farfalla ancora
volava aggraziata fra di loro.
Thor
guardò dinanzi a sé un punto che non c'era
realmente.
«No,
Laufey è stato buono, molto severo, ma buono»
rispose. «Mi ha insegnato tanto.»
«Ad
esempio?» chiese ancora Loki cercando di leggere nel suo
sguardo perso.
«A
combattere e cacciare a mani nude, perfino a governare bestie
più antiche di qualunque civiltà. Mi ha insegnato
a organizzare un esercito e un'offensiva, ad affrontare una rivolta...
A uccidere...»
Sull'ultima
parola lo sguardo di Thor si fece più buio e così
quello di Loki mentre si chiedeva ancora una volta quali immagini
quegli occhi di zaffiro fossero stati costretti a vedere.
Ma Thor lo
guardò e mostrò un sorriso, tirato, non sentito,
che voleva soltanto essere una preghiera per non approfondire quel
discorso.
Loki
accettò quella richiesta e gliene fece un'altra.
«Dormi
con me, testa di paglia?» Thor sembrò illuminarsi
e annuì più volte prima di abbracciarlo.
«Così mi racconterai delle donne Jotun.»
Lo
udì ridere mentre gettava via la sua maglia e si sistemava
sul cuscino.
«Sono
fredde anche lì?» chiese ancora Loki liberandosi
della lunga veste.
Thor si
bagnò le labbra arrossendo appena.
«Non
direi proprio...» rispose con un certo imbarazzo che
divertì Loki.
«Uh,
qualcuno ha imparato qualcosa senza l'aiuto di suo
fratello» bisbigliò allungandosi sul lato
opposto del letto e piegando il gomito per poggiare la guancia nel
palmo della mano.
«Sai,
mi chiedo come sia farlo con un'asgardiana» disse Thor
sinceramente curioso.
«Direi
che l'unico modo per scoprirlo sia provarlo»
suggerì Loki sorridendogli malizioso. «E penso che
Sif sarebbe lieta di fare da volontaria.»
Thor rise e
gli assestò una pacca sulla spalla.
«Tu
dici? Io non avrei nulla in contrario.»
«Oh,
non ne avevo dubbi.»
Ci furono
altre risate, altre confidenze, altri momenti da fratelli.
*
*
*
*
*
*
*
*
Il vento
fischiava nelle orecchie con forza, quasi fosse il lamento di un
animale morente.
Odino
affondò un passo dopo l'altro nella fredda coltre di neve
mentre, nudo di scorta e armi, giungeva in solitudine dinanzi ai gelidi
cancelli di Laufey.
Il re lo
ricevette e i due sedettero l'uno di fronte all'altro, alla luce di
decine di candele.
«Giungo
qui per ringraziarti» disse Odino guardando gli occhi rossi
di chi un tempo fu un nemico.
Laufey
sorrise, con bianchi denti affilati come lame.
«Tuo
figlio è stata una bestia difficile da domare»
disse il re Jotun e fu Odino a sorridere.
«Non
ti illuderai di esserci riuscito?» chiese e Laufey scosse il
capo.
«Non
l'ho mai davvero sperato, Odino. Tuo figlio è la tua carne e
il tuo sangue: siine orgoglioso o disperati, perché
sarà la sua maledizione.»
Il Padre
degli Dèi guardò il fondo rosso del calice che
stringeva fra le mani, scorgendo il suo riflesso sulla superficie
liquida.
«Loki-»
«Sai
che non mi interessa» lo interruppe Laufey senza lasciarlo
continuare. «Fu una tua scelta salvargli la vita, e tua
è la responsabilità della sua
esistenza.»
«E
perché mi facesti quella richiesta tanti anni fa?
Perché volesti mio figlio se non per bilanciare il
destino?»
Laufey rise
di quelle domande accarezzando con l'indice il bordo del suo calice e
facendolo sibilare lamentoso.
«Volevo
solo avere lo stesso trattamento riservato alla bella Freyja, Borson.
Affinché tu potessi dire di trattare equamente tutti i tuoi
alleati.»
Odino non
credette, il suo cuore di padre non volle credere.
Svuotò
il suo bicchiere e lo poggiò poi vuoto sul tavolo.
«Non
vuoi sapere quindi nulla di lui?»
Laufey
sospirò.
«Giungono
voci anche qui, sulla Lingua d'Argento di Asgard...»
mormorò con parole che ne celavano altre.
Il Grande
Padre studiò il suo viso e lo sguardo scarlatto.
«Per
cui?» chiese e Laufey guardò a sua volta il fondo
del suo bicchiere.
Lo
avvicinò alle labbra e prima di bere disse:
«Avresti fatto meglio a lasciarlo morire.»
*
*
*
*
*
*
*
*
*
La notte
era alta, la luna bianca e le stelle a milioni, come lacrime piante nel
cielo.
Loki
guardava Thor dormire al suo fianco, in quel posto che era sembrato
troppo freddo fino a quel momento e si chiese ancora chi fosse questa
creatura che era entrata senza permesso nella sua vita fino a
stravolgerla, si chiese come ci fosse riuscita, come dopo sette lunghi
anni di assenza ancora possedeva così intensamente ogni
battito del suo cuore.
Loki si
chiese se per sempre avrebbe provato quel sentimento di affetto e
tenerezza, quel senso di protezione verso di lui, verso un fratello di
cui non poteva più fare a meno.
Loki si
chiese se avrebbe avuto ancora qualcosa da insegnargli o sarebbe stato
il contrario.
Loki si
chiese quante altre notti avrebbero dormito insieme, abbracciati, se ci
sarebbero state notti in cui avrebbero combattuto, litigato, in cui
avrebbero desiderato l'uno il male dell'altro.
Thor era
una creatura di sole e neve, luminoso e limpido: non l'avrebbe mai
potuto fare. Su di sé, Loki non osava premonire nulla, il
suo animo tortuoso non gli permetteva di farlo.
Loki si
chiese se avrebbe sempre considerato Thor il suo piccolo fastidioso
fratellino, o se mai, un giorno, sarebbe stato una minaccia e lo
avrebbe temuto.
Loki si
chiese se quell'odio, che aveva falsamente professato per anni, sarebbe
mai un giorno divenuto verità.
Gli
accarezzò i capelli e gli baciò la fronte, con
una dolcezza che neanche a quel bambino aveva mai riservato.
Poggiò
la guancia sul cuscino e chiuse gli occhi.
Non si
diede una sola risposta quella notte, mentre dormivano l'uno contro il
capo dell'altro, intrecciando capelli e sogni, intrecciando i loro
stessi destini.
Loki e Thor.
Thor e Loki.
Il sigillo
di un arcaico incantesimo da pronunziare a voce bassa.
E intanto
in alto volava una farfalla con ali d'oro e argento, figlia di
un'illusione che si sarebbe dissolta al sorgere del sole, come un
fiocco di pallida neve.
Fine
|