Eternity: Le Cronache del Tempo

di Il Fantoccio Meccanico
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PROLOGO

 

Tutt' intorno, solo morte. E luce. Molta, troppa luce.

     Percepiva la sua presenza. Non una presenza fisica, bensì eterea. Non aveva un corpo, ma avvertiva quella che si era rassegnato a definire come la sua anima.

     La sua era un' esistenza inconsueta, difficile da chiamare vita. Non sapeva nemmeno se fosse vivo o morto, o peggio, intrappolato tra queste due realtà parallele che mai si intersecavano. Mai. Tranne nel suo caso.

     Si chiedeva spesso, se anche la morte avesse un suo percorso, come la vita. Si chiedeva se quella, era la morte. Noi nasciamo, viviamo e sopravviviamo. Allora perché la morte doveva essere un singolo e rapido avvenimento? Forse continuava il suo percorso, come un fiume che si getta nel mare. Il fiume smette di esistere nella sua forma naturale, diventando parte del mare. Questo era il significato che dava alla morte. Un percorso, come la vita.
     Oramai non osava nemmeno più interrogarsi sui fenomeni che governavano la sua esistenza.Tutto era fatto di emozioni. Quelle, ne era certo, esistevano e condizionavano il suo mondo. Non sapeva nemmeno come facesse a vedere, sentire, odorare quello che immaginava fosse l'ambiente circostante. Vedeva cadaveri, pire funerarie ma nessun segno di vita.

     Quelle immagini gli erano fin troppo familiari. Erano parte di lui e mai gli avrebbero donato pace.

D' un tratto, come se si fosse appena svegliato da un sogno, avvertì un' altra presenza, infinitamente più grande della sua. Lo chiamava, e lo faceva senza emettere alcun suono. Sapeva già chi, a gran voce, pronunciava il suo nome. Un nome che da tempo aveva imparato a disprezzare.

Il tempo.

     Il tempo non esisteva, o meglio, non scorreva come gli esseri umani erano abituati a credere. Quello che, incessantemente vedeva, era il suo passato, il suo presente, e il suo futuro. E lei lo sapeva.

     Lei, la Dea. La più nobile tra le figlie di Argus. La più loquace, la più compassionevole, la più severa, adesso lo chiamava.

Era venuta a prenderlo. Era venuta a prenderlo, ne era certo! Era venuta, inaspettatamente, per tirarlo fuori dal limbo in cui lei stessa lo aveva rinchiuso, ormai da tempo indefinibile, costretto a rivivere gli avvenimenti del suo passato e quelli che ancora sarebbero dovuti nascere.
     
Imprigionato con una ferita lacerante. Un nome faceva sgorgare sangue da quell' involucro emotivo. Il suo.

Arald Jeremia Orpheus

Angolo del Fantoccio!

--- Piacere carissimi lettori! Sono il Fantoccio Meccanico!
Questo che avete appena letto è l' inizio del mio racconto!
Se vi siete appena fatti un' idea, avete capito poco o nulla, vuoldire che sono riuscito nel mio intento!
PERFETTO!
Se queste poche righe hanno suscitato in vuoi un incalcolabile moto di curiosità, attendete... presto pubblicherò il primo capitolo: " Cielo Rosso "
Un saluto dal Fantoccio! :D ---




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