family life 1
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La pioggia
londinese picchietta allegramente i vetri della portafinestra, ed io
mi perdo ad osservare i disegni astratti e delicati che le gocce
dipingono sulla superficie fredda.
Amo la pioggia, fin
da quando ero bambina...
amo l'odore che si spande nell'aria, che porta via con sé ogni
brutto ricordo e lascia l'aria fredda, pulita, che arrossa le guance e
promette il profumo delle caldarroste e della cioccolata calda in un
buio pomeriggio costellato di temporali.
Sinéad
compirà un anno fra pochi giorni.
È stato
proprio l'autunno a portarmi la mia bambina, in una tempestosa
mattina di fine ottobre sferzata dal vento freddo dell'inverno
imminente, fra i vivaci colori della vicina, suggestiva notte di
Ognissanti di un anno fa.
Durante questo
lungo, bellissimo anno, Ben ha cercato di fuggire dai set dei film in
cui ha recentemente recitato pur di tornare a casa per vedere Sinéad
almeno un paio d'ore alla settimana; alla fine, preoccupata per lo
stress di quei continui voli in aereo ed esasperata almeno quanto
quella santa di Anna, che mi sopporta da un sacco di tempo, ho deciso
di cogliere al volo l'offerta dei registi di The Words e Sin
ha ottenuto il suo primo cammeo da guest star fra le braccia
del suo entusiasta ed adorante papà.
Ora, in attesa che
gli ultimi film di Ben escano nelle sale, posso finalmente godermi
qualche settimana in compagnia di mio marito e di mia figlia, in casa
nostra, nella città che ho imparato ad amare come mia:
Londra.
Londra, che in
autunno si riempie dell'odore delle foglie secche e della pioggia
incessante.
Sorrido appena,
accoccolandomi meglio sotto le coperte e sprofondando la testa nel
cuscino di piume, serena come non penso di essermi mai sentita prima
della nascita di Sinéad.
L'abbiamo chiamata
così perché il suo arrivo è stato davvero un
dono degli dei: insperato, inatteso, ma da subito amato come
se non avessimo aspettato altro per tutta la nostra esistenza.
Tuttavia, non è
per l'arrivo imprevisto di Sinéad che Ben ed io ci siamo
sposati. È successo prima, prima che quella creaturina con i
miei stessi occhi decidesse di essere pronta per piombare nelle
nostre vite – è successo in autunno, come tutte le
cose belle della mia vita.
A volte ancora
non
mi sembra vero, ancora fatico a credere di essere proprio io la donna
realizzata, serena e sicura di sé che scorgo nello specchio
quando mi spazzolo i capelli, al mattino, con il sapore del
caffè sulla lingua impastata di sonno e gli occhi limpidi come
non credo siano mai stati. Non avrei mai nemmeno osato
sperare, fino a pochi anni fa, di potermi sentire tanto felice.
Sorrido,
stiracchiandomi morbidamente sotto le coperte e cercando
istintivamente, con il pollice, la fede nuziale; non
ho mai portato anelli prima di questo piccolo
cerchietto d'oro, ma ora
credo che non potrei più farne a meno –
non tanto per l'oggetto in sé, ma per il legame
profondo e sincero che lega me e la persona che ho deciso, accettato
e desiderato sposare.
Come se si fosse
sentito chiamato in causa, Ben appare sulla soglia della nostra
camera da letto con un sorriso stanco ma soddisfatto sulle belle
labbra piene.
-Sinéad
dorme.- annuncia in un sussurro orgoglioso e divertito: far
addormentare nostra figlia è quanto di più arduo io
possa immaginare... ha ereditato i problemi d'insonnia da sua madre,
purtroppo. Ma, sempre come sua madre, esiste un ottimo metodo per
permetterle di sprofondare nel mondo dei sogni che solo gli innocenti
possono toccare: le braccia di suo padre.
Ben sorride, stanco, e si sfila la
felpa. Non riesco proprio ad evitare di apprezzare lo scorcio
dei muscoli affusolati e definiti delle braccia che si flettono, il
torace snello ma scolpito che si contrae, le vene che guizzano appena
sotto la sua carnagione chiara: ha messo su muscoli, Ben, ed io non
posso far altro che esserne soddisfatta.
-Vieni qui,
biondina.- mi chiama, infilandosi sotto il piumone. Scatto verso di
lui e gli rivolgo un'occhiataccia, mordendogli il polso della mano
che ha incautamente avvicinato al mio viso per accarezzarmi una
guancia.
-Chiamami
“biondina” un’altra volta e ti ritroverai
un’istanza di divorzio sul comodino entro un giorno, mister
Barnes.- lo minaccio, soffiando come un gatto arrabbiato,
ma Ben scoppia a ridere – non mi prende
mai sul serio – e abbassa la testa per
appoggiarla sulla mia spalla, strappandomi un sospiro esasperato –
e fa bene.
Gli arruffo i
capelli, sospirando di piacere quando li sento morbidi e folti fra le
mie dita: non li ha più fatti crescere, non come li aveva
quando ci siamo conosciuti, ma sono abbastanza lunghi perché
io possa divertirmi a spettinarlo come e quando mi pare.
È bello, il
mio Ben.
Finalmente sta
cominciando a dimostrare qualche primavera in più della scarsa
ventina che gli veniva affibbiata fino a qualche tempo fa –
maledetto, lo odio profondamente per questo, ha dieci anni più
di me e tutt’ora sembriamo coetanei –, il suo volto
si è fatto più maturo e lievemente scavato: ha passato
gli ultimi trent'anni ad assomigliare ad un ragazzino troppo
cresciuto ma, ora, si è finalmente fatto uomo. Il mio.
-Non vorrei mai
scatenare le sue ire, miss Barnes.- mormora, perfettamente
consapevole di quanto la sua voce sia in grado di scatenare almeno un
paio di terremoti, fisici e psicologici, nella sottoscritta.
Miagolo qualcosa
di indefinito quando mi sfiora il collo con la punta del naso,
respirando sulla mia pelle che, all'istante, si riempie di brividi e
di pelle d'oca – non vale, non è
giusto, tutto questo non è affatto corretto – io non sfrutto
mai questo genere di armi improprie per rabbonirlo__ beh,
dai, un paio di volte potrà anche essere capitato, ma di
sicuro non ne ero consapevole quanto lui__
ehm.
Ben ride di
nuovo
e io lo spingo via, piccata, arrotolandomi nelle coperte e fissandolo
da sotto il piumone con un'espressione serissima e profondamente
offesa. Si stende sul fianco e mi guarda, pensieroso, con un mezzo
sorriso enigmatico sulle labbra e l'espressione intensa che ho imparato
ad associare al suo cervellino in movimento – perché dai, Ben che sviluppa un pensiero coerente è quasi un miracolo – mi strozzerebbe, credo, se sapesse quanto lo prendo in giro persino nei miei pensieri.
-È
passato
Jack, oggi. Ti saluta.- mormora, dopo aver passato almeno un minuto ad
osservarmi mentre mi rannicchio in quello che ho sempre definito "il mio microclima",
ossia l'ambiente perfetto perché io possa sentirmi a mio agio
senza sudare o tremare dal freddo: indosso una camicia da notte
relativamente leggera, ma sono infagottata in due coperte pesanti e,
come Ben sa bene, i miei immancabili calzettoni antiscivolo sono al
loro posto a scaldarmi i piedi, sempre freddi.
Sono il massimo del glamour, lo so. Ma Ben mi ama anche per questo – spero.
-Mi dispiace
averlo mancato, mi avrebbe fatto piacere vederlo.- rispondo,
sinceramente dispiaciuta di aver mancato la visita di mio cognato: Jack
è un ragazzo simpatico, sempre allegro e dedito al lavoro almeno
quanto suo fratello maggiore... è solo un filo meno vanitoso, e
decisamente più affine ai tempi moderni di quanto Ben sia mai
stato e, probabilmente, mai sarà.
In fondo,
però, Ben è unico anche per questo suo intenso sguardo
d'altri tempi, per questo suo aspetto da gentleman ottocentesco, da dandy, da libertino.
-Jack sa che mia
moglie fa un lavoro estremamente impegnativo, non se l’è
presa.- mi rassicura, avvicinandosi un poco per lasciarmi un bacio
sulla fronte, unico lembo di pelle non imbacuccato in strati e
strati di panni e pannetti. Gli rivolgo un indistinto mugolio
d'approvazione, socchiudendo gli occhi ed accennando un sorriso.
-Faccio il
poliziotto, Ben, non l’agente segreto.- gli faccio notare,
inarcando un sopracciglio in risposta alla sua espressione scettica:
Ben è ansioso come nemmeno una nonna vecchio stampo potrebbe
essere ma, nonostante si preoccupi per me ogni volta che mi vede uscire
per l'ennesimo, massacrante turno senza orari, sa che entrare in
polizia giudiziaria è stato, per me, il coronamento di un sogno
che serbo nel cuore fin da bambina.
Ben rispetta, come ha sempre fatto, le mie scelte – di
più: è stato proprio lui a spronarmi a studiare per
l'ammissione in questo particolare ramo di Scotland Yard e a spingermi
a ricercare, in me stessa, la determinazione che avevo dimenticato di
possedere per realizzare quel desiderio che bruciava in me ormai da
più di vent'anni.
-Oh, e il
supereroe come hobby personale, ovviamente.- aggiungo, alludendo non
proprio velatamente a ciò che lui mi ha ripetuto spesso, sin da
quando ci siamo conosciuti: "hai la mania di fare l'eroe, piccola Ray".
Sussulto,
però, quando Ben parte all'attacco senza il minimo preavviso e
m'infila le mani congelate sotto il cotone soffice della camicia da
notte, stringendomi i fianchi e facendomi fare un salto degno di un
gatto isterico in preda ad un attacco di scurrilità fulminante.
-Un supereroe
freddoloso, pulcino?- scoppia a ridere, divertito, tirandomi contro di
sé nonostante io stia cercando in tutti i modi di rompergli in
mille pezzi quella faccia da schiaffi per cui tanti produttori hanno
pagato fior di quattrini.
-Pulcino a
chi!?-
sbotto, indignata, scattando come l'infida serpe che sono sempre stata
e rotolando pesantemente su di lui, liberandomi dalla slealissima
stretta sui miei sensibilissimi fianchi e bloccandogli entrambi i polsi
sul cuscino, approfittandone per dargli un morso non proprio gentile
sulla guancia.
Sospira,
sfiorandomi il volto col suo respiro caldo e gradevole, e ridacchio
quando lo sento irrigidirsi appena fra le mie cosce.
-Quanto siamo
violente, miss Barnes.- sussurra, accostando le labbra alle mie ed
osservandomi con quegli occhi neri che mai smetteranno di sembrarmi
tanto caldi, sensuali e pieni di sicurezza e di vita.
Sogghigno, soddisfatta, avvicinandomi ancor di più.
-Potrei esserlo
molto, molto più di così.-
La mia
però non sembra proprio una minaccia quando, con un gemito
soddisfatto che mi sale spontaneamente in gola, bacio quest'uomo
impossibile e meraviglioso che posso chiamare marito con la stessa, giocosa irruenza che Ben è sempre riuscito a scatenare dentro di me – esattamente come tutto il meglio che sono in grado di dare.
Non mi solletica
più quando, con una carezza tanto delicata quanto sensuale,
risale lungo il mio corpo in punta di dita, trascinando con sé
la stoffa della camicia da notte e disegnando complicati arabeschi
sulla mia pelle, sempre un poco più pallida della sua.
Sorrido, con il cuore che scoppia di gioia e di emozione come se fosse
ancora la prima volta, aggrappandomi alle sue spalle e lasciandomi
sprofondare di nuovo in questa soffice alcova fatta di coperte e di
Ben, stringendomi al corpo snello che mi sovrasta e baciandolo con
desiderio, con amore.
In questo
preciso istante, però, un tuono più forte dei precedenti
scoppia in cielo e trema nei vetri della portafinestra, facendo
sobbalzare King nella
sua cuccia ai piedi del letto e, dopo una manciata di secondi in cui
sia io che Ben siamo rimasti immobili come statue di cera, scatenando
il prevedibile pianto disperato di una bambina che richiede a gran voce
l'intervento della sua mamma e del suo papà.
Ben, con una
prontezza di riflessi ammirevole, mi inchioda qui dove sono, sedando
sul nascere la naturale reazione di una madre al pianto della propria
creatura e bloccandomi sul letto, impedendomi di correre dalla mia
bambina – mi dice sempre che sono troppo ansiosa e forse ha ragione, ma non ho la minima intenzione di calmarmi.
King corre
accanto al letto e mi rivolge un'occhiata disperata, prima di lanciarsi
verso la camera di Sinéad per poi far ritorno qualche attimo
più tardi. La sua espressione
severa sembra dirmi: "Screanzati! Vi pare il momento
di comportarvi così quando la bambina piange!?"
Ben, per
fortuna, riesce a mascherare meglio di me il senso di colpa che questo
cane incredibilmente furbo riesce a scatenare in due genitori
apprensivi come noi; mi bacia sulla punta del naso, scostandosi un poco
da me.
-Non ti muovere.
Non cambiare assolutamente idea. Ti voglio nuda, al mio ritorno.- mi
sussurra sulle labbra, con un che di ironico e disperato al tempo
stesso negli occhi scuri, ed io non riesco a trattenermi: scoppio a
ridere, tirandolo contro di me per baciarlo in fretta ma con ardore,
stringendolo forte prima di sciogliere la stretta e permettergli di
correre da Sinéad, sicuramente disperata perché il suo
adorato papà non è ancora andato da lei per cullarla dopo quel brutto rumore.
Torno ad
accucciarmi fra le coperte, avendo cura di coprirmi per bene: l'idea
dell'espressione che farà Ben, tornando e trovandomi tutta
imbacuccata nel mio microclima, è abbastanza divertente
per farmi sorridere nel cuscino.
Amo questa
famiglia più di quanto io stessa avrei mai potuto immaginare,
più d'ogni limite che pensavo l'amore avrebbe potuto avere nella
mia anima: Ben, Sinéad, King... tutto ciò che voglio
dalla mia vita è questo, niente di più. Il mio cane, mio
marito, mia figlia.
E
l'autunno, che ha il sapore di tutto ciò che, per me, sa di
felicità.
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My space:
Insomma, chi non muore si rivede, no?
Come si è notato... è arrivato
l'autunno! E io non vedevo l'ora di completare questa one-shot, che ho
in cantiere da ALMENO un anno, e di pubblicarla nel periodo più
consono - d'autunno, per l'appunto, la stagione che più amo in
assoluto, proprio come Ray.
Spero che vi possa piacere questa storiella, senza
pretese e serena come credo di non averne scritte molte. Ray e Ben sono
una delle coppie su cui amo scrivere di più e devo dire che in
questi anni, in cui altri progetti e diversi problemi personali mi
hanno tenuta lontana da loro, mi sono mancati. Tanto.
Ho un'altra idea per loro, ma non so quando
arriverò a completarla e pubblicarla (anzi, a dire la
verità sono due o tre, ma soprassediamo). In una di queste ci
sarà anche il mio adorato, unico ed inimitabile William! Come
possono esistere Ray e Ben senza quell'adorabile cazzone biondo?
E niente, direi di aver sparato stupidaggini a
sufficienza anche per stavolta. Come al solito, vi aspetto sulla pagina
che gestisco su Facebook, R a y, e sulla pagina dedicata alla saga di
Narnia's R!
Fra l'altro, facciamo anche tutti insieme gli auguri
a Claudia, che shippa questi due forse anche più di me xD
Avanti, tutte su le manine, da brave! BUON COMPLEANNO! ^___^
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