O-bon
(*)
14 agosto
I mukaebi (**) scoppiettavano
allegri nella notte estiva, e numerose lanterne erano state accese per dare il
benvenuto alle anime dei morti tornate a casa per essere celebrate e ricordate
nei giorni seguenti.
O, perlomeno, questo era ciò che
raccontava la tradizione.
Prima di uscire, Hiashi aveva
visto nell’ingresso il tradizionale cavallo fatto con un cetriolo, necessario a
riaccogliere le anime a casa. Sicuramente dovevano averlo preparato i bambini,
con l’aiuto di sua moglie. Nessun altro componente del Clan si sarebbe abbassato
ad una simile bambinata, ma la tradizione era la tradizione, così questo compito
veniva da qualche anno affidato ai piccoli Neji e Hinata, che lo prendevano come
un gioco.
Dopo essersi recato
all’accensione del sentiero di fiaccole, l’intero Clan Hyuga fece ritorno alla
propria residenza, dove l’attendevano gli altari degli antenati e dei parenti
defunti, precedentemente adornati con incensi e offerte.
Hiashi avrebbe, in realtà,
volentieri fatto a meno di assistere a quello spettacolo, che di sobrio e
commemorativo non aveva proprio nulla. D’accordo per le danze tradizionali, ma
le bancarelle di dolci, giochi per bambini e palloncini pieni d’acqua erano
decisamente volgari… per non parlare degli immancabili venditori ambulanti di
ramen e saké. Persino gli Yamanaka, quell’anno, si erano aggiunti alla baraonda
con il loro banchetto di fiori. Davvero disdicevole.
In verità Hiashi avrebbe di gran
lunga preferito rimanere a casa, tranquillo di fronte agli altari, senza che
nessuno lo disturbasse. Ma un Capo Clan ha dei doveri, e fra questi è
contemplata anche la sola presenza a qualsiasi celebrazione di ogni festa
tradizionale. O-bon compreso.
Tuttavia, se avesse potuto
scegliere, il più illustre degli Hyuga avrebbe voluto- anche una volta soltanto,
anche solo per quell’anno- rimanere nelle stanze della Villa, meglio se lasciato
solo da tutti gli altri componenti del Clan. Almeno per una volta, avrebbe
desiderato assistere al suo
arrivo.
Ma forse ai mortali non è
concesso vedere ciò che solo gli dei conoscono.
D’altra parte, Hiashi sapeva
anche ciò che lo attendeva una volta tornato a casa, e questo contribuiva a
rendere il cammino di ritorno di quel giorno il più piacevole dell’intero
anno.
Una volta rincasati, la moglie di
occupava di mettere a letto la figlia e il nipote, mentre lui si univa al resto
del Clan nella recitazione dei sutra tradizionali, di fronte agli altari.
E, come ogni anno, lui era lì ad aspettarlo.
Hiashi gli si sedette accanto,
prendendo il proprio posto tra i componenti della Casata Principale, non prima
di avergli lanciato una lunga occhiata. Naturalmente senza farsene
accorgere.
15 agosto
Dato che quel giorno le varie
famiglie che componevano il Clan erano impegnate nella visita alle tombe dei
propri cari, il loro Capo poteva prendersi qualche momento in più per sé.
Certo, doveva pur sempre
presenziare a pranzo, a cena e alle visite ai monumenti funebri degli antenati
più illustri, ma la cosa finiva lì. Poteva considerarlo quasi un giorno “di
vacanza”, il che gli permetteva di trascorrere un po’ di tempo col fratello.
La prima volta che Hizashi era
apparso, nel corso della celebrazione del primo O-bon dopo la sua morte, Hiashi
pensò di essere letteralmente ammattito. Tuttavia ebbe sufficiente autocontrollo
da non rivelare a nessuno ciò che solo i suoi occhi potevano vedere, così non
corse mai il rischio di venire preso sul serio per pazzo.
La prima volta, Hizashi aveva
sette anni. Una delle cose che il Capo Clan non comprendeva, era perché mai il
suo subconscio dovesse mostrargli il fratello con le fattezze di quand’era
bambino, e non come un adulto. Aveva pensato che fosse un modo per esprimere e
liberare il proprio senso di colpa. Ma quella “proiezione del suo pensiero”
aveva rivelato di avere un carattere.
Parlava, si muoveva, correva e
scivolava lungo i corridoi della Villa che gli erano stati preclusi un tempo.
Era l’Hizashi del passato, ma con un pizzico di vita in più, il che aveva fatto
intuire a Hiashi di non trovarsi di fronte ad una semplice emanazione del
proprio inconscio che prendeva forma dai ricordi più nascosti.
Forse era un fantasma, forse
no.
Forse era lo spirito del gemello,
i cui frammenti di anima erano rimasti conficcati come schegge nelle pareti
della vecchia casa, e in quei precisi giorni dell’anno riuscivano a riunirsi
fino a riformarne la figura per intero.
Forse. Forse…
O forse l’O-bon costituiva
davvero il momento del ritorno delle anime dei propri cari defunti, e
naturalmente non seguiva alcun criterio razionale.
Stavolta Hizashi aveva dodici
anni. Hiashi ne era certo, perché aveva riconosciuto, intorno al suo braccio, la
benda che una volta l’aveva fasciato per giorni e giorni, dopo essersi
accidentalmente ferito durante una delle prime missioni assegnate al suo Team.
E, se non ricordava male, avevano
esattamente dodici anni.
Non appena Hizashi l’aveva visto,
la sera prima, gli aveva rivolto uno di quei sorrisi complici che a quell’età si
scambiavano spesso di nascosto. Naturalmente il fratello non aveva potuto
rispondere, non con tutto il resto del Clan presente. Aveva quindi mantenuto un
atteggiamento composto e impassibile, riuscendo a non tradire alcuna emozione.
Ma lo Hiashi dodicenne nascosto dentro di lui aveva sogghignato.
Quel giorno avevano quindi
gironzolato tutto il tempo per i boschi di Konoha, lontani da chiunque, ma la
sera, pregato dalla moglie di passare un po’ di tempo con la figlia e- perché
no?- anche con il nipote, Hiashi aveva accettato di accompagnarli in una
passeggiata notturna lungo le rive del lago, ad osservare chi si stava
impegnando nell’antico passatempo della “caccia alle lucciole”.
Agli insetti non veniva fatto
alcun male: venivano soltanto catturati, con estrema delicatezza, e infilati in
una lanterna di carta.
Uno Hyuga della Casata Cadetta
aveva donato la propria al Capo Clan, cedendo con essa le sette lucciole
imprigionate con tanta fatica.
Hinata e Neji la tennero in mano
a turno, illuminando il sentiero che portava verso casa, mentre dietro di loro
camminavano Hiashi e la propria consorte. Lo spirito di Hizashi camminava ora a
fianco del figlio ora a fianco della nipote, in base a chi dei due portasse in
quel momento la lanterna, incantato dal movimento delle lucciole, che dietro la
carta di riso danzavano come in un sogno.
Apparentemente Hiashi puntava lo
sguardo dritto avanti a sé, fiero, rivolto alla strada. In realtà, non perdeva
d’occhio un istante il fratello, che ogni tanto si voltava a fargli un
cenno.
La moglie, vedendolo così
assorto, scelse proprio quel momento di pace assoluta per stringergli un po’ il
braccio e avvicinarsi al suo orecchio, mormorandogli dolcemente qualcosa.
Il Capo del Clan Hyuga si
arrestò, distogliendo per la prima volta lo sguardo dallo spirito dodicenne che
continuava imperterrito a proseguire, seguendo i due bambini.
Si voltò verso la moglie
guardandola in viso, mentre lei gli sorrideva affettuosamente.
Poi i suoi occhi si posarono per
un istante sul ventre di lei, prima di accorgersi che Neji e Hinata si erano
fermati pazientemente ad aspettarli, e di riprendere immediatamente il cammino.
Stavolta con due persone al proprio fianco.
16 agosto
Gli okuribi (***) divampano sulle
rive del fiume, le fiamme guizzanti come mani che salutavano le anime in
procinto di ripartire. Vedendo tutta la gente di Konoha radunata là, Hiashi si
chiese quanti di loro stessero effettivamente salutando un’anima, come
stava facendo lui.
Forse qualcuno. Forse
nessuno.
Hizashi, nel pomeriggio, aveva
osservato Neji e Hinata preparare la “mucca del commiato”, fatta con una
melanzana. Seduto al loro stesso tavolo, li aveva guardati per tutto il tempo,
finché non ebbero ricavato un abbozzo di bovino dall’ortaggio scuro.
Hiashi si era chiesto se il
fratello conservasse qualche ricordo di quando era in vita, di quando anche
loro, a quell’età, preparavano i tradizionali fantocci vegetali. Si era chiesto
se lo spirito Hizashi si ricordasse che quel bambino dai lunghi capelli castani
era suo figlio.
Che lo sapesse o no, il fantasma
dodicenne aveva comunque letto con particolare interesse quello che il piccolo
Neji aveva scritto sulla lanterna di carta dedicata al padre, mentre Hinata
guardava affascinata quegli ideogrammi misteriosi, per lei ancora
indecifrabili.
Quando, al tramonto, le lanterne
erano state accese e lasciate andare sulle acque del fiume, Hizashi non aveva
perso di vista le proprie: una scritta dal figlio, l’altra dal fratello.
Aveva salutato Hiashi con un
sorriso spensierato- come fosse in procinto di uscire di casa per tornare entro
un’ora- perdendosi poi tra la folla, per raggiungere velocemente le proprie
lanterne e sfumare nella loro luce soffusa.
Quello spettacolo di lumi
galleggianti, lasciati in balia della corrente del fiume per indicare agli
spiriti la via del ritorno nell’aldilà, rendeva quella sera di fine estate
davvero magica.
Persino i bambini, tutti i
bambini di Konoha, non fiatavano pur di assistere all’incedere silenzioso di
quelle lucciole guizzanti tra i singulti del fiume.
Nel silenzio surreale che si
veniva a creare, era possibile distinguere anche il mormorio dell’acqua, un
istante dopo sovrastato dal primo scoppio della serata, immediatamente seguito
da un grande fiore di fuoco che sbocciava nel cielo.
Lo spettacolo pirotecnico,
sebbene suggestivo, riportava comunque alla realtà l’intera folla, la quale
fra esclamazioni di ammirazione e
sorpresa, non riusciva più a staccare gli occhi dalla volta celeste, trasformata
in quei momenti un grande prato fiorito color pece.
Tutti i bambini di Konoha, per
ammirare meglio i fuochi d’artificio, venivano fatti sedere sulle spalle dei
propri padri. Tutti tranne i bambini del Clan Hyuga che, dalla loro posizione
privilegiata sulla riva del fiume, potevano assistere allo spettacolo senza
bisogno di inutili sforzi da parte degli adulti. Anche se nessuno aveva mai
chiesto loro che cosa, in realtà, avrebbero preferito.
Hiashi non aveva mai sentito
sulle proprie spalle il peso leggero della figlia, né tanto meno quello del
nipote, e nemmeno poteva immaginare il dolce peso che stava in quel momento
portando sua moglie in grembo. Un peso che l’avrebbe accompagnata per tutti gli
otto mesi seguenti.
Ripensando allo sguardo di
Hizashi di fronte alle fiammelle delle lanterne, e osservando le espressioni di
stupore ed entusiasmo dipinte sui volti dei due bambini che gli stavano davanti,
col naso per aria e gli occhi a tratti sgranati e a tratti stretti per la forte
luce e il rumore, il Capo del Clan Hyuga decise come si sarebbe chiamato il
bambino.
Se fosse stato una femmina.
(*) O-bon: è una festa buddista per
commemorare i morti (14-16 agosto). Il 14 agosto, accolte da fiaccole che
illuminano il loro cammino, le anime degli antenati si recano presso gli altari
a loro dedicati nelle case, che in questa occasione sono guarniti da speciali
offerte. L’ultimo giorno della festa, il 16 agosto, al tramonto, vengono accese
e lasciate galleggiare sui fiumi delle lanterne su cui sono scritte delle
preghiere, perché accompagnino gli spiriti nel loro ritorno all’aldilà.
(**) Mukaebi: fuochi di benvenuto
(***) Okuribi: fuochi di commiato
Nota finale: Hanabi, in giapponese,
significa “fiori di fuoco” o “fuochi d’artificio”.
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