Gran
bel colpo, Kanon, vecchio mio
Autore: LeFleurDuMal
Genere: Generale, Introspettivo, Azione
Personaggi Principali: Kanon dei Gemelli,
Isaac del Kraken
Rating:
Verde
In proposito: Come Odisseo,
Kanon opera le sue trame e lavora alle spalle del dio Poseidon. Un
gioco difficile che trova il primo ostacolo in Isaac, allievo di Camus
e giunto da poco nel regno sottomarino. Kanon fa i conti con uno
spirito nobile e combattivo avendo dalla sua una tecnica proibita.
Disclaimer:Masami Kurumada,
guarda là!
*C* *scappa con i suoi personaggi*
Cose: Questa
fanfiction è una commissione per Vodia,
che ne ha fatto richiesta sul forum dell'EFP. Spero che sia di tuo
gradimento. ^_- La resa di Kanon in questa fanfiction si deve
alla straordinaria interpretazione di Camus
dell'Acquario e allo stesso Kanon
dei Gemelli. Viste le ultime discussioni, spero possa piacere soprattutto a Damaris.A voi <3
Non
aveva mai contemplato la
verità dentro la bugia. Per quanto lo riguardava, la
verità era sempre stata la
verità, la forza del Bianco che il suo Maestro gli aveva
insegnato, e la
menzogna era stata la menzogna.
Pose un piede inguainato
nell’armatura, con deferenza, su uno dei gradini che
conducevano al Tempio.
Alzò lo sguardo al cielo d’acqua, che gravava su
di lui e su quella città
ancora in rovina. Anche il cielo fatto d’acqua era una
verità dentro una
menzogna e Isaac fu costretto a vagliarla perché gli pesava
addosso: non aveva
mai avuto dubbi, lui, così netto, conclusivo e apocalittico,
senza mezzi toni o
mezze tinte. Adesso invece ne aveva da vendere.
Stranieri, chi siete? Da dove venite,
navigando sulle vie d’acqua?
Avete qualche commercio o senza meta vagate sul mare, come i predoni
che vanno,
rischiando la vita e a tutti portando rovina?
Salì un gradino. E un altro.
Il cielo d’acqua sulla sua testa
aveva smesso di sorprenderlo diverso tempo prima. Aveva sentito dire di
un
saggio cinese convinto che un arcobaleno di quindici minuti nessuno lo
guardasse
più. Era vero. Quando era rinvenuto e aveva capito di essere
ancora vivo, era
rimasto steso sulla pietra a respirare piano in quel silenzio e in
quella pace
ultraterrena, come per prenderne coscienza. Aveva voluto aprire gli
occhi, per
capire dove fosse, per cercare il Maestro Camus, per vedere se Hyoga
stesse
bene, da qualche parte, ma era riuscito a socchiudere una palpebra
sola.
L’occhio sinistro era un’unica fitta di dolore.
Aveva cercato di sollevare una
mano per portarsela al viso, ma si era scoperto troppo esausto, allora
era
rimasto lì, a respirare e basta. Con l’unico
occhio aperto sul mondo aveva
visto una colonna altissima, di pietra e ghiaccio, gravare su di lui:
sembrava
vegliarlo. S’innalzava imponente e il suo vertice scompariva
nell’acqua.
Nell’acqua? Aveva sbattuto la palpebra e assottigliato
l’occhio verde, per
guardare meglio in alto, perché una colonna parte da terra,
ma poi ci vuole un
soffitto, sopra, o il cielo. Il cielo c’era, ma era fatto
d’acqua. Una volta
compreso di non trovarsi davanti un’illusione, né
uno scherzo della sua vista
dolorante, spalancò la bocca per la sorpresa, per quel
miracolo di bellezza
impossibile.
Poi erano trascorsi i mesi nel
regno di Poseidon. E il cielo d’acqua era diventato per lui
naturale come un
cielo d’aria. Il mantello volteggiò sulle sue
spalle, come un’onda, quando
giunse all’apice della scalinata. Tra le colonne ioniche, il
tempio si
spalancava davanti a lui scuro e placido, come gli abissi stessi.
Senza fretta, ma anche senza
esitare, si diresse al nahos, per
chiedere udienza al dio Poseidon.
Non si aspettava di vederlo
andare al Tempio, quel ragazzo che veniva da
sopra, con il suo scale
nuovo
fiammante di Marine. Lo vide da lontano e allarmato decise di seguirlo,
senza
farsi scoprire, lungo le strade ancora male assestate, sotto un cielo
d’acqua.
Odisseo in incognito, Kanon occultò la propria presenza e
rimase nell’ombra,
dove sarebbe rimasto fino alla caduta di Poseidon. L’uomo,
cantami, dea, l’eroe del lungo viaggio, colui che
errò per
tanto tempo dopo che distrusse la città sacra di Ilio.
Il ragazzo, Isaac, salì i gradini
lentamente, solenne.
Era stata Tetis a trovarlo. La giovane
era corsa a chiamare Kanon perché non c’erano
altri, a parte lui e a parte i
soldati, nella città in rovina di Poseidon, e lui, Odisseo
ignoto, il Marine di
Sea Dragon era il più alto in carica. L’unico
Marine, fino a quel momento. Gli
altri, sarebbero stati chiamati a raccolta a breve. Tetis era corsa da
lui che
elaborava, Odisseo in incognito, le maglie per piegare il dio dei mari
alla propria
volontà.
“C’è un ragazzo svenuto, Sea
Dragon. Perde sangue”.
Kanon l’aveva guardata come si
guarda una diga che si para davanti al proprio flusso di
coscienza.”Dov’è?”
“Ai piedi della Colonna del Mar
Glaciale Artico”
“Come c’è arrivato qualcuno
lì?”
Fu il turno di Tetis di guardare
stranita il misterioso Marine.
“…portami da lui”.
Tetis lo aveva condotto,
preoccupata del significato che poteva avere un intruso nel regno di
Poseidon,
come la divinità marina aveva giunto le mani in preghiera
per il figlio
Achille. Il ragazzo c’era, ed era a terra, e con
l’unico occhio che gli restava
fissava la colonna di pietra e di ghiaccio, enorme ed alta, su di lui,
e un
cielo d’acqua.
Li sentì avvicinarsi. Aprì la
bocca, ma non emise un suono.
“Chi sei? Di che stirpe?” domandò
lei, nell’uso antico di Itaca.
Siamo Achei di ritorno da Ilio che i venti
hanno deviato sul grande
abisso del mare.
“Non può parlare, guarda”
sospirò
Kanon, che si rigirava Omero per la testa. “E’
intirizzito dal freddo. Stava
facendosi un bagnetto a nord, si vede. C’è gente
strana al mondo, eh?”
Tetis lo guardò, gli occhi
azzurri adombrati. Senti chi parla.
“Strano è strano,” borbottò
Sea
Dragon, e lui stesso – che non poteva percepirsi da fuori
– né Tetis che non l’aveva
mai visto, seppero quanto somigliasse a suo fratello Saga, mentre si
accarezzava il mento in quel modo, gli occhi fissi su un bambino
semicosciente.
“Nessuno arriva quaggiù così, se non
per qualche ragione. Non è un posto che si
raggiunge facilmente”.
“Kraken” sibilò il ragazzo a
terra, cercando di comunicare, cercando di spiegare qual era stata la
sua
splendida, terribile guida nel mondo degli abissi.
“Kraken?” ripetè Tetis della
Sirena e i soldati semplici di Poseidon radunati a capannello attorno a
loro
mormorarono stupiti e fecero un passo indietro, istintivamente.
Perché il cosmo
di Isaac, a terra, prostrato dallo sforzo, si era espanso e aveva
baluginato,
inconfondibile.
“Kraken”. Sogghignò Sea Dragon,
quando lo riconobbe e inaspettatamente le cose cominciarono a mettersi
per il
verso giusto. Per i suoi piani, naturalmente.
Bel colpo, Kanon, pensò.
Ma disse: “Portatelo al coperto. Il primo
dei General Marine, dopo di me, è giunto nei domini di
Poseidon, nostro
signore!” - Bleah,
aggiunse dopo. Ma
solo mentalmente.
Adesso il primo General Marine –
dopo di lui, certo - veniva
avanti nel Tempio
solenne e altero, come solo uno dei più alti in grado
poteva, riconosciuto
dallo scale del Kraken e dal suo
spirito.
Come poteva solo un allievo di
Camus dell’Acquario.
Quando Kanon aveva preso da parte
Saga per spiegargli due o tre cosette su come impadronirsi del
Santuario di Athena
– ed era stato per tutta risposta condannato a morte,
rinchiuso in una grotta a
Capo Sounion ad aspettare la marea – di
Gold Saints ne conosceva pochi.
Conosceva Saga, ovviamente, quel
maledetto, amato bastardo, e Aioros, il fastidioso, perfetto prototipo
di
perfetto cavaliere e perfetta perfezione. Conosceva vagamente Aioria,
che, si
diceva, di lì a poco sarebbe stato cavaliere di Leo e Mu,
l’allievo del Sacerdote
incartapecorito. Gli altri non li aveva visti nemmeno con il binocolo.
Sapeva
che erano giunti al Santuario uno dopo l’altro, bambini
investiti dell’onore
d’oro che a lui era stato negato, che erano arrivati quando
lui l’onore dorato
se l’era già andato a prendere infondo
al mare, da solo.
Non li aveva mai visti, però
qualcosa di loro sapeva: il nemico va tenuto d’occhio e
Kanon, Odisseo per
vocazione, non era uno sprovveduto. E qualcosa di Camus delle Energie
Fredde e
di qualche moccioso che allevava in Siberia gli era giunto alle
orecchie, col
passare degli anni.
In Isaac dei Ghiacci, che lo
spirito del Kraken era andato a cercare fin sopra la superficie, Kanon
riconosceva lo stampo del Maestro e avere per il proprio esercito un
virgulto
che era stato destinato ad Athena lo rendeva orgoglioso. In qualche
modo, era
come avere piazzato un bel cavallo di legno infiocchettato sotto le
mura di
Ilio. Un gran bel colpo davvero, Kanon.
Isaac
del Kraken aveva piegato il
ginocchio davanti a Poseidon dopo avere vagliato la situazione con
scrupolo.
Sea Dragon, imponente davanti a lui, era rimasto al suo fianco mentre
veniva
curato e nutrito. Isaac dei Ghiacci era indipendente e forte, anche se
aveva
solo tredici anni, ma aveva apprezzato quella presenza carismatica.
Quando lo aveva ritenuto
opportuno, Sea Dragon gli aveva parlato.
Gli aveva detto di Poseidon che
viveva in quel luogo, in un regno di luce serena e verde filtrata dal
cielo
d’acqua. Un regno di pace e giustizia che il dio si proponeva
di portare sulla
terra.
“Athena, la mia dea, desidera la
pace e la giustizia. E so che rinchiuse Poseidon ai tempi del mito, che
desiderava lo scontro.”
“Ah, ragazzo. Poseidon non
desidera lo scontro più di quanto lo brami io”
Kanon fu abile a nascondere un sorriso
affilato. Anzi: produsse una convincente espressione accorata
“Sei Cavaliere di
Athena?”
Isaac esitò: “Non ancora. Il mio
Maestro mi stava addestrando per esserlo, tra i ghiacci della Siberia,
nel nome
della giustizia”.
“Della giustizia.” Ripetè Kanon e
dovette reprimere la nausea a quel termine. Dov’era la
giustizia ad Atene? “E
non c’è giustizia nel Kraken, che attacca
gli uomini empi e che esce dagli abissi per punirli? Eh?”
Kanon sorrise,
affabile, immaginando una manta assassina da far piovere in testa a suo
fratello, che ci pensasse due volte a chiuderlo in una grotta con
l’alta marea,
la prossima volta.
Isaac venne colpito da quelle
parole. Erano le stesse che aveva usato con entusiasmo, davanti al
Maestro
Camus, qualche anno prima. Camus l’aveva sconsigliato di
trovare nel Kraken un
modello, ma Isaac ne era sempre stato attratto.
Si ricordò dell’isba
sulla piana ghiacciata di Peveck,
in quel piccolo nido d’oro che erano state le modeste stanze
di legno inondate
di luce, con i letti, il tavolo e la stufa, con il vecchio samovar ammaccato. Ricordò
Camus e i suoi capelli rossi, come fuoco
che arde al mattino, e Hyoga che gli sembrava tanto più
piccolo con quegli
occhi luminosi. Si domandò dove fossero, ancora una volta. E
come avrebbe preso
Camus, che non aveva mai approvato la sua simpatia per il Kraken, se
avesse
saputo della sua adesione alle fila di Poseidon.
Nello stesso momento in cui ebbe
quel pensiero, seppe di avere accettato la silente proposta di Sea
Dragon.
“Non puoi fare altrimenti,
ragazzo. Non sei tu a scegliere” flautò
l’altro, come se avesse ascoltato ogni
sua riflessione. Quando Isaac si trovò in una stanza di
pietre nude, con il
riflesso verde dell’acqua sulla volta circolare, comprese che
quella era la
verità assoluta. Lo scale
del Kraken,
dorato e opaco, come il metallo puro che aspetta a lungo
sott’acqua, vibrò
nella sua direzione.
Sea Dragon lo spinse avanti, con
qualcosa di simile al rude affetto di un fratello maggiore e allora tra
lui e
quell’armatura, fu la comunione completa. Quello che avrebbe
potuto dire Camus
, per quanto ancora pensasse a lui, era assolutamente irrilevante.
D’altra parte Isaac amava la
giustizia. Quella di Athena, fanciulla dea. Ma di più quella
di Poseidon, aveva
scoperto, pura e fredda come i ghiacci di Siberia, che non scendeva a
compromessi, che esaltava quando doveva esaltare e puniva, se
necessario, senza
scrupoli, come aveva sempre pensato che dovesse essere.
Isaac del Kraaken aveva piegato
il ginocchio davanti a Poseidon e adesso, nel nahos,
si preparava a farlo una seconda volta.
Era entrato nel Tempio e i suoi
passi risuonavano sicuri, spandendo un’eco leggera tra il
colonnato. L’ambiente
era fresco e in penombra, pieno di
una
serenità insonnolita tipica degli abissi. Era come entrare
in una grotta.
Voleva chiedere udienza,
domandare al dio riguardo i piani che aveva per la terra.
Isaac amava la giustizia di
Poseidon che esaltava quando doveva esaltare e puniva, se necessario,
senza
scrupoli. Eppure le voci che circolavano tra i soldati, ultimamente,
erano
quelle di uno scontro imminente, dell’unica soluzione che era
quella del mare
che straripava dalle coste e affossava i continenti, per ripulire il
mondo
dalla sua malvagità, per vivificarlo e purificarlo. Per
causa della piccola
Athena che era appena nata, reincarnata per dare battaglia al dio del
mare,
come ai tempi del mito. Si diceva così, tra i soldati.
Isaac si era domandato come fosse
possibile, quando aveva ascoltato. Conosceva Athena e non poteva
credere a
simili voci. Voleva chiedere a Poseidon, appellarsi alla sua giustizia
pura e
fredda, come i ghiacci di Siberia, e domandare se poteva risalire sulla
superficie per cercare Camus, il suo Maestro, e Hyoga, per interrogarli.
Perché come poteva essere vera
una simile notizia, se nell’esercito di Athena
c’erano uomini giusti e puri
come Camus, che lo aveva guidato, o come Hyoga, per la cui limpidezza
si era
sacrificato?
Oltrepassò la soglia del nahos
e davanti al primo gradino piegò
il ginocchio e chinò il capo, lasciando ricadere in avanti i
capelli castani.
“Divino Poseidon”, mormorò, e
aspettò il permesso di poter parlare.
Non giunse. La serenità intorno
era verde e adamantina. I riflessi d’acqua vibravano sulle
pareti in pietra e
l’atmosfera era intima e fredda come un canto di sirena.
Ma vuota. Isaac alzò il viso e
attese. Ancora niente.
Lo alzò ancora, seguendo con lo
sguardo l’alta scalinata interna, gradino dopo gradino fino
al trono del dio
del mare. Il seggio aureo era imponente, ma non c’era alcun
dio a prendervi
posto.
Isaac schiuse le labbra per la
sorpresa.
Solo l’armatura, vestigia vuote,
delineava il sembiante divino. L’aura che emanava
l’aveva ingannato diffondendo
nel Tempio quell’atmosfera pregna, intima e fredda.
Non c’era nessun dio, su quel
trono.
Dov’è?
Dov’è Poseidon?E da quanto tempo non
c’era?
Isaac richiamò alla mente la
presenza divina, ma ricordò solo lo spirito del Kraken, che
l’aveva guidato e
l’aura intima e fredda come un canto di sirena, che
l’aveva incantato.
Oltraggiato, si alzò e fece un
passo indietro.
“Dov’è Poseidon?”
mormorò a fior
di labbra.
“Il nostro signore dorme” la voce
di Sea Dragon suonò giovanile e ironica, rimbalzò
contro le colonne e tornò indietro.
Isaac si girò di scatto, facendo fluttuare il mantello.
Sea Dragon gli sorrise. Si era
tolto l’elmo e i capelli gli ricadevano sulle spalle come le
onde del mare e
gli occhi tradivano un’allegria insana.
Avanzò. Nè lui stesso – che non
poteva percepirsi da fuori – né Isaac che non
l’aveva mai visto, seppero quanto
mai somigliasse a suo fratello Saga, mentre metteva un piede dopo
l’altro,
puntando la sua vittima come un gatto fa col topo.
“Mi hai mentito in ogni tua
parola”
“Ti ho mentito, ragazzo?”
“Dov’è Poseidon?”
“Poseidon dorme”
“L’hai già detto. Dove dorme?
Dov’è?”
Kanon si strinse nelle spalle.
“Nella sua anfora. Da qualche centinaio d’anni. Ma
si sveglierà in tempo per la
guerra contro Athena, non ti preoccupare.”
"Non c’è guerra contro Athena”
Isaac portò alla mente l’immagine di un uomo
giusto, dai capelli rossi come
fuoco che arde al mattino e di un bambino biondo con gli occhi luminosi.
“Ci sarà. Tra breve. Ed entrambi
gli eserciti si scontreranno nel sangue”. Kanon rise. Non
c’era motivo per non
dire le cose come stavano. Si scusò allegramente con le
vestigia di Poseidon,
lassù, sul trono, che sarebbe stato al suo risveglio un
burattino nelle sue
mani. Tirò qualche bestemmia contro Athena che
raggelò perfino Isaac dei
Ghiacci e alla fine si gloriò di essere l’uomo che
aveva raggirato Poseidon,
che avrebbe sconfitto Athena e che, di carambola, l’avrebbe
messa in quel posto
persino a Zeus.
"Ma tu chi diavolo sei?"
"Sono Kanon e lo sono sempre stato", fu la risposta laconica. "Fratello di Saga di Gemini, Cavaliere d'Oro d'Atena" aggiunse con disprezzo. "Perchè, ti cambierebbe qualcosa, nel caso? Cambierebbe quello che sto per fare?"
Isaac strinse i denti.
“Io non te lo permetterò”.
Kanon di Sea Dragon scoppiò a
ridere.
Il
ragazzo del Kraken espanse
il Cosmo. Spezzò con la sua furia
l’atmosfera di grotta marina attorno a sé e alle
povere vestigia vuote di un
dio. Kanon avanzò ancora di un passo, le labbra increspate
in un sorriso.
“A che gioco vuoi giocare,
ragazzino?”
“Taci, traditore!” sentì in
sé lo
spirito antico di un mostro abissale ruggire, tradito quanto Poseidon.
Si sentì
tradito Isaac stesso, che
era
indipendente, nonostante i suoi tredici anni, ma che aveva gradito al
fianco la
presenza e carismatica di Sea Dragon quando era giunto lì.
Primo Generale Marine - dopo di me,
s’intende - l’aveva
chiamato, con l’affetto ruvido di un camerata. Adesso invece
lo chiamò:
“Moccioso. Falla finita o la
finirò io in un modo che ti piacerà
pochissimo”.
Così parlai e lui invocava il dio
Poseidone, tendendo le braccia al
cielo stellato.
Isaac ruggì d’ira, ma la
controllò, come gli era stato insegnato. Il suo occhio
sinistro era solo una
cicatrice bianca di qualcosa di perduto per un bene più
grande. Richiamò alla
mente un uomo giusto dai capelli rossi, come fuoco che arde al mattino,
e un bambino
biondo dagli occhi luminosi e con il loro pensiero scagliò
il suo colpo di
furia ghiacciata.
E con il cuore rivolto a
Poseidon, con l’idea di giustizia tanto simile alla sua, che
non meritava di
venire tradito.
Kanon lo vide e riconobbe una
forza pura, nel ragazzo che lo attaccava. Qualcosa che lo rimandava
fastidiosamente indietro ai tempi in cui Saga e Aioros si aggiravano
per le
strade schifosamente avvolti dalla loro aurea di integerrima
santità. Che Hades
se li portasse.
Si piantò bene sui piedi,
racchiuse il Cosmo nella mano destra e si spinse in avanti, tra il
ghiaccio e
l’energia della tecnica rivolta contro di lui.
Per nove giorni fui trascinato dai venti
funesti sul mare ricco di
pesci. Il decimo giorno approdammo alla terra dei Lotofagi, i
mangiatori di
loto.
“Genro Mahoken!”
ruggì.
Un colpo tra i più letali.
Manipolava le menti e creava illusioni. Chiudeva le verità
dentro la bugia e di
esse non ci si poteva liberare mai, se non mietendo un grande
sacrificio od
offrendosi come tale.
I Lotofagi offrirono da mangiare del loto.
Un giorno, per difendere la dea
bambina che adesso voleva annietata, avrebbe voluto affrontare proprio
con quel
colpo un guerriero dell’oltretomba, un Gigante Infernale tra
i più forti che
l’avrebbe chiamato “l’uomo che
ingannò perfino gli dèi”. Avrebbe
voluto
affrontarlo proprio con quella tecnica, così, per
impressionarlo. Kanon era
fierissimo del suo Genro Mahoken.
Isaac
ricadde all’indietro.
Sbatté la schiena sulla pietra fredda, poi la testa. E se lo
scale di Kraken lo protesse
dall’impatto, non poté fare niente per le dita
sottili e impalpabili che gli
frugarono la mente, invasive. Tentò di gridare quando
scelsero immagini e
colori dalla sua mente, ma non ci riuscì. Hyoga, come se lo
ricordava nel suo
cuore, mutò. I suoi occhi luminosi persero limpidezza, nel
suo ricordo,
sembrarono dileggiarlo. Due occhi, quando Isaac non ne aveva ormai che
uno
solo, dato per salvargli la vita. Non gli sembrava più un
atto eroico, il suo
adesso, solo un sacrificio sciocco, una stupidità
imperdonabile. Cercò di
scacciare le dita fredde, ma ormai non vedeva più nemmeno
Kanon davanti a sé,
ma una voragine nei ghiacci eterni che qualcuno aveva aperto, sulla
profondità
oscura degli abissi marini.
Cercò di ricordare Hyoga e la sua
innocenza, ma nel proprio cuore lo trovò solo incosciente e
infantile. O
estremamente furbo, per essere riuscito a scambiare la sua vita con la
propria,
con un inganno, sott’acqua, per poi tornare in superficie e
prendersi senza
merito la cloth del cigno. Poteva
immaginarselo, fiero e splendente, in quell’armatura sacra. E
assolutamente
inadeguato.
Qualcuno, del resto, lo aveva
ingannato. Dove essere stato Hyoga, senz’altro. Tutte le
altre piccolezze,
andavano dimenticate.
E coloro che mangiarono il dolce frutto non
volevano più tornare a dare
notizie, volevano invece restare là con i Lotofagi a
mangiare loto,
dimenticando il ritorno.
Da lontano sentì una voce
familiare, che lo confortava. Non conosceva nessuno Hyoga, gli diceva,
ma
assicurava anche che se avesse voluto farlo a pezzi avrebbe avuto tutta
la sua
simpatia, per quello che gli aveva fatto. La voce di Sea Dragon. Isaac
era
indipendente, nonostante i suoi tredici anni, ma apprezzava la presenza
carismatica di Kanon da quando era giunto lì. Mosse una mano
e sentì crescere
in sé il germe dell’odio per Hyoga e per Athena,
che a Hyoga aveva permesso di
ottenere qualcosa che non gli spettava.
Kanon guidò la sua tecnica con
maestria – la prima volta che la provava davvero
- e guidò l’ odio di Isaac, lo sentì
sbocciare e crescere finché la sua mente
non si ritirò da quella del ragazzo, alterando i ricordi e i
sentimenti.
Gran bel colpo, Kanon, vecchio mio.
Sì batté appagato il la mano
sulla coscia, poi lo aiutò a rialzarsi.
“Non è il caso di inciamparsi,
eh?”
Sorrise affabile al ragazzo che
lo guardò confuso e accettò l’aiuto,
rimettendosi in piedi.
Alle navi li trascinai con la forza e li legai
alle concavi navi,
perché qualcuno non mangiasse del loto dimenticando il
ritorno.
Con soddisfazione notò la pupilla
rimpicciolita, la bocca di Isaac prendere quell’espressione
dura che non lo
avrebbe più abbandonato fino a che non avesse avuto davvero
Hyoga tra le mani.
Meglio prima che dopo,
pensò Kanon, che con quel colpo si era
coperto le spalle. I giovani idealisti sono i peggiori.
E lui, Odisseo per necessità, era
l’uomo che avrebbe ingannato gli dei.
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