New York Mon Amour

di LadyElle1203
(/viewuser.php?uid=769293)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


NB: le frasi scritte in corsivo sono i pensieri dei protagonisti.


CAPITOLO I
 
 
L’Autunno è forse il migliore periodo dell’anno, specialmente per i fotografi: la città si colora improvvisamente di mille sfumature d’arancione, marrone, rosso. Dalle finestre provengono mille profumi: cioccolata, caldarroste, torte di vario genere. Fleur era quasi ossessionata dalla “foto perfetta”, ossia quello scatto in cui riesci a catturare mille emozioni diverse. Vagava per New York con la sua Canon, alla ricerca di uno sguardo, un sorriso, una luce particolari.
Ed ora era lì, a Central Park, tra le foglie arancioni e gialle, che fissava imbambolata un padre ed un figlio, mentre stanno effettuando dei lanci con un pallone da football. Sorridono in modo complice, e dai loro occhi si capisce quanto l’uno tenga all’altro. Il ragazzo ha i capelli biondissimi, e gli occhi più azzurri che lei abbia mai visto. Il padre, invece, indossa un giubbotto di pelle, e i suoi capelli sono castano scuro. E’ abbastanza giovane per essere padre, ed il figlio sembra essere, più o meno, un adolescente.
Vorrebbe fotografarli di nascosto, ma sa perfettamente quali rischi correrebbe: una denuncia ed una multa salatissima. Il che, calcolando il periodo di crisi, non è proprio il massimo. Ma non può nemmeno lasciarsi sfuggire un’occasione simile: la luce è ottima, i giochi delle ombre sono perfetti, ed i soggetti esprimono tutto quello che si possa trasmettere in uno scatto. Deve avere quella foto.
Prende un bel respiro, si sistema i grossi occhiali da vista, nasconde la macchinetta fotografica dietro la schiena e, lentamente, si avvicina.
Fa un colpo di tosse, quel tanto che basta per richiamare l’attenzione di entrambi. Il padre la fissa senza espressione, dietro quelle lenti scure degli occhiali da sole. Il figlio, invece, la osserva incuriosito.
“ Scusatemi…non volevo disturbare…è che…” Fleur si sente le guance avvampare, mentre le sue mani cominciano a sudare come non mai. 
Coraggio, Fleur. Rilassati. Puoi farcela.
Con gesti lenti tira fuori la macchinetta fotografica, schiarendosi leggermente la voce. “ Ecco…sono una fotografa e…beh…sono rimasta…affascinata da questo momento…”
L’uomo la osserva ancora senza espressione. Si toglie gli occhiali da sole, mostrando due occhi di un blu profondo.
“ Vorresti fotografare me e mio figlio?” domanda, quasi allibito, indicando prima se stesso e poi il ragazzo.
“ Si…ma solo con il vostro permesso, chiaro.”
L’uomo le sorride, rimettendosi gli occhiali da sole ed annuendo.
“ D’accordo. A patto però che poi me ne mandi una copia.”
Fleur, sorridendo, annuisce, mettendosi in posizione. Vede l’uomo chinarsi all’altezza dell’orecchio del figlio, come a sussurrargli qualcosa.
“ Fate come se non ci fossi, okay?” dice Fleur prima di cominciare a scattare. Poi è questione di secondi: le dita vanno da sole, mentre regola lo zoom e la messa a fuoco. Ogni movimento è uno scatto, e tutti rigorosamente a colori: non si può spegnere quella luce con un comune bianco e nero. Si muove attorno a loro, lasciando però molti metri di distanza. Si accuccia sulle ginocchia, si mette in posizione eretta, si arrampica sulle panchine. Ogni angolazione è perfetta.
Ricontrolla alla svelta le foto scattate, e sorride, notando che di scatti buoni ce ne sono tanti.
Torna da quell’uomo, stendendo un braccio per stringerli la mano.
“ Vi ringrazio, davvero.” Dice, sorridendo.
“ Figurati. Sono anche io un fotografo…ti capisco.” Le risponde l’uomo, togliendosi di nuovo gli occhiali da sole. Il ragazzo, nel frattempo, ha lasciato la palla da football e sta giocando con un cane.
“ Davvero?”
L’uomo annuisce. “ Lavori per qualche agenzia, o cosa?”
“ No. Lavoro per conto mio. Ho un amico che gestisce una galleria d’arte, e quando ho abbastanza scatti mi permettere di creare una piccola mostra.”
Poi tra loro il silenzio, in cui entrambi si osservano, si scrutano.
Oddio...perché mi guarda così? Odio quando mi fissano per troppo tempo. E dai...smettila... pensa Fleur, abbassando la testa e portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Questa ragazza ha qualcosa che non mi convince...forse è il suo accento...però è carina... pensa lui, voltandosi verso il figlio.
“ Mingus! Andiamo, dai.”
Il ragazzo gli corre incontro, dando una leggera pacca sulla spalla del padre. Guarda Fleur e sorride.
Fleur sorride di rimando al ragazzo, per poi tornare a guardare il padre. “ Beh…io devo andare. Vi ringrazio ancora, davvero.”
“ Di nulla, figurati. Piuttosto…” dice l’uomo, poi, prendendo il portafoglio ed estraendone un cartoncino. Poi, dalla tasca interna del suo giubbotto di pelle, tira fuori una penna, e comincia a scrivere sul retro di quel pezzo di carta. “ Ti lascio la mia mail…così…puoi mandarmi gli scatti che hai realizzato oggi.” Le dice, infine, allungandole il biglietto e sorridendo.
Fleur afferra quel cartoncino, rigirandoselo tra le mani. Sull’altro lato c’è l’indirizzo di uno studio di fotografia.
“…è il tuo studio?” gli domanda, indicando il biglietto da visita.
“ Si. Se vuoi…puoi venirci a trovare.”
Fleur annuisce. “ Grazie…ehm...” Ma poi si blocca, fissando l’uomo con curiosità.
“ Norman.” Prosegue l’uomo. “ E tu…?”
” Fleur.”
“ Allora…ci vediamo Fleur.” Dice, poi, allontanandosi.
Fleur prosegue la sua passeggiata, andando nella direzione opposta a quella di Norman. E mentre cammina si ferma improvvisamente, sgranando gli occhi e girandosi di nuovo in quella direzione. Si da una leggera botta sulla testa, maledicendosi.
Oh Fleur sei proprio una cretina! Possibile che tu non l’abbia riconosciuto?! Dico io, ma dove diavolo hai la testa?! Quello era Norman Reedus!! Quello era Norman Reedus...e tu sei un'idiota di prima categoria!
 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2872152