Il
suono monotono dell'organo si spandeva per tutto il palazzo dei
Girodel e sembrava stringerlo in un triste abbraccio musicale.
Victor
Clement de Girodel era inginocchiato dinanzi ad un sarcofago
rettangolare ornato di festoni di fiori, su cui era appoggiata una
figura femminile alata in atto di dolore.
Le
mani, prive dei guanti, stringevano spasmodicamente un rosario di
corallo e alcune lacrime rigavano le sue guance, malgrado egli
cercasse di controllarsi.
– Padre…
Avete voluto il meglio per l'ultimo viaggio della nostra piccola
margherita… Eppure non calma il dolore che proviamo… –
sussurrò e strinse con ancora più forza le lunghe dita
attorno al rosario.
Era
sicuro che suo padre avesse cercato di placare la sofferenza che lo
affliggeva, ordinando la costruzione di un bellissimo sarcofago per
onorare la memoria della piccola Louise Armande...
In
quella cassa di marmo lei riposava, finalmente libera dalla
sofferenza di una malattia che l'aveva distrutta...
Ma
a cosa era servito?
Tutto
quello che suo padre aveva fatto non era servito a calmare il dolore
di una perdita straziante.
Sua
madre, la ancora bella contessa Eleonore Laurie de Girodel, si era
ridotta ad uno spettro dopo la morte di sua figlia...
Invocava
ancora il nome della piccola margherita e parlava con lei, malgrado
di lei non fosse rimasta che una stanza piena di inutili
suppellettili e muta come una cappella sepolcrale.
E
suo padre, il coriaceo conte Lauren Jean de Girodel, non faceva che
piangere, nel segreto del suo studio.
La
morte di sua figlia aveva distrutto la tempra d'acciaio di cui andava
fiero.
Victor
sentì un brivido trapassargli la schiena. Ancora ricordava con
orrore il momento in cui aveva saputo la verità.
Era
ritornato al suo palazzo, dopo le esercitazioni di rito con la
Guardia Reale.
Una
delle persone di servizio gli aveva detto che suo padre desiderava
vederlo e lui, con sollecitudine, aveva obbedito.
Suo
padre, del resto, detestava i ritardi!
Quando
però era entrato nel suo studio, un senso di gelo lo aveva
trafitto.
Cosa
ne era stato del severo conte Lauren Jean de Girodel?
Chi
era quell'uomo dagli occhi cerchiati che era dinanzi a lui?
– Padre,
è accaduto qualcosa? – aveva chiesto cercando di
mantenere la calma. Un sospetto orribile si faceva strada nella sua
mente, ma non riusciva ad accettarlo...
Con
un gesto stanco, suo padre lo aveva invitato a sedersi e lo aveva
imitato subito dopo.
– Victor,
si è scoperta la ragione degli svenimenti continui di Louise
Armande… – aveva cominciato, la voce tremante.
– No...
-aveva sussurrato lui impallidendo. Quelle poche parole erano bastate
per fargli comprendere la verità...
Consunzione.
Tisi.
Lauren
Jean de Girodel, dinanzi alla sua reazione, aveva annuito.
-
Ero sicuro che avresti capito... Sei sempre stato un ragazzo molto
intelligente. - aveva mormorato, poi i suoi occhi verdi si erano
specchiati nei suoi.
Per
alcuni istanti, solo il silenzio aveva avvolto entrambi.
– Padre,
cosa desiderate chiedermi? – aveva domandato lui, cercando di
mantenere la calma.
Suo
padre desiderava domandargli qualcosa, eppure uno strano ritegno
frenava le sue labbra...
Quel
suo sguardo indicava una supplica che egli non aveva il coraggio di
fare...
– Victor...
So di chiederti un favore enorme, ma... vorrei che tu non le dicessi
nulla... Lei non deve trascorrere i suoi ultimi momenti sapendo che
presto la morte la prenderà con sé... Vorrei che, fino
all'ultimo, conservasse l'illusione di sposare un principe da cui
avrà tanti figli meravigliosi… – aveva detto in
un soffio.
A
stento aveva fermato le lacrime dinanzi a quel disperato appello di
suo padre, che gli aveva rivelato un aspetto diverso della sua
personalità.
Quell'uomo
severo aveva un'anima palpitante, capace di piangere.
E,
dinanzi a quella dimostrazione, non se l'era sentita di tirarsi
indietro.
Il
giovane sollevò appena lo sguardo verso la statua, gli occhi
cerulei velati di lacrime.
Ci
era riuscito.
Aveva
superato quell'orribile prova...
Non
aveva ceduto a quel moto dell'anima che gli imponeva di raccontare a
sua sorella la verità...
La
promesse che aveva fatto a suo padre gli imponeva una menzogna che
pure gli faceva male.
Non
aveva mai mentito alla sua piccola margherita!
Però
come poteva condannarla alla tristezza nei suoi ultimi momenti?
Quel
dualismo e quella tensione erano stati per lui un incubo...
Era
giunto il giorno più doloroso per la sua famiglia.
Sua
sorella, a causa di una fortissima febbre, aveva perduto il contatto
con la realtà e dalla sua bocca sgorgavano solo parole
incoerenti, prive di significato.
Sogni
infranti... Libri letti che sembravano dimenticati... Tutto si
mescolava in quel momento...
La
stanza di sua sorella era illuminata dal bagliore dorato di alcuni
candelabri, che sembravano adagiare le loro tremule fiamme sul volto
pallido di lei.
Victor
era seduto accanto al letto di sua sorella e, con delicatezza, le
carezzava la mano scheletrita.
Di
tanto in tanto, sentiva i soffocati singhiozzi di suo padre e il
pianto di sua madre, accompagnati dalle preghiere lente di un frate.
Gli
sembrava di essere in un incubo, da cui avrebbe voluto svegliarsi...
Ma
non era un incubo.
Quella
era la più terribile delle realtà.
Il
vento della morte stava spezzando la fragile esistenza di quel fiore
che era la sua dolce sorella.
Avrebbe
voluto piangere e urlare il suo dolore, ma una sorta di gelo in quel
momento aveva avvolto il suo cuore.
Era
una difesa contro la sofferenza che presto lo avrebbe trafitto, come
la lama di una spada?
– Victor...
Sei il migliore fratello che si possa immaginare… Ti voglio
bene… – aveva detto dolcemente sua sorella e il suo
cuore aveva perduto un battito.
Sua
sorella aveva recuperato la lucidità?
Le
parole gli erano morte in gola e, dolcemente, aveva accostato alle
labbra la mano di lei.
Era
fredda come ghiaccio, ma non gli importava.
Un
gesto era più chiaro di mille parole, in momenti simili.
-
Grazie... - aveva sussurrato lei e si era addormentata per sempre.
-
Dicevi che ero forte e coraggioso... Ma se mi vedessi ora cosa
penseresti, mia dolce sorella? - mormorò il giovane reclinando
il capo, come oppresso da un peso impossibile da sostenere.
Rabbrividì.
In quel sarcofago marmoreo era rinchiuso il corpo di Louise
Armande...
E
presto di lei non sarebbe rimasto che uno scheletro vestito del suo
abito più bello...
– No...
No… – mormorò. Apparentemente, lui si era
rivelato il più forte tra tutti i suoi familiari, tuttavia in
quei frangenti sentiva che presto la sua maschera si sarebbe
distrutta.
Doveva
essere forte, ma come poteva esserlo col cuore stretto dal dolore?
Il
pensiero del corpo di sua sorella aggredito dal Tempo inesorabile gli
procurava una stretta al cuore...
Era
una cosa naturale, ma l'idea di una offesa così grave al suo
corpo era per lui dolorosa...
Improvvisamente,
un raggio di luce penetrò nella cappella, che riverberò
debolmente.
Victor,
con stupore, si rialzò e riconobbe Oscar, avvolta nella sua
lucida uniforme rossa.
– Comandante,
è accaduto qualcosa? – chiese effettuando il saluto
militare.
– Sì,
purtroppo oggi ho bisogno anche di voi per il servizio di pattuglia
alla reggia di Versailles. – rispose la giovane.
– Capisco.
Lasciate che mi prepari. – mormorò Victor con voce
calma, seppur malinconica e fece per uscire.
Qualche
istante dopo, una mano femminile si posò sulla sua spalla ed
egli si fermò.
– C'è
altro che dovete dirmi? – domandò dopo essersi girato
verso di lei.
La
ragazza, per alcuni istanti, tacque.
– Sì...
Mi dispiace che vostra sorella sia morta. – rispose ella.
Victor, anche in quel momento, si era mostrato un soldato dotato d'un
adamantino senso del dovere, tuttavia i suoi occhi cerulei
raccontavano della sofferenza che aveva patito a causa della morte di
sua sorella...
Il
suo volto sembrava chiedere disperatamente un po' di quiete e di
raccoglimento.
Ed
ella comprendeva un simile desiderio.
Avrebbe
voluto lasciargli del tempo per riprendersi da quel dolore, ma i suoi
compiti di colonnello della Guardia Reale le imponevano di agire in
un determinato modo...
I
soldati dovevano sempre essere pronti a compiere il loro dovere,
andando oltre i loro sentimenti personali.
– Oscar,
grazie di essere venuta. – mormorò il giovane e, assieme
a lei, uscì dalla cappella.
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