«Non si esce lì fuori, pive» sentenziò duramente Alby, puntando un dito contro il petto di Thomas.
Il nuovo arrivato fece una smorfia contrariata. «Perché no?»
Alby lo fulminò con lo sguardo. Odiava quel ruolo, fare il Tour e tutta la sploff che ne seguiva. Quei cacchio di novellini sembravano avere una cena intera di Frypan in testa piuttosto che il cervello.
«Pensi che ti abbia mandato Newt prima della sveglia così, per divertimento?» sbottò. «Mostriciattolo, questa è la Regola numero uno, l’unica che non ti sarà mai perdonata, se la infrangi.»
L’unica nota positiva di essere fra i primi Radurai forse era che almeno all’inizio tutti avevano almeno un letto e se l’erano potuto scegliere; già dopo qualche mese si erano dovuti iniziare a stringere, fino a quando non ci fu più posto per tutti dentro il Casolare e la maggior parte dei Radurai aveva preferito dormire all’aperto, dove almeno c’era tutto lo spazio che si voleva. Era quasi un sollievo che il clima e il tempo nella Radura fossero sempre perfetti; se avessero dovuto combattere anche contro quelli, non sapeva proprio come sarebbero riusciti a tirare avanti.
Immaginò la pioggia infliggersi sui campi e distruggerli, ostacolare il percorso dei Velocisti, magari renderli prede più facili per i Dolenti, non riuscire a stare tutti stretti dentro al Casolare, dormire ammucchiati con la paura di dare un calcio in faccia a qualcuno se solo provavi a rigirarti nel sonno. No, decisamente una bella sploff.
Ma quella poteva chiamarsi veramente fortuna? Essere arrivati per primi e avere un letto come ricompensa? No, certo che no. Faceva schifo uguale. Non sapeva neanche come erano riusciti a non impazzire, a riprendersi, a far funzionare tutto lì dentro, ad essere forti per quei pive lì fuori che li vedevano come una sorta di guida essenziale.
Si rabbuiò, come se già non lo fosse. In realtà erano impazziti, solo che non potevano darlo a vedere per il bene degli altri.
«Il nuovo Fagio, Thomas o quel che è» sentenziò Alby.
Lui e Newt condividevano lo stesso letto, forse si stava un po’ stretti, ma aveva bisogno di una stanza propria per mettere ordine a fine giornata di tutto quello che accadeva nella Radura. Era abbastanza forte e tosto da non avere problemi e non lamentarsi di dormire anche sulla fredda e nuda pietra, ma se poteva avere un minimo di comodità durante la notte, dopo essersi ammazzato a gridare dietro ai pive rincaspiati, allora di certo non voleva privarsene.
Newt era sdraiato su un lato, rivolto verso di lui, con un braccio teso che gli accarezzava i corti capelli scuri, come a volerlo fare addormentare. Quella sensazione gli dava un barlume di ricordo della sua vita passata. La sensazione di calore come quella dell’amore di una madre. Ma lui neanche se lo ricordava cos’era – o com’era avere – una madre.
Lo sguardo di Alby puntava dritto sul soffitto, la testa poggiata sopra al braccio di Newt, il silenzio della notte che li circondava, interrotto solo dal respiro del biondo e dalle sue parole.
Newt mugugnò, spronandolo a continuare. Alby non lo guardava, continuava a mantenere gli occhi fissi sul soffitto, ma percepiva che quelli dell’altro erano chiusi. Voleva dormire, ma anche così gli andava bene, aspettava che parlasse e Alby sapeva che non si sarebbe addormentato fino a quando non sarebbe andato tutto a posto; anche lui in fondo avrebbe fatto lo stesso. Ma sarebbe mai andato tutto bene?
«Fa troppe domande, quel pive» continuò. Newt mugugnò un’altra volta per darli ragione, ma poi per un attimo il suo respiro si arrestò e Alby voltò il capo per guardarlo in viso. Newt aprì gli occhi scuri, stava aspettando che Alby gli dicesse cosa voleva fare, perché c’era sicuramente qualche compito di sploff che gli avrebbe assegnato e che non gli sarebbe andato a genio per niente, lo conosceva fin troppo bene. «Ho paura di cosa possa mettersi in testa. Per me quello è capace che si alza e va dentro al Labirinto di notte, a farsi una bella cenetta coi Dolenti.»
«Pive, smettila di dire sploffate» lo ammutolì il biondo, richiudendo gli occhi e continuando ad accarezzargli i capelli. «Ti rendi conto di quello che dici? Come farebbe ad aprire le Porte di notte, eh?»
Alby roteò gli occhi, sebbene non fosse sicuro che nell’oscurità l’altro potesse vederlo così bene. «Hai capito quel che intendo, faccia di caspio.»
Newt sospirò, rassegnato. «E quindi?»
Alby esitò, prendendosi qualche attimo per riflettere. «Vorrei che facessi capire a quel Fagio perché non gli conviene entrare nel Labirinto.»
Newt riaprì gli occhi scuri e vide quelli di Alby che lo fissavano intensamente, seri, in attesa di una sua risposta. Il minore si rigirò, stavolta era lui a fissare il soffitto e sentì Alby spostarsi su un fianco per farsi più vicino, ansioso di sentire cosa ne pensava. E che cosa pensavA? Che era una bella e ingrata sploffata quel compito. Ma cos’altro poteva fare?
I polpastrelli di Alby si tesero a sfiorare le vene evidenti sulle braccia muscolose del biondo, percorrendole, accarezzandole.
«Che caspio, Alby!» sbottò Newt dopo un po’. Non ne aveva per niente voglia, ma sapeva che tanto avrebbe ceduto.
«Sta un po’ zitto! T’avranno sentito pure i Dolenti là fuori» borbottò il maggiore.
Il biondo fece una smorfia, mormorando qualcosa tipo: «Magari diventiamo amici e andiamo a mangiare da Frypan» per schernirsi. Poi sospirò rumorosamente, rassegnandosi. «Tanto sapevo che me l’avresti chiesto.» Alby ridacchiò vittorioso, ma Newt lanciò un’occhiata all’orologio sul suo polso. Mancava qualche ora prima dell’alba. «Però ora fammi dormire un altro po’, faccia di caspio» disse, rigirandosi nel letto.
Si fecero più vicini, come in un abbraccio, e poi si addormentarono fino all’ora prestabilita.