Hiki 7 cap (in corso).
Fino ad ora
ho sempre pensato
di essere al sicuro, sempre. La stanza in cui sono rinchiuso mi da
sicurezza e non mi era mai passato per la mente il pensiero che
qualcuno potesse venire a tirarmi fuori con la forza.
Ma adesso tutte
le mie convinzioni sono state abbattute.
"Con la forza?" chiedo a Shadow.
"Sì, con la forza. In questi giorni sento i miei genitori
che
parlano con delle persone, dei medici per l'esattezza. Dato che non
sono uscito da solo, hanno pensato di farmi uscire con la forza. Li
sento mentre parlano, mentre esaminano la mia porta, mentre progettano
un modo per abbattere la mia vita perfetta. È questione di
giorni ormai: vogliono abbattere il mio mondo".
Distruggere un mondo fittizio è semplice. Basta colpire le
sue
fondamenta e cadrà rovinosamente su se stesso. La nostra
vita si
basa sulla convinzione che non c'è niente e nessuno capace
di
tirarci fuori. Noi pensiamo al presente ma non al futuro. Non
ci
passa nemmeno per la testa che, prima o poi, saremo costretti ad
uscire. Perché io so che questo accadrà.
Quando i miei genitori saranno troppo vecchi per sostenere il peso di
un figlio hikikomori, la mia libertà si
trasformerà in un
inferno. So che accadrà, l'ho sempre saputo. ma non volevo
pensarci, non volevo rendermene conto. Ora Shadow è in
pericolo
e, in un certo senso, lo sono anche io.
"La tua porta è chiusa a chiave, vero?". Shadow mi sta
chiedendo
una cosa ovvia, scontata, banale. Penso che tutti gli hikikomori
tengano la porta della loro camera chiusa a chiave: io lo faccio
perché mi da sicurezza.
"Sì" gli rispondo.
"Oggi ho scoperto che una porta chiusa a chiave non serve a niente. La
butteranno giù come se fosse fatta di carta e mi
trascineranno
in uno di quei terribili centri per la cura di "sindrome da
hikikomori", come la chiamano loro. Io non voglio, ho paura".
Mi giro e fisso la mia porta: l'unica barriera che mi divide dal mondo
esterno. In effetti, è pur sempre una porta. Se volessero, i
miei genitori potrebbero rompere la serratura ed entrare con facilità. Non
ci ho mai pensato. Non ci voglio pensare.
"La prima persona che ha tentato di tirarmi fuori è stata
una psicologa" continua Shadow con un nuovo messaggio. "È
successo circa dopo un mese dal giorno in cui ho deciso di rifugiarmi
in questo mondo virtuale. I miei genitori erano preoccupati
perché vedevano che non uscivo e allora hanno chiamato
questa strizzacervelli. Ho parlato con lei per circa due settimane;
veniva a trovarmi ogni giorno, alla stessa ora. Non è
cambiato niente. Mi ripeteva che la vita vera non è dentro
un videogioco ma nel mondo reale. Voleva farmi uscire a piccoli passi.
Era una fregatura, ne ero sicuro. Esattamente come la volontaria che
è venuta due mesi dopo. Stesse argomentazioni, stesse
parole, stesse convinzioni. Alla fine anche lei ha gettato la spugna. A
quel punto ero felice: avevo la certezza che nessuno poteva ormai
disturbare la mia vita in questo mondo perfetto. A quanto pare mi
sbagliavo".
"Quando ti porteranno in questo centro?" gli chiesi.
"Presto. È questione di giorni ormai. Io non
voglio andarci, non voglio uscire. Il mondo esterno è
crudele, è spietato. Fuori dalla mia camera vive una
società malata, dove la bellezza fisica conta più
di ogni altra cosa. È così nelle scuole, nelle
università, nel lavoro, in tutto. La bellezza spalanca le
porte ma se qualcuno non la possiede, allora non può nemmeno
mangiare le briciole. Io non voglio tornare in questo mondo: un mondo
dove il fisico viene sempre prima del cervello".
Le sue parole mi colpiscono come dei proiettili. La verità
fa male e lui sta dicendo la verità. Quando una persona
dice: "non conta come siamo fuori ma come siamo dentro"... beh, mente.
Il mondo è diviso in una piramide: in cima troviamo le
persone belle, le persone ricche, le persone popolari. Più
si scende, più il prestigio diminuisce e , di conseguenza,
diminuisce anche il valore del ruolo che ricopriamo nel
mondo. Noi hikikomori ci siamo rifugiati nelle nostre stanze
proprio perché vogliamo scappare da questo folle sistema che
non lascia scampo. Io so che non cambierà mai niente: ormai
la piramide si è instaurata nelle nostre vite e le sue
radici sono troppo profonde per poterla sradicare. Quindi l'unica
soluzione per me era l'hikikomori.
Il segnale è già suonato da un pezzo. Devo
staccare.
"Io ora devo andare, ci sentiamo domani".
Spengo il computer senza nemmeno leggere la sua risposta. Io volevo
ancora parlare con lui, ma leggere le sue parole mi faceva troppo male.
Perché lo capivo perfettamente.
Stranamente sono riuscito a dormire senza particolari problemi. Da
quando ho iniziato a giocare ho delle difficoltà ad
addormentarmi, forse per il fatto che il gioco mi rende più
attivo. È quasi mezzogiorno, ma io ci sono abituato. Dormire
è l'attività principale della mia vita da
hikikomori.
Accendo il computer e cerco subito Shadow.
Guardo nella lista amici.
No...
No...
NO!
Shadow è offline.
Guardo
quella scritta per circa un minuto, come se fossi ipnotizzato.
Allora era vero.
Lui non è più un hikikomori.
Lui non vive più all'interno del gioco.
Lui è stato trascinato fuori con la forza mentre io dormivo,
ignaro di tutto.
Lui non c'è più.
È morto.
Il silenzio della mia camera è diventato improvvisamente
pesante. Il computer spento è vuoto come la mia vita. Parlo
da solo, sussurro qualche lettera che si perde nell'aria.
Sono solo.
Fisso la porta.
Guardo la maniglia.
Allungo la mano che non smette di tremare.
Giro la chiave con il sudore sulla fronte.
Apro la porta.
Il mio isolamento si è spezzato.
In casa non c'è nessuno. I miei genitori devono essere
usciti, convinti che io non me ne accorgessi nemmeno. Cammino
lentamente per la casa, guardando i mobili, i muri, le foto che ci sono
sulla mensola in soggiorno. Una ritrae me e mio padre sorridenti:
è stata scattata qualche anno fa durante una gita in
montagna. A quei tempi se mi avessero detto che cos'era l'hikikomori mi
sarei fatto una bella risata e avrei detto frasi come "Sono dei malati
mentali" o altro. Non mi sarei mai immaginato che avrei sperimentato
l'isolamento in prima persona.
Vado nel bagno e mi guardo allo specchio. Chiudo subito gli occhi.
Quello sono io. La persona che ho appena visto in faccia sono io. Quel
ragazzo con gli occhiali quadrati e il fisico magro come uno
stuzzicadenti sono io.
Non sono più un umano: sono un morto vivente, un cadavere
che cammina.
Sento un rumore. Una porta si apre.
Esco dal bagno e mi ritrovo faccia a faccia con i miei genitori. Li
fisso e loro fissano me. I nostri occhi sono agganciati. Vedo il loro
stupore. Non parla nessuno, forse per la paura di rovinare quel momento.
Sto guardando gli occhi di altre persone. Mi gira la testa, ho la
nausea.
Non ci riesco.
Scappo verso la mia camera e mi chiudo nuovamente a chiave.
Oggi sono uscito. Per la prima volta dopo un anno sono uscito. L'ho
fatto per Shadow. Magari lui in questo momento è
già sotto terapia e fisserà terrorizzato la sua
psicologa. E se per caso pensano che un hikikomori sia un malato
mentale? Che cosa gli faranno? Forse lo tratteranno come hanno trattato
quel ragazzo giapponese a Nagoya? Non voglio pensarci, mi vengono i
brividi.
Ormai sono uscito. Devo andare fino in fondo: solo così
avrò l'assoluta certezza che il mondo è come lo
descriveva Shadow e che l'unica via di fuga è l'isolamento.
Note:
Caso di Nagoya:
verso la fine del capitolo c'è un riferimento al "caso di
Nagoya", un fatto di cronaca realmente avvenuto. In un centro per la
cura della sindrome dell'hikikomori a Nagoya, in Giappone, un ragazzo
hikikomori è stato legato ad una colonna con delle catene e
lasciato così per quattro giorni. È stato
ritrovato morto con delle lesioni su tutto il corpo. In quello stesso
centro si trovavano altre decine di ragazzi hikikomori, tutti in
pessime condizioni, legati in una stanza e costretti alla vita di
gruppo.
Dopo l'arresto il direttore del centro giustifico le catene come "mezzo
necessario affinchè i ragazzi non provocassero problemi ai
loro genitori.
Ed ecco il settimo capitolo. Ci stiamo avviando verso la fine in quanto
il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Ringrazio ancora chi
segue e commenta.
The Sorrow
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