Storia di un tatuaggio
A
Veronica, per il suo compleanno.
Tantissimi auguri e grazie ancora per avermi
chiamata a giocare con voi!
Storia
di un tatuaggio
Preambolo:
fissare l’appuntamento.
Quel giorno JD aveva
dato la mattina libera a Darla, ufficialmente per permetterle di
riprendersi dalla serata precedente.
In realtà,
Darla non aveva
alcun bisogno di riposo: era abituata a lavorare con il dopo-sbronza.
Il problema era che per tenersi sveglia parlava in continuazione,
oppure metteva il volume della radio a livelli improponibili. Entrambe
le attività erano decisamente incompatibili con il bisogno
di
silenzio di JD. Quindi, la verità era che JD aveva bisogno
di
una mattina libera per smaltire il dopo-sbronza.
Non che ci fosse stato
bisogno di
essere in due: alle 11 ancora non si era visto nessuno e il primo
appuntamento era previsto nel pomeriggio.
JD era nel retro a
mettere in
ordine la contabilità (il che consisteva nel dividere le
cartacce accumulate in due mucchi: “robaccia da
buttare” e
“robaccia da portare al contabile dei Coyote”)
quando si
accorse che qualcuno era entrato. Si affacciò al bancone
proprio
mentre una ragazza stava per uscire. Aveva lasciato la macchina davanti
al negozio, con il motore acceso.
- Ehi, non ti conviene
lasciare la macchina accesa e incustodita da queste parti.
La ragazza si
fermò sulla
porta e si girò per fissarlo dritto negli occhi. Aveva un
che di
strano nello sguardo. JD pensò che fosse fatta, ma
c’era
sicuramente dell’altro. Stanco. Aveva lo sguardo stanco.
- Sei tu JD?
- Suppongo che me ne
pentirò, ma sì, sono io.
- Sei così
bravo come dicono?
Era rimasta sulla
porta, come se
stare a metà tra il negozio e il marciapiede le avrebbe
permesso
di impedire che il primo teppistello di passaggio saltasse a bordo
della sua auto per farsi un giro.
- Dipende da cosa
dicono. E da cosa ti serve.
- Avrei un lavoro
piuttosto impegnativo: ti servirà del tempo.
- Beh, vedi, non
saprei. Non hai
notato la fila che c’è davanti alla porta? Al
momento sono
pieno di gente che mi chiede cose impegnative e costose…
scherzi
a parte, non chiedermi una di quelle stronzate in stile biomeccanico e
siamo a posto. Puoi passare domani pomeriggio per spiegarmi cosa
vorresti, così mentre sei qui butto giù qualcosa.
- OK, allora, ma ti
avviso: lui
è molto esigente e credo che deciderà se farsi
tatuare da
te solo dopo averti fatto sgobbare un bel po’ con le bozze,
non
so se mi spiego. Se non ti va bene, puoi anche dirmelo subito.
- Tutti gli svitati
capitano a me. O sono svitati o troie che vogliono farfalline.
JD entrò
nell’appartamento sfogandosi a gran voce. Buttò la
giacca
di pelle sul divano e si slacciò le scarpe da tennis. Una
birra
fresca era proprio quello che ci voleva. Quasi gli venne un infarto
quando dal bancone della cucina emersero contemporaneamente una testa
bionda e un’imprecazione.
- E che cazzo, JD!
Perché
non si trovano mai dei piatti puliti a casa tua? Dove tieni i piatti da
portata? E perché stai sempre a lamentarti dei clienti?
Quello
che per te è svitato, in realtà potrebbe essere
curioso e
stravagante… in senso buono!
Honey stava svuotando
i mobili
della cucina. In un angolo del bancone una busta di plastica
dall’aspetto parecchio familiare correva il serio rischio di
cadere, riversando a terra la cena in un tripudio di soia e maiale in
agrodolce.
- Se hai preso il
cinese, a cosa ci
serve un piatto da portata? E perché poi dovrei avercelo, un
piatto da portata, scusa?
Honey
sbuffò,
incrociò le braccia sul petto e mise il broncio. JD
conosceva
bene quell’espressione: le cose non erano andate come voleva
lei
e ora si sentiva frustrata.
- Sono proprio una
scema!
- Hey! Ẻ la mia morosa
quella che stai offendendo, vacci piano! Sciocchina, al massimo, ma non
scema.
JD si
avvicinò per
abbracciarla, sperando di evitare la crisi con una battuta e qualche
bacio sul collo. Preso la cena, i clienti e i vestiti sarebbero stati
un pensiero lontano, accantonato nell’angolo più
remoto
del suo cervello e della sua camera… Honey
scrociò le
braccia da petto, si lasciò abbracciare, ma
continuò con
il tono lamentoso:
- Per una volta volevo
accoglierti
in casa con la cena pronta in tavola. Sarebbe stato carino farmi
trovare in cucina con la tavola apparecchiata e il cibo messo in dei
piatti veri. Tipo come fa la gente, capito?
JD cercò in
tutti i modi di
soffocare una risatina: non voleva che Honey si sentisse presa in giro,
ma era troppo buffa quando si metteva in testa quelle stronzate in
stile mogliettina anni ’50.
- Io credo che la
gente raramente abbia in casa dei piatti da portata. Credo che li
vendano con il maggiordomo.
- Ma smettila! Noi li
abbiamo, a casa dei miei!
- E non
c’è stato forse un periodo in cui tua madre ha
avuto un domestico?
- Ma che
c’entra! Era solo per aiutarla in casa quando io ero appena
nata!
- Sarà,
intanto la mia tesi viene confermata…
- Scemo!
Honey stava per
mettersi a ridere.
Finalmente. Se JD fosse stato abbastanza attento a non ferire i suoi
sentimenti in qualche modo nei prossimi minuti, sarebbe potuto
considerarsi fuori dalla zona di pericolo.
- Allora, raccontami
chi è lo svitato di turno, che io intanto metto la cena su
un piatto e ti porto una birra.
- Brava,
così si fa! Donna! Come mai non ho ancora avuto la mia
dannatissima birra?
- Continua
così e ti arriva in testa, la tua birra.
Qualche ora dopo aver
cenato, erano
stesi sul letto, abbracciati. Honey stava facendo girovagare
l’indice sul petto di JD, giocando con i suoi tatuaggi. A JD
iniziava a far parecchio solletico, ma non voleva che lei smettesse.
- E se fosse un
pappone?
- Che?
- Il cliente
misterioso. Se fosse
un pappone? Del resto, ha mandato una ragazza mezza fatta, che
probabilmente era a fine turno. Magari è ancora in
carcere! Forse vuole un ricordo del primo arresto!
- A volte la tua
fantasia non ha
limiti. O magari è solo il solito sfigato che manda la
ragazza a
fissargli gli appuntamenti perché è troppo
occupato a far
pesi in palestra. Comunque, lo scopriremo domani. Mi piacerebbe che
fosse un tizio con una storia, qualcosa da raccontare. Un folle in
senso buono, come credi tu. Ma quelle persone non esistono nella vita
vera. Spero solo che non chiacchieri troppo mentre lavoro e che il
tatuaggio che dovrò fargli non mi faccia troppo schifo. E
che
non faccia storie a pagare, ovviamente. Ora però devi
scusarmi,
ma non ho più l’età per esagerare come
ho fatto
ieri sera.
Detto questo spense la
luce, si
girò su un fianco per poterla abbracciare e tempo trenta
secondi
stava già russando. Honey sbuffò, si
raggomitolò
con la schiena contro di lui, ma il sonno non voleva saperne di
arrivare. Si addormentò una ventina di minuti dopo,
fantasticando sulle possibili identità del misterioso
cliente.
Sarebbe stato divertente se per una volta JD si fosse sbagliato.
Il
primo incontro: l’indecisione.
JD era nel suo studio
a disegnare.
Era così concentrato che non si era reso conto del tempo che
era
trascorso. Un colpo attutito e un’imprecazione lo fecero
trasalire. Un uomo in carrozzina a rotelle aveva appena sbattuto contro
lo stipite della porta.
- Dannazione! Fottuta
sedia del
cazzo. Ehi amico, spero di non averti scheggiato il legno. Facciamo
così: quando me ne sarò andato fa una lista dei
danni e
passerà Carol con un assegno.
- E tu saresti?
- Il tuo appuntamento
delle 11. Non dirmi che Carol non è passata,
perché a me ha detto di averlo fatto.
- Ah! Sì,
sì… è passata ieri. Scusami, non ho
sentito la mia assistente avvisarmi
- Non l’hai
sentita
perché era fuori a fumare. Mi ha detto che sarei potuto
entrare
anche da solo, che le gambe me le avevano fatte. - Un ghigno divertito
si allargò sul suo volto. - Poi si è girata ed
è
sbiancata. Faccio questo effetto, alle donne. E agli uomini. Per non
parlare dei bambini.
JD dovette ammettere
tra sé
e sé che forse si era sbagliato, almeno in parte. Questo
tizio
aveva senso dell’umorismo. Certo, un po’ truce, ma
sempre
meglio della media dei decerebrati che vedeva solitamente. Pensava che
l’ironia presupponesse una certa intelligenza.
- Ti ci vorrebbe un
cane, allora. I
cani non si sconvolgono di niente. A parte i tuoni. Darla non riesce a
tenere la bocca chiusa… - in tutti i sensi, direbbe Honey.
Il pensiero che aveva terminato la frase lo fece sorridere. - Magari
questa volta ha imparato la lezione.
- Oh, speriamo di no!
Una ragazza
così ha tutti i diritti di stare a bocca aperta come e
quando
vuole, non so se mi spiego. Comunque, io sono Ian.
- Piacere, Ian.
Accomodati
JD si alzò
dal tavolino e spostò lo sgabello solitamente riservato ai
clienti.
- Avevi già
pensato a qualcosa?
- Come vedi sono
costretto a
portarmi dietro questi due pezzi di carne inutili. Ho pensato varie
volte che potrei farmele tagliare di netto. Mi sentirei più
leggero, credo. Ma non trovo un medico disposto a farlo. Non uno che mi
opererebbe in una sala sterile, se non altro.
Un altro ghigno gli
attraversò il viso. JD ebbe l’impressione
sorridesse a
quella maniera da psicopatico come se fosse una sorta di difesa contro
il mondo. Come se sorridere lo riparasse da domande indiscrete e
sguardi pietosi.
- Comunque, ci ho
pensato parecchio
e la scorsa settimana ho avuto un’illuminazione, se vogliamo.
Quello che io vedo come pezzi di carne morta, potrebbe essere visto
come qualcos’altro. Tempo fa avevo letto
un’intervista, in
cui un tatuatore sosteneva che per lui la pelle era come una tela.
Là dove gli altri vedevano epidermide e peli, lui vedeva uno
spazio bianco pronto per essere arricchito.
- Beh, in un certo
senso anche io la vedo così
- Lo spero,
perché l’intervistato era tuo nonno.
JD rimase a bocca
aperta per un paio di secondi
- Non esiste. Scusami
ma non esiste
proprio che Wile abbia rilasciato un intervista. Tu non lo conosci.
Devi averlo confuso con qualcun altro.
- Non credo, comunque,
per farla
breve: ti interessano le mie gambe? Perché vorrei che tu le
trasformassi nella tua tela. Dalla punta degli alluci allo stacco della
coscia. Ogni millimetro che sarà possibile coprire. Sono
stufo
di guardare due pezzi di carne morta: voglio due opere d’arte.
JD aveva passato
più di
un’ora in compagnia di Ian, abbozzando vari disegni. Era
parecchio esigente, ma anche molto indeciso. Una combinazione letale
che aveva come conseguenza un cestino pieno di fogli appallottolati e
un gran mal di testa. Praticamente, il ragazzo era venuto da lui senza
sapere cosa voleva e quella era la situazione peggiore,
perché
c’era la certezza matematica che uscisse dal suo studio con
qualcosa che non gli piaceva, o che lo avrebbe stufato molto presto. JD
lo aveva mandato a casa con un compito: pensare a una cosa che gli
piacesse. Non doveva trovare ciò che aveva dato significato
alla
sua vita fino a quel momento, semplicemente trovare una cosa che gli
era sempre piaciuta. Da ragazzino andava matto per le vacanze al mare?
Bene. Magari si sarebbe reso conto che il mare aveva sempre avuto una
forza attrattiva nei suoi confronti e JD avrebbe trovato un tema da cui
partire per le bozze. JD sperava che il giorno seguente sarebbe tornato
con le idee più chiare. Anzi, ne sarebbe bastata una, di
idea.
In realtà,
c’era
qualcosa che turbava JD molto più dell’indecisione
di Ian.
Probabilmente la vera causa del suo mal di testa:
l’intervista di
Wile. Era una cazzata, lo sapeva. Eppure, un sottile sospetto si era
insinuato nella sua testa: se fosse stato veramente lui a rilasciare
l’intervista? Quando l’avrebbe fatto?
Perché?
Fondamentalmente, il fatto di rispondere a due domande per un giornale
non era una gran cosa, solo che il Wile che lui aveva conosciuto non
avrebbe mai fatto una cosa del genere. A fargli scoppiare la testa era
proprio il pensiero di non averlo conosciuto fino in fondo.
Non si rese conto
della direzione che aveva preso, fino a quando non si
ritrovò a varcare la soglia del Coyote Club.
Trovò
Halona al bancone,
intenta a spillare birre mentre l’ennesima barista in lacrime
stava uscendo per l’ultima volta dal locale.
- Hai tempo per fare
due chiacchere? Dovrei chiederti una cosa
- No, non ce
l’avrei, il tempo. Ma sai che faccio? SHIRIIIIIIIIKIIIIII!
MUOVI IL CULO E VIENI QUI!
Si era girata di
scatto e aveva
urlato così forte che un omaccione grande e grosso al
bancone,
che stava aspettando la sua birra, aveva cercato di farsi piccolo
piccolo, rintanando la testa in mezzo alle spalle.
Halona non
aspettò neanche che Shiriki la sostituisse. Si
girò verso JD appoggiandosi al bancone e disse:
- Grazie per questa
pausa, ne avevo bisogno. Che ti serve? Che è quella faccia?
- Avrei una domanda su
Wile. Sai mica se abbia mai… rilasciato interviste?
Gli occhi di Halona
brillarono per
un istante, prima che la donna più incazzosa che JD
conoscesse
scoppiasse a ridere tanto da farsi venire le lacrime.
- Me n’ero
quasi dimenticata! Quello è stato lo scherzo più
riuscito di tua nonna.
E così
Halona allungò
la pausa, passando dall’altra parte del bancone per
raccontare a
JD una storia che risaliva a metà degli anni ’60,
i cui
protagonisti erano i suoi nonni, un sedicente giornalista e un
francobollo di acido…
L’ispirazione.
- E così, a
quanto pare, avevo ragione io…
Honey era passata a
trovarlo per
pranzare insieme a lui. Era seduta sul divano e stava sfogliando una
rivista con aria apparentemente incurante. JD sapeva che in
realtà stava gongolando.
- Beh, tecnicamente,
no. Non è lo sfigato che pensavo io, ma niente di
più. Ẻ solo un tizio, ecco.
- Un tizio con una
storia da raccontare!
- Un tizio senza
alcuna idea circa
il tatuaggio che vorrebbe tanto farsi. Inizio a pensare che forse
dovrei convincerlo a desistere, almeno per il momento.
- Perché?
Scusami, lo ha
detto lui che vuole un’opera d’arte, no? Magari
questa
volta non è lui a dover scegliere, ma tu. Con i quadri
funziona
così: qualcuno li dipinge, tu li vedi e pensi:
“Oh! Potrei
stare a guardarlo per tutta la vita”, così lo
compri e te
lo piazzi in soggiorno, in modo che tu e tutti quelli che passano da
casa tua possano ammirarlo.
JD sbuffò
mentre la raggiungeva sul divano.
- Con i tatuaggi non
funziona
così, lo sai benissimo anche tu. Non mi sembra…
naturale
che uno porti addosso per tutta la vita un disegno che non parli di lui.
- Magari invece saprai
trovare proprio quel qualcosa che parla di lui, come con le canzoni!
- Non è che
puoi cercare di convincermi elencando tutte le forme di espressione
artistica.
- Invece pensa che
è proprio
quello che sto facendo. L’altra sera Dave ha detto che il
successo delle canzoni è dovuto a questo: uno vive cercando
di
capire qual è la propria identità e nel frattempo
ascolta
una canzone, con la quale sente che c’è
una
connessione. Così la canzone diventa parte di lui. Io penso
che
possa funzionare anche con i tatuaggi.
- Prima di tutto il
tuo amico Dave
dovrebbe farsi un po’ meno canne. Chi sarebbe, un tuo
compagno di
corso? Come mai non ne ho mai sentito parlare?
La risata di Honey
echeggiò nella stanza vuota.
- Il mio ragazzo
è geloso di Dave Grohl!
Honey
lasciò cadere la rivista e lo abbracciò.
- Tranquillo
amore, Dave è quasi sempre in tournée,
non ha molto tempo da dedicarmi.
JD stava facendo
l’offeso, fingendo di rifiutare l’abbraccio, quando
Darla rientrò dalla pausa pranzo.
- Problemi in
paradiso, piccioncini?
- Oh, tu te ne intendi
di uccelli, non è vero? - Questa sì che si
chiama “battuta giusta, al momento giusto”.
Era la seconda volta in quella mattina che Honey gongolava tra
sé e sé.
- Molto più
di te, tesoro.
Quando vuoi, posso sempre insegnarti qualcosa. Sai come si dice, non si
finisce mai di imparare.
- Ẻ per questo che tu
non finisci mai di fare pratica?
- Adesso basta!
JD era intervenuto
prima che Darla
potesse rispondere. Aveva notato la sua espressione: aveva stretto
leggermente gli occhi, segno che stava per attaccare con le battute
pesanti. Non che Honey non si sapesse difendere, ma se si fosse offesa,
poi lui avrebbe impiegato tutta la sera per fargliela passare. Inoltre,
pur fidandosi di Darla, dentro la sua testa un campanello di allarme
suonava ogni volta che quelle due discutevano: e se presa dallo slancio
del “botta e risposta” si fosse fatta scappare
qualcosa di
troppo? In quel caso, altro che serata, JD avrebbe dovuto penare per
settimane.
- Darla, non avevi da
fare una telefonata al fattorino per quella partita di inchiostro che
non è ancora arrivata?
Darla sorrise,
continuando a
fissare Honey per qualche istante, prima di girarsi verso il
telefono. Appena prima di sollevare la cornetta, non si fece
scappare l’occasione di avere l’ultima:
- Ding, ding, ding!
Fine primo round! Alla prossima, dolcezza.
Così
dicendo, si
appoggiò con il busto al bancone, si portò la
cornetta
all’orecchio e compose il numero di chiamata rapida.
JD si trovò
a fissarle le
gambe, o meglio, i fiocchi che vi erano tatuati sopra. Tanti fiocchi,
ognuno per un ragazzo. Un fiocco, una delusione amorosa. Perché ricordare
potrà essere anche doloroso, ma serve sempre.
Aiuta sempre.
Di colpo gli sembrò come se una lampadina si fosse accesa
nella
sua testa, illuminando un disegno che era lì nascosto in
attesa
di essere svelato. Honey lo vide correre nello studio e fiondarsi alla
scrivania. Sapeva che sarebbe stato occupato per un bel po’ e
che
non si sarebbe nemmeno reso conto se lei fosse stata
lì o
meno, così passò a dargli un fugace bacio su una
tempia e
lo lasciò all’opera. Mentre usciva, le venne da
sorridere:
forse forse, stava per avere ragione un’altra volta.
La
decisione.
- Ecco, avrei pensato
a questo.
JD era quasi
emozionato mentre mostrava a Ian il foglio sul quale aveva passato gran
parte del pomeriggio e della nottata.
Sulla destra del
foglio si
stagliava una figura incappucciata che teneva una falce enorme di
traverso, verso sinistra. Alla falce era avviluppata la testa di un
dragone simil-cinese, come se la stesse spezzando in due. Il corpo del
dragone proseguiva verso il basso con lunghe spire, sulla sinistra.
- Ovviamente, se ti fa
schifo lo
butto. E per ogni suggerimento, correzione o aggiunta tu voglia fare,
sappi che non ci sono problemi.
Ian era rimasto a
bocca aperta e JD
non riusciva a interpretare la sua espressione. Temeva che non capisse
il significato del disegno.
Finalmente
iniziò a parlare.
- Ẻ stupendo.
Meraviglioso. Io non sarei riuscito a trovare immagine più
azzeccata.
- Stavo pensando alla
tua storia.
Mi hai accennato a un incidente come il motivo che ti costringe su
quella sedia. Credo che con questo, le tue gambe mostreranno la tua
vittoria, non una sconfitta.
- Cavoli, mi hai
lasciato davvero
senza parole ed è una cosa rara, credimi. Dopo quello che mi
è capitato, ho fatto parecchia fatica ad accettare di essere
ancora vivo. Non sai quante volte ho pensato che sarebbe stato meglio
per me e per un sacco di altra gente se non me la fossi cavata.
Sicuramente non ritenevo la mia condizione una vittoria. Cazzo, sarei
dovuto venire da te prima, invece che regalare tutti quei soldi allo
psicologo!
- No, credimi, non
sono bravo con i
consigli, solo con i disegni. Questo fa solo parte di come io
vedo i tatuaggi: non sono solo opere d’arte. Parlano di noi.
Io,
ecco, se fossi in te, urlerei al mondo la mia incazzatura. Per quello
che ti è capitato, ma anche per quello che sei riuscito a
fare.
Ian si era di nuovo
ammutolito. JD
pensò che probabilmente aveva esagerato con le stronzate
sentimentali. Se Big D fosse stato al suo posto, gli avrebbe proposto
una pin-up con un paio di tette sproporzionate e un bel culo a
mandolino.
- Avrei un paio di
modifiche, sempre che siano fattibili.
- Vediamo cosa
possiamo fare.
- E mi piacerebbe se
la tua assistente ci portasse due birre.
- Questo
sarà un po’ più difficile, meglio se
vado io.
JD si alzò
dandogli una pacca sulla spalla e si diresse al frigo bar.
- Non mi hai ancora
detto se lo vuoi a colori o in bianco e nero.
- Quindi pensi che ci
metterai più di un mese.
- Eh già.
- Si direbbe che stai
per farti un nuovo amico.
- Cliente.
- Si vedrà.
Un mese è lungo e non riesco a immaginarmi due persone che
passano tanto tempo insieme in silenzio.
- Questo è
perché tu
non riesci mai a stare zitta. Non sottovalutare il fatto che siamo
uomini. E poi non staremo il silenzio. Ci penserà il ronzio
dell’ago a farci compagnia.
- Ah beh, allora!
Comunque… non vuoi dirmi come ti è venuta
l’ispirazione?
- Segreto del
mestiere. E poi certe cose mica si riescono a spiegare così.
- No, certo. Ẻ solo
che mi sembrava che poco prima stessi fissando le gambe di Darla.
- Ma cosa ti salta in
mente?
- Beh, le sue gambe
sono così lunghe e nude. Tatuate…
- Stavo pensando,
probabilmente
avevo lo sguardo perso nel vuoto, tutto qui. Ti assicuro che
è
stata una coincidenza. E poi scusa, ma Darla ce l’ho davanti
tutto il giorno, dovrei proprio essere un cretino per guadarle le gambe
mentre sono con te!
- Bene! Credo che
dovrò
passare a trovarvi più spesso, allora! Magari ti
farò
delle belle improvvisate, a ogni ora del giorno. Quando meno te lo
aspetti.
- La smettiamo di
parlare di lei? Se proprio dobbiamo parlare di gambe, ce ne sarebbero
un paio proprio qui vicino a me…
JD allungò
una mano verso la
coscia di Honey, che si era rannicchiata dall’altro lato del
divano mentre dividevano una birra prima di cena.
- Eh no…
prima devi dirmi un’altra cosa.
- Cosa? Devo giurarti
che non mi accorgerei delle gambe di Darla neanche se fossero
fosforescenti?
- No, lo sai benissimo
cosa. Dillo.
Il tono di Honey si
era fatto più roco, al limite del sensuale.
- Se parli
così, ti dico tutto quello che vuoi.
JD avvicinò
il viso al suo, per baciarla, ma lei si alzò e fece un passo
indietro, allontanandosi dal divano.
- Dimmelo, che avevo
ragione.
Il sorriso di Honey
era a metà tra l’esultante e il seducente.
- E va bene! Il
disegno che ho
proposto gli è piaciuto. Ẻ andata a finire come avevi detto
tu.
Ẻ successo proprio come quella cosa di Dave Grohl e le
canzoni…
adesso però torna qui o dovrò comportarmi da
bruto.
- Provaci, se credi
che questo ti porterà a qualcosa.
Honey stava
giocherellando con il bordo della maglietta e teneva puntati i suoi
occhi da gatta su di lui.
A JD faceva impazzire
quando
cercava di fare la seducente. Non capiva che non aveva
bisogno di
questi trucchetti: lei era seducente sempre, nella vita di tutti i
giorni. JD avrebbe voluto spogliarla anche mentre si accigliava
toccandosi il tatuaggio al polso.
Si alzò di
scatto e le corse
incontro, cingendola per la vita con un braccio e rovesciandole sulla
testa la birra che era rimasta sul fondo della bottiglia.
Seguì un
urletto a metà tra il divertito e il sorpreso.
- Cretino! Adesso
dovrò farmi la doccia!
- Guarda un
po’, era proprio quello il mio obiettivo. Adesso te la dovrai
togliere, la maglietta.
Epilogo:
l’esibizione.
- Non ci crederai, ma
ho finito. Amico, è stato un piacere lavorare su di te.
- E quando ti ricapita
uno che non
sente niente? Avresti potuto continuare per giorni e giorni di fila,
per quanto mi riguarda. Se ci abbiamo messo tanto è solo
perché a te si stancava il polso, segaiolo che non sei altro.
- E per non irritare
troppo la tua
pelle da femminuccia. La prossima volta ti tatuo le braccia,
così vediamo quanto fai lo spavaldo.
Ian sorrise. Di nuovo
quel mezzo
ghigno. Nel corso dell’ultimo mese e mezzo, JD
l’aveva
visto parecchie volte. Alla fine era andata proprio come aveva previsto
Honey: a forza di stare nella stessa stanza per tanto tempo, avevano
iniziato a parlare. Di musica, sport (Ian era stato un alteta), cibo
(condividevano la stessa passione per i cibi unti e bisunti e avevano
scoperto di aver frequentato per anni lo stesso fast-food). Solo una
volta Ian aveva accennato all’incidente, mentre parlava di
Carol.
JD aveva scoperto che la ragazza un po’ fatta che aveva
fissato
il primo appuntamento, stava con Ian da cinque anni e che era stata,
purtroppo per lei, una specie di valvola di sfogo, fino a quando lui
non si era deciso ad andare in terapia. Era anche venuto fuori che non
si faceva, ma le occhiaie e lo sguardo stralunato erano spesso causate
dal pazzoide tignoso in carrozzina che si ostinava a tenere come
fidanzato. Le ultime erano parole di Ian.
- La
verità, JD, è che ho sempre avuto una paura
fottuta di farmi un tatuaggio, proprio per il dolore.
- Lo sapevo! Questo
vuol dire che non vedrò più il tuo culo secco da
queste parti.
- Beh, dietro alla
gamba destra c’è ancora del posto libero, magari
mi verrà in mente qualcosa.
- Chissà.
Questo non cambia il fatto che sei una mammoletta. Vieni a farti un bel
tribale sul braccio, come fanno tutti!
Il ghigno di Ian si
allargò in un sorriso sincero, che si trasformò a
sua volta in una risata.
- Forza, rimettimi per
l’ultima volta in sella al mio destriero scintillante.
- Ti avviso: di
là si
sarà radunata una piccola folla di curiosi. Credo che Darla
abbia sparso la voce che questa era l’ultima sessione.
- Bene, spero che ci
sia anche quella topa della moglie del tuo amico!
- Attento, che se ti
sente poi non avrai problemi a farti tatuare anche le braccia!
Ad attenderli
all’ingresso
Darla, Honey, Big D con la famiglia al completo, sembrarono a Ian un
piccolo pubblico. Mentre usciva dallo studio fece il suo ingresso anche
Carol, pronta per portarlo a casa.
Se ne stavano tutti
lì,
fingendo di essere capitati per caso, quando Patti finalmente ruppe gli
indugi, esclamando: - Papà! Voglio vedere le belle gambe
colorate del signore sulla sedia!
- Come ti avevo detto
di fare? Te lo ricordi?
Patti
guardò il padre un paio di secondi, con
l’espressione pensosa, poi sorrise, si girò verso
Ian e disse:
- Per favore, mi fai
vedere le gambe colorate?
- Certo, piccola.
Guarda, questa è una signora brutta brutta che…
Patti lo interruppe
con un’espressione seria:
- Signore, quella mi
fa un po’ paura.
- Lo so, ma se vedi
sta per essere sconfitta. Da questo drago qui, vedi?
Ian alzò la
testa, cercando con lo sguardo il volto di Carol. Quando i loro occhi
si incrociarono, le sorrise.
- Tesoro, potresti
stendermi le gambe e appoggiare i piedi sul tavolino? Toglimi anche le
scarpe, per favore.
Tutti si avvicinarono
per osservare
da vicino il drago, che si avvolgeva intorno alla gamba e
sembrava prendere vita. IL corpo del dragone sfumava leggermente e si
trasformava, più si avvicinava alla caviglia sinistra di
Ian,
fino a diventare un sentiero, alla cui base stavano due figure che si
tenevano per mano. Una stava in piedi, l’altra era in
carrozzina.
- Questi sono i
padroni del drago?
Chiese Patti indicando
le minuscole sagome sulla caviglia di Ian.
- In un certo senso
sì. Io sono entrambi. Io com’ero prima e io come
sono adesso.
- E questi numeri sui
piedi?
- Sono la mia data di
nascita e la data in cui ho avuto l’incidente.
- E perché?
L’incidente è brutto!
- Sì, ma da
quel giorno sono
cambiato e mi devo sempre ricordare che le cose brutte accadono, ma non
ci devono fermare. E poi se non ci fosse stato l’incidente,
non
sarebbe arrivato il drago per sconfiggere la morte.
Patti sorrise di nuovo.
- Il drago mi piace.
- Anche a me.
Mentre guidava verso
casa, Carol
non aveva spiccicato parola. Ian l’aveva assecondata, senza
forzare la mano tentando una conversazione inutile. Le cose tra loro
erano migliorate impercettibilmente nelle ultime settimane e Ian aveva
ancora una paura fottuta che lei stesse solo aspettando il momento
giusto per lasciarlo.
Una volta arrivati
nella villetta
che lui si era potuto permettere grazie ai meriti sportivi, Ian le
chiese di aiutarlo a tendersi sul divano.
- Devo farti vedere
un’ultima
cosa. In realtà le mie gambe non sono completamente tatuate:
come vedrai, dietro alla sinistra sono rimasti parecchi spazi e quella
destra è ricoperta solo davanti. Diciamo che JD si
è
lasciato un po’ di spazio si cui lavorare, nel caso mi
venisse
voglia di farne un altro. Pensavo che fosse un po’ un
peccato,
perché, beh, dietro lo so solo io che
c’è qualcosa.
Sto sempre seduto e nessuno vedrebbe gli altri tatuaggi. Tranne te. Tu
mi aiuti, mi alzi, mi lavi, mi vesti.
Si fermò un
attimo. Gli
stava quasi venendo il fiatone per l’emozione. Aveva paura di
averla persa e sperava che quel piccolo gesto servisse almeno per
riaprire un dialogo tra loro. Si allungò fino a toccare la
propria caviglia e la ruotò verso l’interno, in
modo che
Carol vedesse cosa c’era alla base del polpaccio:
un’altra
data.
Finalmente anche lei
parlò:
- Ẻ quando ci siamo
messi insieme. Ti dimentichi sempre l’anniversario.
- Lo so.
Cercherò di mettere fine anche con questo. Intanto, me lo
sono tatuato.
Ian cercò
di sorridere.
- Spero che ti piaccia
- Moltissimo. Ẻ un
pensiero così… non ho parole. Grazie.
- Ecco, io pensavo che
sopra potrei farci mettere altre date, come quella del nostro
matrimonio, ad esempio…
- Non hai mai parlato
di matrimonio.
- No, lo so. Lo sto
facendo ora. Se vuoi.
- Se ne può
parlare.
Carol sorrise. Un
sorriso sincero per la prima volta dopo molti mesi.
- E non ti ho detto
della gamba destra.
- Mi hai appena detto
che vuoi sposarmi, cosa c’è di meglio?
- Che la gamba destra
è tua. Puoi decidere tu cosa farci tatuare.
- Hai ragione,
è decisamente meglio.
Note
Come
già scritto in premessa, questa storia è per il
compleanno di Dragana,
anche se viene pubblicata con qualche giorno di ritardo. Lo scopo del
ritardo sarebbe quello di darmi più
tempo per finirla
cercare di
non farti venire troppa nostalgia del Giappone tenendo tutti i regali
per il tuo rientro. Spero che la cosa funzioni, almeno in parte.
Devo ringraziare
millemila volte la mia complice, beta, supportatrice e sopportatrice Vannagio.
Tutti i personaggi che
compaiono in questa storia, ad eccezione di Ian e Carol, sono suoi e
compaiono nelle storie della serie: "Una
storia di metallo e inchiostro". Leggetele tutte,
più gli spin-off scritti dalla festeggiata (che trovate qui
e qui),
ve lo consiglio caldamente. Se volete approfondire la questione dei
fiocchi tatuati sulle gambe di Darla, iniziate con questa.
Per chi non lo
sapesse, Dave Grohl è il leader dei Foo Fighters.
L'intervista di cui parla Honey è questa.
Grazie a chiunque
passi di qui e abbia voglia di leggere fino alla fine.
Ancora tantissimi
auguri alla festeggiata, dai che mancano pochi anni ai 20!
JoL
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