CAPITOLO I
Anno 846
«Vuoi che non si
preoccupino per te. E allora devi salutarli col sorriso, tutto qua.»
Sentiva solo la sua
voce, continuava a sentirla nella testa, ma non aveva il coraggio di alzare gli
occhi dal dorso del suo cavallo. Lo scalpiccio degli zoccoli, il vociare della
gente, i pianti, le risate non erano ancora diventati un ricordo. Vedeva ancora
davanti a sé la criniera del suo cavallo, ipnotizzata da ogni crine rosso che
oscillava,
rosso colore del sangue – eppure
dovevano essere marroni, lo ricordava bene.
«Eliza, tesoro, cos’è
quella faccia?» Non stava più parlando con lei, era ovvio, e allora perché
ricordava ogni parola? «Ehi, ci vediamo più tardi. Preparami qualcosa da
mangiare, ti va? Quella di oggi è una spedizione veloce, non rientrerò tardi.»
Era stato allora che
aveva deciso finalmente di alzare la testa. Gunther, di fianco a lei, col
cavallo poco più avanti del suo, sorrideva a una giovane donna che lo guardava
atterrita. In mezzo a tutta la gente che li accerchiava, la ricordava spiccare:
era una bella ragazza, una lunga chioma rossa –
rosso colore del sangue. Divenne ancora più bella quando riuscì a
sorridere.
Gunther aveva quindi
lasciato scivolare di nuovo lo sguardo in avanti, gli si intravedeva un alone
nero pesare sulla fronte, gli occhi che non trasmettevano nulla del tono di
voce che aveva rivolto ad Eliza.
Lei allora aveva
capito. Si era fatta forza – ci era riuscita, e ora non ci riusciva più – e
aveva di nuovo cercato con lo sguardo i suoi genitori. Loro si stringevano l’un
con l’altra, sembravano così fragili.
Che ti salta in mente, Petra? Non te lo permetterò, non ti arruolerai!
Dov’era finito
l’autoritarismo di suo padre?
Che ti è saltato in
mente, Petra…
Si dipinse un sorriso
sul volto e lo fece per loro. Alzò una mano e li salutò, si mostrò sicura,
aveva continuato a sorridere fino al varco nelle mura.
Che ti è saltato in
mente, Petra?
Le accuse velenose che
continuava a rivolgere a se stessa avevano il tono e la colorazione della voce
di suo padre. Non c’era nessun cavallo che la sosteneva ora, non c’era nessuno
per cui dovesse fingere di essere serena. La sua divisa era sporca di sangue
che non le apparteneva e non si preoccupava di pulirsi, non voleva lavare
nulla, voleva solo ricordare.
Tremò più forte quando
rivide nella sua mente il gigante che si avvicinava, che l’afferrava, e il suo
cavallo cadeva a terra, e i suoi crini diventavano rossi. Continuava a guardare
in basso per non vedere i denti del mostro che l’avrebbero divorata.
«Petra? Ehi, Petra, mi
senti?»
Credeva di poter
ricordare, ma si era già dimenticata.
Chi l’aveva salvata?
Perché si era trovata a terra un minuto dopo?
«Petra!»
Voleva solo del
silenzio per potersi concentrare. Sentiva qualcuno che la scuoteva per un
braccio, le voci si facevano insistenti. Lasciatemi stare, pensava, lasciatemi
stare!
C’era del caldo tra le
sue gambe. Pensava fosse sangue, pensava di essere
ricoperta di sangue, ma non era vero. Serrò le cosce, non voleva
che la gente vedesse la sua vergogna. Era una codarda, una maledetta codarda,
non era quello il suo posto.
«Petra, ma che fai?!
Petra!»
Che ti è saltato in mente, Petra?!
Strinse gli occhi che
bruciavano per le lacrime e si coprì le orecchie con le mani.
«Basta… Basta…»
Gli occhi enormi del
gigante continuavano a fissarla, la gente cadeva a terra in laghi di sangue, il
gigante rideva,
rideva… Le mancava
l’aria, stava annaspando, forse era già stata divorata e si trovava in una
cavità orribile, e stava affogando nel mare dei morti.
«Che succede qui?»
Una voce nuova e fredda
si unì alle altre e fece trasalire Petra. Riconobbe finalmente i colori davanti
a lei, si ricordò di essere rannicchiata come una stupida in un angolo della
stazione di rifornimento.
«Petra…» Una voce dolce
alla sua destra e un picchiettare delicato sul suo braccio – era Auruo, il suo
miglior amico – ma lei aveva orrore di quello che c’era alla sua sinistra.
«Ha avuto un incontro
ravvicinato con un gigante e ora… È la sua prima spedizione, capitano, la
perdoni » sentì la voce di Gunther che in fretta cercava di giustificarla.
Petra avrebbe tanto
voluto smetterla di piangere e di tremare ma l’orrore la stava tenendo in una
morsa che le spezzava il respiro. Il capitano l’aveva vista nel peggiore dei
modi. Sentì qualcosa scivolarle vicino al braccio e capì che Auruo le stava
tenendo la mano. Lei a sua volta gliela strinse, con tutta la forza che aveva,
perché era l’unico brandello di casa che le era rimasto e lei avrebbe tanto
voluto tornarci, a casa.
«Soldato, riesci ad
alzarti in piedi?» disse la voce severa del capitano.
Le gambe di Petra
tremavano e lui chiese ancora: «Riesci a sentirmi?»
Il calore della mano di
Auruo, cercò di concentrarsi solo su quello e poco a poco capì che le stava
tornando il respiro.
«Mi basta un sì con la
testa. Ti prego, non farmi perdere troppo tempo. Riesci a sentirmi?»
Petra obbedì e scosse
la testa verso il basso.
C’era puzza di pipì e
lei sperava che il capitano se ne andasse presto.
Non osava voltarsi per vedere se lui aveva
notato la chiazza sui suoi pantaloni.
Ma lui non fece
commenti. Disse solo: «Hai paura di morire.»
Petra non capì se era
una domanda o un’affermazione e allora stette immobile. Capì che quello che
diceva il capitano era vero. Non era la vergogna, non era il dolore di avere
visto morire i suoi compagni, non era il rimorso di essere rimasta viva. Era
una maledetta e agghiacciante paura.
Il capitano si era
chinato su di lei e la sua voce, nonostante sussurrasse, per lei esplose come
una bomba.
«Non morirai oggi, hai
la mia parola. Ti terrò d’occhio e ti proteggerò, solo per oggi. Puoi smettere
di tremare.»
Quanto doveva essere
forte e sicuro di sé, un uomo, per poter parlare così?
Non disse altro e si
rialzò. Lei si accorse con profondo disagio che aveva davvero smesso di
tremare, e che il suo cuore riusciva di nuovo a controllare i battiti.
Lui se ne stava
andando, lei gli vedeva gli stivali neri che col minimo rumore si allontanavano
sicuri.
Auruo continuava a
tenerle per mano e lei fece scivolare via la sua.
Cos’era successo? Il
capitano aveva mostrato compassione?
Nessuno fiatava e lei,
con un vago ronzio nella testa, si mise sulle ginocchia e poi, a fatica, si
alzò. Si rivolse alla nuca mora del capitano, tra due forti spalle che
sarebbero state davvero in grado di proteggerla.
Ma lei non lo avrebbe
mai permesso.
«Capitano!» chiamò con
voce un po’ rauca.
Non è per questo che sono
entrata nella legione esplorativa, esplodeva una voce indignata nella sua
testa, non è per farmi proteggere da un uomo che sono diventata un soldato.
Il capitano Levi si era
voltato con viso impassibile.
«La ringrazio, ma non
importa» disse Petra, con la voce che tramava appena
«So cavarmela da sola.»
Il viso di lui rimase
impassibile e le sue labbra si schiusero per mormorare: «Ottimo.»
I suoi occhi erano
ancora glaciali ma, forse Petra lo immaginò soltanto, una luce di approvazione
vi brillò all’interno per un attimo.
Petra Ral non aveva
conosciuto altro mondo che quello dei giganti.
Lei e la sua amica
Stefanie avevano maturato insieme il sogno di entrare nella legione
esplorativa. Fin da ragazzine, assistevano con ammirazione ad ogni
passaggio di quell'esercito che ogni volta che varcava le mura - il
confine tra umanità e mostruosità, la soglia della loro
prigione - si trovava a faccia a faccia con le prorie decisioni e il
proprio coraggio.
Quando li vedeva
passare a cavallo, coi loro volti decisi e con il trionfo negli occhi, sognava
il momento in cui sarebbe stata con loro.
Non c’era un motivo
preciso, non c’era la voglia di gloria e lo spirito d’avventura; Petra nutriva
solo il desiderio di fare qualcosa di utile.
Aveva sedici anni
quando cominciò l’addestramento.
«Perché?» aveva
soltanto chiesto suo padre.
«Vuoi… vuoi entrare
nella polizia militare?» aveva detto sua madre.
«La legione
esplorativa, mamma. Quelli che vanno fuori dalle mura.»
I litigi, le
incomprensioni, i pianti.
Qualcuno lo deve pur
fare, diceva Petra.
«E allora lascia che lo
faccia qualcun altro!»
Petra Ral non era una
ragazza come le altre che sognava di sposarsi e di avere bei vestiti. Anche suo
padre dovette rendersene conto, perché alla fine la lasciò andare.
«Non avrò dei nipotini»
piangeva sua madre. Stanca, col volto piegato dalle rughe, aveva faticato tanto
per poterla crescere. «È così che ci ripaghi della vita che ti abbiamo donato?!
Vendendola?»
Dopo tre anni di
addestramento, Petra era tornata a casa.
Aveva spiegato di
essere risultata la quarta migliore di tutto il gruppo, e che i primi dieci
avevano la possibilità di scegliere se arruolarsi nella polizia militare o
nella legione.
Sua madre si era allora
buttata sulle ginocchia davanti a lei e l’aveva implorata di scegliere la
polizia.
«Non sono come loro, mamma,
non posso.»
Sua madre non era più
riuscita ad alzarsi da terra ed era scoppiata in lacrime. Non conosceva la
realtà dei giganti, era questo che la schiacciava. Suo padre, lui non aveva
detto niente e non aveva mosso un muscolo. Gli occhi arrossati dicevano che
stava per piangere ma la sua lingua affranta disse: «La quarta della classe.
Siamo orgogliosi di te.»
Al momento del discorso
del comandante Erwin, il momento decisivo in cui le reclute avrebbero dovuto
decidere da che parte stare, Petra domandò di nuovo ad Auruo se era sicuro
della sua scelta. L’aveva conosciuto durante l’addestramento. Cresciuto in una
famiglia numerosa, Auruo non voleva altro che poterla tenere al sicuro. Avrebbe
voluto anche lui, un giorno, una famiglia sua, a cui garantire un futuro, e per
farlo avrebbe dovuto entrare nella polizia militare, per guadagnarsi (o
comprarsi) quel posto tanto agognato nella cerchia di mura più interna.
Erwin fece il suo
discorso e Petra si accorse, per la prima volta, che aveva paura. Aveva talmente
tanto a lungo lucidato il suo sogno, che ne aveva sempre visto solo i contorni.
L’involucro era bellissimo, rilucente d’oro, l’interno era spaventoso.
Stava davvero donando il suo cuore.
Si voltò verso Stefanie
e si chiese se quell’espressione che le vedeva in volto l’avesse anche lei. Gli
occhi sgranati, le labbra che tremano, le guance rosse. Poi lei,
inaspettatamente, scosse la testa e fuggì via.
Petra avrebbe voluto
chiamarla, avrebbe voluto ricordarle che i passi dei soldati sono leggeri e
furtivi, non veloci e vigliacchi.
Alla sua sinistra,
Auruo era rimasto, con l’orrore e la lotta ben impresse sul suo volto. Non
potevo mica lasciarti da sola, le aveva detto poi, dove pensavi di andare senza
di me?
Non lo sai quanto te ne
sono grata, pensava Petra, fuori dall’ufficio del capitano, mentre ricordava la
vicinanza dell’amico e la sua mano che la teneva stretta.
Si fece forza, cercando
di rammentare la ragazzina fiera e coraggiosa che era e bussò alla porta.
La voce di Levi la
invitò ad entrare, lei aprì e si ritrovò col fiato sospeso, come se fosse
davanti a un gigante.
Non era un uomo
particolarmente accattivante, anzi, forse era tutto il contrario di
accattivante, con quegli occhi piccoli e annoiati, capaci di demolirti l’animo
in un istante, incastrati in un viso cereo e spigoloso. I capelli scuri e
curati gli ricadevano sulla fronte ampia e distesa. Non si corrugava mai,
quella fronte, il che era strano per un capitano – non avrebbe dovuto avere
innumerevoli responsabilità? Si era guadagnato l’appellativo di insensibile,
quel capitano, non per niente.
«Dimmi, soldato» disse,
seduto alla sua scrivania, guardandola attentamente.
Petra deglutì. Avrebbe
dovuto immaginarlo che lui non si sarebbe ricordato di lei.
Parlò lo stesso,
sentendosi diventare rossa: «Volevo scusarmi con lei per quello che è successo
durante la spedizione. E volevo ringraziarla per… essere stato indulgente. E
per avermi concesso protezione. È stato… buono.»
Levi strinse gli occhi
e parve riflettere.
«Oh» disse «Sei quella
ragazza.» Chinò la testa da un lato e continuò a fissarla. «Non mi devi
ringraziare.»
«Io…»
«Volevo solo che la
smettessi di tremare, un soldato che trema non mi serve a niente. Saresti stata
un pericolo non solo per te stessa, ma anche per gli altri. Non lo tollero.
Spero non accada più.»
A Petra parve di
rivedere le fauci del gigante, ma erano solo le labbra del capitano, taglienti
come lame.
Fece per congedarsi ma
lui parlò ancora, lei non vedeva l’ora che la smettesse. Non sarebbe dovuta
andare da lui, cosa gli voleva dire? Giustificarsi? Assicurarsi che lui non la
disprezzasse?
«Come ti chiami?»
Petra aveva già
abbassato lo sguardo in segno di pentimento; lo rialzò stupefatta.
«Petra Ral, signore.»
«Hai un buon
potenziale, Petra. Non sprecarlo» disse lui, con tono non meno duro.
Non aggiunse altro e tornò a guardare le carte
sulla scrivania. Petra capì di essere stata congedata e uscì dalla stanza. Non
aveva capito bene il significato delle parole di Levi, si chiedeva come facesse
a sapere che aveva un buon potenziale se l’unico momento in cui l’aveva vista
stava frignando e si era fatta la pipì addosso. Forse era al corrente della
classifica di loro nuovi arrivati? Sì, doveva essere così , quindi sapeva che
lei era risultata la quarta del loro gruppo. Petra sospirò – che magra figura.
Camminò fino alla sala
comune, nella speranza di trovare qualcuno di più amichevole di del capitano, ma
poi si rese conto che era una speranza vana. Di solito, così le era stato
detto, si faceva baldoria qualche sera prima della spedizione, una sorta di
inno alla vita, o alla morte che stava forse per giungere. Invece la sera
stessa delle spedizioni, dopo il rientro, ci si leccava le ferite ognuno per
proprio conto – non c’erano mai motivi per festeggiare. Lei non aveva
festeggiato neanche prima della partenza. I più grandi avevano provato a porle
un bicchiere, poi l’avevano guardata in faccia e avevano capito che era nuova. «Ti
ci abituerai» le aveva detto un ragazzo particolarmente allegro «Col tempo
capirai che vale la pena di divertirsi,
sempre.
Non sai mai quando toccherà a te morire!» Poi aveva cercato di baciarla e lei
era fuggita a cercare Auruo. Quello stesso ragazzo dopo qualche ora aveva
cominciato a urlare che non voleva morire, poi aveva vomitato ed era scoppiato
in lacrime. L’avevano portato via in braccio.
«Spero di essere già
morto, prima di ridurmi così» aveva commentato Auruo.
«Mi dispiace per lui»
aveva ammesso Petra «Mi dispiace così tanto…» Ricordava che le erano venute le
lacrime agli occhi, allora Auruo l’aveva abbracciata e le aveva detto che
sarebbe andato tutto bene, che loro avrebbero festeggiato al ritorno, perché
era così che si doveva fare. Sembrava avere più senso e anche Petra stessa ne
era convinta, ora non più. Nessuno aveva voglia di festeggiare sopra il ricordo
dei morti e del sangue.
Sconfortata dopo il
colloquio col capitano Levi, fu tentata di andare nel dormitorio dei maschi a
cercare Auruo. Forse anche Gunther, più grande e più esperto di loro, avrebbe
potuto tirarla su.
Smettila di fare la
bambina, si rimproverò, fermandosi in mezzo al corridoio. Anche loro erano
stanchi, di certo non avevano voglia di sentirla di nuovo piangere.
Se ne tornò sui suoi
passi e andò nel dormitorio femminile, diretta verso la stanza che condivideva
con altre quattro ragazze. Avrebbe dovuto cominciare a fare amicizia anche con
loro, del resto condividevano lo stesso destino. Non c’è niente di più triste
che condividere lo stesso destino – forse perché era il loro destino ad essere
triste – ma era anche appagante, in un certo senso: ci si sentiva capiti.
Sentiva un gran
bisbigliare fuori dalla porta ma, non appena abbassò la maniglia, quello cessò.
Le ragazze erano ognuna seduta sul proprio letto e guardarono Petra come se le
avesse appena colte in flagrante.
«Ciao» salutò Petra, a
disagio «Scusate per l’ora, forse ci ho messo tanto.»
«Ma dove sei stata?»
domandò Aniela, sospettosa, mentre si raccoglieva i capelli biondi in una coda.
Petra ricordò le parole
del capitano e si vergognò. Non voleva dire di essere stata da lui perché
altrimenti avrebbe dovuto dire anche cosa si erano detti.
«Oh, ero con Auruo.»
Aniela fece un sorriso
malizioso ma fu Toska a ridacchiare antipatica e a dire: «A farti consolare
ancora, povera… Ora stai meglio?» Dal suo letto, le rivolse due occhi blu e
freddi, con le sopracciglia fintamente preoccupate, incurvate verso l’alto in modo
drammatico.
Petra non riuscì a dire
nulla e si precipitò sul suo letto.
«Ral, stai attenta, che
le lenzuola non le cambiano tanto spesso qui…» insistette Toska, e Aniela rise
con lei della sua battuta.
Petra si spogliò
silenziosamente e si impose di non piangere. Non sapeva cosa rispondere,
avrebbe potuto mandarle a quel paese, ma non ci riusciva, forse perché la
vergogna era ancora tanta. Ricordò suo padre mentre diceva
quarta della classe…
«Oh insomma» si sollevò
la voce di Giulia, dal letto sopra il suo «Voi alla vostra prima spedizione non
avete avuto paura?»
Claire invece era
girata su un fianco e non diceva nulla, le si vedeva solo la schiena incurvata
e i corti capelli mori. Già dormiva, o faceva finta.
Petra si accucciò sotto
le coperte e cercò di ignorare le voci delle sue compagne. Era molto stanca,
ogni suo muscolo implorava pietà, e anche il suo cuore gridava di essere
lasciato in pace. Aveva visto la morte in faccia, non poteva farsi turbare da
simili commenti maligni. Doveva solo essere grata, perché era viva.
Ma, dopo poco, non poté
fare a meno di piangere, con silenziosi singhiozzi soffocati nel cuscino,
perché la sua mente vagava come in un delirio, e lei non poteva fare altro che
restare aggrappata a quella giostra.
Sognò, o forse lo pensò
soltanto, ancora il sangue. I crini del cavallo diventavano rossi, i capelli
della ragazza di Gunther erano fuoco – lui non poteva salvarla. La bocca di un
gigante si avvicinò e ne uscì la voce fastidiosa di Toska, poi Toska la
inghiottì e mentre lei cercava di risalire dalla gola, nel flusso di sangue che
incessantemente scorreva, e mentre poggiava il suo corpo su quella lingua
viscida e velenosa, vedeva tra i denti sporchi e affilati il viso del capitano,
che indifferente la guardava, e la salutava.
Avevo scritto questa cosina tanto tempo fa chiedendomi se volessi
davvero impegnarmi a portarla avanti. Non sono esperta di fan fiction,
mi piace di più scrivere originali ma poi ho pensato potrebbe
essere un esperimento interessante. Avrei tanto voluto che fossero
più approfondite le storie di Petra e dei suoi compagni, e
quindi perché non provarci? Cercherò di essere il
più possibile fedele al manga-anime coi riferimenti, e
ovviamente di non snaturare i caratteri dei personaggi: non sarà
facile!
Non sarò proprio
velocissima negli aggiornamenti perché vorrei dare la precedenza
a un altro progetto più impegnativo, ma prometto che non
abbandonerò la storia :) Fatemi sapere cosa ne pensate!