The little match boy
Fandom:
Supernatural, again
Titolo: The Little Match Boy
Personaggi: Famiglia Winchester (POV Dean)
Rating: Giallo (ero indecisa con l'arancione per il livello di tragicità ma poi boh...)
Genere:
Angst, purtroppo ç__ç i miei lettori hanno un nuovo punto
da aggiungere alla lista "perché Bea è Satana e
perché la odiamo" ma... ieri studiavo, ho letto questa fiaba e
DOVEVO.
Avvertimenti: Tematiche
Delicate (in realtà non so quanto valga... ma una storia
strappalacrime come questa è un suicidio puro, e quindi
sì, voglio avvertirvi, ecco D:)
Contesto: Prima della serie, Dean ha 8 anni e Sam 4. Ma è tipo una mezza AU, non saprei come definirla :S
Riassunto:
John è a caccia, Sam vuole mangiare ma non c'è più
cibo, e Dean non può sopportare di vederlo così. Una
fiaba dove i protagonisti sono il freddo, un piccolo Dean affamato, e
un solo oggetto in tasca che lo trascinerà lontano...
Banner: Ormai ci ho preso
gusto, e così grazie anche all'aiuto di una mia amica, sono
riuscita a trovare l'immagine giusta! Spero che gradiate! :3
Note:
Ho scritto questa storia tutta in una notte, dopo cena. L'idea mi era
venuta studiando un libro sulle fiabe, e leggendone una in particolare
che avevo sentito nominare spesssimo da piccola ma non avevo mai letto
per davvero... e quando l'ho fatto sono rimasta traumatizzata. E in
lacrime. E con un grande turbamento all'altezza del petto.
E ovviamente, siccome mi conoscete, sapete che non riesco a reggere il
dolore da sola e mi sento in dovere di condividerlo con qualcuno.
Leggendo la storia il paragone con Dean è stato immediato. Mi
è venuta in mente come un'onda che tocca una spiaggia:
all'improvviso, e ha trascinato via ogni altro pensiero. E così
l'ho scritta, e riletta, e vorrei pugnalarmi perchè farebbe meno
male... e per giunta non credevo che avrei mai scritto una storia
peggio della scorsa.
Eppure eccomi qui.
Mi dispiace. No, davvero, lo ripeto sempre ma... è così. Mi dispiace tanto. Abbracciamoci T__T
Note al quadrato:
Non ho nominato la fiaba non perché me ne sono dimenticata -la
memoria ce l'ho ancora buona... credo o.o- ma perché non voglio
spoilerare nel caso l'aveste già letta. Nel testo ci sono alcune
parti -piccole frasi- rimaste invariate. Lo stile infatti è
molto fiabesco... detto questo, vi lascio tutte le informazioni alla
fine della storia! :)
Disclaimer: I
personaggi {purtroppo} non mi appartengono, ma anzi direi {per fortuna}
perchè cioè... toglietemi Dean dalle mani. No,
seriamente. Salvate quel povero ragazzo... con me non ha scampo.
Perchè lo tratto così? PERCHE' LO TORTURO IN QUESTO MODO?
T___T
A questo punto non posso che augurarvi buona mort---emh volevo dire lettura! ^^"
Soundtrack che ho
ascoltato scrivendo la storia (ascoltatela perché crea l'atmosfera perfetta): Sleeping At Last - Uranus
Faceva un freddo terribile, la
notte di San Silvestro: la neve calava come un manto compatto sulle
strade di Dallas, ricoprendole di bianco. Le porte sbarrate, il vento
che fischiava tra i rami secchi degli alberi spogli, le strade quasi
deserte a quell'ora della notte, la poca gente presente che correva per
tornare a casa, imbacuccata nei suoi cappotti.
In quel freddo, in quel buio, un povero ragazzino girava per
le vie, a capo scoperto, a piedi nudi.
Le scarpe le aveva, a dire il vero... un paio di vecchi mocassini di
papà, troppo grandi per i suoi piccoli piedi: ma poi, nella
furia della corsa, Dean aveva attraversato la strada e i fari di una
macchina comparsa all'improvviso l'avevano accecato.
Era inciampato sulla punta troppo larga, ed era caduto tra la neve. Uno
dei mocassini era stato trascinato via dalla macchina slittante,
l'altro era caduto chissà dove: il ragazzino aveva tentato
di scavare nella neve gelida, con le dita che si sbucciavano per il
freddo, quasi viola, ma un secondo paio di fari gli aveva ricordato che
si trovava ancora in mezzo alla strada.
E così era rimasto scalzo.
Ed avanzava stringendosi nella giacca di pelle di papà, le
maniche più grandi delle sue piccole mani: continuava ad
andare avanti ricercando la via di casa, col vento che gli scuoteva i
capelli, nuvolette di vapore che si levavano dalle sue labbra ad ogni
respiro, il freddo che gli si era incanalato nelle ossa.
Stava tremando.
Infilò allora le mani in tasca, alla ricerca di un po' di
calore, e in quella di destra si ritrovò a toccare una
superficie ruvida.
Estrasse la mano, aprendo le dita e puntando gli occhi su quello che
era un pacchetto di fiammiferi: tutto ciò che era riuscito a
rubare...
John era uscito quella sera: una chiamata nel cuore della notte, era
corso via tanto di fretta da scordarsi la giacca di pelle, aveva
imbracciato il fucile ed aveva aperto la porta, colto da un ventaglio
di aria gelida e fiocchi di neve.
La caccia lo chiamava... e anche Sammy lo chiamava. Aveva quattro anni,
il piccolo Sam, seduto sul divano davanti ad una televisione che
catturava a stento un canale, e si lamentava di aver fame.
«Bada a Sam» gli aveva ingiunto suo padre,
puntandogli contro il fucile per indicargli che stava parlando con lui
«Io tornerò presto.»
«Ma papà-... è l'ultimo
dell'anno» era stato il debole tentativo di Dean, subito
stroncato dallo sguardo severo di John. «Tornerò
presto. Fai mangiare Sam» e senza attendere risposte era
uscito fuori come una furia, richiudendosi la porta alle spalle con un
tonfo.
Dean aveva dovuto ingoiare ogni obiezione, avrebbe voluto ricordare al
padre che il frigo era vuoto, che non c'era più cibo.
Avrebbe voluto urlargli che era un bugiardo, perché ogni
volta che prometteva di tornare "presto", presto non era mai presto. E
passavano giorni... a volte settimane.
E Dean fissava la porta, sperando che si aprisse, che mostrasse la
figura alta e sicura del padre, col fucile in spalla. Che suo padre
entrasse con un sonoro "sono tornato!"
E invece doveva convivere col terrore di non vederlo più
spuntare... che durante la caccia qualcosa andasse storto, che forse
suo padre non sarebbe tornato questa volta.
Che lui e Sam sarebbero rimasti da soli.
E quella sera non sembrava essere diversa dalle altre... se
nonché, Sam aveva iniziato a piagnucolare, inizialmente,
tirandogli la stoffa della maglietta al ritmo di "ho fame, Dean! Ho
tanta fame!"
E Dean non aveva avuto cuore di dirgli che non avevano da mangiare. Il
motel era una camera sgangherata, col soffitto che perdeva acqua, e la
finestra rotta da cui soffiava un vento impetuoso.
Sam aveva la febbre, era avvolto in quattro coperte, tremava e piangeva
per la fame, e Dean non sapeva cosa fare.
Sapeva solo che non poteva sopportare la vista del suo fratellino
ridotto così: e allora gli aveva rimboccato le coperte,
prestandogli il suo pupazzo preferito -l'orsetto Castiel- per fargli
compagnia, comunicandogli che sarebbe uscito a prendere da mangiare.
Sam aveva protestato inizialmente, gli aveva afferrato la mano in
lacrime, gli aveva gridato di restare.
Di non abbandonarlo.
Io non sono come
papà, aveva pensato Dean, non ti abbandonerò
mai, Sam.
Gli aveva dato un bacio in fronte e Sam si era tranquillizzato: Dean
aveva questo effetto su di lui.
Cas, proteggi mio
fratello, pensò Dean mentre vedeva il piccolo
stringere l'orsacchiotto in trench, affondando il volto sul cuscino.
E così Dean era corso fuori, tentando di fare qualche
giochetto con le carte per ingannare un ignaro avventore. E mentre un
vecchietto era fermo ad osservare la carta che aveva appena rigirato,
Dean gli aveva infilato la mano in tasca ed era corso via, dopo aver
afferrato la prima cosa che gli era capitata tra le mani.
Il vecchio se n'era accorto e aveva iniziato a urlare, agitando alcune
persone che erano lì accanto, mentre Dean se la dava a gambe.
Lo inseguirono, riuscì a seminarli.
Quartiere dopo quartiere... poi c'era stato il quasi incidente e adesso
eccolo lì, esausto, infreddolito, col respiro corto, i piedi
scalzi e le mani quasi blu, con tra le dita quello che aveva creduto
potesse essere un portafoglio, o al massimo una scatola di caramelle.
Ma no, era solo una stupidissima e inutilissima
scatola di fiammiferi!
Fiammiferi!
Cosa avrebbe fatto adesso?
Il suo stomaco brontolò... Sam non era l'unico ad aver fame.
I fiocchi di neve gli cadevano sui corti capelli biondi, e sul naso
sparso di lentiggini. Ma non pensava a questo.
Tutte le finestre scintillavano di lumi, per le strade si spandeva un
buon odorino di crostata di mele. Era la vigilia del Capodanno: a
questo pensava.
Nell’angolo formato da due case, di cui l’una
sporgeva innanzi sulla strada, sedette abbandonandosi, rannicchiandosi
tutto, tirando su le gambe fasciate dal jeans sgualciti e circondandole
con le braccia.
Il freddo lo prendeva sempre più, ma non osava tornare a
casa: come poteva tornare da Sammy, che lo avrebbe aspettato con un
sorriso sdentato e le braccia aperte, con la speranza negli occhi
verdi... mostrandosi a mani vuote?
Come poteva metterlo a letto, accarezzargli i capelli e dirgli "Eih
fratellino... va tutto bene, domani mattina faremo una colazione da Re,
okay?".
Come avrebbe potuto distruggere ogni sua speranza? E se la febbre fosse
salita?
E se suo padre fosse tornato nel frattempo? Erano già
passate molte ore da quando era andato via.
Dean non osava tornare a casa: suo padre l'avrebbe di sicuro picchiato.
Era questo che faceva, quando usciva senza il suo permesso, quando
lasciava il fianco di Sammy, anche solo per un istante.
In più, aveva perso i suoi scarponi e le carte, e aveva
recuperato solo una scatola di fiammiferi.
Sentì la rabbia risalirgli agli occhi come lacrime di
frustrazione: strinse spasmodicamente le piccole dita attorno alla
scatola, pronta a lanciarla via, quando si interruppe.
Le sue mani lentigginose erano quasi morte dal freddo. Se solo avesse
potuto riscaldarsi in qualche modo...
Fissò la scatoletta, se la rigirò tra le mani
tremanti e cercò l'apertura. Le dita erano intirizzite e
iniziavano a perdere sensibilità, le labbra viola tremavano
ed erano spaccate, Dean poteva sentire il sapore del sangue.
Non c'era nessuno lì intorno: si udiva in lontananza il
rumore di qualche ruota sull'asfalto, di qualche clacson, ma era
lontano... troppo
lontano.
I suoni diventarono sempre più flebili.
Un'altra folata di vento fece rabbrividire Dean sotto la giacca troppo
larga. Si strinse ancora di più in sé stesso, col
fiato corto e un singhiozzo smorzato. Ma c'era così freddo
che pure le lacrime si congelarono.
Puntò gli occhi verdi sull'imbocco della strada e si
aspettò, come per magia, veder spuntare l'Impala.
Ma ciò non accadde.
Un ennesimo colpo di vento lo costrinse ad agire. Finalmente
riuscì ad aprire la scatola di fiammiferi, non senza
difficoltà: si scheggiò col legno e non si
curò nemmeno di asciugarsi la goccia di sangue. Aveva perso
sensibilità alla punta delle dita.
Cavò fuori il primo fiammifero e lo strofinò sul
lato della scatoletta e trracc!
Come scoppiettò! Come bruciò! Mandò
una fiamma calda e chiara come una piccola candela, quando la
parò con la mano per impedire al vento di soffiarvi sopra ed
estinguerla.
Che strana luce!
Dean si perse in quella fiammella guizzante che gli bagnò il
volto di un calore piacevole. La lacrima incastrata tra le ciglia si
sciolse e rotolò giù.
All'improvviso il fuoco si allargò e Dean si trovava nella
vecchia casa di Lawrence, davanti al camino che sua madre aveva appena
acceso.
Il fuoco ardeva gioioso e riscaldava da matti.
E Dean aveva così freddo che allungò
immediatamente le gambe rigide... ma non appena lo fece, la fiamma si
spense e il camino scomparve con essa.
Dean si ritrovò seduto sulla neve, con le gambe praticamente
immobili e livide e un fiammifero consumato in mano: batté
le palpebre, preso in contropiede.
Dov'era finito il camino?
Gettò via ciò che rimaneva del fiammifero e ne
estrasse un secondo: con urgenza lo accese.
Anche questo bruciò, rischiarò e il muro, nel
punto in cui la luce batteva, divenne trasparente come un velo. Il
bambino vide proprio dentro la stanza, dove la tavola era
apparecchiata, con una bella tovaglia d’una bianchezza
abbagliante: su di essa svettava ogni ben di dio.
Un panino coi bordi tagliati, una grande bistecca, e soprattutto al
centro, una grande crostata di mele appena sfornata.
Dean si leccò le labbra screpolate, immaginando
già di pregustare quella delizia, la fragranza di mele calde
e la croccantezza del bordo, e la crostata del resto pareva
avvicinarglisi sempre di più, balzando fuori dalla formina
argentata.
Ma poi, proprio quando era arrivata quasi a portata di mano, il
fiammifero si spense, e Dean non vide altro che il muro opaco e freddo.
Sbatté una mano contro di esso, con un gemito sofferente,
quasi a volerlo spaccare e prendere la crostata, ma anche quando non
avrebbe avuto la forza nemmeno di staccarne l'intonaco...
Si rigirò con le spalle che singhiozzavano... la fame lo
mordeva dall'interno, il freddo dall'esterno.
Avrebbe voluto piangere ma non ne aveva la forza.
La vista gli si fece sempre più appannata, pensò
fosse per via delle lacrime.
Voleva ancora vedere la crostata, o il camino, e così accese
un terzo fiammifero.
Il ragazzino si ritrovò sotto ad un magnifico albero, ancora
più grande e meglio ornato di quello che aveva visto l'anno
prima a casa di Bobby, alla vigilia di Natale.
Migliaia di lumi scintillavano tra i verdi rami, e due voci familiari
ridevano: John Winchester afferrò Sam da sotto le ascelle e
lo sollevò per fargli sistemare la stella sulla punta
dell'albero.
Sam rise contento e John con lui, poi entrambi si voltarono.
«Eih Dean, vieni qui!» gli sorrise suo padre,
felice di vederlo. Sam emise un gorgheggio estasiato e
allargò le braccia, ripetendo: «Deaaaan!»
Sull'albero c'erano appesi inoltre certi angeli colorati, come quelli
che si vedono esposti nelle mostre dei negozi, e uno di loro in
particolare, con un trench beige, sembrava guardare Dean. Lui stese le
mani... e il fiammifero si spense.
Gli angeli di Natale volarono su in alto, sempre più in alto.
E lui comprese allora che erano in realtà le
stelle lucenti, e che stava solo guardando il cielo. Lasciò
la presa sul fiammifero bruciato.
Una stella cadde, e segnò una lunga striscia di luce sul
fondo oscuro del cielo.
«Un angelo...» disse il ragazzino con la voce
spezzata dal freddo, perché la sua cara mamma
(l’unica persona al mondo che l’avesse trattato
amorevolmente -ma anche lei era morta) la sua cara mamma gli aveva
detto, una volta: "Quando
una stella cade, un angelo scende sulla terra per portare un'anima su
in cielo. Gli angeli vegliano su di te."
Strofinò contro il bordo un altro fiammifero, che
mandò un grande chiarore all’intorno; ed in quel
chiarore la sua adorata mamma apparve, tutta raggiante, coi capelli
biondi scossi dal vento, e mite, e buona...
«Oh, mamma!» gridò Dean, allungando una
mano verso di lei «Prendimi con te! So che sparirai, appena
la fiammella si spegnerà... come sono spariti il camino, la
crostata di mele, e il grande albero di Natale fatto da papà
e Sammy...»
Mary si limitò a sollevare gli angoli della bocca, con
dolcezza, ma la sua immagine parve sbiadirsi.
Dean sussultò.
No, aspetta... non
andartene!
Col cuore in gola accese tutti insieme i fiammiferi che ancora
rimanevano nella scatolina, per trattenere la mamma. I fiammiferi
diedero tanta luce, che nemmeno di pieno giorno è
così chiaro: Mary Campbell tornò nitida, e non
era mai stata così bella, così grande...
«Mamma...» sussurrò Dean con le ultime
forze.
Mary prese il bambino tra le braccia, ed insieme volarono su, verso lo
Splendore e la Gioia, su, in alto, in alto, dove non
c’è più fame, né freddo,
né angoscia... e giunsero presso Dio e i suoi angeli.
Ma nell’angolo tra le due case, allo spuntare della fredda
alba, fu visto il ragazzino, con le gotine sparse di lentiggini ed il
sorriso sulle labbra, -morto assiderato nell’ultima notte del
vecchio anno. La prima alba dell’anno nuovo passò
sopra il cadaverino, disteso là, con la scatola dei
fiammiferi quasi tutta bruciata.
«Ha cercato di scaldarsi...» dissero. Ma nessuno
seppe tutte le belle cose che aveva visto; nessuno seppe tra quanta
luce era entrato, con l'amata mamma, nella gioia della nuova Alba.
FINE
~•~Angolo Autrice~•~
Siete... siete ancora vivi?
*deglutisce*
*Osserva il fiume che le passa accanto, poi comprende che sono le
lacrime dei lettori, quindi sale sulla sedia per non bagnarsi i piedi e
poi immerge una fiaschetta nelle lacrime per riempirla. E' così
che Satana si nutre*
NO SCUSATE.
CIOE' IO DEVO ANCORA RIPRENDERMI CAPITE.
*espira* *sospira* *espira*
Okay mi calmo.
Allora...
La fiaba da cui mi sono ispirata è "La piccina coi fiammiferi" o
anche detta "La fiammiferina", in inglese conosciuta come "The little
match girl" che ho sostituito al maschile perché il paragone con
Dean era impossibile da non immaginare.
Il nostro è un fandom così tragico e disastrato che
quando nella storia originale lessi "non osava tornare a casa: il padre
l'avrebbe sicuramente picchiata" mi ha fatto pensare "oh guarda...
proprio come John" al che il mio cervello è andato un attimo in
stand-by, e poi si è formata questa... porcheria.
Dopo The boy who waited vi avevo promesso di scrivere una storia
più felice... ma mi sa che il mio compito qui sarà
ricordarvi di piangere.
Ma citando una frase di LOTR, "non dirò: «non piangete», perché non tutte le lacrime sono un male".
E questo credo sarà il mio motto d'ora innanzi.
Spero comunque che questa storia abbia lasciato qualcosa nel vostro
cuoricino, come a me ha lasciato tanto dolore e tanta pena e tanta
tenerezza, spero di scongelare il freddo che mi ha creato il finale con
un grande abbraccio. Vi stritolo tutti/e! T_T
Non so cos'altro dire, sarebbe tutto inutile...
Quindi un ultimo appello:
Mi... mi dispiace. Dal profondo del cuore ve lo dico.
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–Se volete avventurarvi in una storia d'amore tragica che oltrepassa le leggi del tempo, vi consiglio: The boy who waited - too late
–Se invece volete sorridere con una commedia ricca di fraintendimenti e tanto fluff, vi rimando a Love interest - when you can't just escape
(sono entrambe di cinque/sei capitoletti ciascuna cwc)
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l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni
di scrittori.
(Chiunque
voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove
meglio crede)
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