Note:
questo è un capitolo cestinato della fanfiction September in
the
rain. Lo tolsi insieme ad altri in fase di correzione,
perché non lo
so. Forse la storia sarebbe risultata troppo lunga e pesante, forse
non era davvero importante.
Comunque
oggi cercavo tra i file qualcosa per Halloween e mi è
capitata
sott'occhio, così ve la propongo. Si colloca tra i capitoli
4 e 5,
orientativamente, ma può essere presa per quello che
è, anche senza
inquadrature.
E
niente, non è niente di che, giusto un po' di Halloween nel
fandom.
E
Raph dovrebbe davvero imparare ad ascoltare quello che gli viene
detto, una volta tanto.
Abbraccio
alla zucca e cioccolato!
Happy
Halloween.
Il
30 di Ottobre, Isabel gli fece una strana richiesta. Aveva appena
finito di eseguire una sequenza di calci e pugni alternati contro il
sacco da boxe e si stava asciugando la fronte con un asciugamano.
“Domani
non posso proprio allenarmi. E sarebbe meglio che tu non
venissi.”
Raph
si allontanò dal sacco, che aveva tenuto fermo
perché lei trovasse
resistenza mentre colpiva, e la guardò sorpreso.
“Spiegami”
soffiò fuori, conciso. Perché la metà
delle cose che Isabel diceva
non aveva senso per lui e aveva capito che non valeva la pena di
arrabbiarsi prima di capire di cosa diamine stesse parlando.
“Domani
è il 31 di Ottobre” disse semplicemente lei, come
se non dovesse
aggiungere altro.
Ah,
già... Halloween. L'unica notte dell'anno in cui lui e i
suoi
fratelli potevano uscire e gironzolare per la città senza
problemi,
perché gli sciocchi umani pensavano che fossero in costume.
Da una
parte era liberatorio potersi mischiare alla folla senza venire
indicati da persone urlanti, dall'altra era degradante,
perché
succedeva solo a causa di tutti gli altri idioti vestiti da Spongebob
o Hello Kitty.
Insomma,
non era bello dover essere paragonato a costumi del genere.
“E
devi preparare un costume per andare a qualche festa?”
domandò
sarcastico, cedendo all'ironia, giusto per scacciare il senso di
fastidio.
Isabel
però non sorrise, ma anzi, lo sguardo divenne molto serio.
Affilato.
“Domani
è Samhain, il capodanno delle streghe. È una
notte in cui il
confine tra questo posto e l'aldilà diventa sottile,
mischiando i
due mondi. Devo prepararmi per un rituale notturno.”
Raph
rimase un secondo attonito, boccheggiante. Magia... Halloween...
aldilà... rituale... era troppo per lui.
“Un
rituale di che genere? Non stai progettando di sacrificare qualche
animale a dei demoni oscuri, vero?”
Isabel
si avvicinò con calma, sollevò una mano e gli
diede uno
scappellotto sulla nuca, che risuonò con uno schiocco secco
per la
camera.
“Non
dire mai più stupidaggini del genere. Sono stufa di tutta
questa
disinformazione sulle streghe. E la colpa è di Hollywood e
dei suoi
film travianti!” lo minacciò con la mano ancora
alzata. Lui si
stava passando la mano sulla testa, più imbarazzato che
arrabbiato.
“Le
streghe, quelle vere, non fanno del male agli animali e non
sacrificano niente agli Dei. Devo prepararmi per un rito per
comunicare con l'altro mondo. Adesso che sono qui posso... voglio
parlare coi miei genitori... anche se per pochi istanti.”
La
sua voce si era incrinata, per un secondo. Era passata da una
tonalità concitata ad una lieve inflessione soffocata, come
se
stesse reprimendo dentro di sé l'agitazione al pensiero di
rivedere
e parlare con i suoi genitori, anche se sotto forma di spirito.
Rimase
sconvolto all'idea che potesse addirittura fare una cosa del genere.
“Allora
in cosa consiste il rituale? Se posso chiedere” chiese, anche
se
non lo voleva sapere davvero, al cento per cento. Sperò
quasi che
lei non glielo dicesse, per un qualche codice segreto dei maghi.
Lei
piegò la testa, arrossendo appena.
“Devo...
cantare e ballare” sussurrò in imbarazzo.
Lui
sorrise, colpito dall'immagine che era passata nella sua mente. Era
una cosa molto carina. Ma non lo disse, perché sapeva che
Isabel
l'avrebbe fulminato senza pietà se avesse osato.
“Allora
non me lo perderò per niente al mondo” disse, con
un ghigno
malefico.
Lei
rialzò il capo, minacciosa, aggrottando le sopracciglia
tanto che
divennero quasi una linea unica di disapprovazione.
“Non
ci provare. Stai alla larga da questa casa per le prossime
quarantotto ore! È una cosa seria e molto più
pericolosa di quello
che pensi!”
Dopo
averlo minacciato di morte almeno una dozzina di volte, lo
gettò
fuori di casa. Isabel non aveva ancora capito che più gli
diceva di
non fare una cosa, più a lui veniva voglia di farla. Se lei
avesse
semplicemente detto di sì, lui non avrebbe desiderato
andarci con la
stessa smania che aveva addosso al pensiero di trasgredire.
Quando
arrivò al rifugio trovò Mikey in uno stato di
profonda euforia.
Stava quasi saltellando di qua e di là, cantando una
canzoncina
scema. Sapeva cosa aveva e non voleva parlare con lui o gli avrebbe
mangiato via il cervello coi suoi vaneggiamenti. Ma il fratello lo
vide arrivare e per lui fu la fine.
“Raph!
Raph! Sai che giorno è domani?” gli
domandò entusiasta,
correndogli incontro.
“Samhain,
a quanto pare” rispose laconico lui.
Mikey
aggrottò per un secondo le sopracciglia poi, capito di non
aver
capito, sorrise di nuovo.
“È
Halloween! Possiamo andare in giro! Possiamo chiedere i
dolcetti!”
strillò fuori di sé dalla contentezza. I suoi
occhi stavano
letteralmente brillando di gioia, poteva vederlo anche attraverso la
maschera.
“Quanti
anni abbiamo, Mikey?” lo rimproverò lui con tono
burbero.
“Oh,
andiamo! Siamo sempre usciti ad Halloween! E abbiamo solo un anno in
più dell'anno scorso! Perché a diciannove
sì e a venti no?” si
intromise Donnie, prendendo le difese di Mikey.
“Anche
io adoravo Halloween! Ma poi ogni volta che siamo usciti a
festeggiarlo, ogni dannato anno, ci è capitato qualcosa di
strano!
Quest'anno sono già a posto con le cose fuori
dall'ordinario!
Rimango a casa, grazie!”
“Non
fare il guastafeste! Perfino Leo ha lasciato perdere la sua aria
seria e ha promesso che uscirà con noi! Adesso fai un bel
sorrisone
al tuo adorato fratellino e prometti che verrai!” lo
canzonò Mikey
con una vocina scema, tirandogli le guance.
I
suoi occhi, al di sopra del ghigno folle che l'altro aveva dato alla
sua bocca, lo stavano fulminando.
“She
non mi lashi andare ti sgiuro che ti ushcido, Mihei!”
“Dai,
Raph! Non vorrai startene tutto il giorno nel rifugio da solo,
domani!”
No
che non voleva. Non ne aveva proprio l'intenzione. Stava piuttosto
pensando a svicolare indisturbato dentro al villino di Isabel e di
assistere al famoso rito senza essere visto. D'altronde era un ninja,
non c'era nessuna possibilità che lei potesse vederlo, se
decideva
di rendersi invisibile. Ma poi incontrò gli occhioni
speranzosi di
Mikey e quelli di rimprovero di Don e sapeva già che avrebbe
ceduto.
“Ha
bene. Ma lashami le guanshe!”
L'indomani,
ricordando la promessa fatta, non andò da Isabel, anche se
si era
svegliato alla solita ora. Rimase sdraiato sul letto, a fissare il
soffitto nella semi oscurità, pensieroso. Come cavolo poteva
occupare la giornata? Era praticamente un mese che ogni dannata
mattina si alzava per andare a insegnarle il ninjtsu; era strano non
doverlo fare, per una volta.
Si
era abituato decisamente in fretta a quel ritmo di vita, a quella
routine rassicurante, e gli dava un po' fastidio doverla
interrompere. O era il fatto di non vedere Isabel per un giorno a
disturbarlo in quel modo? Sciocchezze.
Si
alzò dal letto, sbuffando e grattandosi una spalla, deciso a
prendersi una giornata per sé. Avrebbe fatto una doccia, una
abbondante colazione, poi allenamento da solo, finalmente.
Nemmeno
dieci minuti dopo si stava già annoiando. Dopo la doccia
aveva
deciso che non gli andava di fare nulla di ciò che aveva
preventivato.
Voleva
invece contravvenire alle regole e andare a quel maledetto villino e
sbirciare ciò che gli era stato proibito.
“Santo
cielo, sto sognando o quello è Raph? Sveglio? Di primo
mattino?”
strillò Mikey sconvolto quando arrivò in cucina,
tenendosi una mano
sul cuore con fare melodrammatico.
“Divertente.
Davvero. Non vedi come mi contorco per non scoppiare a
ridere?” gli
rispose atono, con un'occhiataccia.
“Beh,
devi ammettere che è parecchio strano vederti sveglio prima
di
mezzogiorno. L'una. Le tre” rincarò la dose Don,
che stava
preparando i pancake per tutti.
“Io
lo so perché si è alzato presto! Non vede l'ora
che sia il tramonto
e poter così uscire a festeggiare Halloween!”
“Oh,
sì, Mikey! Non vedo proprio l'ora!”
Sollevò
gli occhi al cielo, già stufo di quella giornata.
Aveva
sempre amato Halloween, in passato. La libertà di poter
uscire e
passeggiare tranquillamente per le strade era un richiamo fortissimo
per chi come loro era stato costretto ad osservare il mondo dalla
grata di un tombino o solo tramite lo schermo di un televisore. Ma
ogni Halloween, quando si stavano per godere le feste e i dolciumi,
succedeva immancabilmente qualcosa. Un pazzo che cercava di aprire
l'inferno con una statuetta o un altro che voleva stipulare un patto
con un demone o quell'altro ancora che aveva cercato di resuscitare i
morti, riuscendo quasi a creare un'armata di zombie. Era un po'
preoccupato ormai, ogni volta che si avvicinava quel periodo
dell'anno, già sul chi vive almeno dal giorno prima. E
quell'anno
aveva paura che sarebbe stata Isabel a creare dei guai, con la sua
magia e i suoi incantesimi.
Avrebbe
dovuto controllare che non si mettesse nei guai?
Passò
la giornata ad annoiarsi terribilmente, con quella domanda che andava
e veniva dai suoi pensieri, sempre senza risposta.
Quando
arrivò il tramonto, finalmente e purtroppo, Mikey
iniziò a correre
da una parte all'altra per il rifugio, come un ossesso, chiamandoli
tutti a gran voce perché si sbrigassero. Correva da Don per
cercare
di farlo uscire dal laboratorio, poi da Leo, per convincerlo a
lasciare la meditazione per l'indomani, poi si fiondava su Raph,
trascinandolo fino alla porta prima di correre di nuovo da Don e
ripetere tutto il giro, di nuovo.
“Andiamo!”
strillò impazientemente, saltellando su e giù
dall'agitazione. I
tre fratelli si guardarono con rassegnazione, preparandosi a
seguirlo.
“Davvero.
Dovremmo parlare del fatto che facciamo andare un idiota in giro
armato. Ad Halloween. Tra una folla di gente. Siamo forse
impazziti?”
chiese ironico, uscendo dalla porta del rifugio per ultimo.
“Se
lo permettiamo ad un collerico senza controllo come te, Raph, non
possiamo certo vietarlo a Mikey” gli rispose Leo, con un
sorrisetto
compiaciuto, facendo finta di interessarsi al soffitto.
Uscirono
dalle fogne in un vicolo senza uscita, in silenzio. Quando Mikey vide
la moltitudine di persone vestite a festa sfilare per le strade,
sorrise come un matto. La sfilata di Halloween di New York era
iniziata da pochi minuti, ma era già così gremita
da non poter
quasi camminare senza sbattere contro qualcuno.
“Guardate
lì, il pallone a forma di Freddy Krueger!”
strillò Mikey,
indicando l'enorme pallone che volava su di loro, gettando una grossa
ombra sul corteo in movimento.
“E
li c'è Dracula” continuò, estasiato.
“Uh,
e li c'è un Furby!”
Posarono
gli occhi sulla versione gigantesca e in plastica del celebre gioco,
con i suoi occhi folli e pazzoidi.
“Ecco!
Quello sì che fa paura!” commentò Raph,
spostandosi con i suoi
fratelli lungo la via, facendosi largo a spallate. Mikey si
fermò
praticamente ad ogni bancarella, comprando dolciumi e cianfrusaglie
in grosse quantità, con un sorriso contento, la bocca piena
di
schifezze e le braccia cariche di buste di altri dolci che avrebbe
mangiato strada facendo.
“Avevo
detto a Casey di non darti dei soldi!” esclamò con
rimprovero
Raph, scuotendo la testa.
“Non
è stato lui. Me li ha dati April” rispose il
fratello, masticando
a bocca piena la sua mela caramellata.
“È
lo stesso, sono sposati. E non dovrebbero darti soldi per strafogarti
con i dolci. Se vogliono qualcuno da viziare che si facciano un
figlio!”
“Oh,
sì! Così posso portarlo in giro ad
Halloween!”
“Eh,
certo, Mikey! Due fanno sacrifici e sforzi per mettere al mondo un
figlio per poi metterlo in mano a te. Che sei notoriamente
affidabile!” commentò sarcastico, senza
nasconderlo nemmeno.
“Io
sarei uno zio fantastico!” si difese indignato Mikey, con un
broncio risentito per le sue accuse.
“Allora
ringrazio il cielo che non avrò mai dei figli!”
sbottò Raph,
crudele.
Si
allontanò dagli altri, seccato. Non avrebbe voluto dire
quelle
parole, se n'era già pentito, ma ormai erano uscite dalla sua
bocca e
Mikey le aveva sentite. Non pensava davvero che Mikey non sarebbe
stato un buon zio, anzi, avrebbe scommesso che qualsiasi bambino
sarebbe stato felicissimo di giocare con lui e di averlo dalla sua
parte. E sapeva che sarebbe stato un buon padre, se avesse mai potuto
avere dei figli. Ma loro non potevano, dovevano farsene una ragione.
Niente figli. Niente feste. Niente Halloween con dei cuccioli al
seguito.
Soli,
per sempre, loro quattro. Fino alla fine.
Perché
diamine continuava a pensarci, dato che sapeva benissimo che
quell'argomento lo faceva solo arrabbiare e deprimere?
Scivolò
tra la folla, mollemente, seguendo la corrente più che
forzare per
andare da una parte in particolare.
Quando
aveva perso la gioia di festeggiare Halloween? Quando era stato il
momento esatto in cui quella giornata era cambiata da essere la sua
festa preferita ad una seccatura che non vedeva l'ora che passasse in
fretta?
Svoltò
a destra, superando il carretto di biscotti di zucca e cioccolato,
infilandosi dentro al vicolo proprio dietro, allontanandosi
più
possibile dalla folla e dal rumore. Si appoggiò al muretto
con un
sospiro sollevato, poi camminò lentamente, sempre
più lontano.
Si
fermò qualche ora dopo, davanti alla porta della barriera
del
villino, senza essersene ancora accorto, apparentemente. Era stato
così perso nei suoi pensieri, da non essersi reso conto di
dove
stesse andando, pensando anzi di stare vagando senza senso.
E
invece il suo corpo o la sua mente lo aveva portato da Isabel.
Rimase
a fissare il legno per qualche minuto, indeciso. Entrare o non
entrare? Di certo dentro non poteva esserci niente di peggio di
ciò
che c'era lì fuori.
Afferrò
la maniglia, con un po' di titubanza che scacciò in fretta,
poi, con
un passo deciso entrò all'interno del giardino.
La
prima impressione fu di calore. Un calore avvolgente, che faceva il
solletico. Il giardino era immerso nella notte, come tutta la
città,
ma lì la luce della luna splendeva con forza, illuminando
dolcemente
la piccola figura al centro. Isabel era immobile, col viso paonazzo,
come se avesse appena smesso di ballare e parlava al niente, con gli
occhi che splendevano di gioia e un sorriso disarmante. Parlava
velocemente e gesticolava, come sempre quando era nervosa,
sventolando di qua e di là il lungo foulard rosso che teneva
nelle
mani, identico ai veli che componevano il suo vestito dall'aria
leggera e orientale.
Non
l'aveva mai vista più emozionata o felice. Anche se lui non
poteva
vedere per cosa. Riusciva solo a percepire che Isabel era in qualche
modo lì e nello stesso tempo in una sorta di altra
dimensione,
delimitata da quella eterea aura che le aleggiava attorno, quasi come
polvere dorata.
Si
perse a guardarla. Mentre piegava la testa, ascoltando qualcosa, o
mentre sorrideva, abbassando il capo imbarazzata, o mentre allungava
inconsciamente le mani, cercando di toccare qualcuno che non poteva.
Stava
davvero vedendo e parlando con i suoi genitori?
Un
rivolo di aria fredda lo sfiorò sulla nuca, mandandogli i
brividi,
rompendo parte di quella magia. Sollevò lo sguardo e
spalancò gli
occhi, allarmato; una densa nube nera svolacchiava in circolo sopra
la casa, fredda e oscura. E c'erano volti, bocche spalancate e occhi
maligni e mani, in quella nube, che si agitavano, che urlavano senza
voce, che maledivano con lo sguardo. E pareva che si fossero accorti
della sua presenza.
Le
mani corsero verso i Sai, automaticamente. Non sapeva se poteva
combattere contro quella cosa, ma non per quello non ci avrebbe
provato.
Venne
avvolto da quella cosa, venne aggredito da quella cosa, che sembrava
riuscire a toccarlo e colpirlo e graffiarlo mentre a lui non era
permesso: ogni suo fendente andava a vuoto, colpiva l'aria e sembrava
solo farlo arrabbiare. La sua mente si riempì di voci e urla
e
maledizioni sputate fuori con rabbia e il suo petto di dolore, paura,
disperazione. Forse urlò, preso alla sprovvista.
Finché
il calore di prima non lo riavvolse, accogliente e protettivo,
amorevole e avvolgente.
“Isabel?”
La
ragazza stava ritta di fronte a lui, dandogli la schiena, con il
foulard rosso tra le mani alte contro quella cosa oscura, che adesso
si teneva alla larga, pur continuando a occhieggiarli.
“Sei
sempre il solito cocciuto! Non puoi fare come ti viene chiesto, vero?
Oh no, le regole non fanno per il fantastico Raphael!” lo
sgridò,
più esasperata che davvero arrabbiata.
“Che
cosa... che cosa è?” Forse la sua voce aveva
tremato nel
chiederlo, ma non lo volle sapere davvero.
“Non
ci sono solo cose cattive nel mondo. Ma non ci sono nemmeno solo
quelle buone. Ci sono spiriti che aiutano, che comprendono, che
vogliono aiutare, ma ci sono anche quelli confusi, arrabbiati, che
fanno fatica ad accettare il loro fato. In questa notte hanno tutti
la possibilità di vagare per la terra, in bene o in male. Ma
non
sono una minaccia. A meno che tu non decida di saltare in uno spazio
in cui una strega sta eseguendo una magia!”
Continuava
a sventolare il lungo fazzoletto, con leggerezza, tenendo alla larga
quella massa informe con una facilità che gli diede un po'
sui
nervi, data invece la fatica che lui ci aveva messo senza
effettivamente riuscirci. Poi si voltò, facendo passare il
foulard
oltre la sua testa, avvolgendoglielo attorno.
“Cosa...”
“Ascoltami
e fai come ti dico: vedi quello spiazzo vicino alla casa, tra
l'albero di melo e quello di ciliegio? Voglio che tu corra verso quel
punto, stringendo il mio scialle, e che ti fermi solo quando lo avrai
raggiunto. E non ti muoverai da lì se io non te lo dico,
chiaro?”
Aveva
voglia di ribattere, ma lo sguardo omicida di Isabel glielo
sconsigliò fortemente. Annuì, rinfoderando i Sai.
Lei si voltò
ancora, le mani in alto, aperte e vibranti.
“Vai!”
gli ordinò Isabel, d'un tratto.
Corse
con tutta la velocità possibile, tenendo sott'occhio la sua
meta,
con la sgradevole sensazione che quella cosa fredda e oscura lo
stesse seguendo: si lanciò letteralmente sullo spiazzo,
atterrando
dopo un salto prodigioso. L'aria era calda e profumava di lavanda,
l'odore di Isabel, e molto più luminosa. Era familiare e
rassicurante. Respirò a fondo, improvvisamente calmo.
Poi
si ricordò che lei era ancora lì fuori e si
voltò per assicurarsi
che stesse bene.
“Non
preoccuparti, ragazzo. È molto più in gamba di
quanto lei stessa
pensi” disse una voce profonda, di un uomo, sorprendendolo.
Voltò
il capo, lentamente, finché non li vide. Era sempre stato
convinto
che i fantasmi o spiriti o come diamine si chiamassero fossero
incorporei, bianchicci e trasparenti. E senza le gambe, ma con una
sorta di ricciolo alla fine. Come Casper insegnava.
Ma
i due... spiriti che lo guardavano, non erano niente di tutto quello.
Erano sì, incorporei, ma anche piuttosto colorati: la donna
aveva i
capelli scuri che incorniciavano il bel viso, illuminato dagli occhi
castani, così simili a quelli della figlia, mentre l'uomo
aveva i
capelli biondi e vivaci occhi azzurri. Non erano affatto trasparenti
e le loro gambe non terminavano in un ricciolo. In effetti, se solo
non fossero stati... eterei, avrebbe potuto giurare che quelle
persone fossero vive.
Entrambi
lo guardavano, in silenzio. Così come faceva lui,
perché non sapeva
che diamine fare o dire. Era autorizzato a parlare con loro? E se
rispondendogli gli avesse dato l'autorizzazione a possederlo?
“Tu
devi essere Raphael. Isabel non ha fatto che parlare di te”
disse
la donna, con un sorriso caldo e amorevole nel pronunciare il nome
della figlia.
Annuì,
al rallentatore, sorpreso e imbarazzato. Annuire non era vietato nel
comportamento base umani-spiriti, no? O meglio mutanti-spiriti. E
forse era più sconvolto lui da loro che loro
da lui, e si
chiese come fosse possibile.
“Com'è
nostra figlia?” domandò l'uomo all'improvviso, con
malcelata
curiosità.
Raph
strinse più forte lo scialle di Isabel, poi prese un grosso
respiro.
“Lei
è... testarda. Sfuggente. Non ascolta mai e io non capisco
mai
quello che dice. Mi fa arrabbiare spesso e una volta mi ha fulminato
a morte. Però... è anche appassionata, quando si
mette in testa una
cosa, e si impegna con tutta sé stessa, anche se non
è facile. È
in gamba” rispose con sicurezza, una volta preso il via, con
sincerità.
I
due genitori si scambiarono un sorriso compiaciuto.
“Grazie
per quello che fai per Isabel. È stata fortunata ad averti
incontrato” esclamò la donna, sorridendogli con
riconoscenza.
Raphael
arrossì, sconvolto da quella affermazione. Prima di poter
rispondere, tuttavia, sentì uno strattone al collo e vide
Isabel che
tirava l'altra estremità del foulard, rischiando di
strozzarlo,
furiosa in volto.
“Ti
avevo detto di stare alla larga da qui, oggi, ma tu no, devi fare di
testa tua! Devi sempre ficcare il naso nei miei affari e impicciarti
quando ti pare! Oh, Raphael Hamato, non puoi nemmeno immaginare come
io sia arrabbiata con te in questo momento!” lo
sgridò,
puntandogli un dito contro dal quale scaturì una piccola
scintilla.
Lui
cercava di tirarsi indietro, terrorizzato. Perché lo sapeva
che lei era
arrabbiata, lo aveva perfino chiamato per nome intero, e non voleva
essere fulminato, ma Isabel continuava a tirare l'estremità
dello
scialle che gli stringeva la gola, impedendogli di scappare.
Una
grossa risata composta da due voci diverse li riscosse. Isabel si
voltò imbarazzata verso i suoi genitori, lasciando andare il
foulard, mandando Raph a sbattere al suolo.
“Mi
dispiace così tanto dell'interruzione e...”
iniziò a dire,
guardandoli con infinito amore.
“Isa,
non hai nulla di cui scusarti. Si aiutano sempre gli amici in
difficoltà. Siamo fieri di te” mormorò
sua madre interrompendola,
utilizzando il diminutivo che usava quando era piccola.
“Però
adesso dobbiamo andare, bambina mia. Non possiamo rimanere ancora a
lungo e sarà meglio guidare quegli spiriti confusi
dall'altra parte”
le disse suo padre, abbracciandola virtualmente con lo sguardo.
“Di
già? Ma io ho ancora tante cose da dirvi, da chiedervi, di
cui
parlare” urlò la ragazza tendendo le mani verso di
loro,
desiderando di poterli toccare.
“Noi
ti ascoltiamo sempre, Isa, anche se tu non riesci a vederci. E sai
che ti rispondiamo, anche se non riesci a sentirci. Siamo sempre con
te, piccola mia.”
Anche
se le parole erano incoraggianti lo spirito piangeva, lacrime
incorporee ed evanescenti, ma non per quello meno vere e dolorose.
“Ricorda
ciò che ti abbiamo detto. Ricordati chi è, cosa
ha fatto e cosa sta
cercando di ottenere. Ricordati sempre di quanto sia malvagio e di
cosa è capace. Ma anche che noi crediamo in te. Puoi
farcela, Isa.
Sei più forte di quanto tu creda” le disse suo
padre con fierezza,
con un sorriso incoraggiante e affettuoso.
Isabel
annuì, anche se titubante, gli occhi che trattenevano le
lacrime. I
due spiriti la osservarono ancora con affetto, poi iniziarono a
indietreggiare, lentamente: sollevarono le mani e qualcosa di
luminoso e abbagliante apparve alle loro spalle, come un portale di
pura luce.
“Ti
vogliamo bene, Isa” dissero in coro, iniziando a sparire nel
vortice, trascinando con sé anche l'ombra oscura.
“E
ragazzo... grazie” aggiunse la voce dell'uomo prima che il
portale
si chiudesse.
Raphael
rimase immobile a fissare il punto in cui erano spariti, ancora a
terra. Isabel non si mosse per minuti interi, col viso rivolto al
nulla, assorta. Gli parve di vederla passare la mano sul viso, forse
per detergere lacrime che non voleva che lui vedesse.
Quando
alla fine si riscosse e si voltò verso di lui, comunque, non
c'erano
segni di pianto sul suo viso. Solo di rabbia e rimprovero.
“Allora,
vediamo come punire il testardo mutante che ha osato entrare nel
cerchio di una strega, adesso” attestò solenne,
avvicinandosi a
grandi passi verso di lui. I veli rossi della sua gonna ondeggiavano
leggiadri ad ogni passo, affascinanti ma anche ipnotici.
Indietreggiò
impercettibilmente, cercando inconsciamente di scappare. La punizione
per un reato del genere era legale e poco dolorosa? Poteva sperarci?
Isabel
era ad un passo, e si inchinò repentinamente, come un rapace
sulla
sua preda.
“Chiudi
gli occhi e accetta la punizione da uomo” sussurrò
seria,
afferrando un lembo del suo scialle e tirandolo verso di sé.
Raph
lo sentì scivolare sulla pelle, leggero e in qualche modo
minaccioso.
Deglutì
e fece come ordinato, chiudendo gli occhi, deciso a non farla
arrabbiare ulteriormente; rimase in attesa, strizzando appena le
palpebre mentre i secondi scorrevano, con la prospettiva di un dolore
che poteva arrivare in qualsiasi istante.
Avrebbe
fatto male come la scarica elettrica? Isabel non aveva davvero
intenzione di fulminarlo ancora, di certo. Sperava.
Un
dito lo colpì alla fronte improvvisamente, schioccando.
Spalancò
gli occhi sorpreso e incontrò lo sguardo semi esasperato di
lei.
Eppure sembrava divertita.
“Andiamo,
ho fatto dei biscotti per oggi con forme mostruose. I bambini non
busseranno qui, ma ciò non mi impedisce di festeggiare
comunque”
sospirò, ritirandosi su e facendo strada verso casa.
Raph
si alzò e scosse con vigore la tuta per togliere i fili
d'erba
rimasti impigliati, ancora un po' scombussolato.
“Che
forme mostruose?” domandò trotterellandole dietro
insolitamente
remissivo.
“Tartarughe
mutanti impiccione” rispose Isabel con un'occhiatina
pungente,
prima di entrare in casa.
Raph
sorrise tra sé e si affrettò a seguirla, attirato
da un buon
profumo di cioccolato e vaniglia. Avrebbe passato qualche ora con
Isabel e poi avrebbe raggiunto i suoi fratelli. E forse si sarebbe
anche scusato con Mikey. Meglio festeggiare con un fratello minore
sovreccitato dagli zuccheri, che avere a che fare con una nube magica
di spiriti arrabbiati, in fin dei conti. O con una strega esasperata.
In
fondo Halloween non era davvero male.
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